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2.2) Per una globalizzazione dal basso La necessità di vie diverse allo sviluppo trova
grande eco nell’azione congiunta di molte NGO (Non Governmental
Organizations) impegnate nei paesi del Sud del mondo[1]. La reazione alla globalizzazione “calata
dall’alto”, omologante, invasiva di ogni diversità proviene
principalmente da enti non istituzionali, che riescono ad avere una voce tanto
nei paesi ricchi, tanto in quelli poveri. Le associazioni ambientaliste, di
volontariato, le organizzazioni non governative in generale, tendono a
promuovere forme di cooperazione decentrata, a formare reti che oltrepassano i
confini nazionali, sfuggendo, cosa particolarmente rilevante, al dominio
crescente degli interessi produttivi; si tratta in definitiva di una rete
globale nuova, informale, che si oppone a quella “ufficiale” governata da
pochi[2]. In questo contesto di “globalizzazione dal
basso”, si collocano i progetti di riqualificazione e riscoperta dei luoghi:
i progetti di autosostenibilità locale. La salvaguardia e la produzione di qualità
ambientale ne rappresenteranno gli obiettivi prioritari, a partire dalla
considerazione dei singoli elementi come parti di cicli vitali che si
riproducono nel tempo. L’intervento sulla nuova dimensione “locale”
individuata deve quindi saper riconoscere, prima, e rispettare, poi, le
sinergie dell’ecosistema locale, al fine di custodire la ricchezza del
luogo. Un intervento, quindi, mirato alla valorizzazione delle risorse e delle
culture locali, che riesca a trarre il massimo beneficio dall’ambiente
fisico, promuovendo solo attività “sostenibili”. Questa, per grandi linee, la “visione
autosostenibile”; un progetto dinamico, che coinvolge quelle reti che i
nuovi “attori” contribuiranno a formare, rinforzare e mantenere per creare
un mondo in cui i Sud del pianeta non restino ai margini. |