POLEMICA LETTERARIA
E REALISMO NEL BERNI
di
MARIO MARTI
Nella poesia del Berni confluisce la tradizione giocosa e realistica dei tempi di Dante fino al Pulci e a Lorenzo: già questo carattere indica la natura letteraria della sua ispirazione, che ancor più si precisa nel costante contrapporsi polemico al linguaggio e ai temi del petrarchismo contemporaneo..ll Berni porta infatti nella sua poesia un repertorio di esperienze autobiografiche, di situazioni concrete, di oggetti quotidiani; ma tutto questo materiale realistico viene da lui utilizzato per un esercizio continuo di lingua e di stile.
Poeta è il Berni, letterato quanto e forse più degl'idealisti poeti del petrarchismo. In lui si riversa, si conclude e si rinnova la tradizione giocosa, che era andata prolungandosi, fra il Due ed il Quattrocento, nei suoi temi più vistosi e di effetto, dal Filippi al Pistoia, e fossilizzandosi nei rimatori minori e insomma meno dotati. Gli stessi temi della insofferenza e della maledizione contro i parenti più prossimi, vecchissimi eppur mai moribondi; dello scherzoso improperio contro la moglie e contro lo stato coniugale in genere; della lercia rappresentazione di donne vecchie e brutte, sono temi a lui giunti attraverso lo spirito bizzarro del Pistoia, o attraverso i singolari accenti suscitati dall'ingegno del Burchiello; e attraverso la stessa tradizione letteraria «comica» più largamente intesa, includendovi il Pulci e un certo Magnifico, i giocosi minori fra Tre e Quattrocento e il Sacchetti e il Boccaccio, fino agli impetuosi e scherzosi poeti predanteschi. Filtrano nell'estrosità letteraria del Berni, fra l'altro, le punte salaci contro i cattivi medici, i ritratti parodistici ed incredibilmente deformati, le case vecchie e sporche che miracolosamente resistono alle loro crepe profonde, le cattive notti e le cattive cene, le delusioni della caccia, la testardaggine delle mule, e così via. Motivi tutti, i quali nella poesia del Berni s'incontrano ad ogni passo e si riconoscono come vecchie conoscenze (taluni di essi si spingono fino ai canti goliardici e oltre); ed ora riempiono di sé tutt' un intero componimento, ora ne segnano un brano più o meno lungo e sorridente; ché il poeta di Lamporecchio riassume in sé il movimento del passato e gli dà impulso per i secoli a venire, quando quel passato sarà indicato con il nome di lui, come di nuovo archetipo di stile, destinato in definitiva ad oscurarlo ed a sostituirlo: « primo è stato, e vero trovatore, - maestro e padre del burlesco stile» (Lasca).
E anche nel Berni questa tradizione conserva il suo letterario carattere polemico: contro le astrazioni metafisiche, contro la monotonia di un linguaggio raffinato ed eletto, che si ripete fino all'ínverosimile, si pone l'appello alla vita quotidiana, alla realtà più bassa e comicamente deformata nel pirotecnico gioco di un linguaggio prepotente e vario nella sua dialettalità. Antica insofferenza, tradotta anch'essa in termini di precisa letteratura ed in dizionario di singolari temi; anch'essa risponde ad un atteggiamento fondamentale ed eterno dello spirito umano, e nel suo valore dialettico fonda la propria necessità storica. Sarebbe facile travare in taluni scrittori del primo Cinquecento, contemporanei insomma del Berni, i segni specifici di questa insofferenza: nei petrarchisti stessi, per esempio, e perfino in uomini come il Bembo, come il Della Casa, che non si peritarono di abbandonarsi - pur se ancor giovani - a scrivere l'uno i Motti ricchi di ambiguità carnascialesca e l'altro i Capitoli, tali da concorrere adeguatamente, quanto a temi ed a tecnica, con quelli stessi del Berni. Sfrangiature e tradimenti nei petrarchisti; cosí come le poesie «serie» sono le sfrangiature ed i tradimenti del Berni e degli antipetrarchísti. E il Berni prende esatta e programmatica posizione polemica, per esempio, nel Capitolo primo della peste, quando, per far gli elogi della primavera, rifà il verso ai petrarchisti, che'per l'occasione «fanno venir fuori - un castron coronato di ginestra»; e poi «copron la testa d'erbette e di fiori, / fanno ridere il cielo e gli elementi, / voglion ch'ognun s'impregni e s'inamori» ecc. ecc. E ancora nel noto Dialogo contra i poeti, nel quale sebbene si profili, come giustamente è stato osservato, l'ombra dell'Aretino, tuttavia la satira investe l'intero costume letterario del petrarchismo e della poesia dotta, intrisa di mitologia, e della vana ed inutile fregola del versificare e dello stampare. Ma sarebbe ben ingiusto affermare che il Berni non conoscesse il Petrarca; o non fosse capace di penetrarlo e di sentirne la poesia. La sua polemica è soprattutto rivolta ai petrarchisti del suo tempo; e la sua sicura capacità nel dominarne la materia e nel parodiarla più o meno felicemente è indice di innegabile, anche se generico, .interesse proprio nei riguardi del petrarchismo. La ricercatezza formale, il gusto della perfezione linguistica, la smagata e sempre vigilantissima sapienza tecnica, sono, del resto, elementi che ai petrarchisti del Cinquecento accomunano il Berni, il quale - sotto questo profilo - potrebbe pur essere considerato proprio come un petrarchista dell'antipetrarchismo. Ma il Berni era portato a parodiare del petrarchismo l'irreale e stilizzata immagine femminile, l'infatuazione senza controllo e senza specifico vantaggio, la marea soffocante ed infine inutile dei risaputi giochetti lessicali e delle immagini rifritte; insomma la sua parte deteriore ed in effetti più caduca. Per questa via, anzi, egli giunge a proporre un concetto di poesia, che è solo capriccio e bizzarria singolare ed individuale, fuori dell'agghindato giardino petrarchesco. Capriccio su «materia breve / sterile, asciutta e senza sugo alcuno, / che punto d'eloquenza non riceve», e che scuote l'estro quasi a dispetto del poeta stesso. Posizione chiaramente polemica, che percorre la maggior parte della produzione del Berni, nella scelta dei temi, nello svolgimento dei motivi, nella mobilità linguistica e tecnica. Il Capitolo della primiera trae, è vero, la sua origine da un obbiettivo dato di fatto, richiamato ancora e riconfermato nel sonetto Contro la primiera; ma la sua giustificazione storica e psicologica è da cogliersi nell'atteggiamento implicitamente polemico, che tramuta il Commento a quel capitolo in una parodia dei commenti petrarcheschi, sottili, prolissi, barbosi, quando non rispondessero (e non era raro il caso che rispondessero solo in minima parte) a sentite esigenze vive allora, come son vive oggi, o linguistiche o psicologiche. Tutta la produzione del Berni può essere chiamata a testimoniare; anche quella dove l'urgenza polemica è dissimulata e vinta; oltre che, a maggior ragione, i componimenti nati solo come infrenabile reazione a precisi componimenti petrarcheggianti di altri autori, il cui stampo è gustosamente, anche se un po' semplicisticamente, rovesciato; come avviene per il sonetto Un dirmi ch'io gli presti. e ch'io gli dia, e per l'altro Chiome d'argento fino, irte e attorte, i quali rispettivamente ripetono in parodia una parte del capitolo Amor è, donne care, un vano e fello ed il sonetto Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura, entrambi scritti dal Bembo.
Che il Berni sia un realista, sembra cosa estremamente pacifica affermare; ma il realismo di lui non è vicino né a quello di Dante, primordiale e fantasticamente demiurgico, né a quello dei lontani romantici, che tendono ad abbattere ogni muro tra arte e vita. E diremmo che il realismo del Berni è diverso anche da quello dell'Ariosto, espressione di quell'equilibrio spirituale proprio del poeta del Furioso, atto a sdrammatizzare l'idea nella concretezza analitica della realtà, più volte anche di contenuto autobiografico. Il realismo del Berni è una predisposizione originaria, un punto di partenza; ed è forse più materia che spirito. Egli non parte dalla letteratura per una nuova letteratura; ma parte dalla vita, dai rapporti sociali, dall'autobiografia per trasformare tutto in raffinatissima, eppur dissimulata, letteratura; e vi s'impegna interamente, anche se sembra scherzarvi su. Certo, la sua inclinazione verso la vita, più acuta che in qualsiasi petrarchista, si identifica in una precisa direzione psicologica e perciò in una chiara scelta stilistica; in un atteggiamento connaturato e, come abbiam visto, la sua parte polemica, per sazietà e fastidio di petrarchismo. Ma non la vita, bensí l'arte esaurisce l'ingegno e la personalità del Berni. La sua produzione è priva d'impegni morali, e non perché il poeta non fosse uomo da sentirli; ché anzi si può senza scrupolo affermare aver egli avuto a compagni, dopo il sacco di Roma e fino alla sua morte, un'irrequietezza spirituale e un interiore senso di insicurezza e di ricerca, che non possono sfuggire a chi esamini obbiettivamente il volgersi delle sue giornate. Egli concepiva l'arte e la poesia soprattutto come mestiere, alla stessa maniera, in fondo, dei petrarchisti, regolato da retorica; come mestiere autosufficiente. E la sua poetica escludeva a priori ogni atteggiamento pensoso e meditativo dalla produzione letteraria, ogni decisivo ed ostentato impegno etico. Anche le sue poesie politiche, nelle quali egli era costretto a prendere posizione di fronte a particolari problemi del suo tempo, gli si tramutano in invettive, in improperi, in satira gustosa e scherzosa, ma senza morale profondità, in violente
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