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2) Ambiente e sviluppo nell’era della globalizzazione2.1) Una globalizzazione per pochi Con
il termine globalizzazione si intende un processo che ha modificato
profondamente il sistema delle relazioni (non solo economiche) tra stati; può
essere vista come il passo successivo e, per certi versi il prodotto, dell’era
post-industriale: con l’introduzione delle nuove tecnologie, infatti, i
sistemi di produzione e di scambio operano a livello planetario e a una velocità
senza precedenti. Un nuovo modo di intendere la produzione, il mercato e
l’economia, sicuramente influenzato dalla “accessibilità” a luoghi molto
distanti tra loro in poco tempo, dall’indebolimento delle frontiere
“materiali” degli stati, dal rafforzamento di altre “forme” di potere
(si pensi al ruolo che oggi ricoprono le grandi multinazionali della produzione
nei processi decisionali interni a ogni paese)
[1]. In
ogni caso, siamo di fronte a un fenomeno assolutamente inedito, che ha
rivoluzionato il carattere delle relazioni internazionali. Alle transazioni
economico-commerciali tra stato e stato si sostituiscono relazioni tra reti, in
un mondo in cui il concetto di confine sfuma. D’altra
parte la perdita di identità dello stato nazionale si accompagna ad una quasi
impossibilità di delimitare un territorio che obbedisca a proprie regole
economiche, diverse da quelle che il nuovo mercato impone[2]. In
questo scenario le transazioni commerciali diventano “universali”, trovano
spazio in un mondo meno diviso dalle “frontiere immateriali” delle ideologie
di un tempo, ma sicuramente più frammentato dalle differenze sociali ed
economiche, e dalle nuove emergenze. E’ interessante proporre un quadro
sintetico degli effetti di questa nuova forma di mercato. Nel
mondo “globalizzato”, dove prevale il mercato unificato, dominato da una
razionalità tecnologica sempre più invasiva, ai vecchi protagonisti della
scena internazionale se ne vanno sostituendo di nuovi, talvolta occulti, ma che
riescono ad avere un controllo e un potere forse sconosciuto al più potente
stato nazione di un tempo: le grandi multinazionali della produzione. Si
assiste oggi alla creazione di ristrette oligarchie transnazionali che si
arricchiscono sempre più, determinando la povertà e il sottosviluppo della
stragrande maggioranza dei popoli del mondo, soprattutto se si pensa
all’incapacità pressoché totale di molti pvs di appropriarsi di quei
vantaggi che la tecnologia costantemente produce. L’utopia
della diffusione progressiva del benessere occidentale al resto del mondo è
irreversibilmente compromessa. Nel
contesto “globale” è prevalsa, da sempre, la corsa dell’Occidente verso
un benessere legato principalmente alla tecnica, alla scienza e, in ultimo, ma
non certo per importanza, al mercato: una vera e propria esaltazione della
grande macchina di un’economia perfetta, innescata un tempo dalla Rivoluzione
Industriale, e che ha generato il mito della produzione illimitata; tutti
elementi che ora si rivoltano contro l’intero mondo, soprattutto quello
Occidentale, e iniziano a destabilizzarlo[3]. Il
tentativo di esportare, di diffondere il proprio modello al mondo intero è
passato per un potere di veto di ogni pensiero diverso; non ha dato spazio a
modelli alternativi, alle “diversità”; ha cercato di costruire un mondo
uguale e globalizzato nel segno di un unico modello di sviluppo, ha prodotto
nuove povertà e nuove emergenze[4]. La
globalizzazione ha portato anche a esiti per certi versi paradossali, ma che non
per questo devono sorprendere: la nuova dimensione economico-commerciale,
interessa, come si è detto, un’esigua minoranza del pianeta, e una
percentuale ancora minore di popolazione. L’esclusione dei pvs è solo una
delle conseguenze che il nuovo mercato ha prodotto. Se da un lato, infatti, la
globalizzazione si pronuncia per una redistribuzione della ricchezza mondiale, e
il conseguente sviluppo dei paesi poveri, dall’altro, si fonda su forme di
decentramento produttivo e accentramento dei processi decisionali. A
questo si aggiunga il ruolo, peraltro discutibile, che il Fondo Monetario
Internazionale e la Banca Mondiale hanno avuto nel definire le linee del
cambiamento “globale”: entrambi organi portatori degli interessi dei paesi
sviluppati, si trovano attualmente nella posizione (anch’essa paradossale) di
non riuscire più a gestire quella globalizzazione dei mercati che per molto
tempo hanno alimentato. A “garante” della globalizzazione sarebbe stato
auspicabile un organo internazionale super partes, rappresentante tanto del
mondo industrializzato che di quello in via di sviluppo[5]. In
uno scenario del genere, il tema ambientale sembra rimanere relegato nelle
agende di “intervento” di quelle oligarchie al potere nel grande mercato
globale; ci si domanda se non sia destinato a essere schiacciato per sempre
dagli interessi delle multinazionali della produzione.
[1] Sulla globalizzazione dei mercati e la cooperazione internazionale, si veda il convegno “Autosostenibilità e cooperazione decentrata, metodologie pratiche e prospettive per gli interventi nella città dei paesi poveri”, dicembre 2000, disponibile all’indirizzo web dell’università di Firenze: www.unifi.it/eventi/pvs2000/presentazione4.htm . [2] Cfr. Balbo M. (1999), L’intreccio urbano. La gestione della città nei paesi in via di sviluppo, Milano,Franco Angeli, pp. 19-20. [3] Cfr. Scandurra E. (1999), La città che non c’è. La pianificazione al tramonto, Bari, Dedalo, pp.73 e segg. . [4] Ibidem pp.78-79. [5] Cfr. Balbo M. (1999), op. cit., pp. 27-32-33. |