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07 ottobre, 2007
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GLOSSARIO
Teoria degli stakeholder
La teoria degli stakeholder
fornisce un importante contributo all’articolazione degli attori
direttamente e indirettamente coinvolti nelle scelte organizzative.
Ciò contribuisce ad arricchire la pluralità di razionalità in gioco [Donaldson
e Preston 1995]. Sono considerati
stakeholder
tutti i soggetti che non solo hanno interessi o aspettative nei
riguardi di quello che l’organizzazione fa, di come lo fa e dei
risultati che produce, ma hanno anche il potere di condizionarne le
scelte [Rullani 1989]. Questi soggetti oltre che interni come gli
azionisti, il management e i lavoratori, possono essere esterni come i
consumatori, i fornitori, le autorità pubbliche, i sindacati e, in
generale, i cittadini. Per molti dei soggetti appena ricordati
l’interesse e il potere di influenza sono evidenti. Si pensi ai
cittadini che hanno interesse a che l’impresa non inquini l’aria:
diventano stakeholder in quanto si organizzano per premere sulle
autorità locali con controlli più severi o per boicottare i prodotti
di quell’impresa o, più semplicemente, intaccando la sua reputazione
sociale.
Teorie motivazionali
Per superare le difficoltà, incontrate fin dal loro primo apparire
nelle scuole organizzative che praticano un’idea di razionalità
meccanica con una psicologia rudimentale e semplicistica, nasce il
filone di teorie motivazionali che ha preso l’avvio con la scuola
delle relazioni umane [Mayo 1945; Zaleznik
et al.
1958]. L’uomo nell’organizzazione viene studiato nella sua complessità
affettiva e relazionale, nelle sue motivazioni determinate da bisogni
fisici, psicologici e sociali [Maslow 1964, Vroom 1964]. Vengono
studiate le leve organizzative più idonee a indurre i comportamenti
richiesti dall’organizzazione [Argyris 1971, Herzberg 1966, Likert
1961]. L’approccio resta nella maggior parte dei casi di tipo
individualistico. In successivi sviluppi, la dimensione individuale
viene ulteriormente enfatizzata, fino al punto da negare una realtà
fattuale dell’organizzazione, che viene invece assunta come
costruzione mentale. In altri filoni, la sfera emotiva e relazionale,
lungi dal rappresentare un disturbo del processo decisionale
razionale, viene assunta come una componente fondamentale delle
relazioni organizzative che, se correttamente interpretata e gestita,
porta a un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei
comportamenti organizzativi [Senge, 1990].
Teorie fenomenologiche
In contrasto con l’idea che
l’organizzazione sia un artefatto fisicamente autonomo e
identificabile, oggettivo e misurabile, secondo i canoni delle scienze
fisiche tradizionali, la prospettiva fenomenologica postula che
l’organizzazione esiste solo in quanto degli individui la percepiscono
come struttura e conferiscono a essa un significato [Ravagnani 1996].
Non esiste quindi una realtà organizzativa esterna ai soggetti e da
questi indipendente. L’organizzazione è una realtà costruita dai
soggetti attraverso processi interpretativi che possono essere di tipo
individuale o, più spesso, di tipo collettivo (con le parole di Berger
e Luckmann [1966]: “La realtà è una costruzione sociale”). Anche se un
organigramma può suggerire l’idea di una struttura visibile e
formalizzata di compiti, ruoli e responsabilità, questi esistono solo
in quanto gli attori organizzativi si accordano sul loro significato.
Se la persistenza o il cambiamento della struttura dipendono quindi
dagli attori organizzativi, fare della progettazione organizzativa,
secondo questa prospettiva, significa agire su di essi. È anche vero
che alcuni autori che l’hanno adottata si trovano più a loro agio
nell’analisi che nell’intervento, nell’interpretare le dissonanze
cognitive in una situazione già conclusa che nel fornire criteri per
prevenirle. Un’importante eccezione è rappresentata da Karl Weick, che
analizzando il processo di produzione dei significati organizzativi (sense
making) fornisce criteri non
solo per la sua comprensione, ma anche per la sua modifica [Weick
2001]. Il concetto di enacted
environmenent (ambiente
attivato, ma l’espressione è praticamente intraducibile) [Weick 1979]
non dà solo l’idea di una realtà mentalmente costruita. Suggerisce
anche la possibilità di intervenire per modificarla agendo non so- lo
sulle percezioni e sui significati, ma anche sugli elementi fattuali
che influiscono sulle stesse percezioni. Il caso del mancato disastro
nucleare di Three Mile Island è un esempio di dissonanza tra realtà
fattuale e sua rappresentazione simbolica, che può essere spiegata e
controllata. |