CARATTERI E LIMITI
DEI "DIALOGHI" DEL TASSO
di
EZIO RAIMONDI
Nei Dialoghi si incontrano il gusto a indugiare nelle immagini per
abbellire la pagina e l'esigenza del ragionamento chiaro e bene organizzato; e abbiamo cosí da un lato l'uso del linguaggio aulico, che ha la sua fonte nel Castiglione, dall'altro il ritmo solenne dei modelli classici. Questa prosa, a cui manca la nota più fonda data dalla vicenda drammatica della verità, si riduce cosí a uno splendore formale che rispecchia una società in cui la filosofia si esaurisce in un brillante gioco intellettuale.
La lettura distesa degli abbozzi e dei manoscritti dimostrerà ancor meglio per l'appunto come la ricerca dello scrittore si orienti costantemente verso una naturalezza armoniosa e a tratti incantata, verso un'eleganza nitida di nessi e di passaggi: si osserverà allora l'abbandono, direi sistematico, delle clausole più sonore d'impronta dellacasiana
per quelle misurate, piane e cordiali; l'arpeggio inesauribile della sensibilità lessicale tra i poli dell'immaginismo decorativo e della chiarezza razionalistica, e infine la volontà sempre più strenua di adeguare un linguaggio cortese e gentilizio alla compostezza, al decoro del grande pensiero classico, distillato come in una quintessenza di emozioni contemplative (come una «melodia di vari odori confusi dall'aura e dal vento...»), e in un alone di nostalgia tra edonismo e sogno estetizzante.
E si saranno toccati, cosí, senza dire neppure dell'arida ingegnosità di tante pagine, gli intimi limiti strutturali di un'opera come i Dialoghi: ove la ricerca della verità, risolta nel gioco iridato di una mimica didascalica, non giunge a conoscere il dramma, l'ansia dell'intelletto vittorioso; dove il pensiero non si rivela mai come evidenza dinamica di idee in movimento, e l'ironia, la grande paidía platonica, si riduce a un sorriso di corte, in una cadenza di elegia a tratti disperata, quasi alle soglie di un quieto delirio. Se dunque il Tasso cercò di rivivere in forma di letteratura una speculazione ormai avviata al tramonto, nella sua sapienza di sottile moralista e di brillante, compiaciuto dialettico non riuscí che ad animare di splendore celebrativo un ideale di « concordia » che sfumava nell'archeologia enciclopedica. Più che la storia di un uomo, appena presente nella luce di qualche squarcio intensissimo tra funebre e idillico, i Dialoghi riflettono e testimoniano forse una posizione mentale, una società letteraria che è ormai tempo di chiamare manieristica, e per la quale, come aveva scritto proprio il Tasso, reduce dal suo viaggio francese, « la filosofia (quasi donna regale maritata ad un villano), trattata da gl'ingegni de' plebei, perde molto del suo decoro naturale; e di libera e investigatrice de le ragioni, diviene ottusa e scema de l'autorità; e di regina moderatrice de gli uomini, ministra de le arti sordide e de l'ingordigie de l'avere».
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