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3.5) I laboratori territoriali Luogo di confronto di una pluralità di culture,
etnie, comunità “insorgenti”, il territorio può diventare un luogo di
cantieri, laboratori materiali e sociali nei quali si può sperimentare la
costruzione di luoghi possibili e nuova socialità. Ancora una volta, dietro
queste nuove forme di “progettualità” dal basso troviamo la comunità
insediata. Un contributo significativo per ritrovare il
“territorio delle differenze”, per molto tempo rimasto sommerso nella
metropoli, potrà venire dalla sperimentazione territorialista, attraverso il
contributo dei Laboratori Territoriali: luoghi della partecipazione dal basso,
dell’espressione dei bisogni sociali, dell’incontro tra saperi esperti e
comuni. Tra le finalità dei laboratori vi è sicuramente
quella di “costruire” territorio, attraverso la partecipazione del soggetto:
l’abitante come produttore di territorio. Il laboratorio è una forma di sperimentazione locale
“interattiva”, un approccio alla riqualificazione urbana che individua nel
degrado l’estraneità al proprio territorio. L’esclusione come forma di
povertà, marginalità, che colpisce tutte le categorie sociali; quelle più
esposte, e più in vista, sono rappresentate dagli extracomunitari, dai poveri,
ma, riuscendo a vedere oltre, ognuno di noi si trova coinvolto. La rifondazione urbana, si diceva, è possibile solo
attraverso l’attivazione di tutti i soggetti, in quanto portavoce ed
espressione delle differenze di ogni luogo[1]. La partecipazione, di solito, indica la mobilitazione
di energie individuali e collettive. Ma cosa è rimasto oggi di questo tipo di
“partecipazione” nei contesti urbani e nazionali? Ben poco, se si pensa alla
trasformazione che la città stessa ha subito in termini di eterogeneità degli
attori, e principalmente all’influenza crescente che hanno i vari gruppi di
pressione[2].
Le scelte di “pianificazione”, quindi, sono molto più difficili da
adottare, non solo, ma sono influenzate in modo rilevante da questi “nuovi”
attori. Il problema di fondo di questo tipo di pianificazione
è di aver trattato tutte le disuguaglianze presenti sul territorio in modo
analogo, finendo per rispecchiare e riprodurre le disuguaglianze da cui si era
partiti. Le forme di partecipazione che il laboratorio intende
promuovere, invece, sono orientate verso una “discriminazione positiva”:
partire dalle differenze per aiutare gli esclusi contro la burocratizzazione
delle reti decisionali e le disuguaglianze di potere e informazione. Una forma
di “cooperazione antagonista” che possa partire proprio dalle “frange”
di popolazione escluse, per riformulare il concetto stesso di democrazia: una
democrazia completa, ampia, trasparente[3]. Si ricerca il coinvolgimento degli attori sociali nel
progetto di trasformazione territoriale, una riappropriazione del contesto
urbano da parte di chi realmente “vive” in quei luoghi; è, in pratica, la
negazione della progettualità “calata dall’alto”. Questa considerazione,
però, non porta ad un arbitrio totale del terzo attore nella definizione degli
obiettivi. Tra le finalità del laboratorio, infatti, c’è anche la
“costruzione” di quel terzo attore tanto importante per la cooperazione
antagonista: la sensibilizzazione e la presa di coscienza di un ruolo importante
che si sta giocando, unita al contributo che gli “esperti”, in quanto
progettisti, potranno dare[4]. In ogni caso il rischio principale cui il progetto va
incontro è di restare confinato in quel locale dal quale è partito: non si avrà
in tal caso sviluppo locale, bensì localismo, una forma di chiusura autarchica
di governo della realtà locale. E’ indispensabile, quindi, il passaggio dal locale
alla rete per creare un sistema di reti tra le infinite realtà locali
ritrovate: un locale di ordine superiore. I diversi centri locali si orientano, in
quest’ottica, verso legami e relazioni di complementarietà e cooperazione,
piuttosto che di competizione; questa opzione di “sodalizio territoriale”,
d’altra parte, si rivela l’unica possibile per affrontare la dimensione
globale e definire, su basi non gerarchiche, l’intero sistema reticolare
sovra-locale. Questo modello solidale di città, prospettato dal
locale di ordine superiore, si configura come un ambito urbano reticolare,
basato sulle relazioni tra i “luoghi” urbani in stretta connessione tra loro
con i propri contesti territoriali di riferimento[5].
L’insieme del complesso sistema di relazioni fra componenti oggettive e
soggettive del territorio, la sua stratificazione nel tempo, definisce una
particolare forma relazionale e territoriale, una specificità: il milieu. Il milieu rappresenta “la possibilità, insita nel
territorio, di poter attivare processi di sviluppo endogeno, fondati sul
riconoscimento delle diverse risorse locali, attraverso le quali il sistema
reticolare territoriale si costruisce dal basso sulle caratteristiche
qualitative di singoli luoghi, e non dall’alto in base ad “astratte”
politiche allocative di carattere mercantile o geopolitica”[6].
[1] Ferraresi G., Costruzione sociale del piano e produzione autosostenibile di territorio, in Magnaghi A. (1998) (a cura di), op. cit., pp. 78 e segg. [2] Cfr. Paba G., I cantieri sociali per la ricostruzione della città, in Magnaghi A. (1998) (a cura di), op. cit., pp. 92 e segg. [3] Ibidem, pp. 97 e segg. . [4] Cfr. Ferraresi G. (1998), op. cit., pp. 79 – 80. [5] Cfr. Scandurra, Pirobbi E., De Bonis L. (2000), I futuri della città. Mutamenti, nuovi soggetti e progetti, Milano, Franco Angeli, pp. 334 e segg.. [6] Ibidem p. 341. |