Omelia
Memoria di San Leopoldo Mandic 12 maggio 2014
Fratelli e sorelle, non perdiamo altro tempo, ne abbiamo tanto poco, seguiamo l’esempio dei santi!
Cardinale Angelo Comastri
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Omelia del cardinale Angelo Comastri
Il sedici Ottobre 1983 nell’omelia della canonizzazione Giovanni Paolo II si espresse cosi: San Leopoldo non ha lasciato opere teologiche o letterarie, non ha affascinato con la sua cultura, non ha fondato opere sociali, e tutti quelli che lo conobbero dissero che egli fu un povero frate, fragile, malaticcio, la sua grandezza è altrove, nell’immolarsi, donarsi giorno dopo giorno, per tutto il tempo della sua vita, nel silenzio, nella riservatezza, nell’umiltà di una celletta confessionale, che ho visitato poco fa e mi sono commosso, in quei pochi metri quadrati sono avvenuti prodigi straordinari.
La statura di San Leopoldo, come tutti sanno non superava un metro e 35 centimetri, ma davanti a Dio la vera statura di una persona è la statura della carità. Nella carità Padre Leopoldo è stato un gigante, ed è per questo che noi lo ricordiamo con tanta ammirazione, che ci fate con gli egoisti? Cosa lasciano gli egoisti? Che segni lasciano? Un uomo pieno di amore come San Leopoldo ha lasciato una traccia profonda. Raccontano che una volta, un uomo di Padova che non si confessava da diversi anni, decise di andare a confessarsi da Padre Leopoldo, attratto della fama del Padre cappuccino. L’uomo era timoroso e confuso e possiamo immaginare la scena, ed era tentato di tornare indietro. Padre Leopoldo appena lo vide, si alzò dalla sedia e gli andò incontro con il volto sorridente e come era solito gli disse: si accomodi, si accomodi. L’uomo commosso e impacciato andò a sedersi nella sedia del confessore, Padre Leopoldo allora senza la minima esitazione, si inginocchiò per terra e in quella posizione ascoltò la confessione del penitente. Quando l’uomo alla fine si rese conto di ciò che era accaduto, si commosse profondamente e nella sua anima rimase indelebile il ricordo della bontà e dell’umiltà di quello straordinario confessore.
Le anime si conquistano cosi per attrazione, papa Francesco ha giustamente affermato: "La confessione è lo stupore di incontrare qualcuno che ti sta aspettando". Dio è colui che ti anticipa, lo stai cercando ma Lui ti cerca per primo, nella chiesa e soprattutto nei sacerdoti. Deve rendersi visibile questo straripante amore di Dio, che instancabilmente cerca le pecore smarrite, incurante dei sacrifici e dei disagi. Papa Francesco nell’osservazione apostolica Evangelii Guadium recentemente ha ricordato una densa e lucida affermazione di papa Benedetto che dice cosi: "La chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione" e che cosa attrae? Soltanto l’amore, l’amore interamente vissuto, la bontà quasi visibile, palpabile, del resto Gesù a chiare note h affermato: "Come tu Padre sei in me ed io in te, siano anche essi in noi una cosa sola, affinché il mondo creda".
Il professore Ezio Franceschini che fu rettore dell’università cattolica del Sacro Cuore e che fu anche penitente di Padre Leopoldo così lo ricorda: confessava da diedi a dodici ore al giorno, guardate che è una fatica immane, chiuso in una celletta di pochi metri quadrati, incurante della malattia, del freddo del caldo, della stanchezza di quell’interminabile succedersi di anime che venivano ai suoi piedi, con il fardello delle loro colpe, delle loro pene, dei loro bisogni. Lui veniva avanti con passi affaticati ma sempre solleciti, lungo lo stretto corridoio che portava alla cella, baciava devotamente la stola sacerdotale, si sprofondava in una specie di poltrona fino a quasi scomparirvi così piccolo com’era e ascoltava, ascoltava paziente. Faceva osservazioni quasi con l’aria di chiedere perdono, come se il peccatore fosse lui e non il penitente e nel pronunciare la formula dell’assoluzione, la sua parola improvvisamente perdeva ogni difetto e si scandiva in sillabe precise e chiare come avveniva quando nella santa messa pronunciava la formula della consacrazione.
Padre Leopoldo era ben consapevole che il peccato è la disgrazia dell’umanità, infatti quando l’uomo taglia il legame con Dio, taglia anche il legame con la gioia e con la pace, e sperimenta il vuoto e l’autopunizione dell’egoismo e dell’orgoglio. Papa Giovanni XXIII una volta disse: "non c’è bisogno di punire l’egoista, si punisce da solo, non c’è bisogno di punire un orgoglioso, si punisce da solo, non sarà mai contento. Il profeta Geremia con parole impressionanti descrive così il dinamismo punitivo del peccato, lui dice: "essi seguiranno ciò che è vuoto perché il peccato è vuoto e diventeranno anch’essi vuoti" e aggiunge con evidente senso di sofferenza: "la tua stessa malvagità che ti castiga, le tue ribellioni ti puniscono, riconosci e vedi quanto cose cattive e amaro l’aver abbandonato il Signore Dio tuo."
Padre Leopoldo tutto questo lo sapeva e per questo voleva portare tutti in paradiso secondo la felice espressione di San Francesco d’Assisi e la sua mano tesa verso i peccatori, non si stancò neppure pochi minuti prima della sua morte infatti a colui che l’assisteva nell’ultima notte dal 29 al 30 luglio 1942 e che ebbe l’ardire di chiedergli di confessarlo, Padre Leopoldo prontamente rispose "eccomi" a imitazione di Gesù, si spese per gli altri fino all’ultima briciola delle sue forze. Questa carità eroica purtroppo oggi si è rarefatta, madre Teresa un giorno disse: "la più grande disgrazia del mondo contemporaneo è questa: sta scomparendo l’amore e non si può vivere bene in questo mondo se scompare l’amore". Ma nasce spontanea la domanda: che fine ha fatto la vocazione ecumenica di San Leopoldo? Come ha risposto alla voce di Dio che, secondo le sue testuali parole, lo chiamava pregare e a promuovere il ritorno dei dissidenti orientali all’unità cattolica, va sottolineato il fatto che Padre Leopoldo ha sempre sentito nel cuore il desiderio ardente di ritornare nel suo oriente per vivere in mezzo ai suoi la passione e l’immolazione per l’unità di tutti i discepoli di Gesù. Questo desiderio lo metteva in perfetta sintonia con il cuore di Gesù, che nell’ultima cena con parole accorate chiese al Padre l’unità di tutti i suoi discepoli. Ogni cristiano, nella misura in cui è vero cristiano, non può non sintonizzarsi con questo desiderio di Gesù.
Padre Leopoldo attraversato dall’eco vivo della preghiera di Gesù il 18 giugno 1887, quando aveva 21 anni ed era studente a Padova, si sentì personalmente chiamato ad impetrare da Dio il ritorno del suo popolo all’unità della fede cattolica. Ma come? Il suo cuore sognava di potersi spendere dalla sua gente in terra di oriente, facendo carità, bontà e preghiera come semente di unità. Ma le circostanze, le condizioni di salute e di conseguenza l’obbedienza aprirono una via inattesa al compimento del voto.
Il grande pensatore ebreo Martin Buber un giorno disse: "tutto si trova dove ci si trova". Padre Leopoldo con la luce dell’umiltà lo capì e il suo oriente divennero il confessionale e l’altare e attraverso l’incontro della confessione e attraverso la celebrazione eucaristica. Il fuoco di amore cadeva nel cuore, preparava il terreno per il futuro abbraccio del suo popolo in un unico popolo di Dio e così il voto pronunciato nel lontano 1887 si realizzò pienamente. Ma come andarono le cose? Negli annali i cappuccini veneti dell’anno 1923 leggiamo: "il reverendo Padre Leopoldo da Castelnuovo nell’insegnamento e nella predicazione non riesce, essendo fortemente balbuziente, di debole costituzione, nella confessione però esercita un fascino straordinario, e questo per la sua forte cultura e per il fine intuito, specialmente per la santità della vita".
E così i superiori lo destinarono definitivamente a Padova, dovette essere un autentico terremoto interiore per Padre Leopoldo. Ma i santi fanno esplodere l’obbedienza e la trasformano in un più forte amore, infatti Padre Leopoldo più volte dichiarerà: "ogni anima che chiederà il mio ministero sarà il mio oriente". Tutto si trova dove ci si trova, basta saperlo vedere. Santa Teresa di Lisieux, che ha vissuto come Padre Leopoldo nell’angusto spazio del Carmelo, ha raccontato com’è riuscita attraverso la preghiera intrisa di amore ad uscire dal Carmelo e a realizzare l’ideale missionario che le bolliva nel cuore al punto tale che senza mai essere uscita mai dal Carmelo oggi è proclamata Patrona delle missioni.
Come è accaduto? Nel manoscritto C che scrisse pochi mesi prima della sua morte disse: alle anime semplici non occorrono mezzi complicati perché io sono tra queste. Un mattino, durante in ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per capire la mia missione.
Mi ha fatto capire queste parole del Cantico dei Cantici: attirami e correremo. E conclude Santa Teresa: a somiglianza di un torrente che si getta impetuoso nell’oceano e travolge dietro di sé tutte le cose che ha trovato al suo passaggio, così oh Gesù mio, l’anima che si sprofonda nell’oceano del tuo amore attira con sé tutti i tesori che possiede cioè le anime". Così è accaduto per Santa Teresa, così è accaduto per Padre Leopoldo. Permettetemi un’esclamazione: potessimo avere una briciola della loro fede, potessimo avere una briciola del fuoco di amore che avevano nel cuore, attorno a noi tante situazioni si scioglierebbero come neve al sole e tante anime verrebbero attratte verso il Signore insieme a noi.
Fratelli e sorelle, non perdiamo altro tempo, ne abbiamo tanto poco, seguiamo l’esempio dei santi!
(Omelia del cardinale Angelo Comastri avvenuta nel giorno della memoria di San Leopoldo Mandic il 12 maggio 2014)