Un problema ancora più controverso della distinzione fra beni e
servizi è la classificazione di questi ultimi. L’attività di
classificazione ha una lunga tradizione nel campo delle discipline
scientifiche; il sistema di classificazione più perfetto è forse
costituito dalla tavola periodica degli elementi sviluppata da
Mendeleev per rappresentare gli elementi stessi in base alle proprietà
chimiche. Classificando le proprietà degli elementi, il chimico russo
riuscì a dimostrare che questi potevano essere organizzati in
categorie omogenee aventi caratteristiche comuni. Tale sistema di
classificazione si è dimostrato così efficace da permettere agli
scienziati l’identificazione di elementi “mancanti”, effettivamente
scoperti in seguito. I successivi sviluppi della fisica atomica hanno
permesso di verificare l’intera tabella a partire dalla struttura
elettronica di ogni elemento.
Le classificazioni dei servizi che sono state
elaborate nel corso del tempo sono decisamente imperfette se
confrontate con questo termine di paragone. Molti di questi schemi
tentano di combinare organizzazione e classificazione e sono basati su
proprietà dei servizi non empiricamente verificabili. Come nel caso
della dicotomia beni/servizi, essi tendono a concentrarsi su poli
opposti, per esempio servizi basati sull’apporto umano piuttosto che
sull’utilizzo di attrezzature (o servizi resi da persone piuttosto che
da macchine), servizi che comportano uno stretto contatto con il
cliente piuttosto che un contatto blando con il cliente; servizi
individuali oppure servizi collettivi. Tuttavia, è possibile
presentare molti esempi di servizi che non rientrano in maniera
definita in nessuna di queste categorie, e che si trovano in qualche
punto fra l’una e l’altra. In troppi casi queste classificazioni si
basano solo su aspetti operativi e non tengono in considerazione i
problemi di marketing. Prendiamo come esempio la tradizionale
distinzione fra servizi resi a scopo di lucro e servizi senza fine di
lucro. Il settore non profit dell’economia è molto sviluppato, in
particolare laddove sono coinvolte a vario titolo le istituzioni
pubbliche; in molti casi, tuttavia, le organizzazioni non profit hanno
più problemi in comune con le loro “sorelle” che operano a fine di
lucro piuttosto che con altre organizzazioni non profit. Per esempio,
un’organizzazione non profit che fornisce servizi sanitari ha molto
più in comune con un’impresa di servizi sanitari a scopo di lucro che
con una equivalente struttura statale. La distinzione fra servizi resi
o meno a scopo di lucro non ha grande rilevanza nella valutazione dei
problemi di marketing dell’organizzazione interessata. In effetti, il
contenuto di questo libro si può applicare tanto alle organizzazioni
che operano a scopo di lucro quanto a quelle non profit. Lovelock
sostiene che gli schemi usati per la classificazione possono risultare
utili solo se permettono di ottenere indicazioni strategiche sui
servizi stessi. È molto importante, a suo parere, che tali schemi
mettano in luce le caratteristiche comuni a certi tipi di servizi, in
modo che i responsabili marketing ne possano analizzare le
implicazioni. Lovelock indica poi un gruppo di domande che
bisognerebbe porsi per determinare a quale categoria appartenga un
determinato servizio:
1. Qual è la natura del servizio?
2. Che tipo di rapporto ha l’organizzazione fornitrice
di servizi con la sua clientela?
3. In che misura è possibile la personalizzazione e la
discrezionalità nella erogazione del servizio da parte
dell’organizzazione?
4. Qual è la natura della domanda e dell’offerta del
servizio?
5. Come viene erogato il servizio?
Lovelock sottolinea così che i servizi dovrebbero
essere considerati non tanto per i fattori che li differenziano,
quanto piuttosto per quelli che li accomunano. La sua attenzione è
rivolta non a fornire una classificazione, bensì a trovare una serie
di princìpi guida per i responsabili marketing. Identificare i fattori
comuni di differenti tipi di servizi, infatti, permette loro di capire
meglio l’essenza dei prodotti, delle organizzazioni e delle relazioni
che queste intrattengono con la clientela. Riconoscere che i servizi
offerti da imprese precedentemente ritenute “diverse” hanno in realtà
problemi o caratteristiche in comune può portare a proficue intuizioni
manageriali. L’innovazione nel marketing, d’altronde, spesso è frutto
dell’abilità dei manager nello scoprire e nel trasferire esperienze
analoghe da contesti diversi. In questo testo ci focalizzeremo
pertanto più sui punti in comune che sulle differenze fra le attività
di servizio. Zeithaml, Parasuraman e Berry sintetizzano così le
quattro caratteristiche comuni a tutti i tipi di servizi:
intangibilità, inseparabilità fra produzione e consumo del servizio,
eterogeneità e deperibilità. I servizi vengono definiti intangibili
perché sono rappresentati da prestazioni anziché da oggetti, quindi
non si possono “toccare con mano” o vedere allo stesso modo dei beni
materiali; essi consistono in un’esperienza per il consumatore, e la
valutazione che questi ne dà tende a essere più soggettiva che
oggettiva. L’inseparabilità della produzione dal consumo si riferisce
al fatto che, mentre i beni vengono prima prodotti, poi venduti e
infine consumati, i servizi sono prima venduti, poi simultaneamente
prodotti e consumati: il passeggero di un aereo prima compera il
biglietto, poi usufruisce del servizio di trasporto aereo,
“consumandolo” nel momento in cui viene prodotto. L’eterogeneità si
riferisce alla potenziale variabilità nella prestazione del servizio;
il problema della mancanza di uniformità nella prestazione non può
essere eliminato nel settore dei servizi, mentre di solito può esserlo
nel caso dei beni materiali. Infine, deperibilità significa che i
servizi non si possono conservare, che il diritto al servizio non
utilizzato non può essere reclamato e che i servizi stessi non si
possono immagazzinare.