CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO MINORE - TASSO

 

Luigi De Bellis

 
 
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LE "RIME" DEL TASSO

di FRANCESCO FLORA



Anche se gran parte delle rime tassesche prendono l'avvio da motivi encomiastici, da occasioni esteriori, la loro essenza più viva è sempre di qualità poetica e fantastica, e trova i suoi momenti più frequenti e tipici in un intimo rapporto tra i sentimenti e il mondo della natura, che si esprime attraverso un'incessante ricerca di musicalità. Artifici e virtuosismi, largamente presenti nelle Rime ad anticipare i nuovi caratteri della poesia barocca, sono soltanto l'aspetto più vistoso di un'ispirazione tutta filtrata attraverso una tradizione letteraria, connaturale al poeta e da lui appassionatamente vissuta.

Le Rime, sol che si abbia l'avvertenza di distinguere i moti genuini da quelli puramente esterni, appartengono all'alta poesia del Tasso. Come molti scrittori nel Cinquecento e sempre, il Tasso adoperò spesso il verso anche a scopi di comodità comunicativa, dove il punto di partenza e di arrivo non poteva essere che prosa oratoria. Occorre anche dire che questa oratoria in verso, la qual dev'essere eliminata nella valutazione delle Rime, non è poca, anzi è soverchiante. E nondimeno, a parte le liriche d'intera e armonica compiutezza, splendori di vivida poesia illuminano grandi distese d'ogni componimento. Non è lecito confondere il Tasso con la schiera dei rimatori cinquecenteschi.
Né conviene sbrigarsi di questo ampio Canzoniere col pretesto che si tratti, assai spesso, di rime d'occasione, e talvolta, addirittura, di rime fatte ad istanza di signori o amici. L'occasione metteva in moto il sempre nuovo carillon poetico che era in lui e aspettava un cenno della fantasia spronata dall'evento. Il punto di partenza per una canzone, un sonetto, un madrigale sarà, poniamo, cortigiano e adulatorio; ma la sostanza vera, anzi il corpo reale della singola poesia, sarà attinto nella regione poetica dell'anima, là dove vivono i grandi miti del passato, pronti a risorgere, per vaghezza nuova, nella comparazione di fatti recenti, sia pure esaltati oltre il giusto; e tutta la lingua poetica dei classici adornerà le sacre visioni di sogni e chimere e avvenimenti, fermati dagli antichi poeti nella pura espressione. In quei casi si compie piuttosto una evocazione di poesia, che non una nuova poesia, ma il modo dell'evocazione è lirico é non critico: vena tenuissima di poesia, ma verace.
Altre volte poi l'occasione è solo un incentivo ad un canto georgico e idillico, nel quale, il più dei casi, il mondo naturale si compara o si congiunge con l'immagine di una donna, e spesso con l'immagine amorosa di una donna. Del resto, perfino la maggior lirica religiosa del Tasso, che consiste (a parte alcuni tratti della Liberata e della Conquistata) nel finale del Mondo creato meglio che nelle rime religiose propriamente dette, vive nella rievocazione di tutte le creature che devono glorificare il Signore.
Questo continuo rapporto tra i sentimenti e il mondo naturale è la sola relazione che egli istituisca in profondo, quando è invitato ad un canto di occasione. Nasce il principe di Mantova? E il poeta pensa alle aure, alle ninfe che recan gigli e viole e narcisi e giacinti, e solo di questa fantasia è veramente ispirato E se dovrà adulare la Gran Duchessa, si consolerà evocando la luna e i benigni venti e le nubi lucide e lievi e i fiumi e i rivi e i fonti. Guarisce Lucrezia d'Este?: «Ride la terra e ride il ciel sereno... E con la vostra pace ha pace intanto / il mare e l'aria, e tregua il duolo e 'l pianto», dove l'idillica placidità del desiderio risolve e annulla l'occasione della poesia. E se piange la morte di una donna, immaginerà, - vecchio motivo, ma qui sincero e perciò espressivo, - il lutto degli elementi: «E che mesto concento / fanno le fronde e i rami e l'acque e il vento? / E 'l vento e l'acque e i rami / e tutto ciò che spira che verdeggia / solo per lei si discolora e piagne». Una grande lirica di questa natura è l'elegia sceneggiata che s'intitola il Rogo Amoroso.
Iperboli, sforzature retoriche, concettini e giochi di parole ed antitesi: tutto ciò che si chiamerà secentismo si trova nelle rime del Tasso, ma fa spiegatamente, candidamente, la sua parte caduca: di là dalla quale si sente il Tasso melodioso, di quella dolente melodia che è nella voce ciò che sulla luce degli occhi vivi è il primo e fuggitivo palpitare del pianto.
Tutte le occasioni, dunque, sono buone per il Tasso, perché il suo accoramento poetico è sempre più profondo e meditativo dei casi che gli si offrono per manifestarlo, e quasi sempre si riferisce al suo vagheggiare con dolente animo lieti e adorni paesaggi, e belle donne. E cosí può dirsi che i suoi amori, .nel rapporto che han con la poesia, sono soltanto occasioni per la poesia d'amore, quella che risponde a un abito della mente desiderosa; e la donna amata è persona di fantasia, come Armida o Erminia o Clorinda o Sofronia, e non come Lucrezia ed Eleonora d'Este, Lucrezia Bendidio e Laura Peperara, donne reali che furono occasione alla sua poesia d'amore o d'encomio.
E' forse la più intima poesia amorosa del Tasso consiste nel concentrare su una sensibile figura femminile il mondo dei campi e dei cieli. Direi che le sue donne, né solo quelle della Gerusalemme e dell'Aminta le quali respirano nell'elemento stesso delle ninfe, non si possono concepire viventi in chiusa stanza, ma sempre nel paesaggio dei grandi elementi, dalla selva al fonte, e sia pure paesaggio ordinato secondo un artifizio umano. Una donna tassesca che vena immaginata in una stanza sarà almeno tra muri o arazzi dipinti di primavera, o guarderà almeno dalle finestre, campagne e cieli.
Il poeta comporrà insieme una campagna e una donna: «Non sono in queste rive / fiori cosí vermigli / come le labbra de la donna mia, / né 'l suon de Paure estive / fra fonti e rose egli / fa del suo canto più dolce armonia. / Canto che m'ardi e piaci / t'interrompano solo i nostri baci!». Cosi nella delicata trama vocale della grande canzone «Vaghe ninfe del Po, Ninfe sorelle» comporrà insieme la figura della « giovinetta peregrina » e il più melodioso paesaggio.
Confonderà il mondo naturale e la sua donna: «Perpetua primavera hai nel bel viso / e 'l sole è il dolce riso». E dall'aerea presenza - della donna sarà avvivato, in una tacita allusione, il paesaggio, se egli scriva il famoso madrigale: «Ecco mormorar fonde» e tante altre sue brevi rime.
Per questo sentir la donna come un- essere naturale, come l'eterna ninfa, anche se egli indugia talora a ricercare i più segreti momenti della carnalità, il più delle volte si riscatta nella parola serena, e rimane innocente. Anche l'invocazione della Morte, come non di rado presso i poeti, è più una invocazione alla donna, la quale si sostituisce fulmineamente alla macabra dea, che non un desiderio di morire.
C'è nelle Rime un frequente giocar sui nomi di persone e sul significato comune di quei nomi, il tasso, l'aura e il lauro (come nel Petrarca), luce, reti per il richiamo di Lucrezia e così via: giochi e perfino equivoci che il seicento porterà alla esasperazione. Ma per quel potere che il Tasso ha di sciogliere in elementi paesistici tutte le cose e perfino i ricordi letterari, i suoi giochi sui nomi diventan legittimi più che presso altri poeti. L'aura o il lauro che egli sente nel nome di Laura Peperara son cosi immagini vere, non solo perché la tradizione letteraria classica essendo entrata così intimamente nella vita del Tasso rende naturale quell'associazione; né solo perché gli uomini in genere e il Tasso in ispecie, quando pronunziano un nome, soprattutto un nome proprio, istituiscono subito un ricordo sulle parole che gli sono affini di suono e diverse di significato. E certo, anche più del Petrarca, il Tasso nella parola lauro od aura o Laura evocava in una sola magia l'alloro e il lieve vento e la dolce donna. Il profondo mistero delle antiche metamorfosi, per il quale gli elementi naturali si fondono in una figura umana, e questa in quelli si cela o scioglie, è la prima origine di un simile sentimento di cosmo e di donna, sentimento frequente nei poeti, intensissimo nel Tasso.
Cosí in modi di maggiore o minore densità, i motivi dei passati miti poetici e quelli del sentimento che crea l'accordo musicale paesaggio-donna, si fondono nell'animo del Tasso, e finiscono per valere come piacere di poetica rappresentazione. Anche esplicitamente il Tasso esprime l'ideal valore del canto che dà giovinezza perenne alle cose. In fondo, per lui, nulla vale più del canto che della vita può comporre. Si ricordi quel curioso, sorridente motivo, il qual torna parecchie volte nei suoi versi, della donna a lui reluttante, che invecchierà, e vorrà un giorno rinnovellarsi nelle rime:

Vedrò da gli anni in mia vendetta ancora
far di queste bellezze alte rapine
E, se pur tanto or mi disdegna e sprezza,
poi bramerà, ne le mie rime accolta,
rinnovellarsi qual fenice in foco.

Ingegnoso, galante, talora anche spiritoso è il Tasso nelle Rime: rare volte tende all'umore, come negli epigrammi sulla zanzara «Oh fortunato loco / tra 'l mento e 'l casto petto!», o nel sonetto caudato sulle gatte, o, in parte, nei versi sulla Bellezza.
In fine anche nelle rime quel che ci tocca è la nuova scoperta musicale, quella dolente tenerezza d'eco che han le parole, come se non si udisse l'invito vocale ma soltanto la risposta dell'eco, ritratto trepido della voce. E anche qui ci tocca il patetico, riscontrato nella Gerusalemme e nell'Aminta e nei grandi cori del Torrismondo: quel patetico musicale tutto proprio di un poeta pel quale la musica «è la dolcezza e quasi l'anima della poesia», quella sospirosa voluttà di echi avvolti e languenti che pur attinge un'alta serenità: « Serena è come voi la nostra pace », «E dolcezza sent'io d'affanni amari », «In que' begli occhi al fin dolce tremanti», «O verdi selve, o dolci fonti, o rivi, / o luoghi ermi e selvaggi», «E 'l lampeggiar del riso umile e piano», «Come vento ch'in sé respiri e torni», «Come la ninfa sua fugace e schiva», «E se mi segui o fuggi, / soavemente mi consumi e struggi», «Primavera per voi non torna ognora».
E c'è poi nelle Rime un Tasso che più direttamente assume a materia della sua poesia la propria vita, in quel senso che, dopo i Canti, si deve chiamar leopardiano. L'esempio più alto di questa lirica è nella canzone incompiuta al Metauro, e questo Tasso doloroso, che si piega sul suo dolore e lo disacerba cantando, va anche ricercato in molte liriche in prosa, sparse nelle lettere. Che se Torquato, anche nelle Rime, si svela un poeta letterato, non si deve dimenticare come per lui la letteratura, dimestichezza amorosa colla poesia del passato, fosse uno dei modi connaturali al suo vivere, la tecnica stessa, se così può dirsi, della sua sensibilità.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it