Scuola come accoglienza e condivisione o luogo di pena?

Emergenza bulli

“Il viso di Wells non gli piaceva.
Era stato Wells a gettarlo
con una spallata nella
piscina, il giorno prima, perché
lui non aveva voluto
barattare la piccola tabacchiera
con la castagna secca
di Wells, vincente in quaranta
partite. Una cosa perfida;
tutti i compagni lo avevano
detto. E come era stata gelida
e limacciosa l’acqua! E un
tale aveva veduto una volta
un grosso topo di fogna saltare,
plop, nella schiuma”.
(Dedalus, di James Joyce


di Enza Sperduti

Siamo alle prime pagine di Dedalus,una delle opere che aprono la grande letteratura del Novecento, un romanzo largamente autobiografico nel quale Joyce rivive, nella figura del giovane Stephen, il processo della sua formazione, fino ad arrivare alla consapevolezza che per diventare uno scrittore dovrà liberarsi di ogni influenza familiare, sociale, religiosa, politica. Come si vede, un personaggio non comune, Stephen, eppure nemmeno lui sfugge a un episodio di bullismo e Joyce vi si sofferma per denunciarne la gravità, perché nessuno lo riduca a semplice intemperanza giovanile. Sono tanti gli scrittori che affidano alle loro pagine l’umiliazione patita in giovanissima età ad opera di coetanei, e se loro la esorcizzano raccontandola, tanti la subiscono in silenzio per vergogna, orgoglio, rassegnazione, e qualche volta se ne viene a conoscenza quando è troppo tardi. Troppo tardi per Diego, il ragazzo di quattordici anni che si è suicidato a Ischia perché deriso come “secchione” e “crumiro” dai compagni di scuola che non gli perdonavano la media di nove e mezzo. Troppo tardi per Marco, il diciassettenne che si è tolto la vita perché perseguitato dai compagni in quanto omosessuale (o presunto tale). E per gli altri, di cui si è persa colpevolmente la memoria. Deve essere terribile per i loro insegnanti portare il peso della propria cecità o, se avevano visto, della propria omertà. Il bullismo non è un fenomeno nuovo. Esso è sempre esistito ed è tipico delle scuole, dei collegi, delle varie comunità di ragazzi, e se nei maschi assume forme vistose di aggressione fisica e verbale, tra le femmine dispensa gocce di veleno in modo subdolo e occulto, per dirla con Marco Lodoli, insegnante (per sua scelta, in difficili scuole di borgata), educatore, scrittore, soprattutto acuto osservatore del mondo giovanile. O si manifesta con l’esclusione, ostentata o attuata con perfida noncuranza, che porta a destinazione questo messaggio: tu stai ai margini, non conti, non esisti. Distruggendo nella vittima l’autostima e la gioia di vivere. Il bullo ha le sue caratteristiche. E’ un immaturo, perché si afferma non attraverso le sue doti e le sue conquiste ma con la svalutazione dell’altro. E’ un vile, perché prende di mira il più debole, il timido, l’ingenuo, il campagnolo, il meno bravo, o il più bravo scolasticamente ma fragile nei confronti della comunità (chissà perché un secchione, e non uno che ama lo studio). Ha bisogno di un contorno plaudente che non gli viene mai meno perché i compagni anche se intimamente dissenzienti gli assicurano il consenso, un po’ per l’attrazione del branco un po’ per tema di diventare a loro volta sue vittime. E oggi alle vittime canoniche si è aggiunta una figura nuova: lo straniero. Appartiene alle cronache più recenti questa tristissima storia: Preso a pugni, a calci, a colpi di catena, dai compagni di scuola e sotto gli occhi di tutti. Puro bullismo. E’ successo nella tarda mattinata davanti a un istituto tecnico nei pressi di S.Pietro, l’Einaudi. Vittima un ragazzo di 14 anni di origini italo-marocchine (La Repubblica, 6 novembre 2007). E’ davvero molto triste che uno studente venga aggredito davanti alla scuola, luogo di accoglienza e di condivisione, e ad opera dei compagni, insieme ai quali dovrebbe crescere e migliorare. Quei compagni di scuola che non sono tali, e non meritano questo appellativo così ricco di significato che nel tempo si colora di nostalgia per il suo identificarsi con la giovinezza. Eppure proprio la scuola è il luogo d’azione privilegiato dei bulli per la facilità di trovarvi sia il bersaglio che i sodali. Oggi il bullismo ha travalicato gli argini investendo figure che un tempo erano sacre, tabù: telefonini sfrontati nascosti sotto la cattedra ritraggono le cosce della giovane professoressa, altri riprendono apertamente insegnanti che prendono a calci studenti ingestibili, o che li palpeggiano e ne sono palpeggiati, in uno scenario dell’assurdo dove niente è al suo posto. Per non parlare, a proposito dei telefonini, del cinismo di quei ragazzi che a Bologna, a dispetto della tradizione che vuole questa città accogliente e generosa, hanno filmato e messo in rete con frasi irridenti la tragedia di una compagna di scuola finita sotto le ruote di un pulman, violando il tabù più antico di fronte al quale l’umanità si è sempre arrestata: la morte. Nonostante l’ostentazione di forza, nel bullo di scuola non c’è nulla di coraggioso come si può pensare perfino per il bullo di quartiere che saggi e spettacoli ci mostrano talvolta con l’aura del gentiluomo maltrattato dalla vita, del duro che alla fine tira fuori un cuore tenero, uno che comunque affronta il rivale ad armi pari. Roba da bulli e pupe, per intenderci. Il bullo di scuola non combatte per nessuna causa e nessun riscatto. Non ha la scusante del degrado familiare perché è spesso un ragazzo di buona famiglia, né quella dell’ignoranza perché opera in luoghi dove l’ignoranza viene combattuta. E nessun romanzo o music-hall, per quanto spregiudicato o un po’ noir, ne farebbe un proprio protagonista se non totalmente negativo. Purtroppo il bullismo non scompare nemmeno quando i bulli crescono perché si trasferisce negli ambienti di lavoro sotto il nome esotico e moderno di mobbing. Con gli stessi, identici danni. Oggi il bullismo ha assunto proporzioni allarmanti e noi ci interroghiamo, come sempre davanti al disastro. Come è stato possibile arrivare a questo punto? Cosa abbiamo fatto per evitarlo? Ci siamo interessati abbastanza dei nostri ragazzi? Interrogativi che sanno tanto di tavole rotonde televisive e familiari, di Sessantotto e psicologia fai da te, di eccessiva indulgenza e relativi bamboccioni, per usare un termine di attualità. Eppure sarebbe interessante che tutti ce li ponessimo dall’alto dell’età e del ruolo ricoperto in famiglia, nella scuola, sul posto di lavoro, nella politica. Scopriremo di avere le nostre belle responsabilità.

Enza Sperduti