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1.2) Conferenza di Stoccolma e Rapporto del M.I.T.: nascita della “questione ambientale” Alla
fine degli anni ’60 iniziano a rendersi evidenti i danni derivanti da una
crescita illimitata sotto forma di inquinamento prodotto, degrado ambientale,
eccessivo sfruttamento delle risorse. Il
1972 può essere considerato l’anno ufficiale di nascita della cosiddetta
“questione ambientale”: viene infatti pubblicato il Rapporto del Massachussets
Institute Of Technology di Boston, The Limits to Growth.[1] Al
centro del dibattito era, per la prima volta, la questione dei limiti della
crescita mentre il modello “onnipotente” era analizzato come vacillante,
minato alle sue basi dai “mali” da esso stesso generati.[2]
La totale fiducia nell’innovazione tecnologica, foriera di benessere e di
disponibilità di prodotti alimentari, iniziava a mostrare anche la sua “altra
faccia”: una crescente competizione tra i paesi sviluppati, unita a uno
sfruttamento invasivo delle risorse naturali. Il conflitto tra crescita
economica e esaurimento delle risorse non rinnovabili incorniciava il nuovo
dibattito sulla “questione ambientale”. [3] Il
problema principale era proprio quello di definire i limiti che il sistema terra
poteva sopportare rispetto alla crescita esponenziale della popolazione. Il
dibattito porterà, in futuro, allo sviluppo del concetto di carrying
capacity[4],
la capacità del sistema terra di farsi “carico” degli scarti della
produzione. La cosiddetta capacità di carico dell’ecosistema è l’altra
faccia del problema dell’individuazione dei limiti, che deve andare
necessariamente oltre l’individuazione della quantità massima di risorse
disponibili. L’ecosistema,
entro certi livelli, riesce ad assorbire gli scarti inquinanti della produzione,
continuando a fornire energia disponibile; oltre il livello massimo di
tollerabilità, i rifiuti possono solo accumularsi, divenendo gli indicatori
della quantità di energia non più disponibile. Il
1972 è anche l’anno della Conferenza dell’ ONU tenutasi a Stoccolma sul
tema del soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali[5].
E’ considerata una delle tappe fondamentali del “confronto” tra sviluppo e
ambiente globale, ed ha determinato la presa di coscienza della necessità di un
genere diverso di sviluppo. In
risposta alla crescente preoccupazione dell’opinione pubblica sul generale
deteriorarsi delle condizioni ambientali e di vita, delegati da 113 nazioni si
incontrarono e pubblicarono un “piano d’azione” contenente diverse
raccomandazioni, e una Dichiarazione recante 26 principi su diritti e
responsabilità dell’uomo in relazione all’ambiente globale. Il
problema della finitezza delle risorse disponibili, sulla scia della crisi del
modello della crescita illimitata, è ulteriormente approfondito. In questo
senso si cerca un’applicazione positiva delle nuove tecnologie per risolvere
problemi come la povertà e la fame, comuni a buona parte dei pvs, ma anche per
diffondere l’informazione, l’istruzione, la libertà; un nuovo approccio
allo sviluppo, quindi, che faccia riferimento al soddisfacimento dei bisogni
umani fondamentali (basic needs[6])
piuttosto che all’incremento ulteriore della crescita (quantitativa) di
produzione. L’attenzione
per i bisogni umani fondamentali è, d’altra parte, evidente sin dal primo
principio enunciato:”L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà,
all’eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli
consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed è altamente responsabile
della protezione e del miglioramento dell’ambiente davanti alle generazioni
future…”[7]. Il
rapporto dell’uomo con la natura è destinato a cambiare, attraverso la
acquisita coscienza dell’esauribilità delle risorse, rispetto degli
ecosistemi, e l’utilizzo sapiente delle nuove tecnologie[8].
Si parla in tal senso di eco-sviluppo[9],
uno sviluppo in armonia con l’ambiente, che inizia a interessare non solo il
Nord, da sempre attore protagonista, ma l’intero mondo, inteso nella sua
globalità. Nel
preambolo della Dichiarazione si afferma che siamo oramai giunti a un punto
della storia in cui “dobbiamo condurre le nostre azioni in tutto il mondo con
più prudente attenzione per le loro conseguenze sull’ambiente”. La difesa e
il miglioramento dell’ambiente sono divenuti “uno scopo imperativo per tutta
l’umanità”, da perseguire insieme a quelli fondamentali della pace e dello
sviluppo economico e sociale mondiale. A
conferma della rilevanza “transnazionale” del dibattito su ambiente e
sviluppo, si ricordi la costituzione, al termine della Conferenza di Stoccolma,
dell’UNEP (United Nations Environment Programme[10]),
un organismo dell’O.N.U. avente il compito di fungere da catalizzatore per le
politiche ambientali, di indirizzare la coscienza mondiale, di coordinare le
politiche ambientali delle varie agenzie delle Nazioni Unite e dei vari governi,
nonché le azioni delle comunità scientifiche ed economiche, e delle
associazioni ambientaliste. Nuovi
processi evolutivi tra società umane e ambiente saranno le risultanti del nuovo
approccio, che, in una fase successiva, condizionerà inevitabilmente anche le
politiche degli Stati, oramai costretti a rinunciare a una piccola parte del
proprio potere per difendere un patrimonio comune in grave pericolo. [1] Cfr. Meadows H. D., Meadows L. D., Randers J.E., Behrens W.W. (1972) The Limits to Growth, Pen Books, Londra. Si veda al riguardo Scandurra E. (1995), L’ambiente dell’uomo, verso il progetto della città sostenibile, Milano, Etas libri, pp. 13 e segg. . [2] Il rapporto del M.I.T. di Boston generò un grande dibattito sul futuro dell’umanità, coinvolgendo molteplici ambienti: letterari, scientifici, tecnologici. In molti vi hanno visto le basi di un movimento transnazionale che avrebbe, in breve tempo, interessato il mondo intero. [3] Sulla distinzione tra risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili, si rimanda al lavoro di Scandurra E., sopra citato, in particolare pp. 62 e segg. . [4] La “capacità di carico” sviluppa, e per molti versi rielabora, il concetto di impatto ambientale. Sul rapporto tra carrying capacity ed ecosistemi si veda Vernetti G. (1991), La città come ecosistema territoriale, in Magnaghi A. (a cura di), Il territorio dell’abitare, lo sviluppo locale come alternativa strategica, Milano, Franco Angeli, pp. 311 e segg. . [5] Sulla Conferenza di Stoccolma si veda il sito internet di A.R.P.A.Veneto: http://www.arpa.veneto.it/eduamb/docs/allegati.pdf . [6] L’attenzione rivolta al soddisfacimento dei basic needs porterà a modelli alternativi della crescita, elaborati localmente, e incentrati anche sui bisogni immateriali, fino a quel momento trascurati. [7] Cfr. Conferenza di Stoccolma 1972, primo principio all’indirizzo internet di A.R.P.A. Veneto: http://www.arpa.veneto.it/eduamb/docs/allegati.pdf; il riferimento alle generazioni future appare un’anticipazione del concetto di sviluppo sostenibile che inizierà a diffondersi dal Rapporto Brundtland in avanti. [8] Un riferimento al problema dell’esauribilità delle risorse non rinnovabili è contenuta nel quinto principio della Dichiarazione: ”Le risorse non rinnovabili della terra devono essere utilizzate in modo da evitarne l’esaurimento futuro e da assicurare che i benefici del loro sfruttamento siano condivisi da tutta l’umanità”; cfr. il sito internet http://www.arpa.veneto.it/eduamb/docs/allegati.pdf . [9] Sull’eco-development e la definizione dei basic needs, sui quali ci si soffermerà più avanti, si veda Scandurra E. (1995), op. cit. , pp. 36 – 38. [10] Per maggiori informazioni sulle funzioni dell’ U.N.E.P. si veda il sito internet http://www.unep.org/about.asp . |