STRUTTURA E POESIA
NELLA "GERUSALEMME LIBERATA"
di
GIOVANNI GETTO
La struttura della Gerusalemme rivela uno spiccato gusto coreografico e decorativo sorretto dall'ideale della «tecnica» e della «regola», che trova il suo momento più intenso nelle scene fastose ed eroiche, nella costruzione accurata delle battaglie e dei duelli, nella grandiosità solenne dei movimenti di masse. Su questa linea di emozioni spettacolari ed estetiche si innesta il tono più vero della poesia tassesca, che non va cercato in qualche sentimento dominante, ma nella malinconica linea con cui il poeta canta il perenne ritmo di illusione e delusione, di desideri e di disinganni fino a investire personaggi e paesaggio di un senso tragico di frustrazione e di solitudine.
La Liberata è in effetti, prima che una testimonianza di autentica poesia, un eloquente documento di una diffusa affabilità di cortigiano e di accademico. Dalla volontà di celebrazione del mondo della corte e dell'accademia nasce l'intera struttura su cui poggia il poema. Questa vasta zona strutturale si organizza inizialmente proprio nella semplice azione di scelta di precisi contenuti figurativi e ideali, che rimangono talora ad uno stato incondito di superficiale versificazione e che si determinano altre volte (ed è un secondo ideale momento espressivo) in base a quel gusto della regola e della tecnica che è tra le caratteristiche maggiori di questa civiltà e che conferisce al linguaggio tassiano un ritmo ordinato di chiarificatrice intelligenza. La tecnica del governo e della ragion di stato di Aladino e dello stesso Goffredo; l'arte calcolatissima della seduzione di Armida; la casistica risolutiva delle azioni moralmente dubbie di diversi personaggi (da Idraote a Goffredo a Erminia); i duelli costruiti con aperto ossequio alle leggi della scherma e preparati secondo il codice della cavalleria; le battaglie studiate e condotte con la precisione di trattati di tattica e di strategia, di balistica e di topografia; gli stessi discorsi (esemplare quello di Alete) ordinati secondo i rigidi canoni e le ben dosate norme della retorica, costituiscono gli esiti evidenti di questo proposito costruttivo sorretto dall'ideale della tecnica e della regola, che è poi quello stesso ideale che, riprendendo quell'imprecisato gusto di letteratura che presiede alla nascita del poema eroico, lo disciplina secondo tutto un complesso sistema di leggi, secondo quella ragion poetica che rappresenterà la passione e il tormento dell'intera vita del poeta. Ma la struttura raggiunge il suo massimo grado di elaborazione là dove la corte e l'accademia agiscono sviluppando uno spiccato senso coreografico dello spettacolo e del decoro. È questo piacere estetico di scene fastose e di magnifiche prospettive che, applicandosi al tema della politica e del principe, della milizia e dell'amore, della religione e della magia, suscita talune fiammanti pagine del poema: la scena sontuosa di sfarzo orientale del Califfo in trono; le molteplici parate militari e certe irruzioni di guerrieri con le bandiere al vento, e la stessa scena grandiosa del vessillo crociato piantato sulle mura di Gerusalemme; e poi certe pose eroiche ed emblematiche dell'eloquenza di Goffredo; e la pompa liturgica di alcune pagine (come quella della processione al Monte Oliveto); fino alla coreografia da trionfo d'amore di alcuni luoghi della storia di Armida. A questa sensibilità decorativa e coreografica, a questo edonismo estetico, mette capo nel suo grado massimo di elaborazione, sotto lo stimolo di una vivace operazione della fantasia, la struttura della Gerusalemme. E qui si fa sentire, nel suo primo albeggiare, la poesia del Tasso. La struttura del poema si salda con la lirica proprio su questa linea di emozioni estetiche, di celebrazioni di belle parvenze e di spettacolari realtà, di eleganti profili e di prospettive sontuose, dove da un lato si riassume il senso di una civiltà e dove dall'altro pallidamente affiora un'illusione di vita e un'aspirazione umana, quella intimissima sognatrice ed evasiva del Tasso. Ed è l'intervento di una nota flebile e dolente, che, improvvisa e inattesa, si diffonde su queste immagini di vita, quel che concede la possibilità di un approdo poetico all'espressione del Tasso. Nella elegiaca musica che commenta un fuggevole sogno di vita sul punto che dilegua si realizza la poesia tassiana. La poesia del Tasso, in realtà, non deve essere cercata in un determinato sentimento dominante, o in un elenco di sentimenti fondamentali, ma piuttosto in un ritmo sentimentale e in un'atmosfera interiore: il ritmo della perenne illusione e delusione della vita, l'atmosfera della inquieta solitudine dell'anima assorta in un sogno e subito delusa dal suo svanire. Tutti i personaggi e paesi e situazioni della Gerusalemme trovano nella condizione sentimentale suggerita. da questa proposta critica, l'unitario e propizio angolo visuale per l'intelligenza della poesia che li tocca e li esalta. La validità di questa interpretazione appare facilmente per le grandi storie d'amore che rappresentano i più notevoli nuclei poetici della Liberata, quella di Tancredi e Clorinda, di Erminia e Tancredi, di Armida e Rinaldo, di Olindo e Sofronia: tutte impostate su di un senso di fatali incomunicabilità, di dolorose separazioni e di nostalgiche lontananze, tutte risolte in un patetico chiaroscuro di luminosi desideri e di mesti disinganni. In codesto clima spirituale si sostiene anche la figura di Goffredo, la poesia della sua assorta solitudine mistica e del suo solingo destino di condottiero. E anche l'epos di Argante e di Solimano non è quello della guerra ma quello più intimo e tragico della loro solitudine. Una solitudine, si badi, che non può essere genericamente confusa con una vaga e romantica malinconia (secondo ha inteso qualche interprete), ma ché riceve il suo pieno signíficato, la sua cosmica risonanza, da quel ritmo essenziale di immagini di vita che perennemente nascono e muoiono, che costituisce il centro dinamico della intuizione umana e stilistica tassiana. E come le creature della Gerusalemme e le sue situazioni cosí anche i suoi sfondi e i suoi cieli poetici si riportano sempre a quel motivo fondamentale, a quell'eterno fluire di illusioni e delusioni, a quel perenne fluttuare di belle forme che albeggiano e subito tramontano in cui consiste il nucleo essenziale della gnoseologia lirica di Torquato Tasso. Sono paesaggi solinghi, di ombre notturne, di deserte rovine, di sabbie sconfinate, di ignote immensità oceaniche, di desolata e stagnante siccità, di tempestosa pioggia; sono aspetti sempre inquietanti del paesaggio che immergono l'uomo in una muta angoscia, lo lasciano solo, senza possibilità di rifugio nella natura, e lo richiamano a pensieri di tristezza e a simboli di caducità. E questa atmosfera è talora disseminata in cenni ed echi appena sensibili, in singole parole ed isolate cadenze, in quantità minime, in risonanze ed echi lontani e che pur valgono a dar vita alla poesia della Gerusalemme: una poesia che alla fine sembra lasciare nella memoria come un vago suggerimento religioso: illusioni e delusioni sempre perché la verità di questa vita è l'altra
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