Canonizzazione


Omelia Paolo VI

Santi

La canonizzazione di Charbel Makhlouf
richiese il riconoscimento di un terzo miracolo. Questo evento miracoloso fu rappresentato dalla guarigione di Mariam Assaf Awad, una donna che, dopo aver invocato San Charbel durante una grave malattia, si trovò miracolosamente libera da un tumore.

La Consulta Medica e i membri della Congregazione delle Cause dei Santi esaminarono il caso e confermarono l'autenticità dell'evento miracoloso.

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Canonizzazione di Charbel Markhluf

Omelia di Papa Paolo VI durante una celebrazione nella Basilica di San Pietro
Domenica 9 ottobre 1977


Venerati Fratelli e cari Figli,

Tutta la Chiesa, dall'Oriente all'Occidente, è invitata oggi ad una grande gioia. Il nostro cuore si rivolge al Cielo, dove ora sappiamo con certezza che san Charbel Makhlouf è associato alla felicità incommensurabile dei Santi, nella luce di Cristo, che loda e intercede per noi. I nostri occhi sono rivolti anche al luogo in cui ha vissuto, verso la cara Patria del Libano, i cui rappresentanti Siamo lieti di salutare: Sua Beatitudine il Patriarca Antoine Pierre Khoraiche, con molti dei suoi Fratelli e dei suoi Figli maroniti, i rappresentanti di altri riti cattolici e ortodossi , e, sul piano civile, la Delegazione del Governo e del Parlamento libanese che ringraziamo di cuore.

Il vostro Paese, cari Amici, era già stato accolto con ammirazione dai poeti biblici, impressionati dal vigore dei cedri, divenuti simboli della vita dei giusti. Gesù stesso è venuto lì per premiare la fede di una donna sirofenicia: primizia di salvezza destinata a tutte le nazioni. E questo Libano, luogo di incontro tra Oriente e Occidente, è infatti diventato la patria di diversi popoli, che sono rimasti coraggiosamente aggrappati alla propria terra e alle proprie fertili tradizioni religiose. Il tumulto degli ultimi avvenimenti ha creato rughe profonde sul suo volto e getta un'ombra grave sui sentieri della pace. Ma voi conoscete la nostra costante simpatia e il nostro affetto: con voi conserviamo la ferma speranza di una rinnovata collaborazione, tra tutti i figli del Libano.

E oggi veneriamo insieme un figlio di cui tutto il Libano, e soprattutto la Chiesa maronita, può essere fiero: Charbel Makhlouf. Un figlio singolarissimo, un paradossale artigiano della pace, poiché la cercava lontano dal mondo, in Dio solo, dal quale era come ebbro. Ma la sua lampada, accesa in cima al monte del suo eremo, nel secolo scorso, brillò con sempre maggiore splendore, e attorno alla sua santità crebbe presto l'unanimità. Già lo avevamo onorato dichiarandolo beato il 5 dicembre 1965, al termine del Concilio Vaticano II. Oggi, canonizzandolo ed estendendo il suo culto a tutta la Chiesa, doniamo come esempio al mondo intero questo valoroso monaco, gloria dell'ordine maronita libanese e degno rappresentante delle Chiese d'Oriente e della loro alta tradizione monastica.

Non è necessario ripercorrere nei dettagli la sua biografia, che anzi è molto semplice. È almeno importante notare fino a che punto l'ambiente cristiano della sua infanzia radicò il giovane Youssef nella fede - questo era il suo nome di battesimo - e lo preparò alla sua vocazione: una famiglia di contadini modesti, laboriosi e uniti; animato da una fede robusta, familiare con la preghiera liturgica del paese e la devozione a Maria; zii dediti alla vita eremitica, e soprattutto una madre ammirevole, pia e mortificata fino al digiuno continuo. Ascoltate le parole riportate da lei dopo la separazione dal figlio: «Se tu non fossi una buona religiosa, ti direi: Torna a casa. Ma ora so che il Signore ti vuole al suo servizio. E nel dolore di separarmi da te, gli dissi rassegnato: Ti benedica, figlio mio, e ti faccia santo” (P. PAUL DAHER, Charbel, un uomo ebbro di Dio , Monastero S. Maron d 'Annaya, Jbail Libano, 1965, p. Le virtù della famiglia e l'esempio dei genitori costituiscono sempre un ambiente privilegiato per la fioritura delle vocazioni.

Ma la vocazione comporta sempre anche una decisione personalissima del candidato, dove l'irresistibile richiamo della grazia si unisce al suo tenace desiderio di farsi santo: “Lascia tutto, vieni! Seguimi!” ( Ibid . p. 52; cfr. Mc . 10, 32). All'età di ventitré anni, il nostro futuro santo lasciò il suo villaggio di Géga-Kafra e la sua famiglia, per non tornarvi mai più. Poi, per il novizio divenuto Fratel Charbel, inizia una rigorosa formazione monastica, secondo la regola dell'ordine libanese maronita di Sant'Antonio, presso il monastero di Notre-Dame de Mayfouk, poi in quello più appartato di Saint-Maron d' Annaya, dopo la professione solenne, seguì gli studi teologici a Saint-Cyprien de Kfifane, ricevendo l'ordinazione sacerdotale nel 1859; condurrà poi sedici anni di vita comunitaria tra i monaci di Annaya e ventitré anni di vita completamente solitaria nell'eremo dei Santi Pietro e Paolo dipendente da Annaya. Fu lì che consegnò la sua anima a Dio la vigilia di Natale del 1898, all'età di settant'anni.

Cosa rappresenta una vita simile? La pratica diligente, spinta all'estremo, dei tre voti religiosi, vissuta nel silenzio monastico e nell'abnegazione: innanzitutto la più severa povertà in termini di alloggio, vestiario, unico e frugale pasto quotidiano, duro lavoro manuale nel rigido clima montano; una castità che circonda di leggendaria intransigenza; infine e soprattutto l'obbedienza totale ai Superiori e anche ai colleghi, anche alle prescrizioni degli eremiti, segno della sua completa sottomissione a Dio. Ma la chiave di questa vita apparentemente strana è la ricerca della santità, cioè la più perfetta conformità a Cristo umile e povero, il dialogo quasi ininterrotto con il Signore, la partecipazione personale al sacrificio di Cristo attraverso una fervida celebrazione della Messa e dalla sua rigorosa penitenza unita all'intercessione per i peccatori. Insomma, l'incessante ricerca di Dio solo, caratteristica della vita monastica, accentuata dalla solitudine della vita eremitica.

Questa enumerazione, che gli agiografi possono illustrare con numerosi fatti concreti, dà il volto di una santità molto austera, non è vero? Soffermiamoci su questo paradosso che lascia il mondo moderno perplesso, perfino irritato; riconosciamo ancora in un uomo come Charbel Makhlouf un eroismo senza pari, davanti al quale ci inchiniamo, conservando soprattutto la sua fermezza sopra la norma. Ma non è forse “stoltezza agli occhi degli uomini”, come già si esprimeva l’autore del libro della Sapienza? Anche i cristiani si chiederanno: ha davvero esigito una tale rinuncia Cristo, la cui vita accogliente contrastava con l'austerità di Giovanni Battista? Peggio ancora, certi fautori dell’umanesimo moderno non arriveranno, in nome della psicologia, a sospettare questa intransigente austerità del disprezzo, abusivo e traumatico, dei valori sani del corpo e dell’amore, delle relazioni amichevoli, libertà creativa, vita in una parola?

Ragionare così, nel caso di Charbel Makhlouf e di tanti suoi confratelli monaci o anacoreti fin dagli inizi della Chiesa, significa dimostrare una grave incomprensione, come se si trattasse solo di una prestazione umana; è mostrare una certa miopia di fronte ad una realtà altrimenti profonda. Certamente l'equilibrio umano non è da disprezzare, e in ogni caso i Superiori e la Chiesa devono garantire la prudenza e l'autenticità di tali esperienze. Ma la prudenza e l’equilibrio umani non sono nozioni statiche, limitate agli elementi psicologici più comuni o alle sole risorse umane. È innanzitutto da dimenticare che Cristo stesso ha espresso richieste così brusche per coloro che vorrebbero essere suoi discepoli: “Seguimi. . . e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» ( Lc 9,59-60). «Se qualcuno viene a me senza anteporre me a suo padre, a sua madre, a sua moglie, ai suoi figli, ai suoi fratelli, alle sue sorelle e perfino alla propria vita, non può essere mio discepolo» ( Ibid . 14, 26). È anche dimenticare, nello spirituale, la potenza dell'anima, per la quale questa austerità è anzitutto un semplice mezzo, è dimenticare l'amore di Dio che la ispira, l'Assoluto che l'attrae; è ignorare la grazia di Cristo che la sostiene e la rende partecipe del dinamismo della propria Vita. Si tratta, in definitiva, di ignorare le risorse della vita spirituale, capaci di raggiungere una profondità, una vitalità, una padronanza dell'essere, un equilibrio tanto più grandi perché non cercate per se stesse: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e la il riposo vi sarà dato in aggiunta» ( Mt 6, 32).

E infatti chi non ammirerebbe, in Charbel Makhlouf, gli aspetti positivi che l'austerità, la mortificazione, l'obbedienza, la castità, la solitudine hanno reso possibili a un livello raramente raggiunto? Pensate alla sua sovrana libertà di fronte alle difficoltà o alle passioni di ogni genere, alla qualità della sua vita interiore, all'elevazione della sua preghiera, al suo spirito di adorazione manifestato nel cuore della natura e soprattutto alla presenza del Santo Sacramento, alla sua tenerezza filiale verso la Vergine, e a tutte queste meraviglie promesse nelle beatitudini e realizzate letteralmente nel nostro santo: mitezza, umiltà, misericordia, pace, gioia, partecipazione, da questa vita, alla forza di guarigione e di conversione di Cristo. Insomma, l'austerità, per lui, lo metteva sulla via della perfetta serenità, della vera felicità; ha lasciato ampio spazio allo Spirito Santo.

E, cosa sorprendente, il popolo di Dio non si sbagliava. Fin dalla vita di Charbel Makhlouf irradiava la sua santità, i suoi connazionali, cristiani e non, lo veneravano, affluindo a lui come medico delle anime e dei corpi. E dalla sua morte, la luce ha brillato ancora di più sopra la sua tomba: quante persone, in cerca di progresso spirituale, o allontanate da Dio, o in preda all'angoscia, continuano a lasciarsi affascinare da quest'uomo di Dio, pregandolo con fervore , mentre tanti altri, cosiddetti apostoli, non hanno lasciato traccia, come quelli di cui parla la Scrittura ( Sap . 5, 10; Epistola ad Missam ).

Sì, il tipo di santità praticata da Charbel Makhlouf ha un grande peso, non solo per la gloria di Dio, ma per la vitalità della Chiesa. Certamente, nell'unico Corpo mistico di Cristo, come dice San Paolo (cfr Rm 12,4-8), i carismi sono numerosi e diversi; corrispondono a funzioni diverse, che hanno ciascuna il loro posto essenziale. Abbiamo bisogno di Pastori, che radunino il popolo di Dio e lo presiedano con sapienza nel nome di Cristo. Abbiamo bisogno di teologi che scrutino la dottrina e di un Magistero che la vigili. Abbiamo bisogno di evangelizzatori e missionari che portino la parola di Dio su tutte le strade del mondo. Abbiamo bisogno di catechisti che siano sapienti maestri e pedagoghi della fede: questo è lo scopo dell'attuale Sinodo. Abbiamo bisogno di persone che si dedichino direttamente ad aiutare i loro fratelli. . . Ma abbiamo bisogno anche di persone che si offrano vittime per la salvezza del mondo, in una penitenza liberamente accettata, in un'incessante preghiera di intercessione, come Mosè sul monte, in una ricerca appassionata dell'Assoluto, testimoniando che Dio è degno di adorazione e di amare per se stesso. Lo stile di vita di questi religiosi, di questi monaci, di questi eremiti non si offre a tutti come un carisma imitabile; ma allo stato puro, in modo radicale, incarnano uno spirito dal quale nessun credente in Cristo è esente, esercitano una funzione di cui la Chiesa non può fare a meno, richiamano un cammino salutare per tutti.

Ci permettiamo, in chiusura, di sottolineare l'interesse particolare della vocazione eremitica oggi. Sembra anche che si stia assistendo ad una certa ripresa di favore che non si spiega solo con la decadenza della società, né con i vincoli che essa impone. Può assumere anche forme adattate, purché sia ​​sempre condotta con discernimento e obbedienza.

Questa testimonianza, lungi dall'essere una sopravvivenza di un passato passato, appare molto importante per noi, per il nostro mondo, come per la nostra Chiesa.

Benediciamo il Signore per averci donato san Charbel Makhlouf, per ravvivare la forza della sua Chiesa, attraverso il suo esempio e la sua preghiera. Possa il nuovo santo continuare a esercitare la sua prodigiosa influenza, non solo in Libano, ma in Oriente e in tutta la Chiesa! Interceda Egli per noi, poveri peccatori, che troppo spesso non osiamo rischiare l'esperienza delle beatitudini che tuttavia conducono alla gioia perfetta! Interceda egli per i suoi fratelli dell'ordine libanese maronita, e per l'intera Chiesa maronita, di ciascuno dei quali conosce i meriti e le prove! Interceda egli per il caro Paese del Libano, lo aiuti a superare le difficoltà del giorno, a sanare le ferite ancora aperte, a camminare nella speranza! Che lo sostenga e lo guidi sulla retta e retta via, come canteremo più avanti! Possa la sua luce risplendere sopra Annaya, unendo gli uomini in armonia e attirandoli verso Dio, che ora contempla nella beatitudine eterna! Amen!

Il Papa cosi prosegue in lingua italiana. Sia lode alla Santissima Trinità, che ci ha dato la gioia di proclamare Santo il monaco libanese Charbel Makhlouf, a conferma della perenne, inesausta santità della Chiesa.

Lo spirito della vocazione eremitica che si manifesta nel nuovo Santo, lungi dall’appartenere ad un tempo ormai passato, ci appare molto importante, per il nostro mondo, come per la vita della Chiesa. La vita sociale di oggi è spesso contrassegnata dall’esuberanza, dall’eccitazione, dalla ricerca insaziabile del conforto e del piacere, unita ad una crescente debolezza della volontà: essa non riacquisterà il suo equilibrio se non con un accrescimento del dominio di sé, di ascesi, di povertà, di pace, di semplicità, di interiorità, di silenzio (Cfr. Paolo VI, Discorso ai Monaci di Monte Cassino, del 24 ottobre 1964: AAS 56 (1964) 987). La vita eremitica gliene insegna l’esempio ed il gusto. E nella Chiesa, come pensare di superare la mediocrità e realizzare un autentico rinnovamento spirituale, non contando che sulle nostre forze, senza sviluppare una sete di santità personale, senza esercitare le virtù nascoste, senza riconoscere il valore insostituibile e la fecondità della mortificazione, dell’umiltà, della preghiera? Per salvare il mondo, per conquistarlo spiritualmente, è necessario, come vuole Cristo, essere nel mondo, ma non appartenere a tutto ciò che nel mondo allontana da Dio (Cfr. SALVATORE GAROFALO, Il profumo del Libano, San Sciarbel Makhluf, Roma 1977, p. 216).
L’eremita di Annaya ce lo ricorda oggi con una forza incomparabile..

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