CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO MINORE - TASSO

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Coscienza letteraria e questione della lingua nel Bembo

Che cosa fu il petrarchismo

Michelangelo scrittore

Tradizione e novità nelle "Rime" del Della Casa

L'ideale del "Cortegiano"

Un nuovo rapporto con la realtà: le novelle del Bandello

Storia e narrazione nel "Vite" del Vasari

Polemica letteraria e realismo nel Berni

Ideale eroico e parodia nel "Baldus"

Le "Lettere" dell'Aretino

La "virtù" del Cellini

Forme e svolgimento del teatro del Cinquecento

La "naturalezza" del Ruzzante

TASSO

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

La pazzia del Tasso

La religiosità del Tasso

Le "Rime" del Tasso

La sensualità della poesia tassiana

Atmosfera e personaggi della "Gerusalemme liberata"

Struttura e poesia nella "Gerusalemme liberata"

Vicende e aspetti di un personaggio: Clorinda

La poesia del Tasso e la pittura del Tintoretto

Caratteri e limiti del "Dialoghi" del Tasso

L'ispirazione religiosa dell'ultimo Tasso


Iscriviti alla mailing list di Letteratura Italiana: inserendo la tua e-mail verrai avvisato sugli aggiornamenti al sito


Iscriviti
Cancellati

 


VICENDE E ASPETTI DI UN PERSONAGGIO: CLORINDA

di FREDI  CHIAPPELLI



Mentre le «donne guerriere» della tradizione classica e cavalleresca si esprimono esclusivamente nelle vicende del loro destino di combattenti, l'originalità della Clorinda tassesca è nel progressivo rivelarsi della femminilità, che viene a prevalere sull'aspetto puramente militaresco e guerriero. Il critico coglie questo processo nei momenti di .maggiore commozione poetica, attraverso un continuo raffronto fra gli stati d'animo e i modi stilistici, le espressioni e il lessico stesso di cui il poeta si vale con fervida partecipazione.

Uno dei prodotti principali della vena inventiva dovuta alla sensualità, distesa o repressa o trasformata, è la figura di Clorinda. In questo personaggio di donna guerriera, il Tasso ha chiuso una delle sue trame più difficili. Vissuta a lungo in una larva militare, Clorinda fiorisce in tutta la sua dolcezza femminile d'improvviso e per un istante, l'istante della sua morte. Le guerriere che l'avevano preceduta nelle invenzioni dei poeti, come la Camilla virgiliana, o come la Marfisa ariostea, svolgevano pienamente il loro destino nella corazza; esse coltivavano una íntemerata maschilità, con un che di sacerdotale se si ricordavano di Diana, con un che di amazzonico se l'antipatia per la soldataglia maschile aveva la meglio, ma senza alcun sospetto o promessa di sviluppare dall'involucro metallico una farfalla. In Clorinda il coraggio e la virtù guerresca non sono mai veramente marziali, e fanno pensare piuttosto ad una effusione di forza luminosa ché una donna ignara del suo destino esprime nella lotta invece che nell'amore.
La prima descrizione fisica di lei (dopo la nota dell'eleganza accennata nel canto II quando ella arriva in città) è data attraverso l'impressione di luminosità che ne riceve Tancredi quando «s'offerse a gli occhi suoi l'alta guerriera»:

Bianche via più che neve in giogo alpino
avea le sopraveste, e la visiera
alta tenea dal volto, e, sovra un'erta,
tutta, quanta ella è grande, era scoperta.

Quest'apparizione di Clorinda è concepita nell'effetto di altezza e di fulgido biancore che hanno le cime dei monti coperte di neve. L'aggettivo alto si ripete in quattro versi due volte, il paragone della sopravveste è il giogo alpino, la collocazione della figura è sovra un'erta. La bianchezza e la luminosità del suo aspetto risplendono non solo nel confronto con la neve (del resto petrarchescamente spinto all'oltranza, via più che neve, come più bella assai che 'l sole) ma anche con quel finale, raggiante, sonante era scoperta. L'apparizione di Clorinda è cosí piena di vibrazione, che la presenza di Argante è non solo obliata dal personaggio, ma effettivamente velata nel giuoco delle immagini di questa scena. Riprende figura nell'ottava 27, in simmetria con Clorinda (ove... ove), costituendo un motivo di gusto tipicamente tassiano, lo scontro dell'elemento guerresco e dell'elemento amoroso, in primissimo piano. Nella Conquistata la componente coloristica dell'apparizione di Clorinda è assai sviluppata; si ha un tono di spicco (il largo pian a cui Tancredi s'avvicina diventa il verde pian) e la bianchezza della sopravveste è confrontata con l'ermellino, non con la neve; quasi a denotare un maggior calore e delle ombre nella bianchezza; e infine si arricchisce d'ornamenti d'oro, quali la cintura gemmata e la corona: « Su l'elmo d'aureo fior quasi corona ».
Miracolosa e significativa è l'apparizione del suo viso. Siamo in piena battaglia, o meglio in uno scontro, cagionato da una razzia di bestiame. Tancredi, che, come è ben noto, è per l'appunto segretamente innamorato di lei, sprona, lancia in resta, sulla guerriera; ella galoppa per incontrarlo; prima ancora di rendersene conto, i due sono l'uno sull'altro. «Ferirsi alle visiere; e i tronchi in alto / volaro e parte nuda ella ne resta; / ché, rotti i lacci e l'elmo suo, d'un salto / (mirabil colpo!) ei le balzò di testa; / e, le, chiome dorate al vento sparse, / giovane donna in mezzo 'l campo apparse». Un'immagine come quella dell'improvviso flutto delle chiome dorate, l'isolamento luminoso con cui è sentita la sua apparizione quale giovane donna in mezzo ad un campo che di colpo diventa solo scenario e stupore, fanno già pensare che il vero personaggio di Clorinda è destinato prima o poi ad aprirsi interamente, e non vive nella sua crisalide metallica che una vita ninfale, preparatoria.
Un primo episodio, in cui il suo destino femminile e quello guerresco creano una importante figura comune, è quello della dichiarazione di amore di Tancredi, che segue di poco il caso del salto dell'elmo. Tancredi arriva a dirle che l'ama, e Clorinda riceve in silenzio, ma attenta, la non breve protesta, il galante lamento. La sorte le nega di rispondere, poiché «calca l'impedisce intempestiva / de' pagani e de' suoi che soprarriva»; nell'attimo di silenzio uno della calca le vibra un colpo di spada «e ne' confini / del bianco collo il bel capo ferille». La ferita, leggera, diventa subito un raro ornamento, come un monile: «fu levissima piaga; e i biondi crini / rosseggiaron cosí d'alquante stille / come rosseggia l'or che di rubini / per man di illustre artefice sfaville». Adornata di questa improvvista oreficeria ella resta ancora immota (strana invero reazione di tanto feroce guerriera) mentre Tancredi sprona a inseguire l'inoppórtuno fellone. «Quel si dilegua: e questi acceso d'ira / il segue; e van come per l'aria strale». Dal suo stato sognante Clorinda esce poco a poco, e (miracolo dell'espressione tassesca) come a malincuore, riprendendo solo gradatamente il suo nerbo: «ella riman sospesa, ed ambo mira /lontani molto, né seguir le cale; / ma co' suoi fuggitivi si ritira; / talor mostra la fronte e i Franchi assale, / or si volge, or rivolge; or fugge or fuga; / né si può dir la sua caccia né fuga».
Nella ritirata così contraddetta, piena di ritorni e di pentimenti, si esprime misteriosamente con atti di guerra uno stato d'animo che potrebbe benissimo essere quello tutto femminile del rammarico d'un colloquio interrotto, del rimpianto dell'occasione sfumata, del dispetto poi che le occupa il cuore. L'immagine della donna di fronte all'impegno amoroso si disegna in quella della guerriera riluttante ad allontanarsi. Uno stesso contrasto e incontro di figure, ma più ravvicinato ed esplicito, e per un breve istante quasi fisicamente attuato, si crea nel suo finale duello con Tancredi, dove ancora con atti di guerra si esprime una storia che avrebbe dovuto essere amorosa.
È noto che nel più profondo della notte, Clorinda è uscita con Argante per incendiare una macchina dei Cristiani e poi, nel parapiglia, è rimasta chiusa fuori dalle porte di Gerusalemme. Non indossa le sue solite armi, e spera di passare inosservata: ma Tancredi s'è avvisto delle manovre dello strano guerriero, lo insegue, e finalmente lo raggiunge in un luogo deserto. Fra i due che non si riconoscono, si ingaggia un duello feroce; nel buio i colpi si susseguono .con violenza inaudita, senza più arte. I duellanti si trovano cosí ravvicinati che la scherma degenera in corpo a corpo. Non sfugge a nessuno quale complicata sensualità viene prendendo forma in una storia che getta l'amata in un abbraccio mortale dell'amato: «tre volte il cavalier la donna stringe / con le robuste braccia; ed altrettante / da que' nodi tenaci ella si scinge; / nodi di fèr nemico, e non d'amante». Non sono più che due guerrieri, ma «il cavaliere» e «la donna»; né il gesto di lui si esprime in termini di ostilità, come quello di lei non ha più nulla di violento, anzi appare pieghevole ed elegante, «si scinge». L'immagine dell'antagonismo amoroso sovrasta come un fantasma tormentato quella dell'antagonismo sterminatore, e la maledizione, la fatalità dell'equivoco appaiono più insostenibili: ma il dramma diviene tanto più grave quanto s'aggrava l'avvenimento letterale, il duello.

Ma ecco ormai l'ora fatale è giunta,
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta,
che vi s'immerge, e '1 sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
s'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

Dopo la straordinaria attenuazione portata nel linguaggio dal malinconicissimo deve, tanto più forte sembra la dura ,ripresa di spinge. Questo verbo- è scelto in modo da suggerire un eccesso inutile, crudele, di sforzo nel portare il colpo, ed è collocato all'inizio del verso cosí che la sua durata è prolungata su tutta la frase; la posizione del soggetto (spinge egli) mette sul pronome un rilievo che è insieme descrittivo (posizione del guerriero nel gesto di colpire sentita autonoma. al di fuori del gruppo) e affettivo (nota di rincrescimento, quasi di rimprovero); il ferro e il bel sen ravvicinati nell'ordine delle parole, e formanti effettivamente uria sola immagine, sanguinosa e pietosa; il rinforzo dopo la pausa e in fine di verso, di punta, quasi esclamativo e deprecativo (di punta); poi l'abbandono al fremito sensuale dell'orrore (che vi s'immerge) che si svolge in un'immagine del tutto iperbolica e irreale, ma in cui realissimo è il sentimento della crudeltà (e 'l sangue avido beve). La donna colpita non ha più nulla di guerriero: la sua corazza non esiste più, ella non è coperta che da una veste d'or vago trapunta; la fisicità del suo corpo muliebre è dolce (le mammelle stringea tenere e leve) e il sangue è avvertito sull'epidermide, con un aggettivo termico, caldo: cioè con un tocco sensuale aumentato dall'importanza della sensazione (fiume) e dall'impegno sentimentale del verbo (l'empie). Lo spostamento della particella riflessiva da si sente morire a sente morirsi, sottolineato anche dalla pausa metrica, esprime leggerezza e nettezza del dato « sentire » e una concezione soave dell'agonia di Clorinda, quasi un improvviso e totale rifiorire della sua fragilità... Segue egli riprende esattamente il forte e deprecativo accento di spinge egli, e la vaga immagine di lei, personaggio che ha finalmente raggiunto la sua pienezza amorosa, perduta la sua larva militare, attua al contatto di così dura realtà il suo drammatico destino.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it