Atmosfere, usanze, aspettative di una volta

NATALE


di Giovanni De Santis

 Un Natale così non c’era mai stato. Neanche per quanto riguardava i ricordi. O forse ricordi e presente erano la stessa cosa. Un percorso di sensazioni e di aspettative mai interrotto, mai venuto meno. Nonostante le tante difficoltà incontrate, le avversità che pure c’erano state. A Natale tutto era diverso. Si respirava aria nuova e si era come in una dimensione di rigenerazione, di pulizia totale. Per cui da quel momento non ci sarebbe stata più alcuna differenza tra il ricco e il povero. Nel senso che anche i poveri avrebbero guardato con tranquillità e sicurezza al futuro. Ma soprattutto c’era la sensazione che il miracolo avvenisse dentro ciascuno di noi e si diventasse più forti. C’era la spinta a stare meglio, a combattere 1’indigenza. Anche perché non si scialava nell’oro. Ma Natale era Natale e si doveva festeggiare nel migliore dei modi. Quello che serviva a fare apparire ricca la tavola si rimediava sempre. E poi ci si andava a trovare e una pizzafritta, una ciambella, un bicchiere di vino non mancano mai. Seduti vicino al fuoco a chiacchierare, a raccontare, come se il tempo si fosse fermato. Questo magari mentre arrivavano gli zampognari. I piccoli correvano allora tutti eccitati verso la porta e si quasi mangiavano con gli occhi i due suonatori fino alla fine della nenia. Poi li seguivano ancora mentre andavano via, con dietro due, tre bambini che li accompagnavano, per un tratto, nel giro delle case. Anche ai grandi la venuta degli zampognari faceva piacere. Si entrava sempre di più nel clima della Festa e il cuore si apriva, così, al sentimento, all’emozione. Il figlio lontano a fare il soldato, che non si sapeva ancora se sarebbe tornato. Un fratello o una sorella anch’essi lontani, da anni ormai in America. Scrivevano sempre e a Natale mandavano un pacco, quindi in arrivo. Perciò tutti in attesa, specie chi fumava, per quelle sigarette di marca, dal profumo particolare, che si gustavano fino all’ultima tirata, senza far perdere nulla. Ma c’erano pure emigranti più vicini. In Svizzera o in Germania che per le Feste tornavano a casa. Portavano con sé i soldi guadagnati ed era un Natale più caldo, più sicuro, senza la preoccupazione di sempre, quando non erano ancora partiti. Per alcuni, poi, la festa seguitava pure dopo l’Epifania, quando si ammazzava il maiale. Un rito, con lo stanare prima la bestia dal porcile e poi l’uccisione vera e propria, con gli strilli che arrivavano al cielo. I commenti, con tanti altri argomenti passati in rassegna, a tavola dove c’era modo di saziare il corpo e la mente. Erano discussioni accalorate, ma mai dai toni offensivi e quando per caso non era così, si rientrava subito nella normalità, senza gravi conseguenze. Insomma si trattava di semplice sfogo che aiutava senza dubbio a capirsi meglio, ad andare avanti in piena armonia e reciproca comprensione. Era il cosiddetto vicinato, una specie di seconda famiglia con la quale si condividevano gioie e dolori e con la quale si cresceva, cercando di prendere il meglio gli uni dagli altri, per una sana e costruttiva emulazione. Ma qualche volta, raramente però, si esagerava e allora dovevi stare attento e salvaguardarti le spalle, per non trovarti in mezzo a situazioni di estremo disagio e di pericolo anche. Quello, ad esempio, di creare una barriera ad un certo punto insormontabile se non proprio di odio, di reciproca diffidenza e di continuo attrito. Bastava infatti un niente per scatenare liti e accuse da una parte e dal1’altra, andando a toccare spesso fatti intimi, personali con epiteti che davano l’esatta misura di quanto fosse sostenuto il discorso. Ma a Natale non c’era spazio per simili incresciose e antipatiche situazioni. Il clima della Festa copriva e purificava tutto, attenuando torti e offese subiti, alimentando speranza e sollievo anche in chi si trovava in condizioni disperate, assai difficili. Per gli uomini, sia giovani che adulti, era il periodo in cui si scatenava il demone del gioco: ramino, poker, cavalletta. Un gioco questo, a due carte, che richiedeva impegno e furbizia, dietro il quale si spendevano notti intere, ad inseguire il quarantadue o la cavalletta (due cavalli insieme) o a cercare il momento giusto per fare il colpo con un bluff che lasciasse tutti di stucco. C’erano giocatori famosi i quali in quei giorni, così si diceva in giro, certamente esagerando, si giocavano anche 1’anima. Perché era Natale e a Natale il gioco va di moda.

Giovanni De Santis