L'IDEALE DEL
"CORTEGIANO"
di
B. MAIER
L'opera del Castiglione nasce dal desiderio di fissare la memoria di un'esperienza concreta, che trova nei modi letterari del dialogo, così diffusi nel tempo, la sua congeniale forma d'espressione. Proprio per questa ragione concreta al «cortegiano», nell'atto stesso in cui è descritto come un ideale perenne di umanità, è collocato sullo sfondo vivo delle vicende contemporanee, in cui egli può efficacemente intervenire e operare.
Il Cortegiano è nato, scrive il Castiglione, da una «grata memoria » e dal desiderio di «vendicar dalla mortal oblivione questa chiara memoria e scrivendo farla vivere negli animi dei posteri»: dall'esperienza cioè del soggiorno urbinate, contemplata attraverso il nostalgico distacco del ricordo e riassaporata in un'affettuosa rappresentazione di figure e di vicende. Il libro del Castiglione deriva non soltanto da un intendimento didascalico, ma anche da uno stato d'animo artistico e rievocativo: da un'idea-mito della «cortegiania», scaturita dalla pratica curtense dello stesso autore e proiettata liricamente é ambientata in un luogo della memoria,
particolarmente caro all'anima sensibile dello scrittore.
Il Cortegiano vuol essere una rievocazione delle discussioni urbinati del circolo della duchessa Elisabetta Gonzaga; e si configura come «un ritratto di pittura», della reggia dei Montefeltro e delle gentili dame e dei nobili cavalieri ivi raccolti: descrizione d'una corte, rappresentazione di personaggi, organizzazione d'un dialogo. Naturalmente, non a caso il Castiglione ha scelto per la sua opera una simile struttura: la forma dialogica, infatti, è quella consueta della trattatistica rinascimentale, fondata sugli esempi classici, a tacer d'altri, di Platone e di Cicerone.
A questa tradizione autorevole l'umanista Castiglione si è spontaneamente adeguato: ma è facile comprendere che questa volta non si trattava soltanto di un'ovvia ed estrinseca accettazione d'una « convenzione » letteraria, bensí di qualcosa di più, in quanto proprio una simile convenzione soddisfaceva le esigenze artistiche ed autobiografiche del Castiglione, permettendogli di serbare e di potenziare nella sua trattazione quella carica sentimentale e rievocativa, di cui s'è parlato. La confluenza o la coincidenza piena dell'ossequio alla tradizione con l'urgenza imperiosa degli stimoli autobiografici e nostalgicamente mnemonici conferisce al Cortegiano una maggiore vitalità ed una più vasta suggestione; ed il nostro autore ci si presenta, piuttosto che come il teoreta, come il teoreta-artista della «cortegiania» rinascimentale.
Nel suo libro il Castiglione additava ai contemporanei un vertice di elevatezza morale e di perfezione interiore, consapevole che già l'avvicinarsi ad esso corrispondeva ad un arricchimento e ad un approfondimento d'umanità e fiducioso che dalle sue «regule» potessero e dovessero trarre esempio, per la loro professione, i cortigiani ed i cavalieri d'allora. Se è vero che ogni secolo ha bisogno di qualche mito, di qualche idealità capace di essere, come la foscoliana «illusione», modello ed incentivo di vita, il Rinascimento ha avuto, fra gli altri, il mito del cortigiano perfetto, quale si può dedurre dal capolavoro del Castiglione. Ciò significa una volta di più che il Cortegiano era tutt'altro che estraneo alla realtà del secolo XVI; tanto è vero che siffatta realtà si manifesta in diversi luoghi dell'opera. Così, il Castiglione accenna alle dolorose condizioni dell'Italia, spadroneggiata dagli eserciti stranieri; scorge acutamente, denunciandoli con forti ed amare parole, i pericoli dell'esterofilia nel costume e nella moda, ravvisandovi il cattivo presagio d'una soggezione propriamente politica; deplora apertamente l'uso, da parte degli Stati italiani, di milizie mercenarie, sfiorando cosí un tema con tanto accorato e mal represso dolore affrontato dal Machiavelli; biasima la situazione di corruzione e di vizio di tante corti; e infine, con un'affermazione spregiudicata e recisa, che avrebbe avuto il pieno assenso del Segretario fiorentino, proclama il diritto della ragione di Stato, nell'interesse della quale è giustificato, quando appaia necessario, il medesimo delitto. Tuttavia, queste aperture (ed altre numerose si potrebbero citare) verso la vita e la società della sua epoca inducono il nostro autore non già a codificare le sue osservazioni in un insieme di norme con intenti organicamente sistematici, come fa il Machiavelli, ma piuttosto ad affermare l'esigenza della perfezione ed a valorizzare l'istanza etica, nella persuasione che un'alta idealità umana e morale potesse portare ad un miglioramento della situazione del nostro paese. Nella funzione essenziale d'«institutor del principe», assegnata al suo cortigiano, non è forse ravvisabile l'eco di tali esigenze, storicamente vive nella coscienza dello scrittore? Il cui ideale, pertanto, lungi dal rimanere astratto, utopistico, libresco, mira ad avere un fine etico e politico insieme, ed a contare effettivamente nella vita italiana di quel tempo. Il Castiglione, come il Machiavelli, intende consacrare il prodotto del suo «ozio» umanistico ad uno scopo vivo ed attuale: vuole, in altre parole, «voltolare» il suo «sasso». Ed anche ammesso che ingenuo ed illusorio sia stato il desiderio del Castiglione, non se ne possono disconoscere la sincerità, la validità e, soprattutto, la fondamentale onestà.
Ma l'interesse del libro del Castiglione trascende largamente il momento in cui fu scritto e pubblicato. La figura-mito del cortigiano, infatti, non solamente vale come espressione d'un motivo caro al Rinascimento e come rappresentazione perfetta di un tipo reale di quell'età, visto attraverso la vivezza di un curriculum autobiografico ed alla luce di un'intuizione per molti riguardi artistica, ma si risolve anche nella proposta eternamente valida d'un saggio e consapevole equilibrio spirituale; allo stesso modo che la «cortegiania» diventa tutt'uno con una forma universale di umanità. Quell'umanità che il Castiglione aveva raggiunto nella sua lunga pratica mondana e nelle sue fitte relazioni coi personaggi più illustri e le corti del suo tempo, quell'umanità che l'aveva sempre accompagnato e sorretto nei momenti, e talora tutt'altro che facili, della sua vita di cavaliere e di letterato e nella sua carriera di diplomatico, si tramuta nel Cortegiano in una lezione morale il cui significato spirituale è tuttora valido ed efficace, appunto perché frutto di qualità umane che sempre ricorrono ed appaiono attive, nella complicata trama dell'esistenza: buon senso, saggezza, urbanità, cultura, serena armonia interiore.
La «cortegiania» teorizzata dal Castiglione è molto più che semplice e circoscritta consuetudine curtense: è capacità intelligente di adattarsi alla situazione, evitando ogni dissonanza ed ogni stonatura; è «sprezzatura», che respinge ogni ridicola «affettazione» e mira al supremo equilibrio della «grazia»; è «bontà», nel significato più ampio della parola, che include cultura e bellezza spirituale; è discrezione e buona educazione, coscienza del dovere, senso religioso, culto della giustizia, della verità, dell'onore. Per questo l'opera del Castiglione ha potuto varcare i limiti del proprio tempo ed avere un successo, la cui risonanza sino a noi perviene, arricchita dal consenso di tanti spiriti eletti (si ricordi almeno il Montaigne, elaboratore d'una figura di gentilhomme non immemore del «cortigiano» castiglionesco), i quali su quel libro hanno meditato ed in esso hanno creduto di poter scorgere la costruzione originale d'un eterno «tipo» umano.
Di fronte ad una tale constatazione viene a cadere il rimprovero, mosso al Castiglione, di non aver assegnato al suo cortigiano un ideale concreto: non quello della patria, non quello del popolo, non quello religioso. Ma come non comprendere che la « cortegiania » stessa, intesa come «umanità» senz'aggettivi, era un ideale nobilissimo, capace di valere sempre, eticamente, per chi cerchi di essere uomo in senso totale? Accanto ai Ricordi del Guicciardini ed anche agli Essais del Montaigne può ben essere collocato il Cortegiano: esso pure libro di ricordi politici e civili, di ampia prospettiva umana, ed enunciatore d'un codice di vita: codice che, ad onta del suo caratteristico « decoro » cinquecentesco, riesce ad estendere nei secoli il suo dono di spirituale saggezza e di esperto ed aristocratico equilibrio
vitale. |