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4.2) Ruolo della città globale nel mondo contemporaneo Nel sistema globale dell’economia, cosa “resta”
della città moderna? La città moderna è nata all’epoca delle grandi
innovazioni tecnologiche della Rivoluzione Industriale, evolvendosi con lo
sviluppo scientifico; la pianificazione aveva ancora dei caratteri centralisti,
in cui lo stato restava il principale, se non l’unico, protagonista. La città contemporanea si delinea come un mosaico di
etnie, culture e comunità differenti, di soggetti in cerca di una
propria dimensione, di una propria identità perduta[1]; ma soprattutto come un non-luogo
ampiamente condizionato dal grande processo in atto cui si è dato il nome
di globalizzazione. Se il ruolo principale della città industriale e
post-industriale era quello di produrre, nelle
metropoli contemporanee vengono ricoperti sempre di più ruoli di
controllo e di autorità; un vero e
proprio processo di centralizzazione, del tutto nuovo rispetto
all’interventismo statale della città moderna. La globalizzazione, paradossalmente fenomeno di una
“parte” del pianeta, ha portato alla costruzione di una nuova geografia
delle centralità e delle marginalità: le cosiddette città globali, infatti,
cioè quelle particolarmente “attive” e coinvolte nella “rivoluzione
contemporanea” dei mercati, ricoprono posizioni strategiche in una nuova
dimensione economica del mondo che vede, allo stesso tempo, la marginalizzazione
delle città che non rientrano nelle elite di comando[2]. In questo senso, la città globale è ovunque,
caratterizzata dalla velocità con la quale si verificano i cambiamenti e le
trasformazioni. La globalizzazione tende a omologare lo spazio
urbano, in rapporto al ruolo che la città occupa: le città globali sono
fortemente “legate” tra loro, sebbene attraverso reti e flussi in continuo
cambiamento; mentre le città dei pvs risultano frammentate al loro interno e
basate su relazioni “centro-periferia” che nelle città globali hanno oramai
scarso valore. Non solo: le città globali risultano più
interconnesse tra loro che con il proprio territorio regionale o nazionale; le
“reti globali” che legano le grandi metropoli del nord del mondo, tanto
forti e dinamiche, sembrano del tutto “scollegate” dalla popolazione, dagli
individui, considerati come elementi di disturbo[3]. La città continua a frammentarsi, così, in tante
parti distinte e lontane le une dalle altre: piccole frange di coloro che
riescono a “tenersi al passo” con la globalizzazione, ed enormi masse
popolari, escluse, che diventano sempre più numerose, e sempre più deboli. Il “rimedio” alla città dei frammenti può
venire dalla stessa globalizzazione che l’ha determinata e alimentata finora:
una globalizzazione dal volto più umano, che riesca a “vedere” e rispettare
gli individui, finalizzata alla costruzione di un mondo più “materiale”
alle reti lunghe che comandano quel processo; ma soprattutto una globalizzazione
che sappia riconoscere e valutare i milieu locali, le complessità di un mondo
mai stato tanto diverso. In caso contrario, le immagini disperate di profughi
in fuga dalle loro terre verso il mondo “civilizzato” occidentale, cui già
oggi siamo abituati, sono destinate ad aumentare inesorabilmente, con il rischio
di non riuscire più a “vedere” la sofferenza e la disumanità che
esprimono. |