Che cosa fu il
petrarchismo di
L. RUSSO
Il Russo definisce la portata europea del petrarchismo, che nel nostro Cinquecento si costituisce come tradizione letteraria e costume sociale, proseguendo anche nel secolo successivo, attraverso artificiose e concettose complicazioni del grande modello. Il fenomeno letterario del petrarchismo non può essere disgiunto dall'idealizzazione dell'amore propria del platonismo, come nobilitazione e idealizzazione delle tendenze edonistiche del secolo.
È noto che l'episodio del petrarchismo del Cinquecento è il fatto più importante nella letteratura di quel secolo. Significative sono le due opere di Pietro Bembo, Gli Asolani, e le Prose della volgar lingua: nell'una si svolge l'idealismo amoroso, che fu la filosofia del secolo; e nell'altro si assiste a una discriminazione raffinatissima del linguaggio letterario. Il Petrarca diventa il modello dell'amore ideale e della. lingua perfetta. Cosí il petrarchismo ebbe un'importanza enorme, e assunse presto carattere europeo e a cotesto petrarchismo noi dobbiamo il primato nobiliare della letteratura italiana. Il rammarico che alcuni storici e letterati a noi contemporanei, hanno espresso, che senza Petrarca e senza petrarchismo noi avremmo avuto una letteratura più fresca e più popolare, ha la stessa ragione di essere del lamento che noi possiamo fare della nostra giovinezza quando noi si diventa maturi: ma in tale maturità è pur la forza della nostra giovinezza, e il succo e il significato finale di essa!
Sicché il petrarchismo non fu quella iattura, che critici del Settecento e del primissimo Ottocento hanno voluto significarci, dal Baretti allo stesso Foscolo; grazie all'influenza petrarchesca, tutta la nostra letteratura sale a un più alto grado, osservava giustamente il Croce, perfino la letteratura effusiva delle donne, d'una Gaspara Stampa e d'una Vittoria Colonna, la quale si presenta a noi ricca già di una tradizione letteraria, e però ancora degna di essere letta e di essere studiata.
Quando si leggono opere come il Galateo del Della Casa, e il Cortegiano del Castiglione, si sente aleggiare in quella prosa tutta una civiltà nuova, che è di sostanza umanistico-petrarchesca. Soltanto oggi, che siamo ormai fuori da quella tradizione, la quale si può dire conchiusa col Carducci, possiamo modificare alcune note di quella prospettiva storica, e ricordarci che nel Cinquecento non solo domina il gusto petrarchesco, ma anche il gusto boccaccesco si intreccia ad esso o corre parallelo. La Mandragola di Machiavelli nasce dal mondo del Decameron, e la stessa Clizia, che i dotti fanno risalire all'imitazione terenziana e plautina, non si richiama ai luoghi della Casina plautina, ma piuttosto a luoghi del Decameron. E non si dice nulla della Calandria del Bibbiena.
Nel trionfo pieno del petrarchismo e del boccaccismo si ha la crisi esasperata del gusto; il Seicento continua a petrarcheggiare, ma però con molta libertà di scelta. Alessandro Tassoni è un devoto del Petrarca, ma è anche un iconoclasta. Da una parte l'imitazione dell'antico, dall'altra una capricciosa indipendenza e originalità assoluta. Su questo canone dell'imitazione, scoppierà sul finire del Cinquecento, e dilagherà nel Seicento, la Querelle des anciens et ,des modernes, che rappresenta la crisi ormai matura della fino allora trionfante poetica dell'imitazione dell'antico.
Non sono gli antichi più saggi di noi moderni, che siamo i veri vecchi e i veri antichi, perché cumuliamo nella nostra anima e nella nostra mente l'esperienza contemporanea e l'esperienza del passato. Il Seicento, che appare un secolo di decadenza in Italia, ha pure il merito di avere affermato la superiorità dei moderni sugli antichi. Il secolo si è come sfrenato per questa sua scoperta, e la novità per la novità è stato il fine ultimo di ogni sua letteratura e di ogni sua arte: da ciò il barocco, che è stato una ricerca del nuovo per il nuovo, del meraviglioso, che può essere anche il mostruoso, l'enorme, il colossale. Si combatte il concetto della letteratura tradizionale, e si irrompe nella ricerca dell'irrazionale.
Così il Seicento italiano è un secolo di decadenza, perché tutto intessuto delle note stramberie, ma è al tempo stesso un secolo rivoluzionario, in quanto volge risolutamente le spalle al passato e vuole iniziare un'era novella. Anche in quel secolo fu presente il Petrarca: egli diventa un captivo, una colonia dei marinisti. Non si fa più questione di simboli e di lingua, si fa questione di concetti e di acutezze: il Petrarca più celebrato non è il lirico amoroso, ma il maestro e l'arbitro delle eleganze letterarie, dei concettini e degli epigrammini. Ma non manca una colonia appartata di secentisti che si dissero « casisti » (da Della Casa) e petrarchisti, e che continuarono la rimeria cinquecentesca. E gli storici segnarono inoltre i nomi di Carlo Buragna e di Pirro Schettini che, marinisti e barocchisti come tutti gli altri in
gioventù, si convertirono nell'età matura a una poesia castigata, che rifulse soltanto quando il marinismo e il barocchismo alla fine del secolo erano venuti meno.
Con la decadenza del Petrarca poeta, in funzione del Petrarca concettista, decade anche la visione platonica dell'amore. Le teorie platoniche dell'Amore e della Bellezza erano state un generoso sforzo dei laici per legittimare ed eticizzare, pur
così dire, la sensualità delle passioni amorose.
Egli per tutto il Cinquecento è stato testo di poesia, testo di letteratura, galateo di vita sociale, una specie di santo padre del laicizzamento e del mondanizzamento delle eterne passioni umane, e oggi varrebbe la pena di riprendere lo studio sui trattati d'amore del Cinquecento, non più come una specie di curiosità storica e indagine di una bizzarria sociale, ma per giungere al concetto profondo che si trattava di un ammodernamento delle esigenze etiche del cattolicesimo. Noi potremmo intrecciare una storia del petrarchismo, e del platonismo cinquecentesco, come la storia di uno sforzo generoso perché fosse data cittadinanza all'edonismo e all'egoismo d'amore in questo mondo, con una parvenza di
trascendenza. |