UN NUOVO RAPPORTO
CON LA REALTA': LE NOVELLE DEL BANDELLO
di
G. GETTO
Negli schemi della tradizione novellistica che risale al Boccaccio il Bandello inserisce la ricerca di nuovi elementi, di nuovi oggetti, di nuove situazioni che diano l'impressione di verisimiglianza a personaggi e vicende attinti per altro ai comuni repertori della novellistica. Di qui derivano l'abolizione della cornice, la tendenza al parlato, la varietà e la quantità di cose che affollano le sue novelle, preannunciando quel più inquieto e caotico rapporto con la realtà, che sarà tipico del mondo barocco.
Negli schemi consunti della narrativa di tradizione boccaccesca questo scrittore immette un suo pungente desiderio di verità: e ne deriva la celebrazione di una dimensione nuova della sensibilità, che rompe, insieme ad altre manifestazioni della civiltà intorno alla metà del secolo decimosesto, le antiche forme, e finirà con l'investire l'intera storia letteraria avviandola verso nuovi ideali e nuove forme.
La «vera istoria» costituisce in effetti l'ideale narrativo é insieme l'originalità più schietta di Matteo Bandello.
Per questo proposito di creare il vero, di convincere del vero, il Bandello abbandona lo schema, ormai esaurito, della cornice armoniosamente decorativa inaugurato dal Boccaccío e ripetuto dai suoi imitatori (il che non vuol dire disprezzo o dimenticanza del grande classico: poiché il «facondissimo e da non esser mai senza prefazione d'onore nomato messer Giovanni Boccaccio», cosí il Bandello lo chiama, per diretti richiami o per suggestioni indirette, interviene con relativa frequenza, come del resto Dante e Petrarca, nel discorso bandelliano). Non perché tuffate nella verità, ma semplicemente perché situate in una rinfrescata (più scaltrita) illusione di verità, le novelle sono sciolte dall'antica struttura. Nessuna architettonica distribuzione, nessuno dei tradizionali artifici prospettici, costringe dunque le novelle in unità: «il che certamente nulla importa, non essendo le mie novelle soggetto d'istoria continovata, ma una mistura d'accidenti diversi, diversamente e in diversi luoghi e tempi a diverse persone avvenuti e senza ordine veruno recitati». All'ordine dell'arte, del sovrareale, il tentativo dunque di sostituire il diverso della vita, del reale (ed è inutile dire quali fermenti di una nuova civiltà stiano celati in questa disposizione di gusto). Per questo ogni novella avrà una sua cornice, una sua motivazione diversa, una diversa occasione radicata nella vita: ogni novella sarà insomma preceduta da una lettera dedicatoria.
Se lo stile delle dedicatorie è stile «scritto», raffinato con umanistica politezza, lo stile della novella vuol essere uno stile «parlato», buttato giù con una certa sprezzatura, non esente però da una tecnica calcolata. Già abbiamo detto che non bisogna prendere troppo sul serio le ripetute dichiarazioni del Bandello sul suo non aver stile e sul suo parlar barbaro: «Sarà forse chi mi dirà che io non sono mica il Boccaccio, la cui eloquenza può ogni novella, ben che triviale e goffa, far parere dilettevole e bella. A questo io dico ingenuamente che non sono cosí trascurato che non conosca apertamente che io non sono da esser, non dirò agguagliato, ma è pure posto nel numero di quelli cui dal cielo è dato poter esprimere l'ombra del suo leggiadro stile. Ma mi conforta che la sorte di questi accidenti non potrà se non dilettare, ancora che fosse iscritta in lingua contadinesca bergamasca». Toscanità pura a parte (a cui noi più non crediamo, e a cui in fondo non doveva credere nemmeno il Bandello) ed eleganza di scrittura a parte ancora (a cui il Bandello sapeva del resto, nelle dedicatorie, accostarsi), un suo stile egli pur lo possiede. I critici che si sono compiaciuti di insistere sul grave limite del Bandello rappresentato dalla sua scrittura verbosa e strascicata, non hanno visto quanto di voluto, di evidentemente intenzionale c'era in quello «scrivere» che si proponeva di essere soprattutto un « parlare». Diremo dunque che si tratta di uno stile di conversazione «che rifugge da una affermazione troppo personale», senza tuttavia accettarne la deduzione estrema di una «sciatteria di scrittura» a cui perverrebbe necessariamente il Bandello, mentre è pur evidente che se tale sciatteria può costituire il limite episodico e frequente, non costituisce però la totale e inevitabile conseguenza di questo stile. Il quale è, dunque, quello di chi cerca di comunicare un'illusione di verità, quello di chi si propone di dare una patina di immediatezza al suo discorso, quasi fosse colto sulla bocca del narratore.
In fondo il valore delle novelle sta proprio qui: nella testimonianza non tanto in senso storico-documentario quanto in significato più ampio, umano-artistico, di tutta un'età, di un mondo contemplato e goduto nell'incessante e variopinto fluttuare delle sue forze e delle sue forme, delle sue passioni e delle sue figure. È difficile trovare delle novelle che nel rigoroso ritmo di una continua narrazione abbiano un'estetica compiutezza. In tutte, anche nelle migliori, rimane sempre qualcosa di provvisorio. Eppure l'opera resiste nel tempo: ed esiste per una sua vitalità diffusa, per il suo significato d'insieme. II suo valore non è nelle singole novelle, ma nella somma di esse, nel numero dei casi, delle persone e delle cose, nello spettacolo infinitamente mobile, che il libro, considerato nel suo effetto totale, sa offrire. La memoria di questo libro non si adagia su questa o quella figura; su questo o quell'oggetto, sì piuttosto su quella folla densa di figure ed oggetti.
Ed è soprattutto per questo senso gremito, di accumulo di realtà, che il novelliere sembra oltrepassare le frontiere segnate dalle classiche dimensioni, tutte ordine e misura, del gusto rinascimentale, ed accostarsi a quella nuova sensibilità, meno selezionata e più inquietamente curiosa e caotica, che sarà propria della civiltà barocca. Del resto al barocco (al «gotico» direbbe l'autore: ed è ben nota l'equivalenza che i due termini ebbero ad un certo momento come espressioni antitetiche all'armonia «classica») il Bandello sembra rinviare anche per altri aspetti della sua opera, dalla ricerca dell'orroroso all'amore del fastoso, dal tema della donna considerata nella serie molteplice delle sue occupazioni e dei suoi atteggiamenti al tema delle città giudicate nelle loro caratteristiche di costume e di, paesaggio, per quella volontà insomma di comunicare l'impressione della vita immediata, di agire con violenza sui sensi e sulla
fantasia. |