Devozione a Gesù

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Prima meditazione

Il tema del nostro incontro con Gesù è "L'angoscia del Cuore di Gesù che continua nella sofferenza del suo Vicario: il Papa".
La promessa di non lasciarci orfani Gesù l'ha mantenuta con prodigalità divina. È rimasto nella sua Parola, carico di luce e di forza; è rimasto nell'Eucarestia, corpo, sangue, anima e divinità; è rimasto sul suo Vicario, da Pietro fino a Giovanni Paolo II, il nostro Papa, e vi rimarrà ormai per tutto il viaggio terreno dell'umanità.
Il Papa è veramente un altro grande dono del Cuore di Gesù, del suo amore di Buon Pastore per noi, di maestro, di guida. Sapeva bene che i nostri occhi vogliono vedere, i nostri orecchi ascoltare e che tanto facilmente ci lasciamo fuorviare... e così ha lasciato nel Suo Vicario la sua autorità per insegnarci, una voce per guidarci, la sua mano per benedirci; è il buon pastore che sta sempre in mezzo al suo gregge per un contino ministero di sicurezza e di amore. Dobbiamo ringraziare il Cuore di Gesù per questo dono e provare un senso di pena per quei nostri fratelli ai quali manca questa guida sicura.

Se tutti coloro che sono uniti a Gesù devono partecipare alla Passione dolorosa, gran parte di questa passione tocca al Capo visibile di questo Corpo mistico. Perciò se in tutta le membra Gesù continua a soffrire, in maniera ineffabile continuerà a soffrire nel suo Vicario, vicino nell'amore, vicino nel dolore. E ci sono giorni nei quali questa partecipazione del Vicario alla passione del Signore è profonda e raffinata.

Mediteremo l'agonia nell'orto, e, pur nell'immensa distanza che lo separa, penseremo alle sofferenze del suo Vicario.

Dal Vangelo di Matteo: "Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me».
(Mt 26, 36-38)

Gli uomini per esprimere la sovranità universale di Gesù gli mettono nelle mani un piccolo globo; intendendo affermare che l'universo è opera del suo amore, è retto dalla sua onnipotenza e la consacrazione di questo universo al Padre è lo scopo dell'Incarnazione.
Durante la preghiera nell'orto degli Ulivi, Gesù, fattosi debole e sensibile come uno di noi, vuole sentire tutto il tremendo peso di questo mondo. Non è il cielo con le sue stelle, non è la terra con i suoi monti e con i suoi mari, che gli pesano tanto. Sono le anime da ricomprare, è il disordine del primo peccato di origine, sono i peccati personali di tutti gli uomini, le ribellioni al Padre celeste, il tradimento del suo amore, la fuga dalla sua casa, le ingiustizie, le infamie, le turpitudini, le violenze, i furti, le oppressioni, gli scandali; è l'opera della riparazione, della restaurazione, della redenzione che esige il sangue.

Gesù prostrato lì a terra, è stato visto già da Isaia. Ecco, è "schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui" (Is 53,5). È l'imminente che volontariamente soffre per i peccati degli altri; sofferenza immensa che deve espiare i peccati di moltitudini... Tristezza e angoscia fino a morire. Solo così, offrendo Se stesso, in espiazione, addossandosi la loro iniquità giustificherà molti.
E gli pesano fino a prostrarlo a terra, perché gli pesano sul cuore le conseguenze terribili di questi peccati: i dolori, gli spaventi, le angosce, le fatiche, le guerre, le stragi, tutto il fiume di pianto e di sangue che tragicamente scorre su tutta la terra... E la più spaventosa di tutte le conseguenze: la via che porta alla dannazione eterna, larga e frequentatissima. Sotto questo peso, cade, ed è questo peso che poggiando sul cuore lo fa gemere e ne spreme vive gocce di sangue.

La sofferenza del Papa.

Nell'ordine misterioso nel quale la provvidenza governa il mondo, Gesù ha scelto un Uomo per continuare questa sua agonia sotto il peso del mondo intero: il suo Vicario. Apparenza e povere cose sono i paramenti d'oro, le insegne pontificie, una volta la sedia gestatoria e il trono; ciò che è stato messo sulle spalle e sul cuore a quest'Uomo di Dio lo fa cadere in ginocchio, e prostrare la sua anima in una terribile agonia. Tutto il peso, la responsabilità di tutti gli uomini in forza della paternità universale alla quale sono stati chiamati. Cattolici, dissidenti, apostati, giudei, pagani, atei, peccatori, persecutori... di tutti, senza distinzioni, sente le miserie, le sofferenze, le lotte, le guerre, le ingiustizie, la fame, la miseria, la disoccupazione, la sopraffazione, la tirannia, la sorda ribellione provocata dalle sperequazioni economiche e sociali, gli odi razziali, le tragedie familiari, i lutti, i tradimenti e l'impotenza davanti al dolore... così con tutto il loro fardello di dolore i tre miliardi e più di esseri umani gravano sul suo cuore...

E sente il peso più grave. Le miserie e le sofferenze fisiche e morali passeranno; ma ci sono altre miserie che hanno ripercussioni, conseguenze eterne, irreparabili; l'enorme cumulo di peccati, di ribellioni a Dio, all'amore di Dio, la fuga dalla sua casa, l'esaltazione del peccato, la corruzione, l'errore che fa strage tra i più deboli, la perdita del senso del peccato, un nuovo paganesimo, un materialismo che appiattisce tutto e svigorisce anche le città cristiane e la vita cristiana, ed affoga le anime spegnendo in esse ogni aspirazione soprannaturale in una esaltazione di progresso tecnico, scientifico e di benessere.
Materialismo, che arriva anche a lottare contro Dio, che vorrebbe cancellare la legge di Dio, il suo nome, perfino l'idea.
Ed anche il Vicario di Gesù, nel suo dolore, sente qualche cosa che gli ferisce il cuore e le fa sanguinare. Quando sente che al suo ufficio di Buon Pastore, di Maestro, di Padre, di Vicario di Gesù, principio e segno di unità; si risponde con freddezza, indifferenza, con disubbidienza dai suoi, e non è accettato dagli altri. Fermenti vivi in alcune nazioni, ma che si fanno sentire un po' dappertutto, di critica, di dissenso aperto, di disobbedienza; fermenti che sanno di ribellione al Magistero Ecclesiastico, che feriscono la Chiesa, il cuore della Chiesa Cattolica e si esprimono in un'angoscia per il Vicario di Gesù, tale da far preferire la morte...
Il Vicario di Gesù non può accomodare e misurare le sue parole sul modo di sentire terreno degli uomini e sulle parole umane per piacere agli uomini, ma sulla Parola del Maestro e Capo invisibile che l'ha fatto depositari e custode della Rivelazione e della Sacra Tradizione per la salvezza degli uomini. È la sua tremenda agonia. Non ci sono due Getsèmani e due tristezze: c'è una sola tristezza, una sola agonia perché c'è un solo amore che dal Cuore di Gesù si ripercuotere nel cuore del Suo Vicario. E si deve ripercuotere nel nostro, attraverso preghiere e partecipazione.


Seconda meditazione

La grande verità, parola che a me viene dall'insegnamento della fede e che sta alla base della nostra esistenza è "Dio da sempre mi ha pensato, amato, voluto per cui esiste, ed oggi mi rendo conto più che in passato di essere eterno anch'io; con Lui e per Lui perché presente al Suo Amore e così so che il Suo Amore è la mia casa, come la culla dove sono nato e vissuto fino al momento della mia nascita terrena. Se questa verità, tanto sublime la tengo presente, deve illuminare, dettare e favorire in noi un atteggiamento essenziale: questo voler rimanere, a tutti i costi, in quel Cuore anche se inclinazioni diverse e forse contrarie vorrebbero diversamente.
Nessuno ignora quanto di difficile vi sia in tutto questo anche per la difficoltà di comprendere e di aderire alle esigenze del Cuore di Dio. È già grande fortuna l'aver qui dentro un campanello che ci avverte sia delle inclinazioni non buone, sia dei passi falsi fatti o che stiamo per fare; ma quale lotta e quanta pena!
Un altro aiuto ci è dato dalla presenza di Dio in noi, presenza che ci trasforma e si rivela! Pace, luce, conforto, sicurezza secondo i momenti, segno che qualche cosa di divino ci ha seguito e ci accompagna perché questa esistenza terrena sia vissuta secondo la volontà di Dio. Volontà che, a dir il vero, non sempre è chiara e per questo assai malamente accolta se non respinta. Tuttavia dobbiamo ammettere che, nonostante tale oscurità, abbiamo dato vita ad un bene mai immaginato; e questo grazie ad una conoscenza più precisa di noi stessi in base alla quale abbiamo scoperto in noi una capacità di sopportazione e di una volontà di batterci, una fede più profonda per cui la nostra vita oggi la sentiamo più precisa, meno nemica del bene, oggi più del passato. Dobbiamo allora affermare che Dio ci ha condotto bene: in Lui e per Lui abbiamo più salute.

Terza meditazione

Gesù ha detto una grande parola quando ha esortato ad avere fiducia nel Padre, ad abbandonarci nelle mani del Padre. Per Gesù, abbandonarci nel Padre, significa deporre in Lui tutte le preoccupazioni e le speranze; non stare più in terra per il nostro avvenire. Ciò significa che noi siamo condotti a scoprire il fondamento della libertà e della gioia dei figli di Dio; libertà e gioia possedute da pochi anche se veramente credenti ed eroicamente pronti ad ogni sacrificio.
Per Coloro che camminano piegati sotto il peso dei loro pensieri e dei loro doveri, la parabola degli uccelli e dei gigli del campo non ha ancora toccato a dovere il loro cuore!
Non hanno ancora il senso dello stupore, della meraviglia di fronte alla creazione di Dio! Eppure Gesù ci insegna proprio questo metodo: "Guardate gli uccelli dell'aria... guardate i gigli... e non inquietatevi!".
Perché stai lì a dibatterti nei tuoi piccoli o grandi problemi, nei tuoi piccoli o grandi drammi? Diceva Gesù: "Aprimi il tuo cuore, lasciati amare da me, vivi con questa certezza, diffondi intorno a te la nostalgia del mio amore! Solo così sarai felice e salverai il mondo".

La fiducia in Dio non vacilla solamente quando implica la disposizione ad accettare ogni cosa dalla mano di Dio. Lui solo sa ciò che è bene per noi! E se talvolta necessità e rinunce fossero più opportune di una vita tranquilla e comoda, se umiliazioni ed insuccessi fossero migliori di onore e fama, anche allora occorre essere pronti e disponibili. Agendo così si può vivere del presente, senza il peso del futuro. L'invocazione "Sia fatta la tua volontà" nella sua interezza, deve essere la norma della vita cristiana, regolare il corso della giornata dal mattino alla sera, il volgere dell'armo e della vita intera: deve essere, per chi crede ed ha fiducia sincera in Gesù, l'unico pensiero. Il Signore prende su di sé tutte le preoccupazioni e questa volontà di Dio rimane per tutto il tempo che noi viviamo.
Come siamo e come ci conosciamo, non possiamo essere certi di rimanere sempre nella via del Signore. Al pari dei primi uomini, che dallo stato di figli di Dio, sono potuti cadere nella lontananza di Dio, ognuno di noi sta nel filo della lama tra il nulla e la pienezza della vita divina; e prima o poi avvertiamo questo anche concretamente, personalmente, all'inizio della vita spirituale quando si comincia ad affidarsi alla guida di Dio, sentiamo la sua mano ben sicura e forte: ciò che dobbiamo fare o non fare ci sta davanti chiaro come il sole. Ma non continua così! Chi appartiene a Gesù deve vivere intera la vita di Gesù, incamminandosi sulla via della croce. E tutte le sofferenze che provengono dall'esterno sono nulla, o ben poca cosa, in confronto all'oscura notte dell'anima, quando la luce divina non splende più e non si ode la voce del Signore. Dio è presente ma nascosto e la sua voce tace. Viene da domandarci: Perché è così? Sono i misteri di Dio dei quali parliamo, ma non si lasciano svelare completamente. Ma un poco possiamo guardarci dentro.

Dio si è fatto uomo per farci nuovamente partecipi della sua vita, questo è l'inizio e l'ultima meta. Ma in mezzo c'è dell'altro. Gesù è Dio e uomo, e chi vuole condividere la sua vita, deve prendere parte alla vita divina e umana. La natura umana che Gesù ha assunto gli ha dato la possibilità di soffrire e di morire. La natura divina da Lui sempre posseduta ha dato al soffrire ed al morire un valore infinito ed una forza redentrice. Il dolore e la morte di Gesù continuano nella sua Chiesa; ognuno di noi deve soffrire e morire; ma se è un membro vivo al corpo mistico di Gesù, cioè la Chiesa, il suo soffrire e morire acquista, per merito di Gesù, forza redentrice. Questo è il motivo reale per cui tutti i Santi hanno sempre desiderato di soffrire. Non si tratta di una malsana voglia di soffrire, solo il desiderio e il bisogno di sentirsi come Gesù in Gesù.

Quarta meditazione

Introduzione alle "dodici Promesse". In modo un po' veloce abbiamo rispolverato le dodici promesse fatte dal Cuore di Gesù e trasmesseci da Santa Maria Alacoque.
È bene ora soffermarci su ciascuna di esse per prendere conoscenza del valore di tali promesse e scoprire fino a qual punto di amore salvifico è arrivato Gesù, e come gli stia a cuore la nostra vita umana con la quale ci costruiamo la nostra eternità. In questo modo Egli conferma che non è per niente assente alle vicende umane, per cui chiede fede e fiducia. Solo a questa condizione ha preso l'esistenza umana; avendola vissuta tutta la sua estensione chiede a ciascuno di fidarsi di Lui ciecamente.
Il peccato del quale ci parla più frequentemente la Bibbia è il peccato di sfiducia. Il peccato di Adamo, che non si è fidato della Parola di Dio, ma ha preferito seguire la voce del diavolo, è come il riassunto preventivo di tutti i peccati del mondo! Secondo la Bibbia il peccato fondamentalmente consiste in questo: nel non fidarsi di Dio, del progetto di Dio, della parola di Dio; nel pretendere di costruirsi un progetto per conto proprio.
Il superamento del peccato avviene attraverso la fiducia nel Dio dell'amore.
Dio non può sopportare che l'uomo non si fidi di Lui; se l'uomo non si fida di Lui e del suo amore, Dio non lo può salvare e non può farlo strumento di salvezza.

Se invece, l'uomo si fida di Dio, Egli fa irruenza nella sua vita, lo prende totalmente e lo destina all'espansione del suo Regno. Per dimostrare questo riferiamoci ad alcuni brani biblici.
Il Signore ha detto ad Abramo "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò" (Gen 12,1). Abramo viveva in Ur di Caldea.
Inserito in una terra, in una civiltà, in una tradizione, in una patria, in un paese, in una parentela, in una casa ...
Era sposato con Sara, sua moglie era sterile, si era procurata un'ingente fortuna, viveva in maniera agiata. Ma ecco che Iddio, disturbatore, entra nella sua vita! "Vattene" E Abramo parte, si fida, si distacca e va. Con Abramo, che si è fidato di Dio, ha inizio la storia della salvezza; ha inizio il cammino dell'umanità verso la terra di Dio.
Dopo queste cose Dio mise alla prova Abramo e gli disse: Abramo, Abramo!" Rispose: "Eccomi" Riprese Dio: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, e va nel territorio di Moria, e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò"
(Gen 22 1,2).

Abramo si alzò di buon mattino e... conosciamo il resto. Dio non si accontenta di un amore Platonico, di un amore a parole. Mette alla prova la fiducia e l'amore dell'uomo. La prova alla quale viene sottoposto Abramo è così drastica che dà i brividi. Dio chiama Abramo per nome. È un momento stupendo ma tremendo quello nel quale Dio si rivolge direttamente a me e mi chiama per nome. Se mi rivolge direttamente a me, è segno che vuole qualcosa proprio da me. E Dio non vuole mai cose banali, vuole sempre cose radicali. A Dio che chiama per nome, Abramo risponde: "Eccomi". "Eccomi" è una parola centrale nella Bibbia, esprime l'atteggiamento fondamentale che l'uomo deve avere quando è interpellato da Dio: esprime la fiducia illimitata che l'uomo deve nutrire nei confronti di Dio! E quando Dio fa ad Abramo la sua assurda proposta, Abramo obbedisce senza dire una parola. La sua fede è gigantesca, insuperabile. La sua fiducia in Dio è così radicale che egli si fida di Dio anche quando Dio gli propone l'assurdo: "Farò di te un grande popolo" (Gen 12,2). "Prendi... il tuo unico figlio che ami e offrilo a Me in olocausto" (Gen 22,2). Conosciamo anche il resto. La fiducia merita ad Abramo la benedizione di Dio: "Perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione". (Gen. 22, 16-17).

La storia del peccato umano prende il suo inizio da un atto di sfiducia: Adamo non si fida di Dio. La storia della salvezza prende il suo inizio da un atto di totale fiducia in Dio. Passiamo a un altro personaggio: a Mosè "Ora va! Io ti mando dal faraone. Fa uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!".
(Esodo 3,10).

Mosè aveva ideato un progetto semplice, tranquillo nella sua vita. Era fuggito dalla faccia del faraone, si era formata una famiglia ma Dio, il disturbatore, fa irruzione nella vita di Mosè: "Va!" Il progetto di Dio è sempre un progetto di liberazione dell'uomo: ma per attuarli Egli ha bisogno dell'uomo che si fidi totalmente di Lui e si vendano totalmente al suo piano di salvezza. Mosè risponde: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?".
(Esodo 3,11).

Mosè non ha più la fede di Abramo, fa delle obiezioni a Dio. Ma Dio risponde: "Io sarò con te". (Esodo 3,12). In altre parole dice a Mosè: "Non conta chi tu sei. Conta chi sono io. Conta che io sia con te. Tu non discutere! Va!". Mosè, fiducioso nella parola di Dio opererà segni e prodigi, porterà gli Israeliti fuori dall'Egitto, sarà il capo indiscusso d'Israele fino alle soglie della terra promessa. Ma Dio non gli perdonerà un atto di sfiducia fatto a Meriba. Giunto alla soglia del paese di Canaan, salì sul monte Nebo e Dio gli disse: "Mira il paese di Canaan che io do in possesso agli Israeliti... ma tu non entrerai".
(Deut. 39, 49-52).

Dio è l'Amore.

Non può tollerare che l'uomo non si fidi di Lui e del suo progetto di Amore. Un altro intervento di Gesù l'abbiamo in questa dichiarazione ai suoi sacerdoti ed in loro, a tutti per quanto riguarda la necessità della sua presenza e del credere in essa per l'esito delle fatiche apostoliche: "Voglio i miei Sacerdoti più vicino a Me e solo a Me: che credano che, passando le loro ore accanto al mio tabernacolo, Io sarò con loro, Io lavorerò e cambierò i loro cuori. Fino a che essi non mi lasceranno Padrone delle loro opere, non si attendano vocazioni e santità di vita, ma agirà la mia giustizia. Non giovano alla salvezza delle anime tante opere esterne, viaggi e conferenze o tavole rotonde. Non perdano il loro coraggio, anche se le loro Chiese saranno deserte; verrà il momento che non saranno capaci di contenere i fedeli. Solo se verranno vicino a Me, io sarò con loro". Dichiarazione preziosissima che incoraggia alla fiducia ma anche della condizione perché le nostre opere abbiano esito: vivere accanto a Lui, con Lui i nostri problemi che, in realtà sono situazioni nelle quali Egli vuole agire per significare la Sua presenza efficace servendosi però di noi.
Sovente a noi sacerdoti viene di incontrare persone quanto nuove preoccupazioni di certe posizioni morali e sociali di qualche figlia o persona amica e non sanno che fare. Di fronte a situazioni simili dobbiamo ricordare, nella fede, che Iddio non ci chiede di risolverli, Lui le risolverà quando crederà opportuno, vale a dire quando vedrà la nostra fede in Lui più aperta e serena, ma fino allora Lui ci chiede preghiera, preghiera e ancora preghiera ... fatto questo ci vuole nella pace; Lui non mancherà ad agire risolvendo il caso.