Miracoli e guarigioni
Il santo Cappuccino è noto per le sue apparizioni dopo la morte hanno salvato la vita a molte persone.
Sono numerose e documentate le guarigioni istantanee di malattie seguite alle apparizioni.
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Tre grandi miracoli di San Leopoldo
A quattro anni dalla sua morte, la mano di San Leopoldo accarezza Elsa Raimondi di Rovigo la quale, in seguito ad una gravissima peritonite tubercolare, aveva pochissime speranze di vita. Elsa ricorre con i famigliari a padre Leopoldo, ed iniziano la novena. Al termine della novena, l'ammalata dice di aver veduto il frate e di avergli domandato se può nutrire speranza di guarire, il frate la rassicura. Intanto il male si aggrava, la Raimondi è oramai in cura da due anni e soffre tremendamente, nonostante l'incalzare del male, vuole essere portata, il 12 settembre, al Santuario del Pilastrello dove sono le spoglie di Mandic. Però il viaggio la indebolisce ulteriormente e i medici temono che sia oramai in pericolo di vita imminente e la fanno ricondurre a casa. Giunge a casa sfinita. Verso sera esclama: «Avete visto padre Leopoldo?». Si alza, si veste, va in cucina, si sente piena di energia, completamente sana "è miracolosamente guarita" in lei non c’è più alcuna traccia di peritonite tubercolare. Le sue preghiere sono state accolte da Padre Leopoldo.
L'agricoltore Paolo Castelli di Vizzago (Como), la mattina della domenica del 4 marzo 1962, dopo la messa, è assalito da tremendi dolori al ventre, è ricoverato in gravissime condizioni in ospedale dove gli viene diagnosticata una ulcera perforante. Lo si opera con urgenza nello stesso pomeriggio, all'ospedale di Merate, durante l’intervento si scopre che è affetto da un tumore, giunto a tal punto da non lasciare nessuna speranza. Paolo Castelli viene ricucito e collocato in camera separata. Scosso da dolori atroci, non gli resta che attendere la fine. Ma la moglie che è devota di padre Leopoldo non si arrende ed inizia la novena. Dopo quattro giorni di sofferenze, l'uomo si aggrava. La notte tra il giovedì e il venerdì pare avvicinarsi il momento della morte. In un mare di sudori e di sofferenze dice: «Muoio...muoio...». La moglie lotta: «Non puoi morire». Ma sembra tutto inutile. All'uomo la testa ricade rantolante sul petto. La moglie abbandona il corpo che tiene tra le braccia e che cade riverso; dice: «Sia fatta, Signore, la tua volontà». Incredibile in quello stesso momento, sono le ore due del venerdì mattina, l'uomo esultando esclama: «Sono guarito». L'intestino ha ripreso a funzionare e, all'indomani, ai medici non rimane che constatare l'avvenuta prodigiosa guarigione.
Casi promulgati ufficialmente con decreto pontificio del papa Paolo VI
Elisa Ponzolotto avrebbe dovuto subire l’amputazione di una gamba ma la sua fiducia nel padre francescano la portò a rifiutare l’operazione, nonostante fosse in pericolo di vita. La preghiera le ha regalato la presenza di San Leopoldo accanto al suo letto in ospedale: Elisa lo ha visto e racconta che, non appena il frate è uscito dalla sua stanza, la sua gamba si muoveva tra lo stupore generale ed era completamente guarita, anche a giudizio dei medici.
Padre Sebastiano da Carrè, di anni 56, cappuccino, nel convento di Bassano del Grappa. Soffriva di una forma suppurativa cronica all'orecchio destro da 15 anni, con otalgie, cefalee, ipoacusia (cioè sordità) e ricorrenti vertigini. Nel 1929 era già stato operato dal prof. Rodighero di un polipo nell’orecchio, ma la secrezione purulenta non era mai cessata, le probabilità di guarigione era scarse se non nulle, allora padre Sebastiano decise il 13 gennaio 1946 di iniziare con i confratelli una novena a padre Leopoldo per ottenere la guarigione, contestualmente applicò sull’orecchio sofferente una reliquia del Santo. Al terzo giorno della novena, poco dopo la mezzanotte, padre Sebastiano vide uscire dall’orecchio malato un abbondantissimo scolo purulento che durò qualche ora, tanto da macchiare notevolmente il guanciale e la biancheria. Al mattino la febbre era cessata così come lo scolo purulento e la cefalea. Era stato prodigiosamente guarito, non solo no sentiva più alcun male ma aveva anche recuperato perfettamente l’udito dalla visita specialistica del prof. Enrico Rubatelli specialista di otorinolaringoiatra nonché Primario all'Ospedale civile di Rovigo.
Teresa Pezzo di Valdiporro, ora missionaria del Sacro Cuore di Verona; è la notte tra il martedì 10 e il mercoledì 11 dicembre 1946. La ragazza è gravemente ammalata di fegato; operata, trovandosi a Bovolone presso lo zio arciprete, è ripresa da dolori fortissimi, febbre a quaranta gradi, vomito. Il medico attesta la gravità del caso. Essa inizia la novena a Leopoldo ed applica sopra il fegato una reliquia. Tra il martedì e il mercoledì la stanza, già tutta buia, sembra illuminarsi a giorno. La ragazza si sveglia e vede padre Leopoldo, il frate gli dà la benedizione, immediatamente la ragazza è guarita: Non ha più dolori al fegato, è scomparso il gonfiore, i dolori alla gamba e al braccio, la febbre è scomparsa.
Stefano Sguotti di Terrassa Padovana è ancora un bambino, quando il 2 ottobre 1949 cade dal carro che trasporta un pesante carico di barbabietole e ne è travolto. Tra lo stupore dei presenti ne esce illeso ma il suo racconto è straordinario. Dice: «Sono andato sotto il carro insieme a padre Leopoldo. Né io né lui ci siamo fatti del male. Le ruote sono prima passate su di lui e poi su di me». Il carro pesava una decina di quintali. Quale prodigio.
Giancarlo Rampado di Loreggia un bimbo di sei anni ha il ventre semispappolato da una ruota del trattore agricolo. Trasportato all'ospedale gravissimo i medici vista la gravità decino che possono solamente sostenergli il cuore. Giancarlo passa la notte in coma, i genitori raccomandano il figlio a San Leopoldo, incredibilmente al mattino racconta che un fraticello gli è venuto vicino e gli ha detto: «Alzati, ché non hai niente». Infatti è perfettamente guarito. Portato in seguito al convento padovano di Santa Croce, dopo avere visto l'immagine di Leopoldo esclama: «È lui il fratino di quella notte». L'attestazione è stata resa dal padre, Arcangelo Rampado, il 20 marzo 1969.
Luciano Carli di Puos d'Alpago, un bimbo dieci anni, da tre anni soffre di sinovite nera che lo costringe all’immobilità. Al bambino è stata insegnata la devozione a padre Leopoldo, la cui immagine è presso il suo letto. Il piccolo spesso dice, rivolto all'immagine: «Nonno, fammi guarire». Il 20 giugno 1959 il bimbo esclama: "Mamma, il nonno ha detto che mi farà guarire", e riferisce di una cura molto elementare suggeritagli dal «nonno», che afferma di avere veduto. Dopo otto giorni di questa cura, la sinovite scompare.
Bertilla Morini di Verona nasce con una malformazione mandibolare in effetti le manca l'osso della mandibola destra. La faccia le cresce deformata, bisognerà attendere diversi anni perché si possa procedere a un trapianto. La madre, affranta, ricorre a padre Leopoldo. Una sera, mentre recita la novena, le sembra di vedere il frate. Questi, anzi, le prende con dolcezza le mani e dice: «Sta' tranquilla. Non badare ai medici. A Bertilla penso io». Alla piccola presto incredibilmente le ricresce l'osso mancante e il volto diventa normale.
Nel Febbraio 1982 Fiorella di 21 anni, giace su un lettino in attesa della trasfusione di sangue cui è periodicamente soggetta. Soffre per una anemia plastica congenita che la condanna alla inesorabile trasfusione di sangue ogni tre settimane. In quel triste giorno Fiorella piange il medico non riesce a individuare la vena, la vita della ragazza è in pericolo e vive nell'incubo dell'appuntamento all'Ospedale e nell'incertezza della propria sopravvivenza. Mentre il medico continua a cercare con l'ago la vena Fiorella vede il fondo della stanza illuminarsi di una luce calda, solare, estiva, e vede in capo al letto, un fraticello con la barba bianca vestito con l’abito cappuccini. Il frate guarda la ragazza con sguardo affettuoso. In quel momento il medico individua la vena e opera la trasfusione: Fiorella è salva.
Avere un patrono presso Dio significa che l’uomo nella sua fragilità ha comunque una grande possibilità di sentirsi sostenuto, anche da un intervento che viene da Dio, significa aprire una finestra di speranza là dove noi e le nostre forze non possono arrivare. Dove noi dobbiamo constatare il nostro limite, per Dio c’è ancora possibilità e questa è un’esperienza che arricchisce la nostra umanità.
Affidarsi al santo confessore è in qualche modo cogliere la vicinanza di Dio all’uomo in quello spazio di mistero e sapere che c’è “qualcuno” a cui affidare pensieri, paure e dolore ed è un segno che la santità parla ancora all’uomo è avere la percezione ella vicinanza di Dio, una vicinanza ai più fragili.