Quando il giocattolo veicola uno stile di vita superficiale e consumistico

Quei meravigliosi giochi di bambina

A Natale posiamo gli occhi su un libro


di Paola Staccone

C’era una volta Nonna Ninnina… era una nonna come tante, coi suoi innocenti peccatucci tra un rosario e l’altro, maliziosa ed ingenua al contempo, come solo una contadina sa essere; e soprattutto era desiderosa di raccontarmi di un mondo scomparso, quello della sua infanzia, della sua povertà. Tra le storie che rammento con più calore c’è quella in cui lei e la sorella, per abbellire le loro rozze bambole di pezza, si tagliarono ciascuna qualche ciocca di capelli, invece di usare, come di solito si faceva, le barbe delle pannocchie. Mi colpisce come allora la semplicità di quei giochi, che in parte è stata anche la mia. Due bastoni ed un elastico, ed ecco arco e frecce, salvo poi preoccuparsi di occultare adeguatamente i mutandoni della nonna da cui l’elastico era stato astutamente sfilato… Ricordo anche come guardassi incantata mio cugino Fabrizio che faceva ruotare lungamente un enorme strummolo, abilità magica ed iniziatica che, con mia grande frustrazione, non sono mai riuscita ad apprendere. Ma soprattutto ricordo una meravigliosa casa di bambole, dove per interi pomeriggi abitava la mia fantasia; mio padre l’aveva costruita con tutto il suo genio, assemblando in verticale dei vecchi cassetti, nel cui fondo erano state praticate delle aperture, porte e finestre dalle forme esotiche ed arcuate. Quella era la residenza ufficiale della mia Barbie, che nel cassetto più grande dormiva tra le coltri sontuose di un fazzoletto da naso orlato della veletta dei confetti. Vestiva esclusivamente con creazioni confezionate da me, che, tra qualche puntura alle dita e molti modelli non proprio di alta moda, imparavo a mettere i primi punti. Non sono mai stata povera, non posso dire di aver mai subito privazioni materiali, non conosco la dura miseria dei miei nonni, né la parca sobrietà dei miei genitori: ma quelli erano i miei giochi. Non c’erano cumuli di bambole rese anonime e noiose dal loro stesso consumistico moltiplicarsi, stratificarsi, passare di moda. Ogni gioco era stimolante, personale, creativo; era adatto alla mia età, un gioco che non chiedeva di crescere più in fretta di quanto fosse giusto. Se guardo agli svaghi dei bambini di oggi, mi sento - forse con un paradosso, certo fortunatamente- molto più vicina a mia nonna che a loro. I maschietti, ipnotizzati e lobotomizzati dalla monotona stupidità di un Game Boy, sgretolano asteroidi sparando da un’astronave, intontiti e con aria infelice. Fanno combattere pupazzi mostruosi, talvolta capaci di trasformarsi in qualcosa di ancor più obbrobrioso. Per le ragazzine, invece, l’industria del giocattolo ha ideato qualcosa di ancora peggiore, cercando in tal modo di preparare le mogli, madri e soprattutto consumatrici del futuro ad essere le perfette schiave del mercato: potenzialmente vuote, frivole, pronte a comprare di tutto pur di colmare la voragine della loro scatola cranica. Per essere belle, magre, alla moda come le loro bambole: le Hi Glam, le Barbie Top Model, le Winx, ma soprattutto per diventare come loro, le vestali della scioccaggine, al posto del cervello il vuoto pneumatico: le Bratz! Ignoro beatamente l’origine del loro nome… forse l’acronimo per Barcollanti Rifinite Anoressiche Truccatissime con Zatteroni?! Chi non sa, a questo punto mi chiederà cos’è una Bratz. Potrei rispondere: la figlia degenere di Barbie, madre che pure talvolta, ai tempi della mia infanzia, vestiva gli onesti panni della dottoressa o della hostess. La Bratz è alta all’incirca come lei, ma segue dei canoni estetici contemporanei: vale a dire che è formosa quanto uno stuzzicadenti, e indossa minigonne che somigliano in modo inquietante a fasce per capelli, unite a magliette confezionate anch’esse in gran penuria di tessuto. La pubblicità ed i cartoni animati ce le mostrano impegnate nello shopping, in viaggi finalizzati alla razzia delle boutique, in corse su macchine sportive, che spettegolano dal parrucchiere o impegnate in affini attività culturali; le bambole vengono vendute con preziosi accessori quali minuscoli telefoni cellulari, specchietti per il trucco, pennelli da phard, bottigliette di profumo e di smalto per le unghie. Chiediamoci allora se dei giocattoli siffatti si esauriscano nel loro semplice essere oggetto, o se invece veicolino un preciso stile di vita: superficiale, consumistico, massificante, teso verso vacui ed irraggiungibili modelli di bellezza e perfezione, con tutti i rischi che ne derivano. Non dimentichiamo inoltre che questi giocattoli vengono fabbricati da grandi multinazionali, che sfruttano la manodopera sottopagata dei paesi asiatici, un elemento che la grandissima parte dei nostri bambini ignora o dimentica forse un po’ troppo in fretta. Lo so, il mondo va così, e non lo si può cambiare da soli, lottando magari contro un problema che a molti può sembrare marginale o inesistente. Ma non dobbiamo per questo abdicare alla nostra capacità di riflettere, di criticare, di cambiare, magari cominciando dalla nostra famiglia, dal nostro quartiere, dalla nostra città. L’alternativa, a pensarci, esiste. Sempre. Non lasciamo che questo mondo, vendendoci oggetti, si compri la nostra intelligenza! E quando ci troveremo tra le luci e i lustrini degli acquisti natalizi, mentre i megafoni degli ipermercati ci cantano Jingle Bells e milioni di manager specializzati in marketing lanciano sguardi rapaci ai nostri sudati e magri risparmi, posiamo gli occhi su un libro. Non sarà di moda come i videogiochi e le Bratz, ma non ha mai fatto del male a nessuno. Forse da bambina, di libri come quello, ne ho ricevuti in dono troppi; forse, dalla sorte, ho avuto in regalo troppo spirito critico e troppo poca flessibilità, sono pronta ad ammetterlo… Ma non so cosa darei per riavere la mia vecchia casa di bambole fatta di cassetti… e come vorrei che le Bratz non esistessero…

Paola Staccone