Quando é troppo... è troppo....
Lu pruna (le prugne)

Insolita scampagnata con Pio Bonanome


di Filippo Giudici

Mi permetto la traduzione dei vocaboli dialettali (l’uso dei quali per me è quasi indispensabile) al fine di agevolare i lettori che non avessero eccessiva dimestichezza con il nostro dialetto. Benissimo che l’Italiano imperversi, ma essere un po’ (diciamo un po’) retrogrado fa bene alla salute (alla mia s’intende). Veniamo all’assunto (non mi riferisco ad un precario). Siamo all’altro ieri. Anno 1953. L’inglese Edmund Hillary e lo sherpa Tensing hanno scalato la vetta dell’Everest, la montagna più alta della terra. Tutto il mondo resta ammirato. Io, Peppino Viola e Lallo Bragaglia decidiamo di rispondere in qualche modo alla sfida inglese, scalando qualche vetta; il Kilimangiaro: non era la stagione adatta. Scartiamo il Monte Bianco: erano difficoltose le coincidenze dei mezzi pubblici per raggiungere le pendici. Allora facciamo una panoramica sui monti che circondano la nostra bella Ciociaria. Gli occhi non possono che puntare su quel girello di montagna che è Monte Cacume con la sua particolare forma a cono. Da tener presente che i brasiliani carioca di Rio de Janeiro ce lo hanno imitato con il Pan di Zucchero, solo che loro al posto della Croce ci hanno messo la statua del Redentore. Plagiari questi Brasiliani! La risposta ad Hillary fu: tre giorni a Monte Cacume. Completati i preparativi: attrezzature, zaini, borracce, decidiamo per una alimentazione bilanciata: 60% carboidrati, 30% proteine, 10% grassi. Appuntamento in Piazza XXV Luglio. Si discende al Ponte per prendere la corriera per Patrica. Tutto sembra andare liscio, quando ci imbattiamo in Pio Bonanome “va pazzunu accita” (che vi possono uccidere) in dialetto non solo una imprecazione ma anche un complimento. “Ando’ iatu?“ (dove andate?) perché non mi avete detto niente?” “vengu puru ie” (vengo anch’io). Datemi un quarto d’ora di tempo, ci vediamo giù al Ponte fra quindici minuti. Dopo una ventina di minuti Pio ci raggiunge al Ponte con uno zaino gonfio e tanto pesante da piegargli le gambe. Figuratevi la nostra contentezza nel vedere il carico di Pio. Io, Peppino Viola e Lallo Bragaglia avevamo parlato di tabella di alimentazione, ma la realtà era alquanto diversa. Dalle borse dei nostri zaini pendevano fette di mortadella. Dentro non credo ci fosse gran che: qualche frittata, caciotte, insomma robetta. Lo zaino di Pio, quindi, alimentò la nostra “canusia” (cupidigia). Pensammo subito a leccornie e manicaretti. Breve sosta a Patrica e inizio immediato dell’ascesa. Fatto qualche chilometro qualcuno del gruppo, che non era troppo abituato alla fatica, metteva la scusa di fare tappa perché aveva fame. Chi tirava fuori la mortadella, chi la frittata “cummunzatu lestu a dursullirvu gli stomacu (cominciate presto a ingolfarvi lo stomaco). Io ci vado leggero con la frutta. Ho portato certe squisite “pruna catalane”. Ad ogni fermata Pio tirava fuori un tipo diverso di “pruna”: catalane, fiaschetta, stanly, “ uloccia”, zuccherine e susine varie. Tutti i tipi di “pruna“ erano rappresentate. “Che volete?” disse Pio “I genitori non volevano che venissi. I negozi erano chiusi, sono andato in cantina e ho portato quello che c’era”. Naturalmente fu assolto, ma oltre alle nostre provviste dovette cibarsi delle nostre battute salaci per tutta la durata della gita. Battute che, come vedete, durano a tutt’oggi. Sulla strada del ritorno Pio abbandonò il gruppo per andare a salutare Don Mario Maura ceccanese nominato Arciprete a Patrica. Al rientro Pio non poteva trattenere le risate. Perché? Perché gli era stato offerto un piatto di fresche “pruna” ozark, una specialità americana. Ultimi cori di canti della montagna sulla corriera che ci riportava a Ceccano, ma Pio delle “pruna” non doveva ancora averne ben donde. Rientrò a casa con una ferita lacero contusa al viso: un cestino di vimini gli cadde dal portabagagli sul naso. Era pieno di …………indovinate che? di “pruna”.