L'ISPIRAZIONE
RELIGIOSA DELL'ULTIMO TASSO
di
GIORGIO PETROCCHI
Secondo il critico, non è giustificata una troppo netta contrapposizione fra il platonismo del Tasso giovane e l'aristotelismo del tardo periodo, poicbé nel poema più significativo dell'ultimo Tasso (Il mondo creato) è visibile il tentativo di animare la struttura scientifica di stampo aristotelico con lo spirito della filosofia platonica. Per un poema di cosí vasto assunto, il Tasso deve ricorrere a numerosi e illustri fonti dottrinali, che, mentre concorrono a determinare la composizione dell'opera, non impediscono tuttavia al poeta di infondere una nota schiettamente personale e autobiografica là dove il sentimento giovanile della vita si incontra con la stessa consapevolezza dell'umana fragilità e della caducità delle cose.
Questa eccezione, sia pure splendente, o magari l'altra, di Rinaldo sul monte r, non valgono a nutrire di sincera ispirazione religiosa il capolavoro. Si è tentati di vedere se nell'altra redazione, scritta in momenti di più salda adesione di Torquato alla dottrina e alla politica della Chiesa di Roma, una diversa animazione religiosa non arricchisca di nuovi elementi il mondo cristiano del poema. Ricercata sotto questo proposito, la Conquistata dà una delusione ancor più totale di quella offerta a chi indaghi il rapporto poetico tra l'una e l'altra stesura. Non che il gusto scenografico o liturgico, il ritmo oratorio, l'assillo della precisione storica, siano inferiori alla lezione della Liberata, ché anzi, a questo riguardo, la Conquistata è più ricca di siffatti elementi; e questo è il punto: sovrabbondando gli aspetti esterni, s'accresce la gonfìezza letteraria della trattazione dei temi religiosi. Quindi la Conquistata rappresenta una caduta perché più ricca, non perché più scarna d'elementi spettacolari e apologetici.
Ma il problema di trascorrere il giudizio dalla Liberata alla Conquistata non si può proporre in una semplice giustapposizione delle ottave dell'una con quelle dell'altra. In uno studio sul Mondo Creato apparso or è qualch'anno, mi sono adoperato a dimostrare la sostanziale diversità del Tasso maturo dall'ultimo Tasso, e se pur quello studio ora mi sembra meno persuasivo per talune affermazioni riguardanti il Mondo Creato (che allora m'appariva più vicino alla poesia di quanto ora non mi paia), credo ancora molto valide le argomentazioni che addussi al fine di chiarire chi fosse l'ultimo Tasso, quali i suoi problemi e le sue intenzioni per non dir la sua poetica, e come vada ben distinta la fisionomia di questo Tasso estremo per comprendere meglio il significato e l'importanza della sua ultima produzione, non soltanto la Conquistata o il Mondo Creato o altri poemi minori quali il Monte Oliveto, o La Vita di San Benedetto, ma anche le rime dell'ultima età e le estreme prose. Dinanzi al ritratto di un Tasso giovane, assertore della libertà del diletto, assetato di emozioni estetiche libere e consapevole dell'autonomia poetica dalla cultura, sta il ritratto di un altro Tasso, che non si accontenta del generico platonismo dell'età giovanile, alimentato dall'accarezzato contrasto tra rinuncia e sensualità, tra ritrosia ed espansione, tra una visione tutta letteraria delle bellezze femminili che elevano al cielo e il fresco empito dell'immagine carnale. Ciononostante il platonismo giovanile non verrà mai rinnegato, ché ad esso Torquato tenta di aggiungere, in una disperata e confusa contarninazione, i principi di una nuova educazione, in senso aristotelico-scolastico. Si è tentato di porre sotto il segno di Platone la stagione felice della poesia del Tasso (i madrigali, l'Aminta, la Liberata), e sotto il segno d'Aristotele la stanca stagione senile. Ma a questa recisa distinzione si oppongono i testi, ad esempio i dialoghi d'ispirazione platonica come il Ficino e il Minturno, che sono degli ultimi anni di vita di Torquato, il Ficino forse precedente di qualche mese la prima ideazione del poema sulla creazione del mondo. È invece nel segno di una sia pur confusa conciliazione di Platone con Aristotele che nasce il Mondo Creato, tentativo di inserire una concezione dell'universo d'ispirazione platonica nelle leggi scientifiche, cosmogoniche, del De coelo et mundo e del De generatione animalium. Per questo tentativo il Tasso non possedeva forze sufficienti per fare da sé, aveva bisogno di rivolgersi ad una tradizione già formata in questo senso, e siffatta tradizione egli non poteva trovare se non nei Padri della Chiesa di Cappadocia, in specie San Basilio, l'Hexaemeron. Naturalmente un poema di cosí ambiziose proporzioni aveva necessità di rintracciare una gran massa di notizie della più varia natura, scientifica, astronomica, biologica, geografica, botanica, storica, e per di più discernere l'utilità di una fonte dottrinaria, intesa come appoggio -dogmatico di un dato ragionamento teologico o erudito, dalla fonte informativa, che è limitata ad una mera enunciazione di elementi di fatto, e dalla fonte letteraria che libera lo scrittore da ogni possibile impaccio dottrinario o informativo, e stimola la sua effusione sentimentale, le sue invocazioni di quiete, le sue sommesse memorie di un'età felice, di un paesaggio tenero e puro, miracolosamente scampato alle rissose ambizioni, di gloria e di potere terreno.
La fonte letteraria, in conclusione, slega le sole sincere possibilità di canto aperte al poeta: quelle autobiografiche, dove riaffiora il Tasso degli anni giovanili in tutta la gamma sensitiva delle sue perplessità, ed emerge peraltro il suo fondo di inquietudine religiosa, carica di tristezze e d'assilli. Quindi dall'incontro del giovanile sentimento della vita e del senile scompenso scrupoloso della colpa nascono le pagine di autentica poesia del Mondo creato, e sono le cupe invocazioni per la salvezza, il ricordo della «vergogna», dell'«infelice essiglio», della «odiosa povertate», e la piena consapevolezza della caducità dei sentimenti umani, una caducità sentita come struggente disfacimento della vagheggiata bellezza, come saluto accorato alla perduta felicità della giovinezza. Tutti sentimenti che vanno ricondotti all'interno del cristianesimo del Tasso, non già una astratta e storicamente insignificante religiosità extra-confessionale:
Quinci il timore o di gravoso
essiglio,
o de la povertà spogliata e nuda,
o di tenebre oscure in carcer tetro,
di gravi ceppi, o pur d'orrida morte... |
Non è un caso, d'altronde, che i cinquanta o cento versi autobiografici del Mondo creato siano poesia; chi conosce l'ultimo Tasso, è abituato a questi sbalzi di tono, dalla letteratura alla poesia, ogni qualvolta l'accento di Torquato si colorisca di echi personali. Che poi i momenti di confidenza riscattino la letteraria costruzione dei sette giorni in endecasillabo sciolto, qui dovrei ripetere cose che ho già detto altrove, e non lo farò. Mi si consenta però d'aggiungere che il Mondo creato da antologizzare non è soltanto quello delle patetiche fughe dalla materia astronomica-naturale per qualche inquieto ricantare la pace e la solitudine, ma anche quello, men poetico che letterario, delle aperture di paesaggio: un paesaggio che si anima del sottile gusto, proprio del Tasso, di ambientare la vita animale in un universo che la contiene trascendendola, e che al tempo medesimo non ignora i rapporti che legano la vita animale ai costumi e ai diletti degli uomini, persino alla loro stessa corporeità, cosí che l'uomo, simbolo della specie animale, ha in sé potenziati gli elementi vitali del mondo animale. Ma anche questo paesaggio, dopo che è filtrato attraverso la sua simbologia, è facilmente riconducibile ai suoi aspetti pittorici più lineari. E così il cosmo è efficacemente rappresentato nella sua terrifica solitudine prima che sia vivificato dal soffio del Creatore; cosí la luna è contemplata nei suoi elementi e fenomeni, e pur non perdendo di vista l'importanza di questi e di quelli, la candidezza, la freddezza, il colore sono rappresentati con la necessaria semplicità. Tutto ciò fa parte di quel poco, pochissimo di poetico che il Tasso riesce a sprigionare dal suo sovrabbondante materiale aristotelico-scolastico. Dinanzi al quale sta il patrimonio dell'abbandono confidenziale, non già ricco come ai tempi della stagione giovanile ma non mai oppresso fino a morire, e che tra mille difficoltà, tra le insidie della materia erudita che respinge l'ingegno del Tasso nel territorio della pedanteria e dell'aridità oratoria, superando i mille e mille versi di pura accademia didascalica, riesce a giungere fino al commiato del settimo giorno, la preghiera del mondo vecchio e stanco: che sono forse gli ultimi versi che il Tasso vecchio e stanco ebbe a comporre, o per lo meno gli ultimi sui quali ebbe ad apporre i segni della sua penna troppo desiderosa di regolarizzare e di perfezionare il già
scritto. |