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 Creato in laboratorio embrione da tre genitori

 Una molecola per la cura del cancro

 Trapianto di cellule staminali

 Un altro passo contro la distrofia

 Citocromo C Ossidasi

 Trial clinico fai da te

 Scoperta la causa del tumore alla tiroid

 La rivoluzione delle staminali, le cellule adulte tornano embrionali.

 Dendriti e proteina Elk-1

 Staminali totipotenti  nel liquido ammiotico

 Nuove mutazioni genetiche mitocondriali

 Richiesta farmaco contro la SLA

 Informazioni IGF-1

 Sla famigliare e mitocondri

 Una proteina potrebbe riparare le cellule nervose

 Una proteina che protegge dall'apoptosi

 Nuove scoperte sull'apoptosi

 Una disfunzione mitocondriale all'origine del morbo di Parkonson

 Scoperto un nuovo gene responsabile della riduzione del DNA mitocondriale

 L'eritroproteina efficace contro le neuropatie periferiche

 Polinsaturi

 I mitocondri sono i sensori dell'ossigeno

 Disfunzioni mitocondriali e apoptosi in un modello murino privo di collagene VI

 Adattamento all'ipossia nelle cellule

 La DNA polimerasi gamma sindrome di Alpers

 Parkinson e mitocondri

 Alla ricerca delle cellule "riparatrici"

 Premio René Descartes 2004

 Malattie degenerative

 EUMITOCOMBAT

 EMCELL cellule staminali embrionali

 Una molecola naturale la proteina KDI

 Le mutazioni che causano apoptosi contribuiscono al processo di invecchiamento

 Clonazione di un embrione umano

 Ruolo patogenetico delle mutazioni del gene OPA1 nella neuropatia ottica a.d.

 Bloccando un gene si vivrà 25 anni in più

 Medicina: Fatica cronica? dipende da iperlavoro geni nel sangue

 Un ricostituente dei neuroni

 Paraplegia: miracolo cinese

 Usa: moltiplicate per la prima volta cellule staminali cerebrali

 Stress ossidativo

 Staminali: lincei, si' a uso embrioni abbandonati

 Gene Pus1

 Una proteina aiuta topi con Alzheimer a recuperare la memoria

 Importante scoperta scientifica, trovata una nuova causa di miopatia mitocondriale

 Disturbi metabolici associati a mutazioni mitocondriali

 Gene ethe1

 Malattia del motoneurone

 Come le staminali si trasformano in neuroni

 L'autismo

 La tolleranza alla Nitroglicerina

 Diabete di tipo 2

 Cardiotossicità da antracicline

 2004: un anno importante di scelte politiche

 Ricavate dal muscolo cellule staminali «curatrici»

 Cellule adulte cambiano identità

 Disturbo Bipolare

 Inibitori della deformilasi

 un meccanismo molecolare neurodegenerativo

 mentre onu dibatte, parte clonazione terapeutica /ansa

 corea di huntington - disfunzione dei mitocondri

 coenzima q10 nel parkinson

 emilia romagna potenzia assistenza ai disabili gravi

 nuova scoperta sul suicidio cellulare

 in veneto gratuiti farmaci per malattie rare neurologiche

 sanità: accordo triveneto per cura malattie rare

 anomalie del dna mitocondriale sono associate a disordini dello spettro autistico ù

 tossicità mitocondriale

 eziopatogenesi molecolare delle encefalomiopatie mitocondriali

 ricercatore usa: «non abbiamo alterato i geniù

 neanderthal e homo sapiens non sono parenti

 italiani scoprono radicali liberi buoni

 miopatia metabolica con insufficienza di carnitina

 principi di genetica mitocondriale

 novità sui mitocondri

 acido lattico plasmatico

 carnitinemia

 nuova scoperta scientifica

 identificato il gene della paraplegia spastica

 paraplegia spastica

 central core e minicore

 paraplegia spastica ereditaria, una mitocondriopatia

 studio staminali

 morbo di gehrig

 parkinson - italiani scoprono il gene responsabile

 per distrofia una speranza non nuova cura

 diabete scoperto il ruolo dei mitocondri

 difetto mitocondriale ereditato dal padre

 l'allarme delle cellule morenti per aiutare l'organismo a salvarsi

 ictus, proteina naturale ripara i danni

 sull’alzheimer familiari italiani più abbandonati

 staminali trasformate in neuroni

 scoperti bimbi geneticamente modificati

 staminali, sì australiano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Londra, creato in laboratorio embrione da tre genitori

di ALESSIA MANFREDI

 

 

Un embrione umano, nato da tre genitori. L'annuncio shock della sua creazione in laboratorio è stato dato da un'équipe britannica dell'Università di Newcastle, che spera in questo modo di ottenere cure efficaci per una serie di gravi malattie ereditarie.
L'embrione è stato ottenuto con la fecondazione in vitro, usando Dna da un uomo e due donne. L'idea è che si possa così evitare che le donne con difetti nel Dna
mitocondriale - che possono portare a forme di epilessia, disturbi muscolari e dello sviluppo - passino la malattia ai figli.
I
mitocondri, infatti, sono piccoli organi che forniscono energia alle cellule. Se per anomalie genetiche non funzionano correttamente, non riescono a consumare completamente cibo e ossigeno, creando pericolosi accumuli tossici responsabili di oltre 40 malattie, che portano disabilità e anche alla morte. Malattie che si potrebbero evitare se gli embrioni a rischio ricevessero un trapianto mitocondriale.
La tecnica, hanno spiegato gli scienziati ad un convegno medico a Londra, prevede la fecondazione in vitro e la rimozione successiva del nucleo della cellula uovo. Il nucleo viene poi inserito nella cellula uovo di una donatrice, il cui Dna è stato rimosso. Il feto che ne risulta eredita il Dna nucleare da entrambi i genitori e quello
mitocondriale da una terza persona.
La tecnica finora è stata sperimentata solo in laboratorio, usando 10 embrioni con gravi anomalie rimasti inutilizzati per i trattamenti tradizionali di fecondazione; quelli creati sono stati distrutti dopo sei giorni.
"Esperimenti simili sono stati fatti anche in Italia" commenta il genetista Bruno Dalla Piccola "per ringiovanire, ad esempio, le cellule uovo di donne anziane, ma quello delle malattie
mitocondriali è un campo complesso. La prova del nove sarebbe vedere se al momento della nascita si può dimostrare che i mitocondri
sono effettivamente del terzo partner", conclude.
Gli scienziati di Newcastle hanno chiarito che un bambino che dovesse nascere usando questa tecnica avrebbe elementi genetici di tre diverse persone, ma che il Dna nucleare, che regola l'aspetto fisico e altre caratteristiche chiave, non verrebbe dalla cellula uovo del terzo donatore.
La loro è una motivazione terapeutica: "in linea di principio siamo convinti di poter sviluppare questa tecnica e offrire una cura in un futuro prossimo per poter dare alle famiglie la speranza di non trasmettere ai figli la malattia", spiega a Bbc il dottor Patrick Chinnery, membro dell'équipe. "Dal punto di vista teorico può funzionare" conferma il professor Dalla Piccola, che però avverte: "dal punto di vista pratico mi lascia maggiormente perplesso. Ogni estremizzazione rischia di diventare accanimento riproduttivo".
Senza contare le questioni di tipo etico destinate ad aprirsi dopo l'annuncio. E in Gran Bretagna i gruppi in difesa della vita, come il Comment on Reproductive Ethics, hanno già bollato l'esperimento come "pericoloso e rischioso: un passo in avanti verso la creazione di bambini su misura".

(
5 febbraio 2008
http://www.repubblica.it )

 

 


 

 

  

03/05/2007

Una molecola già nota diventa oggi una candidata per la cura del cancro

 

Il dicloroacetato (DCA), una molecola usata da tempo nella cura di alcune rare malattie metaboliche nei bambini, potrebbe favorire la morte delle cellule tumorali. La scoperta, pubblicata su Cancer Cell, è opera di un gruppo di scienziati canadesi della University of Alberta.

Il cancro è in grado di alterare il normale processo di morte programmata delle cellule. E molte ricerche hanno tentato di comprendere attraverso quali meccanismi ciò avvenga per poterne arrestare il processo.

DCA agisce sui mitocondri, gli organuli cellulari deputati alla produzione di energia attraverso la respirazione. Secondo Evangelos Michelakis, che ha coordinato il progetto, sarebbero proprio i mitocondri ad avere un ruolo nello sviluppo e nella sopravvivenza dei tumori, in quanto la loro funzione è alterata nelle cellule malate. DCA sarebbe in grado di ripristinare la loro attività. Negli studi di laboratorio, infatti, DCA ha soppresso la crescita della massa tumorale, senza danni per le cellule sane. Una delle cose più interessanti è che, poiché tutti i tipi di tumore sopprimono l'attività mitocondriale, la molecola potrebbe potenzialmente agire su molte forme di cancro, anche se per dimostrare questo saranno necessari ulteriori studi in merito.

 

 

21/06/2001

Cancro: atttenzione all'abuso vitamine e antiossidanti

 

Attenzione ad assumere in maniera indiscriminata agenti antiossidanti come vitamina C ed E. Mentre infatti possono essere importanti nella prevenzione del cancro, paradossalmente possono favorire la crescita delle cellule tumorali eliminando gli ossidanti 'buoni', i radicali liberi presenti a livello mitocondriale, che invece accelerano il suicidio delle cellule maligne.

Sono le conclusioni di uno studio realizzato dall'Istituto di Patologia Generale dell'Università Cattolica e presentate al corso di aggiornamento internazionale ''Redox signaling in proliferative disorders'' svoltosi nei giorni scorsi a Roma nella sede della stessa università.

I ricercatori guidati dal prof. Tommaso Galeotti hanno individuato due tipi di radicali liberi. ''Se provengono dal citoplasma della cellula - ha spiegato Galeotti - sono responsabili di segnali che svolgono un'azione procancerogena, quindi sono 'cattivi', ledono il DNA o sospingono la moltiplicazione delle cellule cancerose e la formazione di nuovi vasi che le nutrono; se viceversa provengono dai mitocondri, sono anticancerogeni, 'buoni', e provocano la morte delle cellule tumorali.

Poche sostanze in natura godono di una pessima fama come i radicali dell'ossigeno - ha aggiunto Galeotti - tali composti, estremamente instabili ed evanescenti, presentano, infatti, una eccezionale capacità di attaccare i costituenti delle cellule viventi e sono stati da tempo chiamati in causa come agenti responsabili dell'invecchiamento e di malattie importanti come il cancro, l'aterosclerosi o il morbo di Alzheimer. I nostri studi suggeriscono, tuttavia che, almeno in alcune circostanze, tali molecole killer possano giocare un ruolo benefico per il nostro organismo, rappresentando una importante linea di difesa contro lo sviluppo e la moltiplicazione delle cellule tumorali, oltre che un componente determinante del meccanismo di azione dei farmaci antitumorali oggi più usati''.

Gli studi di laboratorio condotti alla Cattolica suggeriscono, pertanto, di ''evitare l'uso indiscriminato di agenti antiossidanti'' e stimolano la messa a punto di farmaci ''che siano capaci di distinguere tra radicali 'cattivi' e radicali 'buoni', questi ultimi necessari per combattere il cancro'.

 

 

 fonte: fhttp://www.saluteeuropa.it/

 


 

 

 

A UN PASSO DAL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI ADULTE

 

La fondazione cellule staminali di Terni nel giro di pochi mesi, e dopo aver avuto la necessaria certificazione, trapianterà in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica cellule moltiplicate in laboratorio. La ricerca è stata finanziata per l'80 per cento dal vescovo di Terni.

Manca solo la certificazione, poi potrà partire la prima sperimentazione clinica sui malati di sclerosi laterale amiotrofica di cellule staminali adulete coltivate in Italia. 

La ricerca porta la firma della Fondazione cellule staminali di Terni ed è stata presentata a Roma in un convego che si è tenuto presso l' Istituto Superiore di Sanità.

"Le cellule prelevate da feti abortiti spontaneamentee moltiplicate in laboratorio sono pronte per il trapianto. Appena sarà arrivata la certificazione definiremo il protocollo clinico di ricerca" ha detto Angelo Vescovi, dell'Università Bicocca di Milano, direttore della Banca di cellule staminali celebrali di Terni  e direttore del progetto. Vescovi ha poi precisato che l'obiettivo è abbastanza ravvicinato perché per la certificazione è questione di pochi mesi. 

Soddisfatto per l'esito della ricerca anche mons. Vincenzo Paglia:"Abbiamo fatto un'enorme fatica per trovare fondi privati per la ricerca sulle cellule staminali adulte, ma ora siamo ripagati da un risultato che supera le divisioni nate intorno al dibattito sulle cellule staminali embrionali", ha affermato il vescovo di Terni che poi ha aggiunto:"Sarebbe enormemente sbagliato finanziare una ricerca che non pone problemi etici".

Il progetto sulle staminali adulte portato avanti dalla Fondazione ternana, oltre al suo valore scientifico,  ha assunto anche un significato simbolico perché è stato finanziato per l'80 per cento dalla Conferenza Episcopale Italiana.

I test potranno essere effettuati in Italia se il via libera arriverà dalle autorità regolatorie europee o negli Stati Uniti se il placet giungerà in anticipo dall'altra parte dell'oceano.

"Il progetto è inoltre coerente con la missione dell'Istituto Superiore di Sanità, che consiste nel promuovere la ricerca e nel trasferirla alla clinica", ha poi concluso Enrico Garaci, presidente dell'ISS.

 


 

Un altro passo contro la distrofia

Un farmaco già efficace nel modello animale funziona anche su cellule umane

Il trattamento di cellule di pazienti affetti da distrofia muscolare congenita di Ullrich con un farmaco già in uso per altri scopi ripara il guasto che scatena la malattia, proprio come era successo nel modello animale. Si tratta della ciclosporina A e soprattutto di un suo analogo che, diversamente dalla ciclosporina, non dà effetti di immunosoppressione. Può così partire il trial clinico con ciclosporina A su bambini affetti dalla malattia con difetti nel gene per il collagene VI, una proteina che normalmente riveste le fibre muscolari formando una sorta di ragnatela e che manca nei malati.

Il risultato, finanziato in larga parte da Telethon e pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences* (PNAS), è opera del gruppo coordinato dai professori Paolo Bernardi del Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali dell’Università di Padova e dell’Istituto di Neuroscienze del CNR, e Paolo Bonaldo del Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche dell’Università di Padova.
Allo studio hanno partecipato anche altri ricercatori finanziati da Telethon: Alessandra Ferlini e Luciano Merlini del Dipartimento di Medicina Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Ferrara, Nadir Maraldi degli Istituti Ortopedici Rizzoli, Università di Bologna.

Sono state coltivate in laboratorio cellule provenienti da biopsie muscolari di 5 pazienti dalle diverse manifestazioni cliniche della distrofia congenita di Ullrich, poiché portatori di diversi difetti genetici tutti a carico del gene per il collagene VI. Dagli studi è emerso che il meccanismo alla base della malattia è uguale a quello identificato dagli stessi ricercatori tre anni fa nel modello animale che mimava la distrofia di Ullrich e la miopatia di Bethlem. Il guasto risiede nei mitocondri, le “centrali energetiche” delle cellule, che Bernardi e collaboratori studiano da molti anni. Si tratta di un “corto circuito” dovuto all’apertura di un canale mitocondriale. Ma non basta: i ricercatori avevano curato le lesioni ai muscoli dei topolini, impedendo la morte delle fibre muscolari, con ciclosporina A.

Anche nell’uomo l’assenza del collagene VI manda un segnale di corto circuito ai mitocondri che cominciano a bruciare energia anziché produrne, danneggiando le fibre muscolari.
La somministrazione alle cellule dei pazienti di farmaci in grado di chiudere il corto circuito, cura le lesioni e ne impedisce la morte. Sulla base di questi risultati, è stato autorizzato il trial clinico con ciclosporina A in uno studio pilota su un gruppo di bambini affetti dalla distrofia muscolare congenita di Ullrich con difetti nel gene per il collagene VI, che inizierà a giorni sotto la direzione di Luciano Merlini. “Lo studio dimostra in modo brillante che la comprensione dei meccanismi che scatenano la malattia offre la possibilità di sviluppare terapie razionali e di passare rapidamente dai modelli sperimentali all’uomo”, commenta il professor Bernardi, che conclude: “Siamo molto grati a Telethon che ha creduto nel progetto fin dall’inizio e che ci finanzia ininterrottamente dal 1992”

 


 

Citocromo C Ossidasi

Creato all’Università di Stanford un modello artificiale in grado di riprodurre il funzionamento di un importante “motore cellulare”

Un team di ricercatori dell’Università di Stanford ha creato un modello enzimatico artificiale in grado di riprodurre il funzionamento di un importante “motore cellulare” finora non meglio caratterizzato. Si tratta della proteina Citocromo C Ossidasi (CCO), indispensabile per la produzione di energia di tutti gli organismi viventi aerobi a partire dall’ossigeno. Secondo gli autori, i risultati – pubblicati Science – aiuteranno a comprendere le cause delle principali malattie, tra cui il cancro, ma anche a incentivare lo sviluppo di nuove forme di energia.

Molti organismi viventi ricavano la propria energia grazie alla presenza di organelli cellulari detti mitocondri, ossia strutture a membrana all’interno delle quali è ancorata una serie di enzimi adibiti alla cosiddetta “respirazione cellulare”. Tale processo consiste nel trasferimento di elettroni da una molecola a un’altra allo scopo di produrre adenosin-trifosfato (ATP), la molecola universale di stoccaggio dell’energia usata in tutti le altre attività cellulari. L’ultimo enzima coinvolto in questa catena è la CCO, la quale riceve dalla proteina che lo precede quattro elettroni che trasferirà a una molecola di ossigeno producendo due molecole di acqua. Questo passaggio è cruciale poiché un errore porterebbe alla produzione di molecole fortemente ossidanti, tossiche per la cellula e probabilmente alla base di molte patologie.

Per capire meglio il meccanismo d’azione della CCO, Neal K. Devaraj, ricercatore presso il laboratorio di James Collman, ha costruito un modello del sito attivo, ovvero la porzione della superficie proteica dove di fatto la luogo il trasferimento di elettroni. La realizzazione del modello, durata alcuni anni, ha richiesto ben 32 passaggi chimici necessari a posizionare correttamente tre elementi responsabili dell’attività enzimatica: una molecola organica detta fenolo, un atomo di ferro e uno di rame. Il modo in cui gli elettroni vengono trasferiti a e da questi elementi è ancora da chiarire nel dettaglio poiché il meccanismo è così rapido che è impossibile studiare ogni atomo separatamente. Tuttavia, è stato possibile verificare che tutti e tre gli elementi sono essenziali, poiché l’assenza anche di uno solo causa un danno ingente all’attività enzimatica, con formazione di grandi quantità di specie ossidanti.

Secondo Devaraj, non solo questa tecnica innovativa permetterà di studiare anche altri enzimi, ma la comprensione del meccanismo d’azione della CCO potrebbe portare allo sviluppo di migliori catalizzatori per celle a combustibile che convertono energia chimica in energia elettrica. (a.p.)

http://www.galileonet.it/news/8073/a-tutto-enzima

 


 

Trial clinico fai da te

Il dicloroacetato ha mostrato interessanti proprietà antitumorali sui topi, ma nessuna azienda è interessata a svilupparlo. Il composto è noto da anni e non è brevettabile. Manca quindi l'incentivo economico alle multinazionali del farmaco per avviare un trial clinico. Così i pazienti si autorganizzano, ma i ricercatori vorrebbero frenarli per condurre una regolare sperimentazione. Chi ha ragione?

di Nicola Nosengo

Un bel problema. Che si fa quando si ha tra le mani un farmaco che promette molto contro i tumori, che i ricercatori vorrebbero sperimentare secondo le regole, ma che i pazienti possono già procurarsi facilmente? Chi spiega ai malati terminali che devono aspettare due anni per l'approvazione della Food and Drug Administration? La storia riguarda il dicloroacetato, un composto già noto da anni, e da tempo sperimentato (anche se mai approvato) contro alcune rare malattie neurologiche. Ha la capacità di riattivare i mitocondri, i piccoli organelli che hanno il compito di ossidare gli zuccheri e fare così da centrale energetica della cellula, quando questi siano difettosi.

All'inizio di quest'anno, Evangelos Michelakis dell'Università dell'Alberta a Edmonton (Usa) ha pubblicato sulla rivista Cancer Cell i risultati di uno studio sui ratti in cui questo composto è stato per la prima volta testato contro le cellule tumorali. Nella maggior parte dei tumori, i mitocondri sono infatti “spenti”, e le cellule usano un altro sistema, meno efficiente, per procurarsi energia: si tratta della glicolisi, in cui le molecole di zucchero vengono scisse in modo in condizioni anaerobiche, cioè in assenza di ossigeno. È il cosiddetto effetto Warburg, noto fino dal 1930 e che rappresenta una differenza fondamentale tra le cellule sane e quelle tumorali.

Secondo i ricercatori canadesi, questo non avviene solo, come si è sempre pensato, perché le cellule tumorali hanno a disposizione meno ossigeno, ma perché i mitocondri hanno anche un'altra funzione: regolano l'apoptosi, cioè la morte programmata di cellule difettose. Per questo al tumore conviene tagliarli fuori. Ecco allora l'idea di provare a riattivarli. E in effetti, nei topi malati di tumore al polmone, nel giro di una settimana la crescita del tumore si era arrestata, e dopo tre mesi i tumori erano grandi la metà rispetto agli animali non trattati. Il tutto con pochissimi effetti collaterali.

A questo punto una casa farmaceutica avrebbe dovuto prendere al volo l'occasione e portare la molecola in sperimentazione. Ma il dicloroacetato è noto da anni, e non è brevettabile. Manca quindi l'incentivo economico, e di multinazionali del farmaco ad aiutare i ricercatori canadesi non se ne sono viste. Michelakis e colleghi hanno quindi iniziato a raccogliere fondi da fondazioni e investitori privati, per iniziare un trial clinico nei prossimi mesi.

Qui entra in scena Jim Tassano, un californiano incappato nelle notizie sul dicloroacetato mentre cercava disperatamente di aiutare un amico malato di cancro. Tassano ha ordinato tutte le scorte di questo composto che ha trovato sul mercato, poi si è messo addirittura a produrlo in proprio, e a venderlo tramite il suo sito web, presentandolo come un prodotto veterinario (che non richiede approvazione dell'Fda). Al momento lo hanno già acquistato circa 200 pazienti, che ora stanno documentando i loro progressi sul sito dello stesso Tassano.

Il più preoccupato è lo stesso Michelakis. Questa sperimentazione autogestita rischia di ostacolare l'approvazione del farmaco: prima di tutto se alcuni di questi pazienti avessero pesanti effetti collaterali (il farmaco finora sembra molto sicuro, ma questo vale per la versione industriale, non per quella casalinga di Tassano) il dicloroacetato si farebbe una pessima reputazione che ostacolerebbe gli sviluppo successivi. Inoltre, per convincere i pazienti a partecipare a una sperimentazione controllata, si dà loro in cambio la possibilità di avere un farmaco che altrimenti non avrebbero. Se il farmaco si trova su Internet, sarà difficile reclutare soggetti per un trial.

“Personalmente non mi pare che i risultati sugli animali siano così entusiasmanti da suscitare questo clamore”, commenta Maurizio D'Incalci, direttore del dipartimento di oncologia medica dell'Istituto Mario Negri di Milano: “Non è la prima volta che si tenta di attaccare il tumore agendo sui mitocondri, ma finora non si è mai arrivati a nulla. Va ricordato poi che esiste comunque il brevetto d'uso, una protezione più debole del brevetto vero e proprio ma che permette comunque in un caso come questo, se la molecola è davvero interessante, di avere un incentivo economico”. In ogni caso, i rischi dell'iniziativa di Tassano sono tanti. “Anche se ora i pazienti cercano di raccogliere i dati in modo più sistematico, se questa sperimentazione autogestita continua è molto difficile che si arrivi mai all'approvazione della Fda”.

C'è però una lezione da trarre, secondo l'esperto italiano. “I pazienti, le loro famiglie e le loro associazioni andrebbero coinvolte di più nel processo che porta alla sperimentazione e approvazione dei farmaci. Hanno molte competenze preziose, e soprattutto possono contribuire a velocizzare le procedure. Ormai lo sforzo di tutelare i pazienti nei trial attraverso le regolamentazioni ha portato all'eccesso opposto. L'ossessione per linee guida, good clinical practice e così via ha reso le sperimentazioni cliniche così onerose sul piano organizzativo e finanziario che possono farle solo le grandi multinazionali, e comunque con grande lentezza. Così si finisce per rallentare l'innovazione, e storie come questa sono il segnale che bisogna cercare dei modi per accelerarla”.

http://www.galileonet.it/primo-piano/8198/trial-clinico-fai-da-te

 

 

 


 

Scoperta la causa del tumore alla tiroide

La malattia ha origine da mutazioni nel Dna dei mitocondri. La ricerca dell'Università di Bologna

Mutazioni nel Dna mitocondriale. È questa la causa scatenante del tumore alla tiroide. Questa la scoperta tutta italiana, firmata dai ricercatori dell'Università di Bologna guidati da Giovanni Romeo, che apre importanti ricadute non solo per la diagnostica dei tumori.

I mitocondri sono gli organelli cellulari che regolano la produzione di energia, ovvero trasformano l'ossigeno in “carburante”. Possiedono un loro Dna, un frazione di patrimonio genetico esterna al nucleo ed ereditata unicamente per via materna. È questo Dna a essere incriminato nello sviluppo iniziale di un tipo particolarmente aggressivo di cancro alla tiroide.

Frequentemente, nelle forme più violente dei tumori alla ghiandola tiroidea (ma anche in alcuni tumori della mammella) le cellule appaiono gonfie. Tumori di questo tipo vengono chiamati oncociti. Le analisi in vitro e in vivo condotte dall'équipe di genetisti bolognesi hanno permesso di scoprire che le cellule tumorali sono gonfie perché sono piene di mitocondri che non funzionano correttamente per via di specifiche alterazioni nel loro Dna.

La cellula ingrossata sarà un nuovo marcatore dello sviluppo tumorale, che permetterà di intervenire in anticipo sullo sviluppo della malattia. Ma non solo. La ricerca potrebbe anche risolvere il mistero della cosiddetta immortalità delle cellule maligne. Il motivo per cui nei tumori va in tilt il processo di apoptosi (la morte programmata) potrebbe dipendere proprio dai mitocondri, il cui Dna regola questo cruciale meccanismo di difesa cellulare. (da.c.)

http://www.galileonet.it/news/8372/scoperta-la-causa-del-tumore-alla-tiroide

 


 

 

La rivoluzione delle staminali, le cellule adulte tornano embrionali.

Rigenerano tutti i tessuti. "Così la clonazione senza problemi etici"
di DANIELE DIENA

ROMA - Ci provava da un anno e alla fine il giapponese che si era messo in testa di spostare indietro l'orologio biologico, trasformando le cellule adulte del topo in qualcosa di molto simile alle embrionali, ci è riuscito. Da qualche mese in un laboratorio dell'università di Kyoto godono ottima salute alcuni topolini transgenici, nati da cellule del tessuto connettivo "riprogrammate" geneticamente in modo da trasformarsi in staminali pluripotenti, quelle particolari cellule in grado di generare tutti i tessuti dell'organismo cui appartengono. Il professor Shinya Yamanaka, che già nel 2006 aveva fatto parlare di sé per i suoi primi tentativi "in vitro" ed ora ha pubblicato l'attesa dimostrazione "in vivo" su "Cell Stem Cell", ha anche fatto centro due volte: "Nature" ha pubblicato altri due lavori di scienziati del Mit di Boston e di Harvard che hanno riprodotto il medesimo esperimento.
La notizia ha suscitato forte interesse nella comunità scientifica internazionale anche per la nuova strada che, nel caso funzionasse sull'uomo, aprirebbe per le applicazioni mediche delle staminali, in alternativa alle tanto contrastate embrionali: "Con questa tecnica si fa clonazione senza usare embrioni. Mi spiace di non averlo ottenuto io questo risultato" ha commentato Angelo Vescovi, direttore dell'Istituto di Ricerca per le Cellule Staminali, al San Raffaele di Milano.
L'anno scorso Yamanaka aveva riscosso l'attenzione e lo scetticismo dei maggiori scienziati del mondo quando annunciò d'avere trasformato in laboratorio delle cellule adulte di topo in cellule "pluripotenti".
Come spesso succede però, il passaggio dall'esperienza "in vivo" a quella "in vitro" non funzionò e da quelle cellule non nacque alcun topo. Lo scienziato nipponico non si dà per vinto, anche perché la scommessa - con tutte le difficoltà di ordine etico suscitate dall'uso delle staminali embrionali - ha una portata enorme, e s'ingegna per migliorare la tecnica coinvolgendo due gruppi di colleghi americani. E alla fine la strada giusta è imboccata: gli scienziati ricorrono a dei vettori virali per trasferire nelle cellule adulte del connettivo del topo quattro geni (Oct4, Sox2, c-Myc e Klf4) aventi una funzione chiave nell'attività del genoma dell'embrione. Poi isolano dalla popolazione cellulare di partenza le cellule staminali così ottenute e le sottopongono ad una serie di test, finché hanno la certezza che sono state riprogrammate geneticamente in modo da essere identiche alle embrionali.
A questo punto non resta che la prova regina: se sono davvero come le staminali embrionali, le nuove cellule devono poter dare vita a topolini. E così è: iniettando le cellule in embrioni ai primissimi stadi di sviluppo, non solo questi hanno dato vita a topolini, ma le cellule riprogrammate hanno partecipato alla formazione di tutti i tessuti del corpo dei neonati topi.
Perfino le generazioni successive di topi avevano ancora cellule originate da quelle riprogrammate, quindi il loro "seme" era presente anche nelle cellule germinali di ovociti e spermatozoi. "Un lavoro splendido che cambia radicalmente il modo di far ricerca sulle staminali - ha commentato Angelo Vescovi - se si riuscisse anche nell'uomo a trasformare le cellule adulte in pluripotenti, si risolverebbero sia i problemi etici sulla ricerca sulle staminali embrionali, sia quelli tecnici, in quanto si avrebbe una facile disponibilità di cellule personalizzate per curare ogni singolo paziente. E questi scienziati meriterebbero il Nobel". Più cauto Maurilio Sampaolesi, stretto collaboratore di Vescovi: "Se quei geni sono in grado di creare staminali pluripotenti, che chiaramente continuano ad autorinnovarsi, perché non hanno formato neoplasie?"

7 giugno 2007  "La Republica.it "  TECNOLOGIA & SCIENZA


 

 

Un fattore di trascrizione nei dendriti

La proteina Elk-1 interagisce con i mitocondri dei neuroni 

I ricercatori della School of Medicine dell’Università della Pennsylvania hanno scoperto che una proteina chiamata Elk-1 interagisce con i mitocondri, gli organelli deputati a fornire energia alla cellula, suggerendo che essa – solitamente attiva all’interno del nucleo – possa avere un ruolo nella morte cellulare e nelle patologie correlate alla degenerazione dei neuroni. I ricercatori hanno in particolare scoperto la presenza di mRNA e della proteina Elk-1, un fattore di trascrizione, nei dendriti; solitamente i fattori di trascrizione, che hanno una funzione di rilievo nell’espressione dei geni promuovendone la trascrizione, sono presenti e operano solo all’interno del nucleo. Nei dendriti sembra invece che interferiscano con l’attività dei mitocondri: facendo aumentare i livelli di Elk-1 nei dendriti, la vitalità delle cellule diminuiva e si riscontrava un aumento di morte nella popolazione di neuroni; al contrario, inibendo l’espressione della proteina cresceva il numero di neuroni che sopravvivevano. Dato che la morte cellulare è un fattore presente in numerosi disturbi neurologici e psichiatrici, i ricercatori ipotizzano un collegamento con le disfunzioni a livello dendritico e, quindi, con l’evoluzione del processo patologico. Secondo James Eberwine, uno degli autori dell’articolo su "Nature Methods" in cui si illustra la ricerca, “questi dati forniscono nuovi indirizzi di ricerca, ivi inclusa la determinazione del ruolo della sintesi locale di proteine e delle loro modificazioni nelle patologie correlate ai dendriti, compresi la sindrome dell’X fragile, la schizofrenia e l’autismo.”

© 1999 - 2006 Le Scienze S.p.A.

 


 

 

STAMINALI TOTIPOTENTI NEL LIQUIDO AMNIOTICO.

NO ALLA IDEOLOGIZZAZIONE E STRUMENTALIZZAZIONE. SI ALLA LIBERA RICERCA SCIENTIFICA

 

Firenze, 8 Gennaio 2007
intervento dell'on. Donatella Poretti della Rosa nel Pugno e responsabile del "Notiziario Cellule Staminali" dell'Aduc

Da piu' parti arrivano gli elogi alla scoperta delle cellule staminali totipotenti rinvenute nel liquido amniotico, come il possibile superamento delle controversie religiose sulle uniche staminali totipotenti che fino ad oggi si conoscevano, quelle embrionali. E' una scoperta definitiva che mette una pietra tombale sulla clonazione terapeutica? Non lo so.
Gia' si e' fatto sentire il direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare e Genetica Umana dell'Universita' Cattolica di Milano, prof. Roberto Colombo, che rileva anche in questa procedura dei problemi deontologici ed etici: nel prelievo sarebbe alto il rischio di danneggiare il feto, provocandone anche l'aborto (mentre si preferirebbe, in nome della sacralita' dell'embrione, buttare nella spazzatura gli embrioni sovrannumerari da tecniche di fecondazione assistita).
La questione, quindi, non e' al momento cosi' lineare, per cui appare strumentale e antiscientifica la prevedibile mano pesante del Vaticano, che con il suo papa fa sapere che "i tentativi di legittimare la clonazione umana per ipotetici fini terapeutici sono pericoli per la pace". Altrettanto effetto fa l'eco di alcuni parlamentari di Forza Italia dell'associazione "Valori e Liberta'" che chiedono il cambio della posizione italiana in sede comunitaria rispetto alla ricerca con le staminali embrionali.
In questo ambito di dubbi, una cosa io so con certezza: questa scoperta e' stata possibile grazie al finanziamento di una ricerca scientifica che e' libera, senza condizionamenti ideologici e religiosi, ed e' stata fatta in un Paese, gli Usa, dove le leggi –come invece accade in Italia- non dicono qual e' la ricerca buona e quella cattiva; e quand'anche si accendono confronti duri sull'uso o meno delle staminali embrionali, non sono per vietarne la ricerca, ma solo sull'opportunita' o meno che abbiano contributi pubblici.

 

 


 

 

SCOPERTE NUOVE MUTAZIONI GENETICHE NELLE MALATTIE DEI MITOCONDRI

Una mutazione tira l'altra. Un nuovo studio che sarà pubblicato sull'American Journal of Human Genetics e sul Journal of Medical Genetics ha rivelato la presenza di nuove mutazioni genetiche in alcuni geni mitocondriali. La scoperta si deve ad un team di ricercatori dell'Unità di Neurogenetica molecolare diretta da Massimo Zeviani. L'analisi è partita dall'individuazione di pazienti pediatrici con difetti biochimici nella catena respiratoria. Una serie di esperimenti ha dimostrato l'esistenza di problemi nella sintesi proteica del mitocondrio. Attraverso uno screening di geni che codificano fattori della traduzione di proteine mitocondriali, sono state scoperte le nuove mutazioni che coinvolgono i geni EFG1, EFTU e PUS1. Ora la ricerca prosegue nel tentativo di verificare la presenza di altre mutazioni in geni coinvolti nella traduzione di proteine
mitocondriali.
 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail ricercaecura@istituto-besta.it
 


 

    Comunicato n. 140                                                                   31 ottobre 2006

 

Ministero della Salute

 UFFICIO  STAMPA

 

Richiesta farmaco contro la SLA. Precisazioni del Ministero della Salute

 

I  In queste ultime settimane il Ministero della Salute ha ricevuto diverse richieste di cittadini per ottenere il medicinale IGF-1 ai fini del trattamento della Sclerosi 

   Laterale Amiotrofica (SLA).

   In proposito è doveroso precisare quanto segue:

 

·        Il medicinale IGF-1 non è in commercio in Italia, in nessun Paese europeo e nessuna domanda di commercializzazione è al momento stata presentata all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

·        Il medicinale IGF-1 è commercializzato esclusivamente negli USA ed è autorizzato per una malattia rara da malaccrescimento nel bambino (sindrome di Laron) ma non è autorizzato per la SLA.

·        Il Ministero sta, nel frattempo, dando esecuzione a specifici provvedimenti dei Tribunali che impongono l’erogazione preventiva del IGF-1 a favore dei singoli soggetti .

 

·        Al fine di affrontare responsabilmente il problema sul piano generale, senza creare aspettative non dimostrabili, si è comunque deciso di avviare, di intesa tra il Ministero, l’AIFA e l’ISS, uno studio clinico che possa verificare la reale efficacia del IGF-1 e il suo profilo di beneficio-rischio nei pazienti affetti da SLA, in confronto con il trattamento farmacologico oggi disponibile e rimborsato (Riluzolo - Rilutek®).

 

 


 

 

 

 

INFORMAZIONI  IGF-1

Considerate le numerose richieste di informazioni e di chiarimenti pervenuteci riguardo all’utilizzo della molecola IGF-1 nella Sla, anche a seguito delle vicende che hanno coinvolto diversi ammalati italiani che si sono rivolti ai Tribunali per ottenere il riconoscimento del diritto alla cura con tale molecola sperimentale, riteniamo opportuno fornire notizie riguardo agli studi che sinora sono stati effettuati sull’IGF-1 nel mondo e sull’attuale stato dell’arte delle sperimentazioni di cui è oggetto questa molecola.

Al momento sull'IGF1 sono stati effettuati i seguenti studi:
- Il primo studio americano di Lai et Al - Effetto dell'IGF-1: Ricombinante umano sulla progressione della SLA. Studio controllato con placebo, del 1997, pubblicato sulla rivista "Neurology". Tale studio dimostrava un modesto, ma clinicamente significativo, rallentamento della progressione dei sintomi della SLA, concludendo che erano necessari ulteriori studi per comprendere meglio i meccanismi di questo effetto terapeutico.
- Il secondo studio europeo di Borasio et Al - Studio controllato con placebo dell'IGF-1 nella SLA del 1998 e pubblicato anch'esso su "Neurology". Le conclusioni degli autori di questo studio erano le seguenti: lo studio europeo non ha mostrato un beneficio significativo dell'IGF-1 sulla progressione della SLA.
Tali studi furono effettuati con la somministrazione per via sistemica (sottocutanea) del farmaco.
A questo punto sia la FDA che l'EMEA (i due enti regolatori americano ed europeo) non hanno ritenuto tali dati sufficienti per approvare l'uso dell'IGF-1 nella SLA e hanno richiesto un ulteriore studio per verificarne l'efficacia. Un terzo studio è stato in realtà eseguito in Giappone, ma non è mai stato pubblicato.

Una revisione sistematica complessiva dei due studi è stata pubblicata nel 2002 sul COCHRANE DATABASE (di Mitchell, Wokke e Borasio). La conclusione di tale revisione fu la seguente: "I revisori considerano la qualità metodologica degli studi insoddisfacente, con un elevato rischio di errore. [...] L'elevato numero di pazienti trattati con IGF-1 che hanno presentato disturbi nella sede dell'iniezione sottocutanea (circa 30%) potrebbe aver rotto la cecità per il ricercatore curante [...]. L'efficacia dell'IGF-1 nella SLA rimane non provata. Vi è una chiara indicazione che il farmaco potrebbe essere modestamente efficace, ma i risultati disponibili non permettono di trarre una valutazione definitiva [...]. I revisori ritengono molto importante che siano eseguiti ulteriori studi sull'IGF-1 nella SLA per fornire risposte definitive a queste incertezze."

Nel 2005 fu pubblicato su “Neurol. Res.” (2005, Oct; 27) un lavoro di Nagano I. del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Okayama, sui benefici legati alla somministrazione per via intratecale dell’IGF-1 in nove pazienti Sla. Alcuni di essi furono randomizzati per ricevere alte dosi di IGF-1, altri per ricevere basse dosi della stessa molecola ogni due settimane per un totale di 40 settimane.
I pazienti trattati con le alte dosi mostrarono un modesto ma significativo effetto benefico senza l’evidenza di importanti effetti collaterali. Gli autori conclusero evidenziando la necessità di ulteriori studi con campione più numeroso per confermare l’efficacia ed ottimizzare il dosaggio della molecola.

Negli Stati Uniti e' attualmente in corso uno studio clinico di fase III sulla somministrazione dell’ IGF-1 per via sottocutanea che coinvolge 20 centri ed è coordinato dal Dr. Eric Sorenson del Mayo Medical Center in Rochester. Lo studio è co-finanziato dall’Alsa (Amyotrophic Lateral Sclerosis Association).

I risultati sono attesi entro il 2007 e potranno finalmente fornire una risposta definitiva sulla sicurezza e sull'efficacia del farmaco nella SLA.

In Italia, al momento attuale, per poter ottenere la molecola IGF-1 si deve, dietro prescrizione del neurologo curante, ricorrere al cosiddetto “uso compassionevole”. Tale procedura è normata dalla L. 23 dicembre 1996/ n. 648 e dal successivo Decreto del Ministero della Salute dell’8 maggio 2003.

L’Aisla da tempo ha richiesto all’on. Livia Turco, Ministro per la Salute, al Prof. Enrico Garaci, Presidente della Commissione Ministeriale Sla, e al Prof. Nello Martini, Direttore Agenzia Italiana del Farmaco, una chiara e precisa posizione sull’IGF-1 per definire in maniera omogenea l’autorizzazione al suo uso compassionevole per pazienti con Sla, non lasciando più al singolo Tribunale la decisione in merito. Datata 14 settembre 2006 è pervenuta alla nostra Associazione una lettera a firma del Dr. Carlo Tomino, Direttore Sperimentazione Clinica dell’Aifa, in cui viene comunicato che le nostre richieste saranno sottoposte alla prima riunione utile della Sottocommissione Sperimentazione Clinica e della Commissione Tecnico-Scientifica dell’AIFA

 

http://www.aisla.it/home.asp


 

 

SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA: IDENTIFICATO IL LUOGO DEL DELITTO

 

I processi tossici che danneggiano i motoneuroni e causano la degenerazione dei muscoli si scatenano nel mitocondrio. La scoperta è il risultato di un progetto di ricerca Telethon adottato da Sisal s.p.a.

 

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose del midollo spinale che comandano il movimento dei muscoli. La morte dei motoneuroni altera la funzionalità del muscolo scheletrico causando paralisi e atrofia muscolare.

Il declino muscolare che si verifica nelle persone colpite da sclerosi laterale amiotrofica potrebbe essere causato da fattori tossici che si accumulano nei
mitocondri, le centrali energetiche della cellula, avvelenando i motoneuroni. È questa l’ultima scoperta di un gruppo di ricercatori Telethon della Fondazione Santa Lucia IRCCS guidati da Maria Teresa Carrì, professoressa di biochimica all’Università di Roma Tor Vergata, pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale PNAS. Il gruppo, grazie al sostegno di Telethon, sta portando avanti da diversi anni un progetto di ricerca sulla forma familiare della malattia.

Nella maggioranza dei casi la malattia è sporadica (cioè si verifica senza che ci siano stati casi precedenti in famiglia). Circa il 10% dei casi è di origine familiare ed è dovuto a cause genetiche.
La maggior parte dei casi familiari sono causati da difetti nel gene chiamato superossido dismutasi 1 (SOD1). Le mutazioni del gene SOD1 determinano la formazione di una proteina tossica per i motoneuroni. A questo riguardo lo studio della professoressa Carrì ha finalmente svelato il motivo dell’effetto tossico: la proteina SOD1 alterata forma aggregati che si accumulano nel
mitocondrio, il luogo dove viene prodotta l’energia necessaria a tutte le funzioni della cellula, e lo avvelenano; se viene compromesso il funzionamento del mitocondrio, la cellula va in deficit energetico e degenera.

“In questo lavoro, svolto in collaborazione con un gruppo della prof.ssa Joan Valentine della UCLA (Los Angeles, California), - chiarisce la Carrì - abbiamo dimostrato per la prima volta che la proprietà tossica della SOD1 mutante deriva dal fatto che essa si localizza nei
mitocondri dei motoneuroni. Questi risultati, pur non avendo ricadute immediate sui pazienti, aggiungono un tassello importante alla comprensione della forma genetica della malattia, passaggio indispensabile affinché in futuro possano essere messe a punto terapie efficaci e mirate per le diverse varianti di SLA
.”

 

Comunicato stampa

Roma, 04/10/2006

 

http://www.telethon.it/comunicazione/dettaglio_news.asp?id=1151


 

 

Una proteina potrebbe riparare le cellule nervose

 

Importante scoperta di due ricercatori italiani sulla Id2, proteina che contribuisce alla crescita dei tumori. Uno studio che potrebbe aprire nuove prospettive sia per la cura del cancro che delle lesioni di midollo spinale

 

Sono due ricercatori italiani - Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che operano presso il Columbia University Medical Center di New York - i responsabili di uno studio che potrebbe aprire importanti prospettive sia per la cura dei tumori che per le lesioni del midollo spinale

 

Si tratta, nel dettaglio, dell'identificazione di una nuova e sorprendente funzione della proteina Id2, una molecola che già si sapeva implicata nella crescita delle cellule staminali e dei tumori pediatrici del sistema nervoso

I ricercatori hanno scoperto che se introdotta all'interno delle cellule nervose normali, non staminali, tale proteina promuove la crescita degli assoni, strutture simili a filamenti, con funzioni di collegamento e comunicazione, che trasmettono l'impulso nervoso ad altre cellule del cervello o ai muscoli.

La proteina Id2 è da tempo oggetto di studio per lo sviluppo di nuove terapie dei tumori, ma fino ad oggi non erano noti i meccanismi attraverso cui essa si accumula nelle cellule tumorali, aumentandone la malignità. Iavarone e Lasorella hanno scoperto che è l'enzima APC (Anaphase Promoting Complex), di cui si conosce la funzione di regolatore della divisione cellulare, a promuovere la distruzione della proteina Id2 e di altre della stessa famiglia.
Tale informazione potrà dunque essere usata per tentare di diminuire l'elevata attività delle proteine Id nei tumori in cui esse aumentano in maniera abnorme.
Ma i ricercatori italiani hanno anche osservato che le Id sono abbondanti pure nelle cellule staminali, ove non hanno effetti maligni, ma servono a promuovere la moltiplicazione durante lo sviluppo embrionale. Sono invece praticamente assenti nelle cellule normali (non tumorali, non staminali), così come mancano nelle cellule nervose dopo la nascita.

Quindi, il risultato nuovo e importante di questo studio è che questa assenza è causata appunto dalla continua distruzione dell'Id2 da parte dell'enzima APC. E tuttavia, essendo proprio questa mancanza a rendere impossibile la crescita degli assoni nelle cellule nervose mature, potrebbe essere sufficiente una modificazione in una regione della proteina, per renderla resistente alla distruzione e capace di "riparare" le cellule nervose, facendo ricrescere gli assoni.

Per ora gli esperimenti sono stati compiuti solo in laboratorio e la scoperta non è quindi ancora associata alla produzione di alcun farmaco. E tuttavia si tratta certamente di una tappa molto importante sia per la cura dei tumori che delle malattie neurologiche.
(S.B.).

 

http://superando.eosservice.com/content/view/1202/122/

 


 

 

14.07.2006
Una proteina che protegge dall'apoptosi

La scoperta fatta presso il Dulbecco Telethon Institute

 

Ricercatori del Dulbecco Telethon Institute presso l’Istituto veneto di medicina molecolare di Padova e dell’Istituto interuniversitario Flanders per la biotecnologia (VIB) a Gent, in Belgio hanno identificato nella proteina PARL un fattore chiave per il corretto funzionamento dell’apoptosi, il processo di “morte programmata” delle cellule. Precedenti studi avevano messo in luce il coinvolgimento della proteina nel funzionamento dei mitocondri, gli organelli cellulari preposti alla produzione dell’energia necessaria al funzionamento della cellula, ma la sua funzione specifica non era stata identificata. L’ipotesi avanzata da Luca Scorrano e Bart De Strooper, e ora confermata dallo studio che essi hanno diretto, era però che la proteina PARL intervenisse in un’altra funzione svolta dai mitocondri, quella di integrazione e amplificazione dei segnali apoptotici. A questo scopo i ricercatori hanno creato una linea mutante di topi knock-out in cui era soppressa la capacità del gene interessato a esprimere la proteina PARL. Essi hanno così potuto osservare che pur essendo i loro mitocondri perfettamente in grado di convertire l’ossigeno in energia, sembravano aver perso la capacità di modulare l’apoptosi, con una rapida morte delle cellule. In effetti, questi topi subivano processi di senescenza precoce, in particolare a soli quattro mesi iniziavano a perdere forza muscolare, tanto che le loro capacità respiratorie decadevano rapidamente.

 


 

Nuove scoperte sull'apoptosi


Inibire l’apoptosi

La proteina ha come bersaglio la Bax, che innesca il suicidio cellulare
Ricercatori del Burnham Institute hanno scoperto che l’umanina, una piccola proteina comprendente 24 amminoacidi recentemente scoperta nel corso di studi sul morbo di Alzheimer, sopprime l’attività della proteina Bax. Quest’ultima innesca la morte cellulare patologica in un gran numero di malattie, compreso il morbo di Parkinson e la degenerazione delle ovaie durante la menopausa. Questi risultati, che saranno pubblicati in futuro sulla rivista “Nature”, suggeriscono lo sviluppo di una nuova terapia basata sull’inibizione dell’attività di distruzione cellulare della Bax.
La proteina Bax è nota per attivare l’apoptosi, il programma di morte cellulare latente in tutte le cellule. Agisce attaccando la sorgente di energia della cellula, il
mitocondrio, provocando così il suicidio della cellula. L’apoptosi è importante per il normale sviluppo e per mantenere l’equilibrio cellulare. Molte malattie sono collegate al malfunzionamento di questo sistema: un eccesso di morte cellulare è associata con i disturbi degenerativi del sistema nervoso, il colpo apoplettico e l’attacco di cuore; l’incapacità di attivare il programma è invece una delle caratteristiche dei tumori.
John C. Reed e colleghi hanno identificato l’umanina come una proteina che interagisce con la Bax. Hanno scoperto che l’umanina si lega alla Bax, impedendole di attaccare il
mitocondrio e bloccando la sua capacità di causare la morte cellulare. “I nostri risultati - spiega Reed - dimostrano che Bax è il bersaglio dell’umanina, e suggeriscono almeno tre nuovi modi di progettare terapie per prevenire o di arrestare le malattie associate all’attivazione di Bax”.

 

 


PUMA coordina le attività di p53 nel nucleo e nel citoplasma
La scoperta di come le attività della proteina p53 promuovano segnali che innescano il suicidio cellulare fornisce indizi importanti per lo sviluppo di nuovi farmaci anticancro. Lo sostiene uno studio di ricercatori del
St. Jude Children’s Research Hospital, pubblicato sul numero del 9 settembre della rivista "Science".
La ricerca mostra che la proteina PUMA libera p53 dal "blocco" di una terza proteina, Bcl-xL, così che p53 possa attivare la serie di segnali che innescano il suicidio cellulare programmato, o apoptosi. Si tratta del meccanismo mediante il quale le cellule anormali vengono eliminate dal corpo prima che possano causare malattie come il cancro. Per esempio, se una cellula soffre di una lesione irreparabile al proprio materiale genetico, il gene p53 si attiva e produce la proteina p53, che si accumula nel nucleo e nel citoplasma della cellula danneggiata. Questo conduce all'apoptosi, ma finora gli scienziati non sapevano come i contributi nel nucleo e nel citoplasma fossero associati.
Jerry E. Chipul e colleghi hanno ora risolto l'enigma spiegando perché l'attività di p53 è osservata sia nel nucleo che nel citoplasma. Secondo i ricercatori, l'accumulo di p53 nel nucleo regola l'espressione di diversi geni associati all'apoptosi, compreso PUMA. La proteina PUMA viene poi prodotta nel citoplasma, dove altre proteine p53 sono legate a Bcl-xL, e si lega alla coppia p53/Bcl-xL, causandone la rottura. Una volta libera, p53 innesca una serie di segnali sui
mitocondri che producono le molecole energetiche necessarie per le attività cellulari. Le membrane che ricoprono i mitocondri vengono perforate, consentendo a certe molecole di fuoriuscire e dare inizio al processo di apoptosi

 


 

 

UNA DISFUNZIONE DEI MITOCONDRI ALL'ORIGINE DEL MORBO DI PARKINSON

Per la prima volta è stato dimostrato in vivo che nei soggetti affetti da Morbo di Parkinson la funzione
mitocondriale nell'encefalo è alterata: è il risultato dello studio, pubblicato su Journal of Cerebral Blood Flow, del Nature Publishing Group, dal dottor  Mario Rango, dell'Unità Operativa di Neurologia diretta dal prof. Nereo Bresolin. Il Morbo di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più frequente. Le cause sono sconosciute ma è stato ipotizzato che, come per le altre malattie neurodegenerative,  possa originare da un disturbo dei mitocondri, che sono  la centrale energetica delle cellule. Questa ipotesi è stata ora provata grazie alla Spettroscopia a Risonanza Magnetica Funzionale, una tecnica precedentemente sviluppata dagli autori. L'uso combinato di  Spettroscopia a Risonanza Magnetica Funzionale e attivazione visiva ha permesso di rilevare e quantizzare il "malfunzionamento" mitocondriale encefalico nel Morbo di Parkinson e, in futuro, potrà essere utilizzato per fini diagnostici e per monitorare gli effetti della terapia volta a restaurare la funzione mitocondriale
, anche in altre patologie neurodegenerative come il Morbo di Alzheimer.
 

 


 

SCOPERTO UN NUOVO GENE RESPONSABILE DELLA RIDUZIONE DEL DNA MITOCONDRIALE

 

È stato identificato un nuovo gene che, se alterato, causa una gravissima malattia genetica neurologica, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale (MDDS), spesso letale nel primo anno di vita per le complicanze neurologiche e l’insufficienza epatica. Ad effettuare la scoperta – di cui si riferisce su Nature genetics è stato un gruppo di ricercatori italiani finanziati da Telethon e coordinati da Massimo Zeviani dell’IRCCS-Besta di Milano. La sindrome da deplezione del DNA mitocondriale è causata da anomalie dei mitocondri (gli organelli dove un complesso sistema di enzimi produce energia partendo dagli zuccheri introdotti nell’organismo con l’alimentazione) e colpisce diversi tessuti tra cui muscolo, cervello e fegato. Il gene identificato da Zeviani, chiamato MpV17, contribuisce al mantenimento dell’integrità dei mitocondri che forniscono l’energia necessaria allo svolgimento di tutte le funzioni vitali. Difetti di questo gene causano una riduzione nella produzione di energia disponibile con gravi conseguenze sul funzionamento dei tessuti. Le ricerche condotte da gruppo di Zeviani su alcune famiglie italiane colpite dalla malattia hanno permesso in una prima fase di localizzare sul cromosoma 2 il gene MPV17 e poi di identificare nei pazienti le alterazioni del gene responsabili della malattia. “Questo lavoro è iniziato con lo studio di una grande famiglia in cui alcune persone risultavano affette da una malattia metabolica ad esordio precoce con gravi crisi ipoglicemiche e danno epatico”, ha spiegato Zeviani. “Nei casi più gravi la situazione degenerava rapidamente in cirrosi e insufficienza epatica. In questi pazienti abbiamo notato una diminuzione del DNA mitocondriale nel fegato. È stato questo il campanello d’allarme che ci ha messo sulla giusta strada per capire che la malattia era legata ad un difetto dei mitocondri.” Alla scoperta ha partecipato anche un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste e del IRCCS-Burlo Garofolo. Il prossimo passo sarà chiarire in che modo le alterazioni del gene MPV17 causano i sintomi della malattia e prevederne l’evoluzione


 


 

L'ERITROPOIETINA EFFICACE CONTRO LE NEUROPATIE PERIFERICHE

L'eritropoietina (ormone che stimola la produzione di emoglobina e globuli rossi) è in grado di prevenire e curare le neuropatie periferiche. Lo ha dimostrato uno studio, pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research, realizzato da Giuseppe Lauria dell'Unità di Malattie Neuromuscolari e Neuroimmunologia, in collaborazione con l'Istituto Mario Negri e il Dipartimento di Neuroscienze e Biotecnologie dell'Università Milano Bicocca. L'uso di farmaci antineoplastici determina nei pazienti una neurotossicità periferica, che si manifesta con neuropatie dolorose, spesso di gravità tale da rendere necessaria la sospensione del trattamento o la riduzione della posologia. Per questo studio, i ricercatori del Besta hanno sviluppato nel ratto un modello di neuropatia sperimentale indotta da  un farmaco antineoplastico (cisplatino), su cui è stata verificata l'efficacia di un agente neuroprotettivo, l'eritropoietina appunto. Un dato confermato in particolare attraverso l'evidenza di una completa rigenerazione dei nervi della cute della zampa effettuata dal laboratorio per lo Studio dell'Innervazione Cutanea del Besta. Un risultato che trae spunto da precedenti lavori dello stesso gruppo di ricercatori, nei quali  era stata dimostrata l'efficacia dell'eritropoietina nella neuropatia diabetica sperimentale. I nuovi recenti risultati hanno permesso di avviare ulteriori studi sia in modelli sperimentali sia nell'uomo.

 


 

 

POLINSATURI

 

Milano, 27 apr . (Adnkronos Salute) - Mangiare grandi quantità di grassi buoni, cioè quelli polinsaturi, e vitamina E può dimezzare il rischio di sviluppare una malattia dei motoneuroni. Lo rivela uno studio olandese, pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry. Scorpacciate di omega 3 e omega 6, contenuti in alcuni vegetali e nel pesce, possono dunque abbassare anche del 60% il pericolo di una malattia progressiva e fatale, che causa indebolimento muscolare e colpisce circa 5.000 persone solo in Gran Bretagna. Stesso effetto protettivo ha la vitamina E.

I ricercatori dellUniversity Medical Center di Utrecht hanno esaminato 132 pazienti con Sla (sclerosi laterale amiotrofica), una malattia dei motoneuroni. Tutti hanno compilato precisi questionari su stile di vita e sulla dieta seguita prima della malattia, i cui risultati sono stati confrontanti con quelli di 220 persone sane. Cosi si e scoperto che lapporto calorico e il consumo di integratori erano gli stessi, ma i malati di Sla assumevano meno grassi polinsaturi e vitamina E rispetto alle persone sane. In particolare, il maggior introito di queste sostanze benefiche (piu di 32 g al giorni di grassi buoni) si e rivelato in grado di ridurre del 60% il rischio di sviluppare la malattia, rispetto a chi si limitava a meno di 25 g al giorno. In piu assumere 18-22 mg di vitamina E al giorno riduce del 60% il pericolo di ammalarsi, rispetto a chi si limita a meno di 18 mg al di.

 


 

 

I MITOCONDRI SONO I SENSORI DELL'OSSIGENO

Le ROS (specie reattive dell'ossigeno) generate dai
mitocondri
giocano un ruolo chiave nella attivazione della risposta cellulare in condizioni di ipossia, cioè di bassa concentrazione di ossigeno. Lo dimostra lo studio, diretto dal Dr. Chandel della Northwestern University Medical School di Chicago con la collaborazione della dottoressa Valeria Tiranti e del Dott. Massimo Zeviani, direttore dell'Unità di Neurogenetica molecolare, pubblicato su Cell Metabolism. Le ROS risultano  in grado di stabilizzare una proteina, chiamata HIF1, che viene normalmente degradata ma che durante l'ipossia viene stabilizzata e attiva l'espressione di numerosi geni bersaglio. Ciò significa che le ROS sono vere e proprie sensori dei livelli di ossigeno. Un passo importante dunque per capire come le cellule sentono e sono in grado di adattarsi alla disponibilità di ossigeno soprattutto nelle patologie, come infarto, tumore, attacchi ischemici, caratterizzate da una ossigenazione non adeguata.
 


 

 

Disfunzioni mitocondriali e apoptosi in un modello murino privo di collagene VI  

A cura di: Istituto per i trapianti d'organo e immunocitologia - ITOI

 

Il collagene VI è una proteina della matrice extracellulare che forma un reticolo di microfilamenti nel muscolo scheletrico ed in altri organi. Le mutazioni dei geni del collagene VI causano due malattie nell’uomo: la miopatia di Bethlem e la distrofia muscolare congenita di Ullrich, di cui è ignota la patogenesi. E’ stato eseguito uno studio in collaborazione con l’Università di Padova (Prof. P. Bonaldo) su topi transgenici privi collagene VI (Col6a1-/-) prodotti precedentemente.
I risultati pubblicati (Irwin et al. Nature Genet 2003;35:367-371) sono stati citati tra i “Neurogenetics top research advances from 2003” dalla rivista Neurology Today (2004 4: 5-6). Si è dimostrato che il muscolo Col6a1-/- ha una perdita della forza contrattile con alterazioni ultrastrutturali del reticolo sarcoplasmatico (SR) e dei
mitocondri, e apoptosi spontanea. Il microscopio elettronico ha rivelato difetti nel muscolo Col6a1-/-. Alterazioni dei mitocondri (creste tubulari e densità della matrice alterata, con presenza di “dense bodies”) e del SR (marcata dilatazione, specialmente a livello delle triadi, mentre i sarcomeri, il sarcolemma e la lamina basale erano normali). Nelle fibre muscolari Col6a1-/- con alterazione degli organuli sono stati identificati nuclei con i tipici segni dell’apoptosi. Nei controlli non si è riscontrata nessuna alterazione. La presenza di fibre muscolari positive al blu-Evans suggerisce che il muscolo con deficit di collagene VI contenga fibre affette in modo variabile, che rappresentano vari gradi del processo distrofico. La funzione mitocondriale è stata studiata in miofibre di FDB in coltura. Il potenziale transmembrana mitocondriale è stato valutato mediante tetramethilrodamina metil estere, un tracciante fluorescente che si accumula nei mitocondri polarizzati ed è rilasciato quando il potenziale transmembrana diminuisce. E’ stata scoperta una disfunzione mitocondriale latente nelle fibre muscolari Col6a1-/- dopo incubazione con oligomicina (inibitore selettivo delle ATPasi) che provoca depolarizzazione dei mitocondri, altera la regolazione del Ca2+ e induce apoptosi. Questo effetto è reversibile coltivando le miofibre Col6a1-/- su collagene VI oppure somministrando ciclosporina A (CsA), l’inibitore del “permeability transition pore” (PTP) mitocondriale. Il trattamento dei topi Col6a1-/- con CsA recuperava le alterazioni ultrastrutturali e riduceva il numero di nuclei apoptotici in vivo.
Questi risultati indicano che le miopatie dovute a collagene VI hanno una inaspettata patogenesi
mitocondriale. La carenza di collagene VI causa un aumento dell’apertura del PTP attraverso un’anomala trasmissione del segnale mediata da integrine. L’aumentata apertura del PTP altererebbe la gestione del Ca2+ da parte del SR con ulteriore aumento del tempo di apertura del PTP e avvierebbe un circolo vizioso che conduce alle alterazioni strutturali. Il dato che le alterazioni e l’apoptosi nel muscolo Col6a1-/-possano essere recuperati dalla CsA attraverso un meccanismo mitocondriale, può aprire un percorso di trattamento farmacologico per la miopatia di Bethlem e la distrofia muscolare congenita di Ullrich.

 


 

 

08.03.2006
L'adattamento all'ipossia nelle cellule


Lo studio ha importanti ricadute per la comprensione della fisiologia dei tumori

Potrebbero avere importanti implicazioni per comprendere la fisiologia dei tumori due nuovi studi pubblicati sulla rivista “Cell Metabolism” che hanno avuto come oggetto il meccanismo con il quale le cellule si adattano alla condizione di scarsità di ossigeno. Tale meccanismo - si apprende dagli articoli - servirebbe a proteggere la cellula dalla produzione di radicali liberi che sarebbe fatale in condizioni di ipossia. Questa è la condizione che viene a crearsi quando la fornitura di ossigeno dal flusso sanguigno è insufficiente a coprire la richiesta dei tessuti dell’organismo, come avviene per esempio durante l’esercizio fisico, o nel caso di ischemie e tumori. In condizioni di ipossia, infatti, le cellule si adattano alle condizioni di deficit di ossigeno attivando un programma di variazioni dell’espressione genica iniziata dal fattore di trascrizione indotto da ipossia (HIF-1).
Questi nuovi studi rivelano come l’adattamento all’ipossia dipenda dall’attivazione di un processo che serve a inibire la respirazione e a impedire l'utilizzazione del piruvato, il precursore del lattato, da parte dei
mitocondri, che rappresentano le centrali energetiche delle cellule. In essi infatti le molecole derivate dai nutrienti sono convertite in energia utilizzabile attraverso la respirazione.
“Si tratta, di un meccanismo molto elegante”, ha spiegato Nicholas Denko della
Stanford University, coautore di uno dei due articoli. “Le cellule semplicemente chiudono i rubinetti che inviano il combustibile ai mitocondri.”
Entrambe le ricerche hanno trovato che le cellule inibiscono la funzione dei
mitocondri e il consumo di ossigeno in condizioni di scarsità di ossigeno utilizzando l’enzima piruvato deidrogenasi chinasi 1 (PDK1). Il gruppo di Chi Dang della Johns Hopkins University di Baltimora ha mostrato come in condizioni di ipossia le cellule di topi di laboratorio in cui era presente un deficit di HIF-1 non erano in grado di attivare il PDK1 e andavano incontro ad apoptosi, che seguiva a un drastico calo del livello di specie reattive dell’ossigeno (ROS). L’espressione forzata del PDK1 nelle cellule ipossiche che mancavano di HIF-1 limitava la generazione di radicali liberi tossici e salvava le cellule dalla morte. Il gruppo di Denko, invece, ha dimostrato come nelle cellule tumorali l’HIF-1 sia causa di un calo nell’utilizzazione dell’ossigeno, che dà come risultato un aumento nella disponibilità di questo elemento, causando al contempo una diminuzione della morte cellulare.
La connessione con le possibili applicazioni mediche consiste nel fatto che l’attività dell’HIF-1 rende le cellule più resistenti al farmaco antitumorale tirapazamina (TPZ). Per contro, le cellule con un deficit di HIF-1 cresciute in condizioni di ipossia mostrano una maggiore sensibilità alla molecola rispetto alle cellule normali.
 

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LA DNA POLIMERASI GAMMA: UNA SOLA PROTEINA, MOLTE MALATTIE NEURODEGENERATIVE EREDITARIE

L'équipe guidata dal dottor Massimo Zeviani ha evidenziato l'associazione tra mutazioni della polimerasi gamma (l'enzima chiave della replicazione del Dna mitocondriale) e un amplissimo spettro di patologie neurodegenerative, che vanno da forme di atassia ed epilessia ad insorgenza precoce (come la sindrome di Alpers-Huttenlocher), a forme combinate di epilessia e atassia (mancanza di coordinamento muscolare) ad insorgenza giovanile, ad encefalomiopatie dell'adulto caratterizzate dalla combinazione di alterazioni neurologiche con una patologia muscolare progressiva che colpisce soprattutto i muscoli dell'occhio e del tronco. Grazie alla collaborazione con diversi centri europei, si è inoltre stabilito che le forme atassiche legate a mutazioni della polimerasi gamma costituiscono la causa più frequente di atassia genetica recessiva nei Paesi del nord Europa. I risultati dello studio sono stati pubblicati su importanti riviste scientifiche internazionali tra cui Annals of Neurology, Neurology e Brain.Ora la ricerca proseguirà con lo studio di casi specifici nella popolazione italiana.
 

 

NEI MITOCONDRI LA CAUSA DELLA SINDROME DI ALPERS

Sembra ormai certo: a causare la sindrome di Alpers, un grave disordine neurologico progressivo dell'infanzia spesso letale, è una disfunzione dei mitocondri. Lo conferma uno studio dell'U.O. di Neurogenetica Molecolare dell'Istituto Besta diretta dal dr. Massimo Zeviani, in collaborazione con altri Istituti italiani e stranieri, e pubblicato su Brain (http://brain.oupjournals.org). Il lavoro dimostra che la sindrome di Alpers è causata prevalentemente da mutazioni nel gene POLG1 che codifica per la proteina responsabile della replicazione del DNA mitocondriale. Mutazioni in questo gene sono responsabili di altre patologie neurologiche dell'età adulta, tra cui l'oftalmoplegia esterna progressiva (debolezza progressiva dei muscoli oculari e della palpebra superiore) e una forma di atassia (mancanza di coordinazione ed equilibrio dei muscoli scheletrici) con epilessia.
 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail : Istituto-besta

 

 


 

 

Neurogenetica
PARKINSON E MITOCONDRI: UNA RELAZIONE PERICOLOSA?

Forse il Dna mitocondriale ci può aiutare a capire meglio i rischi genetici di ammalarsi di Parkinson. Nel corso di una ricerca per valutare quali tipi di Dna mitocondriale sono associati alla comparsa del Parkinson, il laboratorio guidato da Massimo Zeviani, direttore dell'Unità Operativa di Neurogenetica Molecolare, in collaborazione con Alberto Albanese, coordinatore nazionale del gruppo di studio della malattia di Parkinson della Società Italiana di Neurologia, ha riscontrato che un tipo specifico di Dna mitocondriale presente in una parte della popolazione italiana (l'aplogruppo K) è meno frequente nei pazienti con malattia di Parkinson e sembra quindi associato ad un minore rischio di contrarre la malattia. L'équipe dell'Istituto Besta proseguirà ora la ricerca su un più ampio numero di pazienti per scoprire qual è la connessione funzionale tra questo particolare tipo di Dna mitocondriale e la malattia. Il nuovo progetto, realizzato in collaborazione con altri centri tra cui l'Università Bicocca e l'Ospedale San Gerardo di Monza, sperimenterà  l'utilizzo di innovative piattaforme tecnologiche per lo screening esteso di geni di interesse non solo sulla malattia di Parkinson ma anche su altre malattie neurodegenerative.

 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail : Istituto-besta

 


Staminali
Alla ricerca delle cellule "riparatrici"  nel muscolo una sorgente senza limiti di età

Ricercatori milanesi e bresciani sono riusciti ad isolare e riprodurre cellule staminali non embrionali da un muscolo umano. La scoperta apre nuove prospettive terapeutiche nella cura delle malattie neuromuscolari (distrofia muscolare) o del sistema nervoso centrale (ictus cerebrale, Parkinson, Alzheimer, malattie neurodegenerative). Nata dalla collaborazione tra Istituto Nazionale Neurologico Carlo Besta di Milano (Struttura di Neurobiologia e Terapie Neuroriparative), Spedali Civili e Università di Brescia, la ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute e dalla Regione Lombardia. Lo studio, pubblicato sul numero del 20 novembre di Lancet, ha dimostrato che, con una biopsia muscolare eseguibile senza conseguenze per l'organismo, è possibile trovare in ogni persona e a qualunque età una sorgente di cellule staminali muscolari e neurali che possono essere facilmente trapiantate

 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail : Istituto-besta

 


 

Neurogenetica molecolare
Premio René Descartes 2004 agli studi sulle malattie mitocondriali

Il premio Descartes 2004 è stato assegnato ai risultati ottenuti nella ricerca sui meccanismi genetici molecolari alla base di malattie mitocondriali e dei processi di invecchiamento. Il prestigioso riconoscimento è stato consegnato al Consorzio Europeo MitEuro costituito da cinque laboratori di ricerca di cui uno italiano, quello di Neurogenetica Molecolare dell'Istituto Nazionale Neurologico Carlo Besta diretto da Massimo Zeviani. Istituito cinque anni or sono, il premio René Descartes è rivolto esclusivamente a gruppi di collaborazione internazionali che si sono distinti per l'eccellenza del proprio lavoro in ogni settore della ricerca scientifica. Per questo è intitolato ad una delle figure più rappresentative della storia del pensiero europeo: il filosofo francese che fu anche matematico e studioso di scienze naturali.

 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail : Istituto-besta

 


Malattie degenerative
ATASSIA DI FRIEDREICH: SE SI RIDUCE QUELLA PROTEINA...

Scoperti gli effetti della riduzione di una proteina che rivoluzionano gli studi sull'atassia di Friedreich. È il risultato di uno studio del dottor Franco Taroni dell'Unità Operativa di Biochimica e Genetica in collaborazione con l'Università di California Davis. L'atassia di Friedreich è una malattia degenerativa che causa un disturbo del coordinamento motorio associato ad anomalie cardiache che riducono la durata di vita dei pazienti. Lo studio ha permesso di capire che le alterazioni prodotte dalla malattia sono collocate in una precisa via metabolica. Si è visto che nei mitocondri la riduzione di fratassina è responsabile della diminuzione dei complessi ferro-zolfo di cui blocca la normale attività di sintesi. Si apre dunque una nuova prospettiva di ricerca terapeutica. Un articolo sulle atassie degenerative sarà pubblicato sul numero di agosto della rivista Nature Review Neuroscience.
 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail : Istituto-besta

 

 


Patologie mitocondriali
CENTRALI ENERGETICHE DELLE CELLULE: PRONTI A INDAGARE CON "EUMITOCOMBAT

Dodici laboratori in cui lavorano 20 gruppi scientifici che provengono da otto paesi europei. Questi i numeri di Eumitocombat, il Consorzio che dal 1 luglio si dedicherà allo studio di patologie dovute ad alterazioni dei mitocondri. Quattro anni di lavoro, con un finanziamento di oltre otto milioni di euro, per effettuare studi clinici epidemiologici sulla popolazione di pazienti europei con questo importante gruppo di malattie rare. Unico laboratorio italiano presente quello diretto da Massimo Zeviani, responsabile dell'Unità Operativa di Neurogenetica molecolare dell'Istituto Besta. Il Consorzio ha come obiettivi la scoperta delle basi molecolari e della patogenesi delle malattie mitocondriali, la creazione di un database clinico europeo e lo studio di tecnologie per lo sviluppo di terapie farmacologiche e genetiche specifiche. Altre notizie su:
www.eumitocombat.org

 

Per ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail : Istituto-besta

 

 


 

EMCELL cellule staminali embrionali

 

La notizia, come riportata da un lancio dell'agenzia Ansa:
Costretto sulla sedia a rotelle dall'eta' di 10 anni perche' affetto da distrofia muscolare di Duchenne, una malattia ereditaria che porta gradualmente alla paralisi pressoche' totale del corpo, Stefano, 20 anni, pugliese di nascita e residente a Termoli, in Provincia di Campobasso, e' partito il 10 agosto con i suoi genitori da Roma per l'Ucraina dove, in una clinica privata specializzata di Kiev, la Emcell, si sottoporra' per la quarta volta in due anni ad un trattamento con cellule staminali embrionali. "Sappiamo che quanto stiamo facendo sollevera' molto clamore qui da noi -ha detto il padre del ragazzo, prima dell'imbarco a Fiumicino sul volo dell'Ukraine International Airlines- ma non avevamo altre alternative, visto che in Italia, con gli strumenti attuali, la malattia non e' trattabile'. I primi segnali che nel corpo del ragazzo ci fosse qualcosa che non andasse, sono cominciati quando Stefano, che ha una sorella poco piu' grande di lui, aveva 6 anni. "Fino a quell'eta' -ha raccontato la mamma- nostro figlio ha camminato regolarmente. Poi, pero', ha cominciato ad accusare dolori allo stomaco per poi perdere progressivamente l'uso delle gambe a 10 anni". La signora ha quindi detto di aver subito capito che il figlio aveva ereditato la stessa malattia che in famiglia aveva gia' portato al decesso all'eta' di 22-24 anni tre suoi cugini di primo grado. "Abbiamo girato l'Italia nella speranza di trovare cure adeguate per una malattia che, cosi' come ci hanno spiegato, colpisce solo i maschi. Purtroppo, pero', non abbiamo trovato risposte incoraggianti e intanto Stefano continuava a peggiorare al punto tale di perdere a 16 anni anche l'uso di braccia e mani. In queste condizioni, a scuola e' stato affiancato da un Professore di sostegno che lo ha aiutato negli studi". Alla decisione di rivolgersi a medici ucraini, la famiglia di Stefano e' giunta due anni fa quando un cognato della madre, navigando in Internet, ha scoperto che in una clinica di Kiev venivano trattati pazienti affetti dalla stessa malattia di Stefano. "A quel punto -ha aggiunto la donna, che nel viaggio con il marito ed il figlio e' seguita anche da una troupe della BBC- ci e' parsa come l'unica via percorribile per cercare di far vivere nostro figlio. Sappiamo benissimo che non potra' mai piu' tornare a camminare, ma c'e' quantomeno la speranza che possa continuare a vivere". E cosi', i genitori, lui dipendente comunale, lei casalinga, si sono rivolti ai loro concittadini che, con una colletta, li hanno aiutati ad intraprendere il viaggio della speranza. "Finora -ha aggiunto la mamma di Stefano- in due anni avremo speso circa 50 mila euro, ma i risultati li abbiamo gia' cominciati a vedere. Stefano, che nel frattempo si e' diplomato, ha ricominciato, infatti, a controllare i muscoli del collo e ad aprire il palmo delle mani con le quali, attraverso un joistick, riesce a muovere da se' la carrozzella". Cosi' come gia' fatto in passato, Stefano si sottoporra' ora per tre giorni alle cure dei medici di Kiev. "Vederlo di nuovo sorridere -ha concluso la mamma- e' per noi come se Stefano fosse nato una seconda volta".

 

La ricerca su Internet l'abbiamo cosi' fatta anche noi e abbiamo subito trovato la clinica di Kiev EMCELL (http://www.emcell.com/), un sito classico per una clinica sanitaria, rigorosamente in inglese e con tanto di foto in prima pagina del Professor Alexandr Smikodub, "inventore del metodo di trattamento con le cellule staminali embrionali".
Nota curiosa un link ad una bandierina tricolore con la scritta: contatto in Italia (www.emcell.com/files/Versione%20Italiana.doc). Unica altra lingua presa in considerazione. Cliccando si apre una pagina in italiano in cui vengono offerte tutte le spiegazioni. E che riportiamo di seguito:
La EMCELL, clinica per la ricerca sulle cellule staminali, fetali ed embrionali, presso l'Universita' dell'Ucraina, a Kiev, ha l'esperienza clinica piu' antica (30 anni di lavoro) e vasta sul trattamento di numerose malattie con le cellule staminali embrionali.
Il responsabile della Clinica, il Prof. Alexander Smikodub ed il suo staff, accolgono pazienti dall'Ucraina e dal resto del mondo per trapianti di queste cellule.
Fino ad oggi sono stati effettuati quasi 3000 trapianti. Il trapianto consiste nella somministrazione, per via endovenosa ed intramuscolare, di cellule staminali in soluzione. Le cellule provengono da feti abortiti legalmente e volontariamente, in base a procedure che assicurano la separazione della decisione sull'aborto da una parte e sulla donazione dall'altra, e la completa anonimita' della donatrice e del ricevente.
Le cellule, costantemente in condizioni sterili, sono inizialmente congelate, per essere scongelate al momento dell'utilizzazione. Vengono effettuati controlli rigorosi ed approfonditi per accertare l'assenza nelle cellule di agenti patogeni ed anomalie. Vi e' quindi una garanzia piu' che attendibile sulla qualita' delle cellule.

Nel contesto di numerose affezioni e patologie la qualita' e specificita' di questo trattamento e' stata provata come statisticamente superiore a quella di molte altre terapie con gli strumenti classici.
Le cellule staminali embrionali:
- vivono nell'organismo del ricevente, accumulandosi negli organi e tessuti che ne hanno bisogno, dove
- producono nuove generazioni di cellule e
- ripristinano l'attivita' funzionale degli organi.
In molte malattie inguaribili, quando la medicina non ha piu' nulla da offrire, questo trattamento da' delle speranze, migliora la qualita' della vita e la prolunga.

CONDIZIONI E PATOLOGIE NELLE QUALI SONO STATI DIMOSTRATI EFFETTI POSITIVI DOVUTI AL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMBRIONALI
- Malattie ematologiche
- Diabete mellito di tipo 1, 2 e complicazioni
- Malattie oncologiche: aiuta l'organismo del paziente ad affrontare interventi chirurgici, che mio e radioterapia; incrementa l'attivita' anti-tumorale del sistema immunitario
- Epatite cronica, cirrosi
- Affezioni gastroenterologiche
- Invecchiamento/invecchiamento precoce
- Astenia, stress e cachessia
- Disfunzioni sessuali
- Infezioni croniche del tratto genitourinario
- Complicanze dovute all'AIDS/HIV
L'attenzione della comunita' scientifica a livello internazionale e' stata sollevata, -dati i miglioramenti riportati con questa terapia anche da soggetti affetti da forme gravi- in particolare dal trattamento delle malattie neurologiche:
- Sclerosi laterale amiotrofica
- Sclerosi multipla
- Parkinson
- Alzheimer
- Distrofia muscolare
- Neurodistrofie 1° e 2°
- Neurotrauma e postumi da meningite


Arrivato a Kiev, il paziente viene accolto nella clinica dal Prof. Smikodub e dal suo staff. Il trapianto per via intramuscolare ed endovenosa e' indolore e non traumatico, in un contesto ambulatoriale, di day-hospital. E' necessario prevedere una permanenza a Kiev di almeno tre giorni.

Contatto in Italia, per la valutazione e consulenza iniziale, traduzione della cartella clinica e successivo controllo del decorso dopo il trapianto ci si puo' rivolgere a numerosi medici anche in Italia tra i quali, a Roma:
Dott.ssa Fiamma Ferraro
Studio medico -Via Paganella 7
00135 ROMA
tel/fax: 0635500018, cell.3403754383
e-mail: fiafier@yahoo.com sito web: www.geocities.com/fiafer



Le conclusioni a cui possiamo giungere sono di diverso tipo, ma preferiamo che ciascuno giunga alla sua. Per far questo, pero' ci teniamo ad evidenziare qualche punto su cui e' necessario fare chiarezza.
Innanzi tutto la distinzione tra cellule staminali embrionali e fetali. Se le prime sono totipotenti potendo dare luogo e generare qualsiasi tessuto, quelle fetali dagli studi realizzati fino ad oggi sembrano essere una via di mezzo tra le embrionali e le adulte, tanto da definirle pluripotenti, cioe' in grado di generare alcuni tessuti. Non solo quelli in cui sono state trovate, ma neppure tutti come quelle embrionali. Le difficolta' che i ricercatori devono al momento risolvere in merito alle applicazioni delle staminali embrionali sono in particolare quelle di conoscerle meglio e di comprendere come dare l'avvio alla loro proliferazione, e poi come arrestarle per evitare lo sviluppo di tumori.
Da un punto di vista degli studi e delle applicazioni, lavorare sulle staminali fetali e' legale anche in Italia, purche' a certe condizioni. In primis, che si tratti di aborti naturali o volontari, purche' non sia un incentivo a tali eventi. Un esempio risale a qualche mese fa, quando il professor Angelo Vescovi ha preannunciato per il prossimo anno l'avvio di una sperimentazione con staminali fetali per malattie neurodegenerative. Queste cellule non comportano alcun problema etico, a dire dello stesso Vescovi. Del resto anche il Comitato Nazionale di Bioetica lo scorso 20 maggio aveva dato parere positivo sull'uso terapeutico di cellule fetali provenienti da interruzione volontaria di gravidanza ove rispettate una serie di condizioni indicate nel documento: nessun genere di vantaggio o incentivo tra i soggetti implicati, consenso da parte della donna che non deve subire nessun trattamento preventivo prima di interrompere la gravidanza, uso del tessuto fetale solo per pratiche di elevata rilevanza scientifica (
http://staminali.aduc.it/ComitatoBioetica-CelluleFetali.pdf).

Del resto la possibilita' di affari poco chiari, per non dire loschi, sul commercio di feti era gia' venuta alla luce, sia in
Ucraina, che in Russia
, dove il ministero della Salute ha chiuso una quarantina di cliniche e istituti di bellezza che operavano senza permessi e che utilizzavano cellule di origine e tipo non ben chiaro. Spesso spacciavano per staminali embrionali tessuti animali, e pubblicizzavano cure miracolose per il ringiovanimento.

La spiegazione che offre in italiano la EMCELL e' chiara nel dire come i risultati e i miglioramenti non hanno alcuna "certificazione ufficiale" della comunita' scientifica internazionale, ma una non meglio precisata statistica di miglioramento delle condizioni di vita.
Come nel caso del medico cinese, il dottor Huang Hongyun, che ricorre sempre al trapianto di cellule fetali, non ci sono "garanzie". Eppure i "viaggi della speranza" proseguono, cosi' come proseguono a giungerci lettere che ci sollecitano un parere ed un contatto.
Noi continuiamo a ricordare come quella terapia che in molti definiscono "miracolosa" non ha avuto l'avallo della comunita' scientifica internazionale, non avendo realizzato i test e i protocolli classici. Lo stesso dottor Huang specifica come pur avendo i risultati sui pazienti, non ha ancora le prove del perche' la sua terapia ha successo: "spero che un giorno la ricerca dia una spiegazione, ma la mia cura funziona, i pazienti recuperano i movimenti".

Per ora, insomma, solo delle cavie. La sperimentazione sull'uomo ha da sempre suscitato polemiche, fino a che punto e in quali condizioni la sperimentazione e' legittima? Lo scienziato deve realizzare un esperimento solo quando esistono dei dati preventivi per cui si puo' presumere risultati certi? Ma se siamo davanti ad un paziente e alla sua ultima scelta, che rischia comunque di morire non avendo altre alternative di cura, e' legittimo sperimentare con la sua autorizzazione?
Il rischio che il rigore scientifico e l'iter delle malattie spesso vadano a due velocita' diverse, crediamo siano evidenti a tutti.

 

Donatella Poretti (http://staminali.aduc.it/)

 

Dal 2006 staminali fetali contro le malattie neurodegenerative

E' previsto per il 2006 in Italia il primo intervento sull'uomo basato sull'uso di cellule staminali prelevate 10 anni fa da feti naturalmente abortiti per curare due gravi malattia neurodegenerative. Lo ha annunciato a Roma il co-direttore dell'Istituto per la ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano, Angelo Vescovi, a margine del convegno sulla procreazione assistita organizzato all'Accademia dei Lincei dall'Istituto per la documentazione e gli studi legislativi (Isle), lo scorso 31 gennaio.
L'Italia si pone cosi' in pole position nella corsa internazionale alla sperimentazione basata sulle cellule fetali per la cura di malattie del cervello: altri due studi sull'uomo, ha detto Vescovi, sono al nastro di partenza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Negli Stati Uniti un'azienda privata, la StemCells di Palo Alto, ha appena presentato all'ente americano per il controllo sui farmaci, la Food and Drug Administration (FDA), la richiesta di autorizzazione per uno studio basato sull'impiego di cellule staminali cerebrali purificate, come terapia compassionevole, su bambini colpiti dalla malattia di Batten, una rara malattia ereditaria che colpisce il sistema nervoso. Sempre a scopo sperimentale, in Gran Bretagna un'altra azienda, la ReNeuron, prevede di utilizzare cellule staminali purificate per la cura dell'ischemia.
In Italia e' prevista nel 2006 la sperimentazione di cellule prelevate da feti abortiti per la cura di due "malattie neurodegenerative dall'esito letale", ha detto Vescovi senza voler precisare il tipo di malattia. Nello studio potrebbero essere arruolati adulti e bambini, per un totale di 15-20 pazienti. L'intenzione, ha aggiunto l'esperto, e' di avviare uno studio multicentrico, promosso dal Consorzio per la ricerca sulle cellule staminali (Constem), nato un anno e mezzo fa dalla collaborazione fra pubblico e privato.
Due al momento i nodi da risolvere: il primo riguarda i costi della sperimentazione, stimati in 2,5 milioni di euro, e l'altro riguarda gli altissimi requisiti di purezza richiesti dall'Unione Europea e indicati come Good Manifacturing Practice.
Nessun problema, invece, per la disponibilita' delle cellule che saranno utilizzate nello studio: sono state raccolte dieci anni fa dallo stesso Vescovi, prelevandole da feti abortiti spontaneamente. Non ci sono quindi, ne' per la legge ne' per la Chiesa, problemi etici che vietino l'uso di cellule di questo tipo. "In dieci anni, abbiamo utilizzato la meta' delle cellule prelevate". Le cinque fiale che oggi ci restano permetteranno di ottenere ancora centinaia di migliaia di cellule nervose.
L'intervento previsto nella sperimentazione e' un trapianto a tutti gli effetti. Anziche' un organo saranno trapiantate cellule da un individuo all'altro, ma ci sono buone speranze che il sistema immunitario dei pazienti possa accettare piu' facilmente le nuove cellule. Queste, ha rilevato Vescovi, derivano infatti da un unico individuo (contrariamente a quanto e' accaduto in altri interventi finora condotti sul cervello utilizzando cellule fetali) e inoltre il cervello ha una tolleranza migliore rispetto ad altri organi. Di conseguenza e' probabile che i pazienti arruolati nella sperimentazione avranno bisogno di una terapia immunosoppressiva lieve e forse temporanea.
La ricerca basata sull'utilizzo di cellule staminali derivate da tessuti adulti "e' un settore nel quale l'Italia e' all'avanguardia" ed e' "un settore promettente da sviluppare nel rispetto dell'etica", ha detto Vescovi. "E' un approccio che cambia il modo di fare medicina: non si interviene semplicemente sui sintomi, ma si ricostruiscono i tessuti, risalendo cosi' alla causa della malattia.

 

Si' del Comitato nazionale di bioetica all'uso di cellule fetali da Ivg

Il Comitato Nazionale per la Bioetica, in seduta plenaria, ha approvato il 20 maggio a larghissima maggioranza (1 astenuto, 1 voto contrario) un parere che definisce moralmente ammissibile l'utilizzo a fini terapeutici di cellule fetali provenienti da interruzione volontaria di gravidanza ove rispettate una serie di condizioni indicate nel documento: nessun genere di vantaggio o incentivo tra i soggetti implicati, consenso da parte della donna che non deve subire nessun trattamento preventivo prima di interrompere la gravidanza, uso del tessuto fetale solo per pratiche di elevata rilevanza scientifica.
Il parere Comitato era stato richiesto da Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro Nazionali Trapianti, che a sua volta aveva ricevuto la domanda di autorizzazione per avviare uno studio multicentrico di "terapia cellulare del morbo di Huntington attraverso l’impianto di neuroni fetali" proposto dall’Istituto Besta di Milano.
"Un grande passo avanti, si aprono filoni di ricerca molto interessanti. Abbiamo dato trasparenza e legittimita' ad un campo sperimentale che la maggior parte degli scienziati hanno finora percorso con imbarazzo e scrupoli", riassume Cinzia Caporale, vicepresidente del Cnb.
Solo un voto contrario (Martini) e un astenuto (Bompiani). Parere favorevole anche da monsignor Elio Sgreccia, membro del Comitato ma anche presidente della Pontificia Accademia delle Scienze

 


 

Una molecola naturale, tante medicine contro malattie del cervello

 

Tre studi su modelli animali e su pazienti dimostrano le potenzialità di una semplice molecola naturale contro malattie quali il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o morbo di Lou Gehrig, le conseguenze di un ictus.  È quanto riferito da Päivi Liesi, del Brain Laboratory all’Università di Helsinki in Finlandia al Meeting Annuale della Society for Neuroscience al Washington Convention Center di Washington, D.C.

I tre studi presentati rafforzano e ampliano i risultati della ricerca pubblicata sul Journal of Neuroscience Research. La protagonista di questi lavori è la proteina KDI tri-peptide (KDI) che si ottiene da una molecola più grande presente normalmente nel corpo umano, la laminina.
“Non vi è ormai alcun dubbio – ha dichiarato Liesi – che KDI possa avere efficacia terapeutica e aiutare a prevenire e anche a revertire (curare) alcune delle conseguenze di queste devastanti malattie neurologiche”.

Nel primo studio, sul morbo di Parkinson, modelli animali di questa malattia neurodegenerativa, caratterizzata da danno a livello dei centri dopaminergici per il controllo motorio, hanno ricevuto iniezioni di KDI. I risultati sono stati sorprendenti, ha riferito il neurologo: una sola iniezione di KDI ha prevenuto la morte cellulare legata alla malattia, a differenza di animali col Parkinson non trattati con KDI.
Secondo Liesi questi risultati mostrano per la prima volta le enormi potenzialità per lo sviluppo di una nuova cura “biologica” contro il Parkinson che agisca da subito, cioè ancor prima che i sintomi facciano la loro comparsa.

“Questo è un approccio pionieristico per trattare il morbo di Parkinson ", ha dichiarato George Martin, direttore scientifico del National Institute on Aging statunitense. "Invece di focalizzare l’attenzione sul trattamento dei sintomi della malattia, dopo che questi hanno già cominciato a sgretolare la qualità di vita dei pazienti, questi risultati mostrano come i sintomi possono essere trattati al loro esordio e la loro progressione interrotta”. Nel secondo studio gli esperti hanno osservato uomini e animali con la SLA, una devastante malattia neurologica che causa la morte di neuroni del cervello e del midollo spinale.

Nella ricerca si dimostra per la prima volta che le cellule del midollo spinale dei pazienti tentano di produrre maggiori quantità di KDI. Inoltre nei pazienti questo aumento di produzione di KDI è inversamente proporzionale alla gravità della malattia.  “Sembra che il corpo tenti di proteggersi producendo KDI”, ha riportato Liesi, ma in molti casi non è capace di produrne abbastanza da fermare il danno. Questo fa supporre che fornire ulteriori quantità di KDI potrebbe potenziare l’azione autoprotettiva dell’organismo.

La scoperta per la prima volta rivela che KDI è coinvolta nella SLA e potrebbe essere usata a scopo terapeutico. Infine il terzo studio mostra che KDI potrebbe avere poteri protettivi contro i danni di un ictus. Il cervello colpito da ictus, è dimostrato in questo studio, reagisce producendo naturalmente KDI nei tessuti sani limitrofi alle aree danneggiate. “Al momento stiamo testando l’abilità di KDI di prevenire il danno da ictus e i risultati preliminari sono molto promettenti”, ha detto Liesi, anticipando che sperimentazioni cliniche sono imminenti in vari ambiti della lotta alle malattie neurodegenerative.


 

Le mutazioni che causano apoptosi contribuiscono al processo di invecchiamento

 

Uno studio, compiuto da Ricercatori dell’Università della Florida, ha trovato che mutazioni a livello mitocondriale causate da aumento di peso corporeo e mancanza di esercizio, e non da stress ossidativo da radicali liberi, possono essere un fattore chiave nel processo di invecchiamento.
I Ricercatori hanno scoperto che gli animali incapaci a riparare gli errori durante il processo di replicazione del DNA, presentavano un aumento dell’apoptosi, cioè della morte cellulare programmata.
E’ stato osservato che i topi mutanti vivevano meno rispetto ai topi normali.
Già a 9 mesi d’età, andavano incontro a perdita di peli, a perdita dell’udito, della massa ossea, segni di invecchiamento.
Tuttavia, sebbene i topi rappresentino un buon modello di invecchiamento, essi mancano della componente infiammazione cronica, che può essere alla base, ad esempio, della malattia cardiovascolare, delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
L’infiammazione cronica è associata ad un aumentata produzione di radicali liberi

 

Fonte: University of Florida, 2005
XagenaHeadlines2005

 


 

 

Inghilterra: ok alla clonazione di un embrione umano

 

Due «mamme» forniranno il materiale genetico. L'esperimento autorizzato per una ricerca sulle malattie ereditarie mitocondriali

LONDRA - Gli scienziati dell'universitá di Newcastle, in Gran Bretagna, hanno ottenuto il via libera alla clonazione di un embrione umano.
Le «mamme» che forniranno il loro materiale genetico saranno due, L'equipe trasferirà il nucleo di un embrione umano, concepito da un uomo e da una donna, nell'ovulo prelevato da un'altra donna. L'obiettivo è impedire in futuro la trasmissione, al nascituro, di patologie genetiche ereditate dalla madre, le malattie
mitocondriali. Malattie al momento senza cura. Studi precedenti eseguiti sui topi hanno infatti indicato che è possibile prevenirle prelevando il nucleo da un ovulo fecondato che contiene mitocondri difettosi e trasferendolo in un altro ovocita, non fecondato, in cui questi organelli funzionano normalmente.

Doug Turnbull, professore di neurologia dell'universitá di Newcastle, e Mary Herbert, direttore scientifico del Newcastle Fertility Centre, intendono verificare se questo metodo funziona anche su embrioni umani.
I
mitocondri sono la centrale energetica della cellula e hanno la particolaritá di avere, ognuno, un proprio Dna. Se questo Dna, che si eredita solo dalla madre, è difettoso, i mitocondri non funzionano come dovrebbero e insorgono malattie che possono colpire qualsiasi organo. Oltre il 90% dell'energia utilizzata nell'organismo, infatti, è prodotta nei mitocondri. I ricercatori britannici, che hanno ottenuto il via libera dell'Autoritá per la fecondazione umana e l'embriologia (Hfea) e sono finanziati dalla Muscular Dystrophy Campaign, dovranno verificare se il trasferimento del nucleo è efficace e sicuro.

 

PERPLESSITA' - Interessante dal punto di vista sperimentale ma difficilmente traducibile in una pratica clinica accettata, poichè si pone come presupposto l'accettazione della clonazione umana. Questa, in sintesi, la posizione del direttore dell'Istituto di genetica dell'Università Cattolica di Roma, Giovanni Neri, in merito all'annuncio dei ricercatori dell'Università di Newcastle, in Inghilterra, pronti a clonare un embrione umano utilizzando il materiale genetico di due madri con l'obiettivo di prevenire la trasmissione madre-figlio di alcune malattie genetiche. «In questa operazione - ha commentato Neri - può esserci un interesse sperimentale, ma è difficile che una simile metodica posa poi tradursi in una pratica accettata e applicata. Significherebbe infatti dover comunque accettare il principio dell'ammissibilità della clonazione umana». «Dal punto di vista tecnico - ha affermato l'esperto - non mi sembra ci siano grosse novità, dal momento che il trasferimento di nucleo è stato già effettuato varie volte sugli animali. Ma che sia stata data l'autorizzazione a procedere ad una sperimentazione in tal senso sull'uomo - ha concluso - mi lascia molto perplesso».
Monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, boccia, a sua volta, l'autorizzazione, concessa a ricercatori inglesi, a clonare un embrione umano utilizzando il materiale genetico di due madri con l'obiettivo di prevenire la trasmissione madre-figlio di alcune malattie genetiche. «Posso dire, prima di tutto - ha sottolineato monsignor Sgreccia a Radio Vaticana - che si tratta di una sperimentazione il cui esito è tutto da vedere. Dal punto di vista morale vi sono almeno tre illeciti. Uno: che si fa una clonazione vera e propria, cioè si trasferisce un nucleo preso da una cellula di un embrione; secondo: questo embrione da cui si prende il nucleo viene soppresso; terzo: si crea un nuovo embrione e lo si trasferisce nella donna, che diventa una madre surrogata. Vi è dunque - ha concluso monsignor Sgreccia - tutto un incrocio di illeciti sul quale il giudizio della morale - non soltanto cattolica, credo - è completamente negativo»

08 settembre 2005

 


 

Ruolo patogenetico delle mutazioni del gene OPA1 nella neuropatia ottica autosomica dominante


L’atrofia ottica autosomica dominante ( ADOA ) è la forma più comune di neuropatia ottica ereditaria.
Le mutazioni del gene OPA1, codificante per una proteina
mitocondriale associata alla dinamina, stanno alla base dell’atrofia ottica autosomica dominante e possono aletrare la biogenesi ed il mantenimento dei mitocondri.
Un gruppo di Ricercatori coreani ha analizzato lo spettro di mutazioni del gene OPA1 ed ha determinato le alterazioni nel contenuto
mitocondriale causato dalle mutazioni in OPA1.
Sono stati studiati 16 pazienti, di età compresa tra 7 e 40 anni, con atrofia ottica autosomica dominante clinicamente sospettata.
Sono state riscontrate 8 differenti mutazioni, tra cui 5 nuove mutazioni.
L’analisi quantitativa con RT-PCR ( real-time polymerase chain reaction ) ha mostrato un’eccellente linearità e precisione nella determinazione del numero di copie del DNA
mitocondriale.
Il numero di copie di DNA
mitocondriale per cellula nei pazienti con mutazioni nel gene OPA1 è risultato decisamente più basso rispetto al numero di copie del gruppo controllo ( p = 0.037 ), soprattutto rispetto ai soggetti del gruppo controllo di età compresa tra i 10 ed i 39 anni ( p = 0.022 ).
Lo spettro di mutazione del gene OPA1 rivela una marcata eterogeneità genetica ed il contenuto del DNA
mitocondriale è risultato inferiore nei pazienti con neuropatia ottica autosomica dominante.
Questo sta ad indicare un ruolo patogenetico delle mutazioni del gene OPA1.( Xagena-neurologia-2005 )

 

 


 

 

Bloccando un gene si vivrà 25 anni in più

 

Il dottor Faust vendette l’anima al diavolo per un’eterna giovinezza mai ottenuta. Non sapeva ancora che il segreto è in un piccolo tratto di Dna, un gene. Non quello dell’immortalità, ma di una vecchiaia in salute giovanile. Particolare importante: bloccando questo gene la vita media si allungherebbe di un 30 per cento. Tradotto: se la media attuale è 78-80 anni, potrebbe toccare i 100-105 anni. E tutto ciò senza dover scendere a patti con il diavolo. Il gene è il P66shc. La scoperta, tutta italiana, è avvenuta in due tempi: nel 1999 (storica la pubblicazione su Nature) l’identificazione di questo frammento di Dna anti-aging; nel 2005 (la pubblicazione su Cell, la più importante rivista scientifica al mondo di biologia cellulare) ecco il suo meccanismo d’azione. Lo studio è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). «Sei anni fa dimostrammo che gli anni di vita dei mammiferi sono geneticamente determinati, incidenti a parte: nell’animale, inibendo l’attività del gene P66, la durata di vita aumenta del 30 per cento — spiega Pier Giuseppe Pelicci, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale dell’Istituto europeo di oncologia e coordinatore del gruppo Ieo-Ifom autore della ricerca —. Oggi sappiamo come questo avviene. Siamo quindi, dal punto di vista scientifico, nella posizione di trovare una o più molecole in grado di bloccare l’attività di P66 per ottenere non solo una durata maggiore della vita, ma soprattutto una durata maggiore della vita sana, senza le malattie connesse all’invecchiamento cellulare, come l’aterosclerosi, il Parkinson, l’Alzheimer e il cancro».

Soddisfatto il professor Umberto Veronesi, direttore scientifico dello Ieo: «Tutte le ricerche che indagano l’invecchiamento sono importanti, proprio per riuscire a raggiungere un allungamento della vita in buona salute. La scienza non si interessa dell’immortalità, ma delle malattie degenerative legate all’invecchiamento. Noi dobbiamo studiare come preservare la migliore qualità di vita possibile». Ma come funziona questo P66? Marco Giorgio, primo firmatario del lavoro su Cell, cerca una spiegazione comprensibile ai profani: «Da tempo sappiamo che all’interno della cellula i mitocondri (le "centrali elettriche" cellulari, ndr) producono l’energia necessaria alle funzioni vitali, ma il costo biologico di questa attività sono i radicali liberi (rifiuti) e acqua ossigenata (H2O2). In una vita media, di circa 75 anni, un uomo produce circa due litri di acqua ossigenata. L’H2O2 è molto pericolosa per la cellula stessa, perché tende, a causa delle reazioni termodinamiche che innesca, a indurre mutazioni dannose nelle proteine e nel Dna che costituisce i geni.

Da qui invecchiamento e morte. Studiando a fondo P66 abbiamo scoperto che il mitocondrio non produce H2O2 per caso, ma volontariamente. La proteina prodotta dal gene P66 lavora nel mitocondrio, dove sottrae elettroni per legarli a molecole di ossigeno e produrre proprio H2O2». Maallora P66 è un gene «cattivo »? «Non esistono in natura geni "cattivi" — replica Enrica Migliaccio, coautrice delle ricerche —. Anzi, P66 serve a regolare i cicli fondamentali delle cellule nell’uomo e in tutti i vertebrati: dalla morte (apoptosi) alla nascita di nuove cellule. E’, in pratica, il gene regolatore del rinnovamento dei tessuti. Il prezzo biologico che paghiamo per questo ricambio vitale è proprio l’invecchiamento ». Quindi perché si deve andare a bloccare P66? «La scoperta del meccanismo d’azione di P66 ha implicazioni filosofiche —conclude Pelicci —. Dal punto di vista evolutivo, è chiaro che l’invecchiamento non ha alcun interesse. La natura lo considera un evento poco rilevante ai fini della conservazione della specie. Ha però implicazioni pratiche. Poiché noi oggi non viviamo in condizioni naturali, possiamo biologicamente fare a meno di P66 e combattere l’invecchiamento. E’ solo questione di risorse poter trovare inibitori di questo affascinante gene per perseguire una "più lunga" qualità di vita». I tempi? «Pochi anni con i fondi adeguati. Conosciamo la reazione chimica e già esistono dei potenziali inibitori: vanno provati».

Mario Pappagallo

29 luglio 2005      

 


 

 

Medicina: Fatica Cronica? Dipende Da 'Iperlavoro' Geni Nel Sangue

 

Roma, 22 lug. (Adnkronos Salute) - Cronicamente stanchi? E una questione di geni e di quanto lavorano. Un gruppo di ricercatori britannici ha individuato alcuni marcatori biologici della sindrome della fatica cronica, una scoperta che potrebbe portare alla messa a punto di un test per la diagnosi di questinsieme di disturbi: senso di profonda stanchezza, debolezza, mal di testa, sonno disturbato. Secondo gli scienziati, nei globuli bianchi delle persone che soffrono di fatica cronica, alcuni geni funzionano diversamente: sono piu attivi rispetto al normale. Usando tecnologie molto sofisticate, lequipe del St George Hospital di Londra ha confrontato i livelli di attivita dei geni nei globuli bianchi di 25 volontari sani e 25 con fatica cronica. Sono emerse differenze nel comportamento di 35 geni tra i 9.522 analizzati. Altri test hanno mostrato, nel sangue dei pazienti, 15 di questi geni ben 4 volte piu attivi del normale. Solo uno, invece, lavorava di meno. La maggior parte dei geni individuati dai ricercatori gioca un ruolo importante nei mitocondri, le centrali energetiche della cellula. Uno dei prodotti di questi geni, infatti, e EIF4G1, a sua volta coinvolto nella produzione di proteine nei mitocondri. Quando questo viene attaccato da alcuni virus, le cellule reagiscono aumentando lespressione dei geni, che cosi viene alterata. Abbiamo mostrato - afferma Jonathan Kerr, coordinatore della ricerca - il ruolo svolto dai globuli bianchi e dalla loro attivita nellinsorgenza della malattia. Questo potrebbe portare allo sviluppo di farmaci mirati.

(Mad/Adnkronos Salute

 


 

 

Un "ricostituente" dei neuroni

 

Il GDNF appartiene alla stessa famiglia dei fattori neurotrofici del più famoso GNF (fattore di crescita neuronale) scoperto da Rita Levi Montalcini. Prodotto dalle cellule gliali che sono l'impalcatura di sostegno delle cellule nervose di tutto il corpo, regola sviluppo e funzionamento del sistema nervoso, ma anche altri apparati come quello renale o quello gastro-intestinale. Individuato una decina d'anni fa, ha dimostrato la capacità di aumentare la sopravvivenza dei neuroni dopaminergici della sostanza nera cerebrale, regolando il passaggio del potassio attraverso i canali della loro membrana cellulare. L'effetto protettivo e "ricostituente" dei fattori neurotrofici non sarebbe prerogativa esclusiva di queste sostanze: anche alla base dell'attività terapeutica di molti farmaci anti-parkinson, dalla levodopa al pramipezolo, sembra infatti esserci un effetto di neuroprotezione anti-ossidativa che farebbe aumentare la sopravvivenza dei neuroni.

8 luglio 2005

 


 

 

Un articolo tratto da Corriere Salute del 16 gennaio 2005

 

Paraplegia: miracolo cinese?

 

Infuria la polemica sul chirurgo di Pechino che inietta cellule fetali per "restituire il movimento". Manca la documentazione scientifica

 

Un ospedale nella parte ovest di Pechino con la sua pagoda a colori vivaci e i giardini curati come solo i cinesi sanno fare. Uno dei tanti, apparentemente. Ma quello che sta accadendo nelle sue sale operatorie è al centro di una polemica scientifica feroce, mentre cresce un pellegrinaggio che ha assunto dimensioni mondiali. Huang Hongyun, neurochirurgo con formazione americana, da tre anni inietta a paraplegici e malati di Sclerosi laterale amiotrofica cellule prelevate dal bulbo olfattorio di feti di 16 settimane e coltivate in laboratorio. Con risultati, a quanto sembra, strabilianti. Tanto che anche la rivista inglese Lancet si è sentita in dovere di intervistare una dozzina di questi "miracolati". Riceve ogni giorno una montagna di email da tutto il mondo da persone paraplegiche e colpite da sclerosi laterale amiotrofica e la sua lista di attesa scoppia: per i pazienti stranieri (l'intervento costa 20.000 dollari) l'elenco arriva alla fine del 2006, per i cinesi si allunga a dieci anni.

SPREGIUDICATEZZA Ma l'uomo del miracolo, il neurochirurgo Huang Hongyun, contadino "per forza" all' epoca della Rivoluzione Culturale, poi studente di medicina e chirurgo negli Stati Uniti, Paese al quale deve la sua formazione, con olimpica tranquillità confessa di non avere una spiegazione del perché il suo metodo funziona, ma di sentirsi forte dei risultati. «Sono evidenti, sotto gli occhi di tutti: gli scienziati occidentali possono venire a constatarli» ha dichiarato alla rivista inglese Lancet. Ma nonostante abbia operato 500 persone in soli tre anni, Huang non si sente in dovere di pubblicare dati sul suo lavoro sulle riviste internazionali; si limita al Chinese Medical Journal. Di ricerche strutturate e rigorose con gruppi di confronto placebo, ed altro, non vuol sapere: «Mi occupo di gente che soffre, devo fare qualcosa per loro, non posso darmi da fare per essere accettato dalla Comunità scientifica» afferma lapidario. Senz' altro l' intervento di Huang è innovativo; secondo i suoi nemici, fino alla spregiudicatezza.

DAL BULBO OLFATTORIO Si tratta, in sostanza, di una terapia "cellulare" che non utilizza, però, le ormai mitiche staminali, ma cellule gliali basali prelevate da feti abortiti di circa 16 settimane (in Cina la politica del governo per la limitazione delle nascite ne fornisce in abbondanza) coltivate in laboratorio per 14 giorni su particolari terreni di cultura sui quali il chirurgo è riluttante a dare troppe spiegazioni. Sono cellule del bulbo olfattorio (la struttura alla radice del naso da cui partono gli impulsi che permettono la percezione degli odori), progenitrici della cosiddetta glia, la sostanza bianca del cervello e dei nervi, che ha funzione di isolante e di supporto ai neuroni.

LE PROPRIETA' «Cellule, presenti nel feto, ma in misura minore anche nell' organismo adulto, interessanti per le loro caratteristiche di immaturità e per la capacità di secernere fattori di crescita - spiega Eugenio Parati, Direttore del Dipartimento di neurobiologia e terapie neuroriparatrici dell' Istituto C. Besta di Milano -. Tra questi, diverse neutotrofine e il Nerve Growth Factor (NGF). Senza dimenticare la laminina e la fibronectina». Per la coltivazione in laboratorio Huang Hongyunutilizza sieri bovini - vietati in Europa per precauzione in seguito al "Morbo della mucca pazza" - che gli permettono di moltiplicarle fino a venti volte, tanto che da un solo feto riesce a ricavare il milione di cellule necessario per l' intervento sulle persone paralizzate. Intervento che avviene in anestesia generale e presuppone l' iniezione delle cellule, metà immediatamente al di sotto, l' altra metà al di sopra, dell' area di midollo spinale lesionata. Per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei nervi che comandano vari muscoli, l' operazione è più invasiva, nonostante venga eseguita in anestesia locale: dopo aver aperto il cranio, Huang inietta oltre 2 milioni di cellule nella corteccia frontale del cervello. E sono proprio questi pazienti quelli che sembrano ricavarne il maggiore beneficio. Come Judy Cooper, americana della Florida, alla quale la malattia fu diagnosticata un anno fa: quando è arrivata nell' ospedale di Pechino qualche mese fa aveva difficoltà a camminare e non riusciva a parlare. Due settimane dopo l' intervento si muoveva senza particolari problemi.

LE REAZIONI Come è possibile una ripresa del genere? Il neurochirurgo cinese sostiene che i risultati sono dovuti alla grande quantità di fattori di crescita che le cellule basali gliali producono, tali da stimolare la rigenerazione delle cellule nervose. Scettici gli scienziati, ovviamente, ma non tutti. Paul Cooper, direttore del centro di chirurgia spinale dell' Università di New York confessa di essere rimasto impressionato dai risultati di Huang: «Non è un ciarlatano; - ha dichiarato al Lancet - è incredibile: ho visto gambe paralizzate tornare a muoversi; persone con le braccia immobili riuscire a tenere in mano una tazza di tè». Molto perplesso, invece, Parati: «Siamo di fronte ad uno sperimentalismo esasperato. Si è visto in vitro che queste cellule sono capaci di produrre fattori di crescita. Ma quello che accade in laboratorio non è detto che avvenga nell' organismo. E per quanto riguarda l' animale da esperimento, ci sono soltanto due studi sul ratto pubblicati negli anni scorsi che confermerebbero questa attività benefica delle cellule basali gliali. Mi sembra poco. Non dimentichiamo, infine, che l' iniezione praticata da Huang non è esente da rischi: si possono indurre tumori, ma anche provocare ematomi e piccole emorragie».

 

Francia Porciani

 

Vedi anche: miopatie metaboliche

 


 

 

Usa: moltiplicate per la prima volta cellule staminali cerebrali

 

Scienziati dell'Università della Florida hanno annunciato di aver trovato un modo per individuare cellule staminali nel cervello e moltiplicarle. La scoperta potrebbe aprire la strada nuove terapie nella lotta a malattie degenerative, come il Parkinson e la corea di Huntington. I ricercatori, che hanno condotto esperimenti sui topi, hanno studiato le staminali, cellule-madri che si trovano in tutti i tessuti, ma che sono difficili da identificare. In teoria, una volta isolate e coltivate sotto le giuste condizioni, esse possono dar vita a tipologie del tessuto desiderato. Le cellule staminali adulte possono provenire dal paziente stesso, senza dover ricorrere ai donatori. «Abbiamo usato un microscopio speciale - ha detto Tennis Steindler, che ha lavorato allo studio dell'Università della Florida - che ci permette di vedere le cellule vivere per lunghi periodi di tempo, per cui abbiamo effettivamente constatato che le staminali danno vita a nuovi neuroni. Probabilmente un metodo diverso potrebbe riuscire a individuare la madre di tutte le cellule staminali, noi siamo fiduciosi». I ricercatori hanno anche spiegato il modo in cui queste cellule vengono moltiplicate. «È come una catena di montaggio per fabbricare e accrescere il numero di cellule cerebrali. -ha detto Bjorn Scheffler, un neuroscienziato dell'Università della Florida- Possiamo prendere queste cellule e congelarle fino a quando ne avremo bisogno. Poi possiamo scongelarle, dare il via a un processo di generazione delle cellule e produrre una tonnellata di nuovi neuroni». Altri gruppi di ricerca erano finora riusciti a coltivare e a far differenziare in laboratorio delle cellule nervose, ma quello coordinato da Bjorn Scheffler, del McKnight Brain Institute, in Florida, ha potuto anche osservare il processo di neurogenesi attraverso il quale una cellula nervosa multipotente (capace cioè di svilupparsi in più direzioni), come una delle cellule che formano l'impalcatura del sistema nervoso, riesce a trasformarsi in un neurone. Il prossimo passo dei ricercatori sarà ripetere lo stesso esperimento su cellule nervose umane e, in caso di successo, si apriranno nuove possibilità per avere a disposizione riserve illimitate di cellule nervose da utilizzare in futuro per la cura di malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson. Teoricamente, secondo i ricercatori, queste provviste di neuroni potrebbero essere accumulate e conservate in un congelatore fino al momento di utilizzarle. Impossibile, comunque, stabilire quando questo diventerà possibile: la strada della ricerca in questo campo è ancora molto lunga e potrebbero occorrere anni prima di arrivare a risultati da trasformare in terapie. La stessa tecnica potrebbe essere utilizzata anche per ottenere un modello che permetta di studiare il processo di riparazione naturale delle lesioni del sistema nervoso centrale e sul quale sperimentare nuove generazioni di farmaci in grado di stimolare la rigenerazione delle cellule nervose danneggiate. Si compirebbe in questo modo un passo in avanti importante sulla strada della cosiddetta medicina rigenerativa, alla cui base c'è la capacità di stimolare e modulare l'attività delle cellule staminali

 


 

Martedì 31 Maggio 2005

Stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e risposte allo stress cellulare nelle malattie neurodegenerative

( Xagena - Neurologia )

 

Esiste una significativa evidenza che nella patogenesi di diverse malattie neurodegenerative, tra cui la malattia di Parkinson, la malattia di Alzheimer, l’atassia di Friedreich ( FRDA ), la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, sia implicata la generazione di specie reattive dell’ossigeno ( ROS ) e/o di specie reattive dell’azoto ( RNS ) associata alla disfunzione mitocondriale.
Il genoma
mitocondriale può avere un importante ruolo nella patogenesi di queste malattie e l’evidenza che i mitocondri siano un sito di danno nelle malattie neurodegenerative si basa in parte sulla riduzione dell’attività della catena respiratoria nella malattia di Parkinson, di Alzheimer e di Huntington.
La precisa sequenza di eventi nella patogenesi dell’atassia di Friedreich non è ben definita.
L’alterato metabolismo
intramitocondriale con aumento dei livelli di ferro libero, ed una difettiva catena respiratoria mitocondriale, associata ad un’aumentata generazione di radicali liberi e danno ossidativo, possono rappresentare un possibile meccanismo in grado di compromettere la vitalità cellulare.
La frataxina, una proteina
mitocondriale, può detossificare i ROS mediante attivazione della glutatione perossidasi ed aumento dei tioli.
La ridotta espressione della proteina frataxina è associata all’atassia di Friedreich.
L’eterogeneità dei fattori eziologici rendono difficile definire con precisione il principale fattore clinico di inizio della malattia e della sua progressione.
Ci sono evidenze che lo stress ossidativo e l’alterato metabolismo proteico siano due elementi essenziali nella patogenesi dell’atassia di Friedreich.
Il cervello dei pazienti con atassia di Friedreich subiscono molti cambiamenti in risposta allo “shock termico” ( “heat shock”), una forma di risposta allo stress.
Nel sistema nervoso centrale, la sintesi della proteina “heat shock” ( HSP ) è indotta non solo dopo ipertermia, ma anche dopo alterazioni nell’ambiente redox intracellulare.
Le principali malattie neurodegenerative ( malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, malattia di Huntington, atassia di Friedreich ) sono tutte associate alla presenza di proteine anormali.
Tra le proteine “hot shock”, HSP-32, anche nota come HO-1 ( eme ossigenasi-1 ), sembra avere un ruolo importante.
HO-1 potrebbe rappresentare un sistema protettivo potenzialmente attivo contro il danno ossidativo a livello cerebrale.
La manipolazione dei meccanismi di difesa cellulari endogeni, come la risposta “heat shock” attraverso antiossidanti nutrizionali, composti farmacologici o trasduzione genica, potrebbe rappresentare un innovativo approccio nelle malattie neurodegenerative.( Xagena )
Fonte: J Neurol Sci

 


Venerdì 22 Aprile 2005

STAMINALI: LINCEI, SI' A USO EMBRIONI ABBANDONATI

 

(ANSA) - ROMA, 22 APR - Si' dall'Accademia dei Lincei all'uso degli embrioni congelati in sovrannumero per ottenere cellule staminali a fini di ricerca. E' quanto emerge dal documento sulle cellule staminali approvato oggi nell'adunanza delle Classi riunite dell'Accademia con 58 voti favorevoli, 8 contrari e 14 astenuti.
''L'Accademia Nazionale dei Lincei - si legge nel documento - si augura che sia evitata la perdita o l'eliminazione, invece dell'utilizzazione, degli embrioni soprannumerari congelati attualmente esistenti, e che il Parlamento approvi rapidamente leggi che consentano, in condizioni severe, controllate e protette da abusi, la donazione dei suddetti embrioni soprannumerari''. Secondo gli esperti dei Lincei ''verranno in tal modo accresciute le conoscenze scientifiche e, di conseguenza, alleviate le gravi sofferenze prodotte dalle malattie degenerative''.
Nel documento, in tre punti, si rileva che ''non e' ancora noto in quale misura le cellule staminali derivate dai tessuti adulti e dai cordoni ombelicali potranno sostituire, in tutto o in parte, quelle derivate dalle cellule fetali ed embrionali'' e che ''in seguito alle critiche sviluppatesi in numerose sedi, la ricerca con le cellule staminali derivate da embrioni soprannumerari congelati e' oggi di fatto vietata in Italia''. Ma secondo gli accademici ''esistono tuttavia validi argomenti in favore della rimozione di tali divieti''.
In primo luogo, si osserva nel documento, il divieto dell'uso degli embrioni congelati ''non sembra giustificabile dal momento che gli embrioni in questione sono comunque destinati a essere eliminati, e che lo scopo dell'uso e' quello di curare le malattie e cioe' di diminuire le sofferenze umane''. Inoltre gli studiosi osservano che il no alla sperimentazione con cellule staminali derivate da embrioni soprannumerari ''e' in conflitto con due dispositivi gia'esistenti nella legislazione italiana relativi all'interruzione della gravidanza e alla vendita, dietro prescrizione medica, della cosiddetta ''pillola del giorno dopo''. In terzo luogo il documento rileva che la Convenzione di Oviedo approvata dal Consiglio d'Europa nel 1997 e ratificata dal Parlamento italiano nel 2001 vieta la produzione di embrioni umani esclusivamente a fini di ricerca, ma non la produzione di embrioni a fini fecondativi ne' il loro uso a fini di ricerca di base ''nel caso il fine fecondativo divenga superfluo e gli embrioni siano destinati alla eliminazione''.
Il terzo punto del documento riguarda, infine, le ricadute positive della ricerca sulle cellule staminali e della medicina rigenerativa in generale per la terapia di malattie degenerative come quelle cardiovascolari e autoimmuni, diabete, osteoporosi, tumori, morbo di Alzheimer e di Parkinson.(ANSA).

 


 

 

21/3/2005

Una mutazione del missense nel gene PUS1 che interessa un amminoacido altamente conservato è stata associata con l'anemia mitocondriale di Sideroblastic e di Myopathy (MLASA), un disordine ossidativo recessivo autosomal raro di fosforilazione. Il gene PUS1 mette l'enzima in codice Pseudouridine Synthase 1 (Pus1p) che è conosciuto ai tRNAs dello pseudouridylate in altre specie. Il RNA totale è stato isolato dalle linee linfoblastoidi delle cellule stabilite dai pazienti, i genitori, fratelli germani inalterati ed i comandi indipendenti ed i tRNAs si sono analizzati per la presenza dello pseudouridine alle posizioni previste. I tRNAs mitocondriali e citoplasmici dai pazienti di MLASA stanno difettando della modifica ai luoghi modificati normalmente da Pus1p, mentre i tRNAs dai comandi, dai fratelli germani inalterati, o dai genitori tutti hanno pseudouridine a queste posizioni. In più, non ci era attività di Pus1p in un estratto fatto da una linea delle cellule derivata da un paziente con MLASA. La macchiatura di Immunohistochemical di Pus1p nelle linee delle cellule ha mostrato la distribuzione nucleare, citoplasmica e mitocondriale della proteina e non ci è differenza nella macchiatura fra i pazienti ed i membri inalterati della famiglia. MLASA è associato così con lo pseudouridylation assente o notevolmente ridotto di tRNA ai luoghi specifici, implicanti questa via nella relativa patogenesi molecolare.

 

26/3/2005

Myopathy mitocondriale in ophthalmoplegia esterno progressivo (PEO) è stato associato con le mutazioni POLG1. POLG1 mette l'unità secondaria in codice catalitica dell'alfa di gamma della polimerasi ed è l'unica polimerasi conosciuta per partecipare alla replica di mtDNA. Ha due dominii dal punto di vista funzionale differenti, un dominio della polimerasi ed un dominio di exonuclease con attività di correzione delle bozze. In questo studio abbiamo studiato direttamente se le mutazioni del punto di mtDNA sono implicate, o indirettamente, nella patogenesi degli esemplari di biopsia del PEO. Muscle dai pazienti con le mutazioni POLG1, interessante o il exonuclease o il dominio della polimerasi, è stato studiato. Singola ossidasi del citocromo c (le fibre del muscolo di COX)-deficient sono state dissecate e selezionato per le mutazioni clonally espanse del punto di mtDNA usando un'analisi denaturante sensibile di elettroforesi del gel di pendenza, in cui tre regioni differenti del mtDNA, compreso cinque geni differenti di tRNA, sono state studiate. Per selezionare per le mutazioni a caso distribuite del punto di mtDNA in muscolo, due regioni del mtDNA compreso gli scaglioni di fatturazione di omissione sono state studiate da PCR high-fidelity, seguito clonando ed ordinando. PCR a lungo raggio ha rivelato le omissioni multiple di mtDNA in tutti i pazienti ma non nei comandi. Nessuna mutazione del punto è stata identificata nelle singole fibre del muscolo di COX-deficient. La clonazione ed ordinare dell'omogeneato del muscolo hanno identificato le mutazioni a caso distribuite del punto a molto a bassa frequenza in pazienti e nei comandi (< 1:50 000). Concludiamo che le mutazioni del punto di mtDNA non sembrano coinvolgere direttamente o indirettamente nella patogenesi della malattia mitocondriale in pazienti con il giornale differente di POLG1 mutations.European della genetica umana (2005) 13, 463-469, doi:10.1038/sj.ejhg.5201341 pubblicati in linea il 9 febbraio 2005.

 

2/3/2005

Accumulando la prova suggerisce la disfunzione mitocondriale nel disordine bipolare. Le analisi dei geni mitocondrio-relativi che usando il DNA LARS2 significativamente aumentato indicato microarray (sintetasi mitocondriale di leucyl-tRNA) nelle cortecce prefrontal post mortem dei pazienti con disordine bipolare hanno fornito dall'accumulazione del cervello del fondamento di Stanley. LARS2 è un gene nucleare che mette l'enzima in codice che catalizza il aminoacylation di tRNA(Leu) mitocondriale. Una mutazione del punto del DNA, un 324Á>g mitocondriali bene-studiati, nella regione del tRNA(Leu (UUR)), riguardante con MELAS (myopathy mitocondriale, encefalopatia, acidosi lattica e colpo-come gli episodi), è conosciuta per fare diminuire l'efficienza del aminoacylation del tRNA(Leu (UUR)). METODI: Il livello dello stato di stabilità di LARS2 è stato esaminato nei cybrids transmitochondrial che trasportano 324Á>g. Abbiamo esaminato la mutazione 324Á>g in questi cervelli usando il metodo acido-premuto nucleico di polimorfismo di lunghezza del frammento di limitazione di reazione a catena della polimerasi del peptide. RISULTATI: LARS2 era upregulated nei cybrids transmitochrondrial che trasportano 324Á>g. Il 324Á>g è stato rilevato nei cervelli post mortem di due pazienti con disordine bipolare ed uno con la schizofrenia. Questi pazienti inoltre hanno mostrato i livelli elevati della mutazione nei loro fegati e significativamente più alta espressione del gene di LARS2 rispetto ad altri oggetti. CONCLUSIONI: Questi risultati indicano che il upregulation di LARS2 è un marchio di garanzia della mutazione 32Â>g. L'accumulazione della mutazione 324Á>g nel cervello può avere un ruolo pathophysiologic nel disordine e nella schizofrenia bipolari

 


 

 

Data: 04/03/2005
Titolo:
Una proteina aiuta topi con Alzheimer a recuperare la memoria
Testo:
Topi con sintomi simili a quelli del morbo di Alzheimer hanno ritrovato la memoria dopo aver "sniffato" una proteina tutta italiana, ossia il fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf) scoperto dal Nobel Rita Levi Montalcini. La scoperta, finanziata da Telethon e pubblicata oggi sulla rivista dell'Accademia delle scienze degli Stati Uniti, Pnas, apre nuove prospettive per la terapia di questa forma di demenza, sempre più diffusa nei Paesi occidentali con il progressivo invecchiamento della popolazione.

Lo studio è stato coordinato da Antonino Cattaneo, ricercatore presso la Scuola superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste e allievo di Rita Levi Montalcini, ed è stato condotto nell'ambito del progetto Telethon che mira a sviluppare strategie terapeutiche non invasive per migliorare i deficit comportamentali dell'Alzheimer. Titolare del progetto è Nicoletta Berardi, dell'Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa. I ricercatori hanno osservato che, somministrato nel naso dei topi malati, l'Ngf non solo migliora la salute delle cellule nervose, ma aiuta gli animali a recuperare la memoria, per esempio riescono a ricordare un oggetto a loro familiare. Si apre così la possibilità di compensare i danni provocati dalla malattia, con il vantaggio ulteriore di una terapia non invasiva né dolorosa: potrebbe bastare una spruzzata di Ngf nel naso perché la proteina, seguendo la pista dell'olfatto, dal naso riesca a raggiungere il cervello e a penetrare negli spazi liberi tra cellule vicine, fino a risalire al cervello.

Fonte:Il Sole 24ore Sanità

 


 

Importante scoperta scientifica, trovata una nuova causa di miopatia mitocondriale

 

La ricerca è stata condotta dal gruppo del professor Antonio Federico, direttore della Neurologia-Malattie NeuroMetaboliche delle Scotte

Una nuova causa di miopatia mitocondriale identificata a Siena dal gruppo del professor Antonio Federico, direttore della Neurologia-Malattie NeuroMetaboliche del policlinico Santa Maria alle Scotte. La scoperta è pubblicata sul numero in uscita il 18 febbraio dell'importante rivista internazionale Biochemical and Biophysical Research Communications. Si tratta dell’individuazione di una nuova mutazione a carico del DNA mitocondriale associata ad una forma ereditaria di miopatia. “Sono malattie neuromuscolari causate da disfunzioni del sistema energetico cellulare – spiega il professor Federico - che colpiscono direttamente il tessuto muscolare provocandone una progressiva degenerazione. I sintomi vanno dalla debolezza muscolare generalizzata o localizzata ad esempio ai muscoli oculari”. L’evoluzione della malattia limita la capacità deambulatoria dei malati e, in casi estremi, compromette le funzionalità cardiache. “La scoperta scientifica – aggiunge Federico - interamente condotta a Siena, conferma l'alta qualità della ricerca neurobiologica e clinica del nostro gruppo che, nel 2004, ripetendo quanto già avvenuto negli anni precedenti, ha pubblicato oltre 30 lavori sulle principali riviste scientifiche internazionali. Tale successo è legato all’alta specializzazione del gruppo, con collaboratori entusiasti ed operosi”. Un successo ottenuto malgrado le precarie condizioni della ricerca scientifica italiana che premia un gruppo che riesce a competere con grandi università internazionali e ad attrarre a Siena pazienti dalle altre regioni italiane ed anche dall'estero. “Recentemente – conclude Federico - un paziente affetto da una forma simile di miopatia mitocondriale è giunto a noi inviato dalla Russia".

 


 

 

Disturbi metabolici associati a mutazioni mitocondriali

 

Xagena - Metabolismo ) - Presso l’Università di Yale e Syracuse negli Usa, alcuni ricercatori hanno scoperto che una mutazione nel DNA mitocondriale può influenzare i livelli di colesterolo ed i valori pressori. La sindrome metabolica sta diventando un emergente problema nei Paesi Occidentali, ed ha assunto caratteristiche epidemiche negli USA. La sindrome metabolica è caratterizzata da alta pressione sanguigna, alti livelli di colesterolo e di trigliceridi, resistenza all’insulina, obesità e basso livello di colesterolo HDL.
L’alterazione della funzione
mitocondriale svolge un importante ruolo nella resistenza all’insulina e negli alti livelli plasmatici di trigliceridi.
Lo studio ha valutato la relazione tra mutazione
mitocondriale e sindrome metabolica in 142 persone nell’arco di 4 generazioni.
Alla base una rara mutazione del tRNA
mitocondriale.
Per la prima volta è stato dimostrato che un difetto nella funzione
mitocondriale può essere causa di ipertensione, ipercolesterolemia ed ipomagnesiemia.( Xagena )
Fonte: Science

 


 

Malattia del motoneurone

 

L'obiettivo è quello di trovare farmaci per arrestare la MND

GB: sì a Wilmut. Potrà clonare embrioni umani

AB: sì a Wilmut. Potrà clonare embrioni umani

LONDRA (GRAN BRETAGNA) - Un passo di rilevante importanza scientifica e non solo. Il governo britannico ha concesso la licenza per attività scientifiche di clonazione terapeutica di esseri umani a Ian Wilmot, Lo scienziato la cui équipe creò nel 1996 la pecora "Dolly"

LA RICERCA - Wilmut clonerà embrioni umani per studiare la malattia del moto-neurone (MND), una patologia che provoca la morte dei neuroni che controllano i movimenti nel cervello e nel midollo spinale. La clonazione terapeutica è legale in Gran Bretagna dal 2001, ma da allora l'authority preposta al vaglio delle autorizzazioni ha concesso il proprio parere positivo solo un'altra volta. Al Roslin Institute di Edimburgo, dove il papá di Dolly lavora, si intendono clonare embrioni con la MND per studiarne la progressione «con dettagli di precisione inimmaginabili con altri metodi».
L'obiettivo è quello di trovare farmaci in grado di arrestare la progressione della patologia che, in media, porta alla morte in soli 14 mesi dalla diagnosi. Naturalmente anche nel Regno Unito si sono sollevate critiche all'uso di embrioni umani per la ricerca, un passo considerato «non etico, non necessario e che potrebbe aprire le porte alla clonazione umana vera e propria». Per difendersi da questi rilievi Wilmut ha assicurato che il suo gruppo «non ha intenzione di creare bebè clonati. Gli embrioni creati saranno distrutti dopo la sperimentazione», ha concluso

08 febbraio 2005    


 

Usa. Come le staminali si trasformano in neuroni, uno studio  (Anno IV Numero 80 del 4 Febbraio 2005)

E' stato pubblicato sulla rivista scientifica Neuron uno studio che apre la via allo sviluppo di terapie per le malattie neurovegetative del sistema nervoso come il Parkinson, la malattia di Huntington e la sclerosi laterale amiotrofica. Terapie basate sulla manipolazione dei geni e delle molecole dedicati al controllo dello sviluppo dei neuroni potrebbero permettere a quelli danneggiati di sopravvivere e funzionare, o indurre le cellule staminali a differenziarsi per sostituirli.
L'équipe della biologa italiana Paola Arlotta e' riuscita ad isolare alcuni geni mai caratterizzati prima nel sistema nervoso che, in futuro, potrebbero essere utili per istruire una cellula staminale affinche' diventi uno specifico tipo di neurone, tra i numerosissimi che costituiscono il sistema nervoso centrale.
A fianco di Paola Arlotta, hanno lavorato Bradley Molyneaux e Jeffrey Macklis, del Center for nervous system repair del Massachusetts general hospital alla Harvard medical school di Boston, negli Usa.
"In questo lavoro -precisa Arlotta sentita da Il Sole24ore- abbiamo isolato tre categorie di neuroni in diversi stadi di sviluppo e, una volta identificate le cellule, abbiamo effettuato analisi con Dna microarray per scoprire quali molecole controllano ciascuno dei tre tipi neuronali. Questo tipo di approccio sperimentale ci ha permesso di isolare molti geni, di cui alcuni mai caratterizzati prima nel sistema nervoso. Per verificare di avere identificato geni che controllano funzioni critiche dei neuroni corficospinali, abbiamo preso in esame topi creati in laboratorio e privi di uno dei geni da noi isolati: in effetti, abbiamo rilevato che in assenza di questo gene non si stabilivano corrette connessioni tra corteccia cerebrale e spina dorsale".
"Data l'enorme complessita' di cellule e connessioni che caratterizza il sistema nervoso umano per sviluppare terapie sara' molto importante saper controllare la formazione mirata dei soli neuroni persi o danneggiati in una specifica malattia degenerativa. Anche se questi studi sono ancora all'inizio, i dati da noi pubblicati dovrebbero stimolare la scoperta di nuove terapie".

 


 

SCOPERTO IL GENE ETHE1, RESPONSABILE DELL’ENCEFALOPATIA ETILMALONICA

Individuato il gene responsabile dell’Encefalopatia Etilmalonica, una malattia metabolica dell’infanzia che porta al decesso dei pazienti entro la prima decade di vita. Da oltre dieci anni numerosi ricercatori avevano tentato invano di identificare le basi biochimiche o molecolari della malattia, descritta per la prima volta negli anni ’90 da ricercatori italiani tra cui la dottoressa Barbara Garavaglia. Lo studio, svolto dall’equipe del dottor Zeviani è partito dall’analisi di venti famiglie consanguinee e, attraverso una strategia di selezione innovativa, è stato possibile identificare le mutazioni genetiche che causano la malattia. Il gene causativo si trova sul cromosoma 19 e produce una proteina, battezzata Ethe1, che agisce nei mitocondri: Anomalie di Ethe1 scatenano la patologia. Grazie anche al sostegno della Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani ONLUS, sono attualmente in corso studi funzionali di Ethe1 per sviluppare nuove strategie terapeutiche. L’intera ricerca è stata pubblicata dalla rivista American Journal of Human Genetics


 

Associazione tra polimorfismi a singolo nucleotide del gene SLC25A12 ed autismo

 

L'autismo è un disturbo che colpisce bambini attorno all'età di 3 anni , in prevalenza i maschi.
I bambini con disturbi dello spettro autistico hanno difficoltà a comunicare ed a integrarsi con gli altri individui.
Lo studio condotto dai Ricercatori del Mount Sinai School of Medicine di New York ha riguardato 411 famiglie.
E' stato analizzato il DNA di più di 2.000 persone.
Di queste, 720 persone presentavano disturbi autistici.
Lo screening per la ricerca delle mutazioni è stato eseguito in 2 fasi.
Nella prima sono stati individuati due polimorfismi a singolo nucleotide all'interno del gene SLC25A12, un gene che codifica per il carrier
mitocondriale aspartato / glutammato ( AGC1 ).
Nella seconda fase, i due polimorfismi del gene SLC25A12 sono stati ricercati tra le 411 famiglie , partecipanti allo studio.
E' stata osservata una significativa correlazione tra presenza di polimorfismi a singolo nucleotide del gene SLC25A12 e disturbi autistici.( Xagena_2004 )
 


 

L'aldeide-deidrogenasi mitocondriale e le specie reattive di ossigeno sono coinvolte nella tolleranza alla Nitroglicerina

Studi hanno dimostrato che l'aldeide-deidrogenasi mitocondriale ( ALDH-2 ) svolge un ruolo centrale nel processo di biotrasformazione in vivo della Nitroglicerina ( GTN ) e che la sua inibizione è responsabile della tolleranza.
Tuttavia rimane da chiarire il grado con il qaule ALDH-2 contribuisce alla tolleranza ai nitroderivati e alla tolleranza incrociata.
Ratti sono stati trattati per 3 giorni con Nitroglicerina.
Le infusioni sono state seguite da una diminuzione dell'attività vascolare dell'ALDH-2, della biotrasformazione della Nitroglicerina e dell'attività della chinasi cGMP-dipendente.
Inoltre, la Nitroglicerina ha aumentato la produzione di specie reattive di ossigeno ( ROS , reactive oxygen species ) da parte dei
mitocondri.
Gli antiossidanti / riducenti hanno ridotto la produzione
mitocondriale di ROS ed hanno ripristinato l'attività di ALDH-2.
Questi dati suggeriscono che la tolleranza ai nitrati è mediata, almeno in buona parte, dall' inibizione dell'ALDH-2 vascolare e che le specie reattive di ossigeno
mitocondriali possono contribuire a questa inibizione.
La tolleranza alla Nitroglicerina può essere vista come una sindrome metabolica, caratterizzata da disfunzione
mitocondriale. ( Xagena_2004 )
 


 

 

Alterata attività mitocondriale nella prole insulino-resistente di pazienti affetti da diabete di

tipo 2

La resistenza all'insulina sembra essere il miglior predittore per lo sviluppo di diabete nei bambini dei pazienti con diabete di tipo 2, ma non è noto il meccanismo che ne sta alla base.
E' stato eseguito un clamp euglicemico-iperinsulinemico in associazione ad infusioni di glucosio marcato nella prole , sana , giovane , magra , insulino-resistente di pazienti affetti da diabete di tipo 2.
La percentuale di glucosio insulina-stimolato assunta dai muscoli è stata approssimativamente più bassa del 60% nei soggetti insulina-resistenti rispetto ai controlli insulina-sensibili ( P <0.001 )
Tale variazione era associata ad un aumento di circa l'80% del contenuto lipidico intramiocellulare.
L'aumento del contenuto lipidico intramiocellulare è stato attribuito ad una disfunzione
mitocondriale.
A livello
mitocondriale è stata osservata una riduzione del 30% della fosforilazione .
I dati emersi dallo studio confermano l'ipotesi che la resistenza all'insulina a livello del muscolo scheletrico nella prole insulina-resistente di pazienti con diabete di tipo 2 sia correlata ad una disfunzione del metabolismo intramiocellulare degli acidi grassi, probabilmente a causa di un difetto ereditario nella fosforilazione ossidativa
mitocondriale
. ( Xagena_2004 )

 

Per la prima volta il Dna mitocondriale è stato riconosciuto come direttamente legato a marcatori metabolici del diabete di tipo 2.
Nel mondo occidentale circa il 90 per cento dei pazienti diabetici è affetto da diabete tipo 2, una patologia che è causata da fattori esterni come la dieta e l’esercizio fisico, ma che è influenzata anche da fattori genetici.
Sebbene la maggior parte dei geni noti per essere coinvolti nella predisposizione all’insorgenza di tale patologia sia situata nel genoma nucleare, una recente studio ha stimato che più del 20 per cento dei casi di diabete di tipo 2 possano coinvolgere mutazioni nel genoma mitocondriale. Questo è materiale genetico presente nei mitocondri, gli organuli che nella cellula sono predisposti alla produzione dell’energia e che ha la caratteristica di essere trasmesso solo per via materna.

In quest’ultimo studio del Cold Spring Harbor Laboratory sono stati confrontati due diversi ceppi di topi da laboratorio con corredi genetici nucleari virtualmente identici tra loro ma genomi mitocondriali differenti.

Secondo quanto riportato sulla rivista on-line "Genome Research”, gli studiosi hanno così potuto constatare come i due ceppi di animali avessero significative differenze nel metabolismo dell’energia e nel suo immagazzinamento. In particolare, uno dei due mostrava una tolleranza al glucosio deficitaria, una sintesi muscolare del glicogeno ridotta e bassi livelli di ATP muscolo-scheletrica, oltre a una diminuita attività di un enzima implicato nella produzione di energia denominato citocromo c ossidasi. Tutte queste alterazioni sono caratteristiche anche del diabete umano.

Una volta ottenute alcune sequenze genetiche estratte dai mitocondri, sono state individuate varianti genetiche che codificano per proteine coinvolte nella produzione di energia.

Così, per la prima volta, si è riusciti a collegare direttamente varianti genetiche mitocondriali a marcatori metabolici per il diabete tipo 2.“Il nostro studio getta una luce sul ruolo delle variazioni del Dna mitocondriale”, ha spiegato Theodore Kurtz, che ha coordinato il progetto di ricerca. “Inoltre, i modelli animali sviluppati nel nostro studio aprono la strada a futuri studi in cui potranno essere analizzati ulteriormente gli effetti di tali variazioni, considerando fissato il patrimonio genetico nucleare.”

 

http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/DNA_mitocondriale_e_diabete/1310845


 

 

Cardiotossicità da antracicline


Le antracicline sono tossiche e possono causare scompenso cardiaco anche dopo lungo tempo dal trattamento antitumorale.
Si ritiene che i danni dapprima lievi possano progredire fino ad una malattia miocardica permanente.
La cardiomiopatia successivamente dà origine a scompenso cardiaco.
La cardiotossicità delle antracicline può infatti essere classificata in acuta e subacuta, cronica e sequele tardive.
La tossicità acuta e subacuta si verifica entro alcune ore a pochi giorni dalla somministrazione delle antracicline ed è caratterizzata dalla comparsa di aritmie sopraventricolari e ventricolari, sindromi miocardiche e pericardiche ed episodi di vasospasmo cardiaco.
La tossicità cronica è invece caratterizzata dalla comparsa di uno scompenso cardiaco congestizio, entro 1 mese dalla somministrazione dell'ultima dose di antraciclina.
Il periodo di latenza può anche essere di 1-2 anni.
Le sequele tardive si verificano dopo 1 anno o più dalla fine del trattamento chemioterapico con antracicline e sono da addebitarsi a perdita di tessuto miocardico.
Queste alterazioni sono progressive negli anni e possono condurre ad una riduzione della contrattilità cardiaca, e quindi ad uno scompenso cardiaco conclamato.
L'esatto meccanismo alla base della cardiomiopatia da antracicline non è ancor ben definito.
L'ipotesi più accreditata è quella che coinvolge i radicali liberi.
Le antracicline andrebbero a formare complessi con il ferro, generando radicali liberi.
I radicali liberi esplicano la loro azion etossica a livello cardiaco mediante la perossidazione dei lipidi delle membrane
mitocondriali e del reticolo sarcoplasmatico.
L'aumentato stress ossidativo è causa di alterazioni subcellulari nel miocardio.
Gli Ace-inibitori sarebbero in grado di produrre nei pazienti trattati durante l'infanzia con antracicline, e presentanti grave disfunzione ventricolare sinistra, un miglioramento transitorio della struttura e delle dimensioni del ventricolo sinistro.( Xagena_2004 )
 


 

 

2004: un anno importante di scelte politiche

 

Il 2004 e' stato un anno importante per la medicina rigenerativa. Notizie di scoperte scientifiche e politiche si sono rincorse un po' in tutto il mondo. Se in febbraio la Corea del Sud ha fatto parlare di se' con la prima clonazione di un embrione umano per poterne derivare cellule staminali, la Gran Bretagna nell'agosto ha autorizzato il primo progetto di clonazione terapeutica al gruppo dell'Universita' di Newcastle. Obbiettivo: sconfiggere il diabete, una malattia che colpisce nel mondo 180-200 milioni di persone. "La nostra ambizione e' che il Regno Unito diventi la capitale della scienza del mondo", ha detto in seguito il premier Tony Blair. "Una ricerca adeguatamente regolata potrebbe cambiare le speranze di vita di persone che soffrono del morbo di Parkinson, di quello di Alzheimer, di diabete, o delle vittime di ictus. Noi non bloccheremo questa ricerca. I benefici potenziali sono enormi. Non e' giusto negare la speranza di una cura alle persone che soffrono di queste malattie". "Oggi vogliamo dare un segnale, e dire che la Gran Bretagna e' il posto dove fare le ricerche sulle staminali".
Le pubblicazioni scientifiche sono state un susseguirsi di studi e di ricerche, che in laboratorio, o in sperimentazioni su uomini e piu' spesso su animali, stanno a confermare come queste preziose cellule del corpo possono trasformarsi in organi e tessuti andando a riparare quei danni che le devastanti malattie degenerative compiono in maniera fino ad oggi irrimediabile. Staminali embrionali, fetali e adulte, non esistono preferenze per la ricerca, che deve indagare sulle possibilita' che offrono per comprendere meglio il loro funzionamento e per poter avviare sperimentazioni e terapie. Alla politica una sola richiesta: regole chiare per poter lavorare. L'alternativa e' emigrare.

E' cosi' che la citta' Stato di Singapore sta costruendo Biopolis, una cittadella della scienza fatta per essere abitata da 4 mila ricercatori. Per attrarli si investono 1.500 milioni di euro per 5 anni e si offre un quadro legislativo che riconosce la liberta' di ricerca scientifica. Del resto, un po' tutta l'Asia sta scommettendo sul biotech. A luglio in Giappone il Consiglio per la politica scientifica e tecnologica, presieduto dal primo ministro Junichiro Koizumi, aveva approvato le linee orientative per permettere agli scienziati di produrre ed usare embrioni umani clonati per la ricerca scientifica di base. Allo Stato deve spettare la decisione di autorizzare le ricerche e le strutture in cui realizzarle.

Piu' rigida appare l'Europa continentale, rappresentata per certi versi dalla Germania con la sua legge che permette la ricerca con le staminali purche' importate e purche' create entro il 2001. E tuttavia, permette.
In luglio la Francia dopo tre anni di lavoro ha adottato il testo di revisione delle leggi in materia di bioetica. La clonazione riproduttiva e' un "crimine contro la specie umana", ma pur se "a titolo di deroga e per cinque anni" si autorizza la ricerca sull'embrione umano, o meglio sulle sue cellule staminali. Gli embrioni cui ci si riferisce sono quelli eccedenti dalle tecniche di fecondazione assistita.
Senza deroghe e sempre piu' spedita si muove la Spagna. Gia' teatro di una campagna elettorale in cui si erano contrapposte due visioni della ricerca scientifica, e pur essendo stato il partido popular con José Maria Aznar ad avere legalizzato e normato la ricerca scientifica con gli embrioni sovrannumerari, il socialista José Luis Rodríguez Zapatero aveva utilizzato le elezioni politiche per rilanciare, promettendo maggiori investimenti economici e politici sulla medicina rigenerativa. E cosi' e' stato in novembre. Approvato dal Consiglio dei ministri e' arrivato il decreto con i regolamenti attuativi per far partire definitivamente il programma di ricerca con gli embrioni sovrannumerari dalle tecniche di fecondazione assistita. Quindi dalla ministra alla Sanita', Elena Salgado, il preannuncio di una legge sulla Ricerca nella Biomedicina che potrebbe prevedere la regolamentazione della clonazione terapeutica.

Nel dicembre 2003 la Svizzera si e' dotata di una legge per utilizzare nella ricerca scientifica quegli embrioni sovrannumerari dalle tecniche di fecondazione in vitro, altrimenti destinati alla spazzatura. Alla fine di novembre e' stata sottoposta ad un referendum voluto da gruppi pro life e antiabortisti per abolirla. A chi dice che l'embrione e' gia' una persona umana con tutti i diritti fondamentali compreso quello alla vita, Alexandre Mauron, professore di bioetica all'universita' di Ginevra, replica rilevando come "altre considerazioni etiche siano piu' pertinenti: l'interesse terapeutico per i malati del futuro e la liberta' della ricerca". E questo e' stato l'approccio vincente: il 66,4% ha confermato la legge. Marisa Jaconi, l'unica ricercatrice in Svizzera a lavorare con cellule staminali embrionali umane, e' raggiante, e con lei la maggioranza del mondo scientifico. La nuova legge, "severa e restrittiva" le permettera' di proseguire le sue ricerche. "Questo risultato legittima i nostri progetti di ricerca". "Ci permette inoltre di tessere delle collaborazioni internazionali con altri paesi che hanno una regolamentazione simile alla nostra". Per il presidente della Confederazione, Pascal Couchepin, la "Svizzera ha osato affidare un argomento complesso alla popolazione, che lo ha recepito". Couchepin ha anche sottolineato che cio' e' stato possibile poiche' il dibattito e' sempre stato molto rispettoso.

E il dibattito piu' duro, tanto da divenire tema della campagna elettorale per la corsa alla Casa Bianca, si e' visto negli Usa. La sfida tra il repubblicano George W. Bush e il democratico John Kerry, ha visto un passaggio importante proprio sulla ricerca con le cellule staminali embrionali. Secondo Kerry piu’ di 100 milioni di statunitensi soffrono di malattie che potrebbero essere curate con terapie a base di cellule staminali embrionali e, ogni giorno di non-azione del Governo oltre 3.000 persone negli Usa muoiono per malattie che potrebbero trovare cure con queste ricerche. "Abbiamo bisogno di un presidente che torni ad accettare la nostra tradizione di guardare al futuro e alle nuove scoperte con le speranze basate sui fatti scientifici e non sui timori. Si tratta di investire nel futuro del nostro Paese. Di non permettere che l'ideologia e il timore si frappongano nel nostro cammino", aveva attaccato Kerry spiegando che gli Usa stanno perdendo la leadership scientifica su altri Paesi. Kerry prometteva stanziamenti federali per 100 mila dollari alla ricerca con le linee di cellule staminali embrionali, mentre preannunciava di levare quel limite che sia la maggioranza dei senatori, che dei deputati, contestavano al presidente Bush. Il limite del 9 agosto 2001, data discrimine di creazione per le linee staminali embrionali per poter ricevere finanziamenti federali.
Ma attenzione, negli Usa non ci sono divieti di ricerca, fondi privati possono finanziare e sostenere la creazione di nuove linee di staminali embrionali. Tanto che la first lady Laura Bush spiegava in piena campagna elettorale: "non vi e' un bando sulla ricerca con le cellule staminali. Si fa tutto un gran parlare di questo sulla stampa…, il fatto e' che il presidente e' l'unica persona che abbia autorizzato la ricerca sulle staminali embrionali, mentre in molti Paesi vi e' il bando assoluto per questo tipo di ricerca".
Alla fine l'ha vinta Bush, confermato alla presidenza Usa, ma sul punto della ricerca con le staminali non e' chiaro quanto la maggioranza degli elettori fosse con lui. Di sicuro non quelli californiani, che avendo votato come governatore un repubblicano atipico come Arnold Schwarznegger, sull'argomento hanno detto la loro grazie a Proposition 71. Nello stesso giorno delle presidenziali, in California gli elettori hanno infatti trovato la scheda del referendum che bypassava il divieto dei finanziamenti federali alla ricerca con le staminali embrionali, concedendo importanti finanziamenti statali. Un referendum che ha contato sul sostegno di un amplissimo schieramento che andava dallo stesso Schwarznegger fino a Bill Gates. E' cosi' che lo Stato della Silicon Valley, ha deciso di investire sulle staminali prima approvando una legge nel 2002 riconoscendo l'utilita' e la legalita' delle ricerche con quelle embrionali, poi il referendum con il 59% dei voti a favore di un programma che fornisce finanziamenti statali di 300 mila dollari all'anno per un piano della durata complessiva di 10 anni. Totale 3 miliardi di dollari. Ma se la cifra puo' sembrare pazzesca, la sanita' pubblica californiana costa allo Stato 118 miliardi di dollari, all'anno. E le malattie piu' costose sono proprio quelle per cui le staminali potrebbero essere risolutive: Alzheimer e Parkinson in testa.
E proprio l'Alzheimer e' stato il responsabile della prima morte che ha commosso l'America, quella di Ronald Reagan. Una malattia e la possibilita' che si trovi una terapia grazie alle ricerche sulle staminali embrionali ha visto schierati Nancy Reagan e il figlio Ron uniti nel chiedere la fine delle restrizioni per i fondi federali a queste ricerche. La seconda morte pesante e' stata quella di Christopher Reeve, l'attore noto per avere impersonato Superman al cinema, e nella vita per essere stato il paladino della ricerca scientifica con le staminali embrionali, grazie all'impegno profuso dopo l'incidente che lo aveva paralizzato dal collo in giu'.

Ma il 2004 sembrava sarebbe stato l'anno in cui l'Onu si sarebbe dovuto pronunciare con una convenzione sulla clonazione umana. E' dal 2001 che al Palazzo di Vetro si dibatte per un bando, su un punto tutti sembrano essere piu' o meno d’accordo, il veto alla clonazione umana riproduttiva, ma il consenso salta quando si cerca di differenziarla da quella terapeutica. Del resto come pensare che Paesi che l'ammettono e l'hanno gia' normata, possano ratificare un trattato che la mette all'indice? Un gioco di forze in cui gli schieramenti classici sembrano ribaltarsi e cosi' alla testa di un interventismo multilaterale stavolta c'e' Bush che chiede con la Santa Sede il bando totale, mentre dall'altra parte, contrapposta, c'e' la Gran Bretagna che sollecita una distinzione. Sulla ricerca scientifica ciascun Paese sia libero di decidere, e quindi la clonazione terapeutica sia lasciata alle leggi nazionali.
Al Palazzo di Vetro si sono cosi' scontrate queste due posizioni e due gruppi di Paesi. Il primo rappresentato dalla proposta di risoluzione del Costa Rica, sostenuto da Usa, Italia e che godeva del sostegno del Vaticano, poteva contare su 62 Paesi. Il secondo, rappresentato dalla proposta del Belgio, e sostenuto da Gran Bretagna, Cina, Giappone, Corea del Sud, Singapore, poteva contare su 20 Paesi dei 191 totali. Nessuno dei due riusciva ad ottenere la maggioranza necessaria per far passare il proprio documento. La decisione al Palazzo di Vetro di abbandonare il trattato e' stata presa consensualmente. Alla fine, cosi', la questione e' stata declassata da materia di un trattato internazionale, ad argomento di una mera dichiarazione d'intenti. E come se non bastasse la discussione e' stata ulteriormente rimandata dal comitato giuridico dell'Assemblea generale ad un gruppo di lavoro che nel prossimo febbraio dovrebbe riunirsi per la redazione di un testo da sottoporre in seguito agli Stati membri. Comunque una dichiarazione non vincolante, a differenza di un trattato che una volta recepito dallo Stato assume valore di legge.

Contro tutto questo appare senz'altro piccola la scelta dell'Italia di vietare tutte le ricerche con le staminali embrionali nell'ambito di una legge nata per regolamentare la fecondazione assistita. Una legge che e' un elenco delle cose che non si possono fare, e tra queste anche la ricerca scientifica con le embrionali e la clonazione terapeutica. Negata anche la possibilita' di utilizzare in laboratorio gli embrioni sovrannumerari dalle tecniche di fecondazione in vitro, che con un decreto del ministero della Sanita' del 4 agosto 2004 sono definiti orfani e abbandonati, e senza altro destino che il loro mantenimento crioconservati fino alla distruzione.
Sulla legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita, la 40/2004, grazie alla promozione dei radicali e dell'associazione Coscioni e' da aprile che e' partita una campagna referendaria per abolire in toto la legge, ma anche in maniera parziale. Si sono uniti altri partiti politici o esponenti singoli, soprattutto dell'area di riferimento politico del centro sinistra, ma anche alcuni liberal e laici del centro destra, associazioni, sindacati e personalita' del mondo della scienza e dello spettacolo, in una corsa contro il tempo. Il 30 settembre sono state consegnate in Cassazione oltre un milione di firme sul referendum completamente abrogativo e oltre settecentomila su 4 quesiti parziali.
Entro febbraio e' atteso il pronunciamento della Corte Costituzionale, nel frattempo in Parlamento sono depositate e iniziano l'iter legislativo nuove proposte per modificare la legge ed evitare il referendum. La speranza e' che si arrivi invece ad un voto popolare, cosi' che nella prossima primavera possano essere gli elettori ad esprimersi su una materia cosi' importante in cui si giocano tanti fattori che vanno dalla laicita' dello Stato alla tutela delle liberta' individuali e della ricerca scientifica. Fino ad arrivare al rischio di un arretramento come sistema Paese che si trovera', a lungo termine, ad importare scoperte fatte in altre parti del mondo ed, a breve termine, a osservare inerte l'avvio di un turismo sanitario che cerca altrove cio' che l'Italia nega per scelta ideologica ed etica

 

Donatella Poretti

 


 

Ricavate dal muscolo cellule staminali «curatrici»

 

Potrebbero essere impiegate per riparare lesioni come le distrofie, le sclerosi, Parkinson, Alzheimer e ictus

MILANO - Da un pezzo di muscolo del braccio più piccolo di una caramella si possono ottenere cellule staminali capaci di riparare danni al tessuto muscolare e al sistema nervoso. La nuova scoperta, contenuta nella ricerca firmata da un gruppo di scienziati dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, degli Spedali Riuniti e dell'Università di Brescia, finanziata dalla Regione Lombardia e pubblicata sull'ultimo numero di «Lancet», è stata presentata a Milano alla presenza del presidente lombardo, Roberto Formigoni.

POSSIBILITA' DI AUTOGENERARE CELLULE - Lo studio - hanno spiegato gli autori - suggerisce la possibilità di autogenerare, a qualsiasi età, da un semplice prelievo, cellule staminali adulte muscolari e neurali. «Questa ricerca, durata tre anni e co-finanziata da Regione Lombardia e ministero della Salute per un totale di circa 600 mila euro - ha riferito il professor Eugenio Parati del Besta - era iniziata per trovare una fonte di staminali capaci di generare cellule cardiache. Da 12 pazienti cardiopatici, in media maggiori di 50 anni, durante un intervento di by pass è stata prelevata una minuscola porzione di un muscolo del braccio». Una «fettina piccolissima», ha sottolineato il professor Ferdinando Cornelio, direttore scientifico del Besta, «del peso di soli 300 milligrammi e non più grande di mezza falange di un dito». Da questa parte di muscolo, ha ripreso Parati, «abbiamo isolato cellule staminali che abbiamo poi coltivato in vitro».

«RISULTATO STORICO» - E qui è arrivata l'importante scoperta: «Stimolate con opportuni fattori di crescita, queste staminali "adulte" si sono moltiplicate e non hanno prodotto le cellule cardiache che cercavamo, bensì cellule muscolari e cellule neurali».
Due tipi di cellule che «potenzialmente potrebbero essere impiegate in futuro per riparare le lesioni provocate da malattie muscolari come le distrofie e da patologie neurodegenerative come sclerosi, Parkinson, Alzheimer e ictus». La strada da compiere è ancora lunga, ma «si tratta di un risultato storico - ha assicurato il professor Claudio Munaretto degli Spedali Civili - che finora si pensava di poter ottenere soltanto utilizzando staminali embrionali o fetali». In passato «avevamo ottenuto questo traguardo anche con le cellule del bulbo olfattorio - ha ammesso Parati - ma per isolarle era necessaria un'operazione impegnativa e che implicava dei limiti di etá. In questo caso, invece, basta una biopsia muscolare possibile anche a 90 anni».

 


 

Il fenomeno e' stato osservato dall'Universita' di Ancona (ANSA) - ROMA, 22 NOV - Le cellule adulte possono trasformarsi radicalmente e cambiare identita' proprio come fanno le cellule staminali. Il fenomeno, osservato negli animali in una condizione fisiologica come l'allattamento, dai ricercatore dell'Universita' di Ancona, ha portato alla conclusione che la cellula adiposa matura puo' trasformarsi in un'altra cellula matura svolgendo un'altra funzione come la cellula epiteliale. Lo ha confermato Saverio Cinti, coordinatore del gruppo di ricerca.

 


 

 

 [ Xagena - Psichiatria  (Chi soffre di Disturbo Bipolare fa esperienza di oscillazioni dell'umore molto intense che vanno da uno stato depressivo ad una condizione di grande eccitamento.) ]  -

Il meccanismo alla base del disturbo bipolare resta ancora sconosciuto.
Studi hanno evidenziato un’espressione genica anomala nel disturbo bipolare.
Uno studio, coordinato da Ricercatori dell’Harvard Medical School a Boston, ha valutato l’espressione di 12.558 geni nucleari, a livello dell’ippocampo umano, in soggetti sani ed in soggetti con disturbo bipolare o con schizofrenia.
Hanno preso parte allo studio 10 soggetti sani, 9 con disturbo bipolare ed 8 con schizofrenia.
L’espressione di RNA messaggero nucleare, codificante per le proteine
mitocondriali, si è dimostrata significativamente inferiore nell’ippocampo dei pazienti con disturbi bipolari, ma non nei pazienti con schizofrenia.
Nei soggetti con disturbi bipolari è stata osservata una diminuzione pronunciata ed estesa nell’espressione dei geni che regolano la fosforilazione ossidativa ed il processo ATP-dipendente di degradazione del proteasoma.

 


Inibitori della deformilasi come farmaci antitumorali

Ricercatori dello Sloan-Kettering Institute a New York, mentre stavano studiando l'enzima deformilasi, hanno trovato che un antibiotico, Actinonina, in grado di inibire la deformilasi, può inibire la crescita tumorale.
La deformilasi, un enzima presente sia nei batteri che nell'uomo, rimuove il gruppo N - formil della metionina, il primo aminoacido della catena proteica nel corso della sintesi delle proteine.
E' stato osservato che l'Actinonina ha un effetto antiproliferativo sulle linee cellulari tumorali umane e sulla crescita tumorale in un modello animale.
Nell'uomo, la deformilasi sarebbe attiva nei mitocondri e svolgerebbe un ruolo essenziale nella crescita cellulare e nella proliferazione.

Fonte: Sloan-Kettering Institute, 2004
XagenaHeadlines2004


30.10.2004
Un meccanismo molecolare neurodegenerativo


Gli aggregati di proteine tossiche interferiscono con il proteasoma

Le malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, il Parkinson o la sclerosi laterale amiotrofica, sono caratterizzate da differenti tipi di perdita delle funzioni nervose (da cali di memoria a movimenti muscolari incontrollabili), ma si ritiene che condividano molti meccanismi molecolari. Un gruppo di scienziati della Northwestern University, guidato dal biologo Richard I. Morimoto, ha effettuato una scoperta che potrebbe aiutare a comprendere uno di questi meccanismi.
Studiando le proteine tossiche coinvolte nella corea di Huntington, i ricercatori hanno scoperto che la proteina responsabile della malattia interferisce gravemente con il funzionamento del proteasoma, il macchinario cellulare che si occupa di eliminare le proteine danneggiate all'interno della cellula. Lo studio, che potrebbe suggerire come prevenire alcune malattie neurodegenerative e sviluppare farmaci più efficaci, è stato pubblicato sulla rivista "
European Molecular Biology Organization Journal".
In tutti i disturbi neurodegenerativi umani sono presenti proteine danneggiate o ripiegate erroneamente, che si accumulano insieme per formare aggregati tossici. Il team di Morimoto è il primo a dimostrare in cellule umane viventi e in tempo reale che gli aggregati di proteine tossiche, in questo caso provocate dall'Huntingtina mutante, si legano irreversibilmente al proteasoma e impediscono la completa degradazione della proteina.

 

© 1999 - 2004 Le Scienze S.p.A


 

GB: MENTRE ONU DIBATTE, PARTE CLONAZIONE TERAPEUTICA /ANSA

(ANSA) - LONDRA, 20 OTT - Un gruppo di ricercatori dell'universita' britannica di Newcastle ha gia' cominciato i primi studi mirati a clonare embrioni dai quali estrarre cellule staminali da utilizzare in possibili trattamenti contro malattie incurabili come l'Alzheimer ed il morbo di Parkinson.
L'impiego delle cellule staminali costituisce un grosso vantaggio per la ricerca medica poiche' questo tipo di cellule puo' svilupparsi in qualsiasi tipo di tessuto umano, come quello osseo, nervoso o muscolare.
Tali ricerche hanno tuttavia incontrato la violenta opposizione dei gruppi antiabortisti, secondo i quali la clonazione di un embrione umano, sebbene per scopi terapeutici, implica la creazione e la successiva distruzione di una vita umana.
Secondo il professor Jack Scarisbrick, presidente nazionale del gruppo Life, che si oppone a queste sperimentazioni, la clonazione terapeutica, ''richiede la produzione di un nuovo tipo di essere umano, generato senza i genitori nel senso normale della parola, con lo scopo specifico di distruggere quella vita una volta prelevate le cellule staminali. Si tratta della specie piu' spaventosa di manipolazione, di sfruttamento e di banalizzazione della vita umana''.
L'avvio dell'attivita' dei ricercatori del Centre for Life dell'universita' di Newcastle, guidati dalla professoressa Alison Murdoch e dal dottor Miodrag Stojkovic, coincide con una discussione alle Nazioni Unite circa la possibilita' di introdurre un divieto totale su ogni tipo di clonazione, sia quella riproduttiva che quella terapeutica.
Il mese scorso il presidente americano George Bush aveva chiesto alle Nazioni Unite di appoggiare il divieto, proposto in primo luogo dal Costa Rica. La ricerca sulle cellule staminali e' diventato un tema scottante nella campagna elettorale statunitense. Bush ha promesso di introdurre un divieto totale sulle clonazione degli embrioni, mentre John Kerry appoggia la clonazione a fini terapeutici.
Leon Kass, consigliere dell'amministrazione Bush in materia di bioetica ha dichiarato che la posizione britannica nei confronti della ricerca sulle cellule staminali e' errata e che ''l'unico modo per fermare la clonazione a scopo riproduttivo e' fermare questo processo fin dall'inizio''.
La Gran Bretagna pero' non sembra intenzionata a cedere.
Prima di procedere con le proprie ricerche, la professoressa Murdoch ha ottenuto l'assicurazione da parte del governo che l'attivita' del Centre for Life potra' continuare qualunque sara' la decisione delle Nazioni Unite. ''La Gran Bretagna non ratifichera' mi il divieto, anche se venisse approvato'', ha detto.
Della stessa opinione e' anche l'autorevole Royal Society britannica, secondo la quale il divieto totale puo' essere introdotto nei Paesi i cui governi lo giudicano opportuno, ma che altre nazioni, tra cui la Gran Bretagna hanno gia' passato leggi che ''consentono una clonazione strettamente controllata a fini terapeutici, e che allo stesso tempo vietano quella a fini riproduttivi''.
Secondo le disposizioni dell'autorita' britannica per l'embriologia e la fecondazione umana (Hfea), gli embrioni dovranno essere distrutti dopo sei gorni dalla loro creazione, quando cioe' raggiungono lo stadio di blastocisti, il livello di sviluppo embrionale che precede il momento in cui l'embrione puo' essere impiantato nell'utero.(ANSA).


Corea di Huntington - Disfunzione dei mitocondri

Malattia neurodegenerativa rara (4000 persone affette in Italia) e fatale con sintomi impressionanti (movimenti involontari e scoordinati, disturbi comportamentali e demenza). Finora non c'è terapia. Al contrario delle più frequenti neurodegenerazioni come Alzheimer e Parkinson, è sempre causata da un difetto genetico, una mutazione in una proteina chiamata huntingtina. Mutazione particolare, che introduce una serie di aminoacidi (glutamina) in eccesso nella proteina. Questo tipo di mutazione è stato identificato recentemente per varie malattie neurologiche che ora vengono raggruppate come 'polyglutamine diseases'. Non si sa come esattamente le glutamine esplichino la loro azione dannosa. Questo nuovo studio pubblicato in anticipo su Nature Neuroscience dimostra che la huntingtina mutata provoca una disfunzione dei mitocondri (gli organelli delle cellule che, come le centrali termiche, producono energia). I mitocondri sono indispensabili per la sopravvivenza cellulare (i neuroni sono cellule con alto fabbisogno energetico) e una loro disfunzione è discussa anche nel caso dell'Alzheimer e del Parkinson. Finora non si è potuto comunque dimostrare la disfunzione dei mitocondri in modo così chiaro come avviene in questo studio che, usando mitocondri isolati dai pazienti e da topi transgenici che producono huntingtina patologica, dimostra che le loro membrane cellulari sono elettricamente instabili (si depolarizzano molto più facilmente in presenza di calcio rispetto a mitocondri normali). È possibile che l'effetto sia mediato direttamente dalla huntingtina mutata perché solo questa si lega ai mitocondri, come viene dimostrato tramite microscopia elettronica. La sofferenza dei mitocondri è generale, perché dimostrabile anche nei mitocondri dei globuli bianchi del sangue. Rimane per ora un mistero il fenomeno della 'vulnerabilità selettiva' di quel gruppo di neuroni che dopo molti anni degenera causando sintomi neurologici e infine la morte dei pazienti.


Coenzima Q10 nel Parkinson

Viene oggi pubblicato su Archives of Neurology uno studio (abstract + editoriale) eseguito su 80 pazienti affetti dalla malattia di Parkinson in un primo stadio con sintomi leggeri che non richiedevano ancora terapia farmacologica. Somministrando dosaggi alti (fino a 1200mg al giorno) di coenzima Q10 si è osservato un rallentamento della progressione nell'arco di 16 mesi di osservazione. Il coenzima Q10 (anche chiamato ubichinone o ubidecarenone, la figura mostra la sua formula) è una molecola fisiologica con proprietà antiossidanti ('anti-ruggine') che si trova in tutte le membrane cellulari tra cui le membrane interne dei mitocondri, dove fa parte del complesso I della cosiddetta catena respiratoria, coinvolta nella produzione di energia da parte dei mitocondri. È stato dimostrato in passato che nella malattia di Parkinson si trova una riduzione di complesso I in una delle zone affette da neurodegenerazione (substantia nigra del tronco cerebrale). Da cui il tentativo di sostituire il coenzima Q10 che viene venduto da tempo (a dosaggi molto più bassi di quelli usati nello studio) nelle erboristerie per una sua presunta azione generale contro i processi di invecchiamento. Il presente studio è piccolo (i risultati sono al limite della significatività statistica) e non permette un giudizio definitivo sull'efficacia nel Parkinson (già 10 anni fa uno studio preliminare dichiarava un effetto protettivo della selegilina che allora fu largamente impiegata nella terapia del Parkinson ma abbandonata quando studi successivi hanno revocato l'esistenza di questo effetto).


 

EMILIA ROMAGNA POTENZIA ASSISTENZA AI DISABILI GRAVI

Bologna, 5 ott. (Adnkronos) - Assegni di 23 euro al giorno per le famiglie che assistono persone con gravi disabilita' acquisite, pagamento totale della retta, nel caso i pazienti siano ricoverati in strutture residenziali e maggiore integrazione tra rete ospedaliera, Aziende Usl e servizi sociali dei Comuni. Sono questi i punti chiave della delibera della Regione Emilia Romagna che ha come obiettivo il sostegno delle persone con gravissime cerebrolesioni e patologie come la sclerosi laterale amiotrofica. Il costo totale di questi interventi e' di 5 milioni di euro. Secondo una stima della Regione, in Emilia Romagna sarebbero circa 600 i pazienti con gravi disabilita' acquisite e con un livello molto basso di autosufficienza. Molti sono stati vittime di incidenti stradali: sono infatti i trauma cranici le cause piu' diffuse della disabilita'


Nuova scoperta sul suicidio cellulare

Di Italiasalute.it

Capire a fondo il suicidio cellulare permetterà di sviluppare farmaci per numerose malattie genetiche.
Le cellule vengono frequentemente raggiunte da minacce di morte che possono indurle al suicidio: tali minacce vengono raccolte da una serie di “postini” molecolari, gli ioni calcio, e consegnate a strutture tubulari molto lunghe, una sorta di gallerie fatte da mitocondri, le centrali energetiche della cellula che possono trasformarsi in centrali di autodistruzione. Ma l’interruzione di tali gallerie ad opera di alcune “macchine molecolari”, come la proteina Drp-1 ( dynamin-related protein-1) , blocca il flusso di ioni calcio all’interno della cellula proteggendola da alcuni dei segnali mortali. È questo l’oggetto di una pubblicazione sulla prestigiosa rivista Molecular Cell*, da parte del gruppo coordinato dal professor Rosario Rizzuto, ricercatore Telethon dal 1996 che lavora presso il Dipartimento di medicina diagnostica e sperimentale dell’Università di Ferrara. Ne dà notizia il sito internet di Telethon, telethon.it.
I ricercatori hanno conseguito questi risultati grazie all’osservazione al microscopio ottico di processi biologici in cellule vive: una metodologia innovativa che fa parte di un servizio a disposizione della comunità scientifica italiana finanziato da Telethon dal 2001, il Centro Telethon di Imaging Cellulare, di cui Rosario Rizzuto è responsabile. Dalla ricerca emerge come i segnali arrivati sulla superficie esterna della cellula siano ricevuti e tradotti nel linguaggio cellulare fatto da ondate di ioni calcio che si propagano da un compartimento all’altro della cellula, fino ad arrivare al loro bersaglio, i raggruppamenti di mitocondri. Qui i messaggi vengono recapitati, letti e si decide del destino della cellula, se cioè sia il caso o meno che si suicidi attraverso il processo di morte cellulare programmata: è la cosiddetta apoptosi, un fenomeno lento e complesso che permette l’eliminazione “dolce”, senza cioè danneggiare le strutture vicine, di cellule in sovrannumero o pericolose, come avviene per esempio nella formazione degli organi durante la vita fetale, nelle cellule infettate da virus o in quelle tumorali.
Se la cellula viene minacciata di morte, per esempio, da parte di sostanze tossiche, è quindi il calcio a favorire il rilascio di proteine che innescano il suicidio cellulare. Se però le ondate di calcio vengono interrotte perché la strada è chiusa, come quando la rete fatta da mitocondri viene frammentata dall’intervento della proteina Drp-1, la cellula diventa insensibile ai segnali di morte e non fa più partire il programma di apoptosi. Questo quando tutto funziona a dovere. Ma ci sono situazioni in cui il malfunzionamento del processo di morte cellulare causato da un difetto genetico provoca malattie anche molto gravi, come quelle degenerative nel caso di distruzione per errore di cellule sane e utili, o, al contrario, i tumori, dovuti all’incapacità di eliminare cellule pericolose.
Guasti nel processo di suicidio cellulare accomunano quindi molte malattie genetiche, tra cui alcune patologie neurodegenerative (morbo di Alzheimer), certe patologie muscolari (miopatie di Becker e Ullrich), la SLA, l’atrofia ottica dominante, e rappresentano per questo motivo un terreno fertile per lo sviluppo di nuovi farmaci, come commenta Rizzuto: “La comprensione di questi meccanismi di segnalazione, ossia di come un impulso esterno o un danno genetico si traducono in “suicidio” cellulare, può fornire nuovi bersagli alla ricerca farmaceutica per lo sviluppo di farmaci che agiscano sul processo dell’apoptosi e possano quindi essere utili per la terapia di un ampio spettro di patologie”.

Capire a fondo il suicidio cellulare permetterà di sviluppare farmaci per numerose malattie genetiche

Le cellule vengono frequentemente raggiunte da minacce di morte che possono indurle al suicidio: tali minacce vengono raccolte da una serie di “postini” molecolari, gli ioni calcio, e consegnate a strutture tubulari molto lunghe, una sorta di gallerie fatte da mitocondri, le centrali energetiche della cellula che possono trasformarsi in centrali di autodistruzione. Ma l’interruzione di tali gallerie ad opera di alcune “macchine molecolari”, come la proteina Drp-1 ( dynamin-related protein-1) , blocca il flusso di ioni calcio all’interno della cellula proteggendola da alcuni dei segnali mortali.
I ricercatori hanno conseguito questi risultati grazie all’osservazione al microscopio ottico di processi biologici in cellule vive: una metodologia innovativa che fa parte di un servizio a disposizione della comunità scientifica italiana finanziato da Telethon dal 2001, il Centro Telethon di Imaging Cellulare, di cui Rosario Rizzuto è responsabile. Dalla ricerca emerge come i segnali arrivati sulla superficie esterna della cellula siano ricevuti e tradotti nel linguaggio cellulare fatto da ondate di ioni calcio che si propagano da un compartimento all’altro della cellula, fino ad arrivare al loro bersaglio, i raggruppamenti di mitocondri. Qui i messaggi vengono recapitati, letti e si decide del destino della cellula, se cioè sia il caso o meno che si suicidi attraverso il processo di morte cellulare programmata: è la cosiddetta apoptosi, un fenomeno lento e complesso che permette l’eliminazione “dolce”, senza cioè danneggiare le strutture vicine, di cellule in sovrannumero o pericolose, come avviene per esempio nella formazione degli organi durante la vita fetale, nelle cellule infettate da virus o in quelle tumorali.
Se la cellula viene minacciata di morte, per esempio, da parte di sostanze tossiche, è quindi il calcio a favorire il rilascio di proteine che innescano il suicidio cellulare. Se però le ondate di calcio vengono interrotte perché la strada è chiusa, come quando la rete fatta da mitocondri viene frammentata dall’intervento della proteina Drp-1, la cellula diventa insensibile ai segnali di morte e non fa più partire il programma di apoptosi. Questo quando tutto funziona a dovere. Ma ci sono situazioni in cui il malfunzionamento del processo di morte cellulare causato da un difetto genetico provoca malattie anche molto gravi, come quelle degenerative nel caso di distruzione per errore di cellule sane e utili, o, al contrario, i tumori, dovuti all’incapacità di eliminare cellule pericolose.
Guasti nel processo di suicidio cellulare accomunano quindi molte malattie genetiche, tra cui alcune patologie neurodegenerative (morbo di Alzheimer), certe patologie muscolari (miopatie di Bethlem e Ullrich), la SLA, l’atrofia ottica dominante, e rappresentano per questo motivo un terreno fertile per lo sviluppo di nuovi farmaci, come commenta Rizzuto: “La comprensione di questi meccanismi di segnalazione, ossia di come un impulso esterno o un danno genetico si traducono in “suicidio” cellulare, può fornire nuovi bersagli alla ricerca farmaceutica per lo sviluppo di farmaci che agiscano sul processo dell’apoptosi e possano quindi essere utili per la terapia di un ampio spettro di patologie”.


 

IN VENETO GRATUITI FARMACI PER MALATTIE RARE NEUROLOGICHE

COMUNICATO STAMPA N. 1158 DEL 20/07/2004

(AVN)

Venezia, 20 lug. - In Veneto saranno presto completamente a carico del Servizio Sanitario Pubblico tutta una serie di farmaci per curare molte malattie rare di tipo neurologico che invece, su scala nazionale, sono inseriti nella cosiddetta "Fascia C" a totale carico dell'assistito.

 

Lo ha deciso la Giunta regionale nella sua ultima seduta su proposta dell'assessore alla sanità Fabio Gava.

 

"Quello delle malattie rare - sottolinea Gava - è un settore molto delicato per le ricadute sui pazienti e sulle loro famiglie, e molti farmaci indispensabili sono ancora a carico del paziente. L'allargamento delle esenzioni che abbiamo inserito con questa delibera è una doverosa presa d'atto di queste difficoltà, supportata dal parere di uno specifico tavolo tecnico per l'identificazione dei protocolli di trattamento farmacologico delle malattie rare neurologiche, che ha stilato una tabella di farmaci da inserire nelle esenzioni"

T

ali farmaci sono l'Amantadina, il Baclofene 10 mg., il Clobazam, la Vitamina E, il Piracetam, il CoQ10, la Levocarnitina e la Quetapina. Essi consentono di curare ben 34 diverse malattie, tra le quali la sclerosi laterale amiotrofica e primaria, le leucodistrofie, e 5 tipi di epilessie farmaco-resistenti.

 

La dispensazione dei medicinali potrà essere richiesta sulla base del Piano Terapeutico redatto dal medico specialista certificatore operante in uno dei presidi accreditati nella regione Veneto. Visto il veloce evolversi della farmaceutica in questo settore, l'elenco di farmaci esenti verrà rivalutato e aggiornato almeno una volta all'anno.

A cura dell'Ufficio Stampa della Regione Veneto

 


 

Venerdì 27 Agosto 2004, 19:18

SANITA': ACCORDO TRIVENETO PER CURA MALATTIE RARE

 

(ANSA) - TRIESTE, 27 AGO - Le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano sottoscriveranno un accordo per coordinare e monitorare le attivita' assistenziali in tema di malattie rare, con l' obiettivo di garantire ai pazienti affetti da questo genere di patologie pari opportunita' di diagnosi, trattamento e cura.
L' intesa, il cui testo e' stato approvato oggi dalla Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, prevede che nel Nordest italiano si crei un ambito territoriale omogeneo di assistenza, attraverso la collaborazione, che sara' coordinata da un Gruppo tecnico congiunto, tra i presidi di riferimento istituiti nelle diverse realta' territoriali. L'accordo prevede anche iniziative comuni sia per quanto concerne la formazione e l'aggiornamento professionale che in tema di ricerca ed innovazione, con il coinvolgimento di tutti i diversi soggetti interessati, pubblici e privati (Aziende sanitarie ed ospedaliere, Universita', Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, associazioni professionali, societa' scientifiche, associazioni rappresentative degli utenti, istituti di ricerca).
In questo contesto saranno favoriti anche i contatti con le altre Regioni italiane, nonche' con Regioni vicine di altri Paesi, per accrescere ulteriormente competenze e professionalita', nell'ottica di creare centri di eccellenza europei. Sono indicate come malattie rare oltre 5 mila patologie, talvolta gravi e invalidanti, la cui casistica in Italia ed in genere in tutta Europa e' molto bassa, in quanto si registrano meno di 5 casi ogni 10.000 pazienti. Esse rappresentano pero' un problema sociale rilevante, poiche' spesso sono difficili da diagnosticare e per molte di esse non esistono ancora terapie efficaci. (ANSA

 


 

 

Mercoledì 30 Giugno 2004, 10:11

Anomalie del DNA mitocondriale sono associate a disordini dello spettro autistico

Di PediatriaOnline.net

( Xagena - Pediatria ) - Scopo dello studio è stato quello di individuare le alterazioni del DNA mitocondriale associate alle caratteristiche autistiche , ed in particolare la mutazione A3243G nel DNA mitocondriale e la deplezione del DNA mitocondriale.

Sono stati coinvolti nella ricerca 5 pazienti con disordine dello spettro autistico e con storia familiare di malattie associate al DNA mitocondriale.

Tre pazienti hanno manifestato isolate caratteristiche dello spettro autistico e due, invece, sintomi neurologici aggiuntivi.
In 2 pazienti è stata riscontrata una mutazione A3243G, in altri 2 la mutazione non è stata trovata nei tessuti accessibili, ma era presente nei tessuti materni.
Il quinto paziente ha mostrato una deplezione del 72% del DNA mitocondriale nel muscolo scheletrico.

Disordini dello spettro autistico con o senza caratteristiche neurologiche aggiuntive possono rappresentare precoci presentazioni della mutazione A3243G ed una manifestazione clinica della deplezione del DNA mitocondriale.

Pertanto nei pazienti con caratteristiche autistiche ed associati sintomi neurologici o nei pazienti con ereditarietà materna devono essere sospettate disfunzioni a livello mitocondriale. ( Xagena )


 

Tossicità Mitocondriale

    Il Mitocondrio è un organulo cellulare all'interno del quale avviene la produzione di energia sotto forma di ATP; i mitocondri sono dotati di un proprio DNA, diverso quindi da quello della cellula, che si replica mediante l'enzima DNA-polimerasi gamma.
    Alcuni farmaci antiretrovirali, come in particolare gli inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa (nRTI), vengono metabolizzati all'interno della cellula prima di essere convertiti nella loro forma attiva, e sono in grado di inibire la DNA polimerasi gamma riducendo così la quota di DNA presente all'interno del mitocondrio . Questa deplezione di DNA a sua volta provoca una ridotta produzione delle proteine mitocondriali, cui consegue una minor produzione di energia.

    Questo danno a livello mitocondriale rappresenta verosimilmente il meccanismo attraverso il quale hanno origine diverse complicanze che si possono osservare in corso di terapia antiretrovirale, come per esempio la pancreatite, la neuropatia periferica, l'acidosi lattica, la steatosi epatica e la lipodistrofia (Tabella 1).
    La capacità di inibire la DNA polimerasi gamma non è uguale per tutti gli nRTI, ma varia nel seguente modo:  ddC > ddI > d4T > 3TC > AZT > ABC.

Tabella 1

Sede Tossicità Farmaci correlati
Sistema Neuromuscolare Polineuropatia Didanosina (DDI) - Zalcitabina (DDC) - Stavudina (d4T)
Fegato Acidosi lattica, steatosi Tutti gli NRTI
Pancreas Pancreatite Didanosina (DDI) - Stavudina (d4T)
Midollo osseo Neutropenia, Anemia Zidovudina (AZT)
Tessuto adiposo Lipodistrofia Stavudina (d4T) - Altri NRTI ?

   L'acidosi lattica e la pancreatite rappresentano sicuramente le manifestazioni patologiche più gravi e potenzialmente fatali.


 

 

Eziopatogenesi molecolare delle Encefalomiopatie Mitocondriali

 

Un numero sempre crescente di disordini ad interessamento multisistemico riconosce come causa una possibile disfunzione a carico della catena respiratoria mitocondriale. Una volta sospettata una patologia di tipo mitocondriale sulla base di dati clinico-laboratoristici, la definitiva diagnosi viene raggiunta solo dopo aver evidenziato lo specifico difetto molecolare ed averne confermato la patogenicità attraverso una serie di criteri indipendenti: possibile natura eteroplasmica in specifici tessuti, segregazione con il fenotipo clinico, correlazione con difetti molecolari dimostrabili a livello tissutale ed in sistemi cellulari. Inoltre alcune mutazioni del genoma mitocondriale (mtDNA) sono associate a pattern clinici predicibili, ma spesso il grado di variabilità oltrepassa la stretta correlazione genotipo-fenotipo, suggerendo l'implicazione di altri fattori, inclusi quelli derivanti da particolari aplotipi del mtDNA o da differenti background nucleari. Lo studio, condotto nella prima parte del progetto, prevedeva l'impiego di tecniche robotizzate di sequenziamento massivo onde acquisire genomi mitocondriali interi per la "detection" di nuove mutazioni e di nuove possibili correlazioni della variabilità clinica delle encefalomiopatie mitocondriali. Nella seconda parte del progetto l'applicazione di metodiche post-genomiche, basate sulla valutazione dell’espressione genica tramite microarrays e Real-Time PCR, ha permesso di investigare sorgenti di variabilità clinica legate all’assetto genico nucleare.
Una revisione dei dati di 212 pazienti affetti da encefalomiopatia mitocondriale, raccolti presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche dell'Università di Milano, ha permesso finora di identificare 175 mutazioni del mtDNA, ma in almeno 37 di questi pazienti, con un quadro clinico suggerente ad una patologia mitocondriale, la diagnosi genetica è rimasta misconosciuta. I dati di sequenziamento massivo, ottenuti tramite una stazione robotizzata associata a sequenziatore multicapillare, sono stati confrontati con la sequenza del mtDNA di riferimento. Sono state identificate 165 sostituzioni nel genoma mitocondriale; di queste 124 sono polimorfismi conosciuti. Delle restanti 41 varianti, 33 sono presenti in uno stato omoplasmico all’analisi con RFLP sia nel muscolo sia nel sangue del soggetto investigato. Queste varianti hanno contribuito ad aumentare la casistica sui polimorfismi mitocondriali nei database esistenti. Le altre 8 mutazioni sono sicuramente patogeniche: 3 nuove mutazioni eteroplasmiche (a carico di ND3, ND5 e tRNA His) ed altre 5 precedentemente descritte in casi isolati.
Il polimorfismo omoplasmico A12308G, variante comune che definisce l'appartenenza all'aplotipo europeo "U", ha un ruolo molto discusso dalla comunità scientifica. La ricerca ha investigato il ruolo di questo polimorfismo mitocondriale nell’influenzare il fenotipo in pazienti affetti da sindrome di Kearns Sayre (KSS). Nello studio si osserva che la frequenza del polimorfismo A12308G è presente nel 18.9% nella popolazione di controllo, 17.5% nel gruppo di pazienti affetti da una qualsiasi delle mutazioni puntiformi mitocondriali e 18.2% nei pazienti con delezioni multiple. Tale frequenza è invece pari al 38,1% (p<0.005) nel gruppo di pazienti affetti da macrodelezione del mtDNA. Per investigare se la presenza di questo polimorfismo influenzasse la variabilità delle manifestazioni patologiche osservabili nei pazienti KSS, si sono stratificate i differenti fenotipi per la presenza (39 casi) o assenza (24) dell’A12308G. Si osserva che i pazienti con la transizione presentano un rischio significativamente maggiore di sviluppare retinite pigmentosa, disartria/disfagia, bassa statura e problemi cardiaci.
La PEO è un disordine neurodegenerativo associato con la presenza di delezioni del mtDNA e con mutazioni del gene POLG1, codificante la DNA polimerasi gamma mitocondriale. L’analisi molecolare del gene POLG1 in 8 pazienti PEO ha permesso di identificare alcune mutazioni recessive, 5 delle quali nuove. Il seguito della ricerca ha indagato la rilevanza patologica derivante dall'accumulo di mutazioni del mtDNA, analizzandone la regione di controllo della replicazione (D-Loop). Abbiamo evidenziato che i pazienti PEO, con almeno una mutazione nel gene POLG1, presentano carichi mutazionali significativamente aumentati. Specifiche mutazioni del gene POLG1 alterano l’integrità del genoma mitocondriale, dando luogo all’accumulo di elevati livelli eteroplasmici di mutazioni puntiformi nel mtDNA.
La teoria mitocondriale dell'invecchiamento ipotizza che l'accumulo di mutazioni somatiche nel mtDNA durante gli anni potrebbe rappresentare la causa principale dell'invecchiamento. Il D-Loop, potendo contenere più mutazioni eteroplasmiche, è la porzione del genoma a più elevata variabilità. Abbiamo evidenziato la presenza di alti livelli mutazionali nel D-Loop in tutte le fibre muscolari provenienti da soggetti sani ultranovantenni.

 


 

Ricercatore Usa: «Non abbiamo alterato i geni»

 

La tecnica usata per far partorire alcune donne infertili non altera i geni ma semplicemente aggiunge materiale innocuo

WASHINGTON - La tecnica usata dai ricercatori che hanno fatto nascere i primi bambini geneticamente alterati non manipola i geni, ma semplicemente aggiunge innocuo materiale extra genetico nei nuovi esseri: lo ha dichiarato il direttore scientifico dell'Istituto per la medicina riproduttiva a St. Barnas, nel New Jersey, che ha guidato gli esperimenti. «Non abbiamo cambiato alcun gene» ha dichiarato Jacques Cohen, «questo sarebbe stato un passo molto grande rispetto a questa piccola cosa che abbiamo portato a termine. Comunque si può dire che normalmente ci sarebbe stato un mitocondrio da una sola fonte (la madre). Ora c'è un mitocondrio da due fonti, e quindi ci sono due diversi tipi di Dna mitocondriale».

CRITICHE - Cohen ha così risposto alle critiche di parte della comunità scientifica che ha bollato la tecnica usata dai ricercatori americani come non etica perché in un certo senso porta a esseri viventi che geneticamente hanno due madri. La tecnica, che l'istituto del New Jersey sperimenta dal 1997 è detta "trasferimento ooplasmico" e serve a correggere l'infertilità di una donna. I ricercatori prendono un ovulo di una donna non fertile, uno di di una donna donatrice e lo sperma del marito della donna non fertile. Quindi aspirano una piccola parte dell'ovulo della donatrice - il citoplasma - usando un microscopico ago manovrato da un piccolo braccio robotico. Il citoplasma viene quindi iniettato nell'ovulo della donna non fertile insieme allo sperma che deve fecondarlo.

RISPOSTE - «Abbiamo per questo modificato i geni (del bimbo)? Abbiamo modificato le coppie di base? Abbiamo modificato il genoma? La risposta è no», ha sottolineato il dottor Cohen rimandando indietro le critiche della comunità scientifica. L'evento, hanno infatti scritto i ricercatori sulla rivista «Human Reproduction», «è il primo caso di modificazione genetica della linea germinale che risulta in alcuni di questi bimbi sani e normali». I bimbi nati con il metodo usato nel New Jersey sono 15, 13 vivono negli Stati Uniti, uno vive in Gran Bretagna e un altro in Francia. Ma in tutto nel mondo sarebbero una trentina, la metà dei quali in Europa. Non tutti gli esperimenti sono andati a buon fine, ha precisato Cohen, infatti su 30 donne non fertili solo 12 hanno dato alla luce figli, e tre di loro coppie di gemelli.

5 maggio 2001 (http://www.corriere.it/)

 


 

Neanderthal e homo sapiens non sono parenti

I ricercatori italiani hanno confrontato il Dna degli esemplari dei due gruppi rinvenuti in Puglia nel 1988

LO STUDIO - Da questo risultato gli scienziati hanno dedotto che il nostro diretto antenato non si è mai accoppiato con uomini di Neanderthal, limitandosi a dividere con loro i territori colonizzati durante il tardo Pleistocene, circa 40 mila anni fa. «Abbiamo esaminato il Dna dei mitocondri estratto dagli scheletri di quattro Neanderthaliani vissuti tra 29 e 42 mila anni fa, poi quello di due scheletri pugliesi di uomo anatomicamente moderno risalenti a circa 14 mila anni fa, già battezzati uomini di Cro-Magnon, infine quello di un vasto gruppo di individui contemporanei», racconta Bertorelle spiegando che i mitocondri sono organelli delle cellule che servono per produrre energia e che sono dotati di un proprio pacchetto di geni molto utile negli studi sul passato degli uomini.

DNA DIVERSI
- Mentre il Dna degli uomini contemporanei è praticamente identico a quello degli antenati Cro-Magnon, quello di Neanderthal differisce nettamente da entrambi, precisa lo scienziato aggiungendo che il Dna di Homo Sapiens non è quasi per niente cambiato negli ultimi 25 mila anni e che i Neanderthaliani avevano caratteristiche genetiche a sè, mantenute tali fino alla loro estinzione. «Anche se non possiamo escludere che una percentuale di incroci minimi tra le due specie si sia verificata in passato», conclude Bertorelle, «questi studi dimostrano per la prima volta l'assoluta separazione tra Neanderthal e Homo Sapiens e che il passato di Neanderthal non ha condizionato il nostro Dna. Infine le nostre ricerche sono in accordo con la teoria dell'origine recente in Africa, circa 150-200 mila anni fa, dell' Homo sapiens e con la sua successiva colonizzazione del pianeta».

(http://www.corriere.it/)

 


 

 

Italiani Scoprono Radicali Liberi Buoni

 

Roma, 9 mag. 2003  - Importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi protettivi contro gravi malattie neurodegenerative.

I ricercatori  dell'Istituto di patologia generale della Cattolica di Roma, hanno localizzato nel citoplasma alcuni radicali liberi buoni, che attivano un enzima anti-ossidante utile ad allontanare i temuti radicali liberi nocivi, che si trovano nei mitocondri e sono responsabile della morte delle cellule nervose. Lo studio,  apre la strada ad importanti ricadute terapeutiche, possiamo infatti pensare di mettere a punto farmaci in grado di ridurre i radicali liberi nocivi nei mitocondri, per la cura di malattie come demenze e Parkinson'. Tutto nasce dal fattore neurotrofico (Nerve Growth Factor, scoperto dal Nobel Montalcini), che protegge le cellule neuronali dalla morte programmata. E questo proprio sfruttando i radicali liberi buoni attraverso un circuito che attiva l'enzima antiossidante che elimina i radicali liberi mitocondriali. I risultati si inseriscono nel piano di ricerca che da tempo stiamo seguendo per comprendere i meccanismi dei radicali liberi, siano di danno o di protezione. Meccanismi importanti per la segnalazione cellulare, perché  permettono di trasmettere al nucleo della cellula informazioni essenziali per la produzione di proteine. Fattori neurotrofici quali il Nerve Growth Factor (NGF) sono alla base dei meccanismi di sopravvivenza dei neuroni. Fino a oggi però gran parte dei meccanismi che regolano questo processo erano in gran parte ignoti. La scoperta è piuttosto sorprendente, dal momento che i radicali liberi sono tradizionalmente considerati agenti nocivi implicati nello sviluppo di malattie neurodegenerative. L'iniziale aumento di radicali liberi che si verifica servirebbe in realtà proprio a vaccinare le cellule contro lo stress ossidativo, attraverso l'induzione delle difese antiossidanti (messe in campo dall'enzima della superossidodismutasi 2). Insomma, almeno in teoria e' possibile sostituire l'azione dei fattori neurotrofici, carenti in alcune malattie neurodegenerative, attraverso un farmaco che rimuove i radicali liberi cattivi, quelli mitocondriali, impiegando antiossidanti selettivi.

 


 

Miopatia metabolica con insufficienza di carnitina

"Sono affetta da miopatia metabolica (diagnosticatami dal professor Corrado Angelini) e grazie a una dieta ferrea priva di grassi a lunga catena, alla somministrazione orale di due grammi al giorno di carnitina e all'uso di olio MCT [olio con grassi a corta catena che possono essere utilizzati senza carnitina, N.d.R.], ora sto bene e desidero saperne di più sulla mia patologia".

Questa, in sintesi, la testimonianza che una lettrice di Roma ci ha fatto pervenire.

In merito abbiamo interpellato lo stesso professor Angelini, direttore del Centro di epidemiologia e prevenzione delle malattie neuromuscolari di Padova.

Le miopatie metaboliche da accumulo di lipidi sono caratterizzate, come dice il nome, da un eccessivo "immagazzinamento" di grassi da parte delle fibre muscolari, che può essere causato da un deficit di carnitina.

La carnitina, infatti, svolge un importante ruolo nel trasporto di acidi grassi a lunga catena ai mitocondri (dove essi vengono sottoposti ad un processo di ossidazione) e la carenza di essa provoca un aumento di lipidi (in particolare di trigliceridi).

Il difetto di carnitina può essere il risultato di problemi nella sintesi di questa sostanza da parte del fegato, o nel trasporto ad alta affinità dal sangue ad altri organi, muscoli compresi (si parla in questo caso di deficit di carnitina sistemico), oppure ancora nel trasporto attivo di carnitina dal fluido extracellulare nel muscolo (forma miopatica del deficit di carnitina).

La miopatia da deficit di carnitina ha solitamente una trasmissione autosomica recessiva; i primi sintomi si manifestano nella prima infanzia o in età adulta ed è presente debolezza muscolare generalizzata, che colpisce in particolare i muscoli prossimali e, talvolta, i muscoli del collo. Dal punto di vista biochimico, il livello di carnitina può risultare normale nel siero, ma ridotto nel tessuto muscolare.

Questa paziente, da me seguita sin dall'età di otto anni, era arrivata alla nostra osservazione con diagnosi di distrofia muscolare. Il nostro centro a suo tempo diagnosticò invece proprio una sindrome da difetto di carnitina, e la mise in trattamento con carnitina e con dieta MCT.

In alcune malattie metaboliche da accumulo di lipidi, tale trattamento è estremamente efficace, come ad esempio nei bambini con cardiomiopatia e disturbo del trasporto ad alta affinità della carnitina, dove evita il trapianto cardiaco.

Si tratta di sindromi rare e di difficile riconoscimento, ma una diagnosi accurata permette la messa in atto di un'efficace terapia da cui il paziente può trarre beneficio.

 


 

 

Una miopatia: la Glicogenosi di tipo II

 

Ci scrivono dalla Repubblica di San Marino i genitori di un bambino di quattro anni e mezzo, affetto da una forma infantile di Miopatia metabolica da difetto di maltasi acida (Glicogenosi di tipo II).

Oltre ad informazioni generali su questa patologia, ci viene chiesto in particolare se esistano delle regole da adottare a livello alimentare che possano essere di qualche beneficio e se l'attività sportiva sia controindicata in questo tipo di pazienti.

Risponde il professor Carlo Trevisan, professore associato di neurologia presso la Clinica neurologica II dell'Università di Padova.

La Glicogenosi da deficit di maltasi è una rara malattia genetica che si caratterizza per l'accumulo di glicogeno nel muscolo scheletrico che provoca un progressivo disturbo della forza muscolare. Essa viene chiamata anche Glicogenosi tipo II, e porta a disturbi dovuti all'incapacità dell'organismo di utilizzare correttamente il glucosio immagazzinato come glicogeno, nonché ad alterazioni causate dall'accumulo del glicogeno stesso nei lisosomi (particolari strutture che si trovano nella fibra muscolare) dei tessuti.

Nella forma infantile, questa malattia si esprime con particolare gravità determinando anche cardiomegalia (dilatazione cardiaca) associata ad alterazioni di altri tessuti quali il fegato e il sistema nervoso. Nelle forme ad esordio tardivo, invece, i sintomi sono limitati al muscolo e l'andamento dei disturbi è spesso relativamente benigno.

Il modo eterogeneo di presentarsi della malattia dipende dalla differente riduzione della quantità di enzima nel muscolo, verosimilmente in collegamento a diverse mutazioni del gene della maltasi acida, che è stato localizzato nel cromosoma 17 (regione q 21-23).

Per le diverse forme in cui si esprime la miopatia da deficit di maltasi acida, non sono state ancora identificate valide terapie: sono stati altresì tentati approcci terapeutici con vitamina A o con ormoni di tipo tiroideo, corticosteroide o progestinico, ma senza successo.

Ugualmente inefficace si è rivelato il trattamento con dieta a basso contenuto di zuccheri, con l'aggiunta, in alcuni casi, di epinefrina. L'intervento sul piano dietetico è tuttavia quello che suscita più interesse, perché in alcuni pazienti con deficit di maltasi acida ad esordio tardivo si sono ottenuti dei dati positivi, anche se parziali, con dieta ad alto contenuto di proteine (50% di carboidrati, 20% di grassi, 30% di proteine). Questo tipo di dieta non è tuttavia risultato valido per tutti i pazienti ed essa va pertanto discussa di caso in caso con il medico curante.

La terapia di base della malattia resta comunque sconosciuta.

Per quanto riguarda l'impegno muscolare dei pazienti con forme di questa malattia, va ricordato che in generale l'attività fisica va espletata in modo spontaneo e secondo le attitudini naturali, evitando tuttavia sforzi o impegno muscolare prolungato e con la regola di interrompere l'attività quando insorgono i primi segni di stanchezza.

In generale, l'attività fisica di questi pazienti - inclusa quella sportiva - dovrebbe comunque essere valutata di volta in volta con il neurologo e il fisiatra che hanno in carico il soggetto, data la notevole variabilità con cui si presenta la malattia.

 


 

 

Principi di genetica mitocondriale.

 

La genetica del mtDNA dei vertebrati ha le seguenti caratteristiche peculiari, che la distingue dalla genetica mendeliana classica.   

1. Eredità materna. La trasmissione dell'informazione genetica mitocondriale non  segue le leggi di Mendel.  Infatti, la madre trasmette il proprio mtDNA alla discendenza, e le figlie trasmettono a loro volta il loro mtDNA alla generazione successiva, ma il gamete maschile non dà alcun contributo al genotipo mitocondriale dello zigote.    Tale tipo di trasmissione è probabilmente dovuta al fatto che i pochi mitocondri contenuti nel colletto dello spermatozoo non entrano nell'uovo durante la fecondazione, o ne vengono rapidamente eliminati attraverso un meccanismo sconosciuto.   

2. Poliploidia. A differenza dei geni nucleari, presenti in due copie (o alleli) per ciascun nucleo, il numero di copie di ciascun gene mitocondriale presenti in ogni cellula umana raggiunge l'ordine delle migliaia. In ciascuna cellula vi sono infatti centinaia di mitocondri, ciascuno dei quali a sua volta contiene da due a dieci copie di  mtDNA. Durante la divisione cellulare, i genomi mitocondriali seguono la distribuzione (stocastica) degli organelli che li ospitano. 

3. Elevata velocità di mutazione. I mitocondri sembrano mancare di un efficiente sistema di riparazione del DNA.    Inoltre, il mtDNA non è protetto da istoni, ed è localizzato in prossimità della   membrana mitocondriale interna, dove vengono prodotti radicali liberi altamente  mutagenici, come  sottoprodotti della fosforilazione ossidativa. Queste peculiari  divisione mitotica possa variare secondo uno spettro continuo, in accordo con la distribuzione degli organelli. Si può avere una enorme variazione della percentuale di  mutazione sia da cellula a cellula, o da tessuto a tessuto dello stesso individuo, sia tra individui diversi della medesima discendenza materna. Questo fenomeno spiega in parte anche la estrema variabilità fenotipica delle malattie mitocondriali causate da mutazioni del mtDNA.     Tuttavia, in genere gli effetti patologici di una tazione(eteroplasmica) insorgono  solo quando la proporzione relativa tra mtDNA mutato e mtDNA normale supera una    determinata soglia. In queste condizioni, il mtDNA normale non è più in grado di complementare il mtDNA difettoso, che potrà quindi esprimere il proprio fenotipo patologico.    L'espressione fenotipica di una mutazione del mtDNA dipende dalla natura patogena "intrinseca" della mutazione stessa ma anche dalla sua distribuzione tissutale, e dalla  dipendenza di ciascun organo dall'energia fornita dalla respirazione mitocondriale. Gli  organi più sensibili a difetti della fosforilazione ossidativa sono, nell'ordine, il  sistema visivo e uditivo, il sistema nervoso centrale e periferico, il cuore, i muscoli scheletrici, il pancreas endocrino, i parenchimi renale ed epatico, etc. Infine, la gravità  degli effetti di una mutazione del mtDNA può essere influenzata da altri fattori, incluso  la coesistenza di altre mutazioni o polimorfismi dello stesso mtDNA, l'età dell'individuo, e fattori ambientali ed epigenetici.

 

Malattie mitocondriali.

Difetti di trasporto intramitocondriale dei substrati energetici, i difetti di utilizzazione dei substrati, ed i difetti della fosforilazione ossidativa.Le alterazioni morfologiche più note riguardano il muscolo scheletrico, le cui fibre vanno incontro ad una proliferazione di mitocondri anormali, specie quelli localizzati sotto il sarcolemma, che causa la insorgenza delle cosiddette fibre "ragged-red" (fibre "rosse   stracciate", RRF). La proliferazione mitocondriale è chiaramente dimostrata anche dall'intensa reazione istochimica delle fibre ragged-red all'enzima Succinato Deidrogenasi, parte del complesso respiratorio II. Un'altra alterazione frequente è la presenza di fibre muscolari che risultano negative alla reazione istochimica per la citocromo c ossidasi (COX), il complesso respiratorio IV.    Dal punto di vista laboratoristico, un'alterazione frequente è la presenza di elevati  livelli di acido lattico nel sangue (e, spesso, anche nel liquor cefalo-rachidiano). 

L'accumulo di lattato è causato dall'insufficienza della respirazione mitocondriale, e dalla conseguente riduzione dell'acido piruvico, accumulatosi come prodotto terminale della glicolisi, in acido lattico da parte della lattico deidrogenasi citoplasmatica. 

Tuttavia, caratteristiche "mitocondriali" tipiche possono essere assenti anche in entità cliniche sicuramente causate da mutazioni del mtDNA.    L'esempio più noto è quello della Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber (LHON), o del complesso Neuropatia Atassia, Retinite Pigmentosa (NARP) (v. oltre).    L'identificazione di mutazioni del mtDNA ha fornito le basi per l'attuale classificazione dei disordini mitocondriali. Un primo gruppo di malattie è  caratterizzato dalla presenza di mutazioni del mtDNA, ad insorgenza sporadica, o a trasmissione materna. Un secondo gruppo è costituito dall'associazione di mutazioni  del mtDNA con la trasmissione mendeliana della malattia. Si ritiene che questo gruppo di malattie siano causate da mutazioni in geni nucleari, il che giustifica l'eredità  mendeliana, che controllano la integrità strutturale e la propagazione del mtDNA. Per questo vengono anche definite come disordini della comunicazione    nucleo-mitocondriale. Infine, vi è un gruppo numeroso di malattie che non sono  associate a mutazioni note del mtDNA, e che si ritiene siano causate da  mutazioni in geni nucleari che fanno parte o controllano la fosforilazione ossidativa.    Queste malattie sono classificate sulla base delle sole alterazioni biochimiche rilevate dall'analisi dei tessuti affetti.  

1. Mutazioni del mtDNA .  A seconda delle caratteristiche molecolari e genetiche delle mutazioni del mtDNA,  questo gruppo di difetti comprende sindromi dovute a riarrangiamenti su larga scala del mtDNA, o a mutazioni puntiformi del mtDNA.    Riarrangiamenti del mtDNA.  Si può trattare di delezioni parziali del mtDNA o, più  raramente, di plicazioni parziali. Entrambi i tipi di mutazione sono eteroplasmici, dato che coesistono sempre  con una quota di mtDNA normale o selvatico.

Queste alterazioni grossolane del mtDNA sono quasi invariabilmente asssociate con tre principali presentazioni cliniche: 

la sindrome di Kearns-Sayre, l'Oftalmoplegia Esterna Progressiva, e la sindrome di Pearson.   

La s. di Kearns-Sayre (KSS) è una grave malattia ad insorgenza sporadica caratterizzata dalla triade:

1) Oftalmoplegia Esterna Progressiva (PEO) con ptosi    bilaterale;

2) Retinopatia Pigmentaria;

3) insorgenza prima dei 20 anni. Segni aggiuntivi frequenti sono una sindrome cerebellare progressiva, il deterioramento mentale, la sordità neurosensoriale, blocchi di conduzione cardiaca, e  iperproteinorrachia. Vi è spesso ritardo staturo-ponderale e arresto di crescita.

La prognosi è severa, e i pazienti spesso non superano la terza-quarta decade, anche dopo l'impianto di pace-maker.   

La Miopatia Oculare sporadica è caratterizzata dall'insorgenza in età adulta di  Oftalmoplegia Esterna Progressiva (PEO) con ptosi bilaterale, spesso associate a ipostenia prossimale di grado variabile, atrofia muscolare e intolleranza all'esercizio.  

La sindrome di Pearson è una rara malattia della prima infanzia caratterizzata da anemia sideroblastica, pancitopenia, ad insorgenza connatale, ed insufficienza del pancreas esocrino con malassorbimento. Nei pochi bambini che sopravvivono oltre i primi anni si assiste ad un progressivo miglioramento della situazione ematologica e    gastrointestinale, mentre insorgono i segni caratteristici della sindrome di  Kearns-Sayre.    Le sindromi associate a riarrangiamenti del mtDNA sono nella gran parte dei casi sporadiche. Raramente duplicazioni geniche, ma non singole delezioni, sono state trasmesse matrilinearmente. Dal momento che molecole di genoma mitocondriale deleto sono state riscontrate anche in ovociti umani, è possibile che un meccanismo  ancora sconosciuto intervenga nel prevenire la trasmissione verticale o l' espansione    della popolazione di molecole mutate.

L' espansione clonale di un singolo evento  mutazionale sembra essere responsabile dei riarrangiamenti mitocondriali.    L'intervento della segregazione mitotica e l'effetto soglia successivamente  influenzerebbero la distribuzione nei vari tessuti e quindi il fenotipo.    Mutazioni puntiformi del mtDNA.  Si tratta di quadri clinici associati a singole sostituzioni nucleotidiche, o a micro    inserzioni/microdelezioni, nella molecola del mtDNA. Queste mutazioni possono  interessare sequenze codificanti tRNA mRNA o rRNA. A differenza dei  macroriarrangiamenti, che sono per lo più sporadici, tutte le mutazioni puntiformi  vengono trasmesse per via matrilineare. Poichè, come ricordato, i polimorfismi del  mtDNA sono numerosi nella specie umana, le mutazioni patogene possono essere    distinte dai polimorfismi non patogeni sulla base dei seguenti criteri:

1) la mutazione deve alterare un residuo (nucleotidico e/o aminoacidico) fortemente conservato durante l'evoluzione delle specie; 2) la segregazione del fenotipo patologico con la mutazione deve essere molto stretta; in pratica, la mutazione non dovrebbe essere individuata in una vasta collezione di campioni di controllo;

3) la mutazione dovrebbe essere eteroplasmica;

4) dovrebbe essere riscontrata in famiglie clinicamente simili ma etnicamente diverse.

 Eteroplasmia e multietnicità suggeriscono che la mutazione è avvenuta di recente, e che è in atto una selezione negativa che si oppone alla fissazione stabile della mutazione stessa.    Sebbene, ad oggi, più di 50 mutazioni puntiformi siano state descritte in associazione  con uno spettro eterogeneo di presentazioni cliniche, le mutazioni di gran lunga più frequenti sono solo quattro, e sono associate a sindromi cliniche piuttosto ben definite.   

Tali mutazioni sono: la mutazione A3243G associata alle sindromi "MELAS/PEO";

la  mutazione A8344G associata alla sindrome "MERRF";

la mutazione T8993G associata  alla sindrome "NARP";

e la mutazione A11778G associata alla sindrome "LHON".  

Qui di seguito riportiamo le principali sindromi cliniche associate a mutazioni  puntiformi del mtDNA. 

 

 I) La Encefalomiopatia Mitocondriale con Acidosi Lattica ed episodi "Stroke"    (Mitochondrial Encephalomyopathy, Lactic   Acidosis and Strokelike episodes, MELAS) è definita dalla presenza delle seguenti   manifestazioni:

1) episodi di tipo ictale (stroke-like) causati da lesioni cerebrali focali    spesso localizzate nelle aree parieto-occipitali;

2) acidosi lattica o comunque livelli  anormali di lattato nel sangue (e liquor);

3) fibre "ragged-red" nella biopsia muscolare  scheletrica. Altri segni di coinvolgimento del sistema nervoso centrale comprendono il  deterioramento mentale, episodi di emicrania con aura spesso preceduti da crisi di  nausea e vomito "cerebrale", epilessia focale o generalizzata, e sordità    neurosensoriale. La malattia è trasmessa per via materna e l'esordio è variabile, dalla  primissima infanzia all'età giovanile-adulta.    La patogenesi degli episodi "stroke-like" è incerta, ma un'alterazione dei mitocondri  contenuti nelle cellule dei vasi cerebrali e muscolari è stata osservata con tecniche    morfologiche ed istochimiche.  

La s. MELAS è tipicamente associata alla mutazione A3243G, nel gene codificante il  tRNA per la Leucina(UUR). Sono state in seguito riportate altre mutazioni puntiformi    associate a MELAS, anche se si tratta di casi più rari. La correlazione  genotipo-fenotipo per la mutazione A3243G non è molto stretta, poiché le  manifestazioni cliniche ad essa associate non sono limitate alla s. MELAS tipica. Ad esempio, la mutazione A3243G è stata identificata anche in numerose   famiglie affette    da PEO matrilineare, da miopatia isolata,  cardiomiopatia isolata, o in famiglie con  una sindrome matrilineare che associa diabete mellito e sordità neurosensoriale. 

 

 II) La mioclono epilessia con fibre ragged-red (Myoclonus Epilepsy with Ragged Red  Fibers, MERRF) è caratterizzata dall'associazione di mioclono, epilessia, ipostenia ed  ipotrofia muscolare, atassia cerebellare, ipoacusia e deterioramento mentale. L'entità delle manifestazioni cliniche può essere estremamente variabile nell'ambito della    stessa famiglia. Tale variabilità si ritiene sia in relazione alla quantità di mtDNA  mutato rispetto al normale (eteroplasmia) ed alla variabilità nella distribuzione  tissutale della mutazione (segregazione mitotica). La maggior parte delle famiglie affette è portatrice della transizione A8344G, nella sequenza del tRNA per la lisina.    Più di rado è stata osservata una mutazione in posizione 8356, nel medesimo gene.   

 

III) La sindrome caratterizzata da neuropatia, atassia e retinite pigmentosa (Neurogenic   muscle weakness, ataxia, retinitis pigmentosa, NARP) può comprendere, oltre ai  suddetti segni, la epilessia e il decadimento mentale. La malattia ha in genere il suo  esordio in età adulta. A differenza delle patologie sopra descritte, la biopsia  muscolare non mostra la presenza delle tipiche fibre ragged red. La malattia è stata  associata alla trasversione T8993G, nella sequenza codificante la subunità 6  dell'ATPasi mitocondriale (complesso V della catena respiratoria). La stessa  mutazione, con un grado di teroplasmia nettamente più elevato rispetto al fenotipo  NARP, è stata anche riscontrata in piccoli pazienti affetti da sindrome di Leigh senza  deficit biochimico di citocromo c ossidasi o piruvico deidrogenasi (v. oltre). Più di rado è stata osservata una transizione T->C alla stessa posizione.   

 

IV) La neuropatia ottica ereditaria di Leber (Leber's Hereditary Optic Neuropathy,  LHON), ad esordio in età giovanile e netta prevalenza nel sesso maschile, è  caratterizzata dalla perdita acuta o subacuta della visione centrale con esito in atrofia    ottica. Il deficit visivo, che a parte rari casi è permanente, costituisce in genere l'unica  manifestazione della malattia che però raramente può comprendere anche alterazioni del ritmo cardiaco (sindrome di pre-eccitazione ventricolare). L'esame del fondo oculare evidenzia l'atrofia ottica accompagnata tipicamente da una microangiopatia  teleangiectasica peripapillare.    Analogamente al fenotipo NARP, anche nella LHON la biopsia muscolare non  evidenzia la presenza di fibre ragged-red. La malattia è stata associata a numerose  mutazioni puntiformi del mtDNA. Di queste, alcune vengono considerate "mutazioni primarie", che interessano alcune delle subunità del complesso respiratorio I, in  quanto sono state osservate esclusivamente in pazienti affetti da LHON. Sono state  descritte altre mutazioni puntiformi, definite con termine improprio "mutazioni secondarie", l'importanza delle quali non è stata ancora definita.   Numerose altre mutazioni puntiformi del mtDNA sono state associate a diversi fenotipi    clinici in singoli pazienti o in poche famiglie. Ad esempio, una mutazione  omoplasmica in posizione 1555 nel gene codificante il rRNA 12S è causa della sordità familiare non sindromica indotta dall'assunzione di aminoglicosidi. Si pensa che tale mutazione produca alterazioni strutturali della regione ove il tRNA si lega al  ribosoma, facilitando il legame degli aminoglicosidi e potenziandone gli effetti inibitori sulla traduzione proteica degli mRNA mitocondriali.   La patogenesi della malattie mitocondriali associate a mutazioni puntiformi del  mtDNA non é ancora chiarita; in particolare non é noto il meccanismo in base al quale  le alterazioni genetiche osservate siano in grado di determinare quadri clinici così  diversi tra loro e spesso accomunati da un analogo deficit biochimico della catena  respiratoria mitocondriale. Studi sperimentali in vitro sostengono l'ipotesi che le  mutazioni nei geni tRNA, così come le delezioni parziali del mtDNA, siano responsabili di un'alterazione della traduzione e della sintesi proteica di componenti    della catena respiratoria mitocondriale. Le mutazioni puntiformi che colpiscono geni  strutturali, come le mutazioni LHON o NARP, causerebbero invece un'insufficienza  dell'attività enzimatica dei complessi a cui appartengono le subunità proteiche  specificate dai geni mutati.    2. Difetti della comunicazione intergenomica nucleo- mitocondriale  Nonostante il mtDNA sia trasmesso per via matrilineare, sono stati descritti quadri  clinici nei quali la trasmissione genetica della malattia è di tipo mendeliano.    Questa caratteristica suggerisce che tali sindromi siano causate da mutazioni in geni  nucleari che colpiscono l'integrità del genoma mitocondriale.

Si conoscono due gruppi  di difetti genetici della comunicazione nucleo- mitocondriale:

 a) alterazioni qualitative   del mtDNA   (delezioni multiple del mtDNA);

 b) alterazioni quantitative del mtDNA (deplezione   tessuto-specifica del mtDNA).   

a) Delezioni multiple del mtDNA sono in genere associate alla oftalmoplegia esterna  progressiva a trasmissione autosomico-dominante (adPEO), una sindrome complessa  ad esordio in età adulta e caratterizzata, oltre alla PEO, da ipoacusia neurosensoriale,  polineuropatia sensitivo-motoria, atassia, tremore, e moderata acidosi lattica. La biopsia muscolare evidenzia le tipiche fibre ragged-red. 

La forma recessiva (arPEO), più rara, ha invece esordio in età pediatrica, e la PEO è  qui spesso associata ad una grave cardiomiopatia ipertrofica intrattabile che richiede  il trapianto. Studi di linkage hanno rivelato l'esistenza di almeno due distinti loci  genici (sul braccio lungo del cromosoma 10 e su quello corto del cromosoma 3,    rispettivamente) nella forma di PEO autosomica dominante.

 b) Le sindromi da deplezione del mtDNA sono patologie a trasmissione autosomica  recessiva caratterizzate, dal punto di vista molecolare, dalla riduzione  tessuto-specifica del mtDNA fino a valori < 2% del normale. Dal punto di vista  clinico, si conoscono tre diverse presentazioni, tutte molto gravi ed invariabilmente  fatali:

i) una grave miopatia precocissima con o senza la comparsa di tubulopatia di  DeToni-Fanconi;

ii) una forma di epatopatia rapidamente progressiva con esito in  insufficienza epatica;

iii) una forma tardo infantile, con esordio in genere dopo il  primo anno di età, caratterizzata da miopatia rapidamente progressiva.    In questi pazienti l'analisi molecolare con la tecnica del Southern blot è diagnostica in quanto rivela, nei tessuti clinicamente interessati, l'assenza pressoché completa del  mtDNA.    3. Difetti biochimici della catena respiratoria  La maggior parte delle subunità proteiche costituenti gli enzimi della catena  respiratoria sono codificate dal DNA nucleare. La possibilità di una deficienza della  catena respiratoria conseguente ad una mutazione di un gene nucleare emerge dall'osservazione di casi familiari a trasmissione mendeliana, in cui non vi sono  mutazioni del mtDNA ma vi è un chiaro deficit biochimico di una o più attività  enzimatiche della catena respiratoria. A tutt'oggi, però, non è ancora stata identificata    alcuna alterazione molecolare in geni nucleari codificanti proteine della catena respiratoria, con l'unica eccezione di una mutazione nel gene della subunità  flavoproteica della Succinato Deidrogenasi (SDH, Complesso II), trovata in due  fratelli con sindrome di Leigh.    Analogamente ai quadri associati a mutazioni del mtDNA, i difetti della catena   respiratoria definiti biochimicamente (e presumibilmente dovuti a mutazioni    "nucleari") presentano una notevole eterogeneità clinica. L'esordio può avvenire in età  neonatale, infantile, giovanile o adulta. I difetti biochimici più frequentemente  osservati sono a carico del complesso I e del complesso IV (citocromo c ossidasi,  COX).    Pazienti con esordio più tardivo presentano un insieme di segni e sintomi di interessamento del sistema nervoso centrale e periferico tra i quali i più frequenti sono atassia, epilessia, ipoacusia neurosensoriale, retinopatia pigmentosa, decadimento    mentale, disturbi del movimento, e polineuropatia.    Probabilmente, la malattia più nota e frequente del gruppo dei disordini "nucleari" dei   mitocondri è la sindrome di Leigh. I bambini affetti presentano, dopo un iniziale  sviluppo normale nei primi mesi di vita, un progressivo ritardo della psicomotricità,    accompagnato da incoordinazione dei movimenti oculari, vomito ricorrente, epilessia,  segni di compromissione delle vie piramidali e del sistema extrapiramidale, anomalie  "centrali" della ventilazione polmonare, e marcata acidosi lattica. In pratica sono  soprattutto colpite le funzioni neurologiche che fanno capo ai sistemi che attraversano  o sono localizzati nel tronco cerebrale (e nel cervelletto).    Particolarmente importante è lo studio dell'encefalo mediante risonanza magnetica   nucleare (RMN), che ha sostituito il riscontro neuropatologico su cui si fondava in  passato la diagnosi. La RMN evidenzia tipiche alterazioni di segnale bilateralmente a   livello del tronco encefalico, del talamo e dei cordoni posteriori del midollo spinale;  questo quadro corrisponde al riscontro anatomo-patologico patognomonico di aree di  necrosi con gliosi e proliferazione vascolare. Nella maggior parte dei pazienti la    malattia è associata a deficit del complesso IV (citocromo c ossidasi) o dell'enzima  piruvico deidrogenasi. In quest'ultimo caso, le alterazioni genetiche più frequenti sono  a carico del gene codificante la subunità E-1a, localizzato sul cromosoma X.  Nonostante ciò, esistono numerosi casi di femmine clinicamente affette portatrici di  mutazioni del gene E-1a, in cui l'espressione fenotipica dipende dall'inattivazione    prevalente del cromosoma X non affetto. Nella sindrome di Leigh non vi sono fibre   ragged-red nella biopsia muscolare, ma nei casi associati a deficit di COX la reazione  istochimica specifica è molto ridotta nel tessuto muscolare e il difetto biochimico è  generalizzato, dato che si riscontra anche nei fibroblasti e in altri tessuti. Più raramente  la sindrome di Leigh è stata associata ad un difetto del complesso I. Dal punto di vista  genetico- molecolare, nei casi con deficit di COX (e in quelli da deficit di complesso    I), non sono state trovate mutazioni nei geni codificanti le varie subunità dei rispettivi  enzimi. Si ritiene perciò che i difetti genetici siano a carico di geni nucleari codificanti  proteine necessarie al corretto assemblaggio e/o al funzionamento dei complessi.   Recentemente alcuni pazienti con sindrome di Leigh sono risultati portatori di  mutazioni del mtDNA, soprattutto della mutazione NARP. Nonostante l'eterogeneità    genetica, i tipici reperti neuropatologici, e le conseguenze cliniche della sindrome di    Leigh, presenti in tutti i diversi sottogruppi eziologici, sono evidentemente  l'espressione finale comune del danno da deficit energetico sul cervello in via di  sviluppo.

 

Il DNA mitocondriale contiene i geni per solamente 13 proteine, ma sono proteine fondamentali nel     processo della conservazione dell’energia in forma della molecola altamente energetica dell’ATP. Il DNA    mitocondriale ha una velocità di mutazione almeno 10 volte superiore a quella del DNA del nucleo, a  causa delle minori protezioni a cui esso è soggetto.    

Si conoscono alcune malattie ereditarie legate a mutazioni del DNA mitocondriale, che si manifestano con  gravi deficit energetici ai muscoli e al sistema nervoso e vengono ereditate solamente dalla madre: in altre   parole un padre affetto da una di queste malattie non potrà mai trasmetterla ai figli.

 Se le malattie mitocondriali non sono frequenti, tuttavia l’invecchiamento è un fenomeno universale:    orbene, è proprio sul DNA mitocondriale che l’interesse si è focalizzato con l’ipotesi che il suo inevitabile   deterioramento sia la causa primaria dell’invecchiamento e della morte delle cellule e degli organismi. E’  stato detto paradossalmente che l’invecchiamento è una malattia mitocondriale con 100% di mortalità.   La causa principale di questo declino sarebbero i radicali liberi dell’ossigeno che si formano durante la    respirazione cellulare. Come un motore brucia benzina utilizzando ossigeno per produrre energia  meccanica, così i mitocondri bruciano sostanze derivate dagli alimenti in presenza di ossigeno per  produrre energia chimica in forma della molecola dell’ATP. E’ stato calcolato che dall’1 al 4%  dell’ossigeno usato dai mitocondri per la sintesi dell’ATP viene, per così dire, mal utilizzato e dà origine a   radicali liberi. E’ dunque nella prima sorgente vitale, l’ossigeno, che sono poste le basi della vecchiaia e   della morte, rendendo così il processo inevitabile ed irreversibile.      Gli effetti dell’ossigeno sono potenziati dalla presenza di sostanze tossiche come il fumo di sigaretta, l’alcool, inquinanti ambientali, farmaci. Questo stress ossidativo produce mutazioni e frammentazione del  DNA mitocondriale, alterando progressivamente le proteine da esso codificate e interferendo quindi con    la funzione energetica delle cellule, che si atrofizzano e muoiono.

Poiché la causa primaria del danno che porta alla senescenza è il graduale attacco da parte dei radicali    dell’ossigeno, tutti quei meccanismi antiossidanti che prevengono o interrompono l’attacco radicalico    sono potenzialmente utili a ritardare la senescenza. Quali sono queste sostanze? Vi sono molecole  antiossidanti che interrompono la catena di reazioni dovute ai radicali liberi e vi sono enzimi antiossidanti   che distruggono i radicali. Tra le prime sono note la vitamina A, la vitamina E, i caroteni, i polifenoli ,il   Coenzima Q, la vitamina C e altre molecole anche di sintesi. Una corretta abitudine alimentare che apporti  queste sostanze potrebbe migliorare la situazione: la longevità delle popolazioni che consumano olio di   oliva e vegetali ricchi di vitamine antiossidanti e il vino rosso ricco di polifenoli è a favore di questa idea.

 

I sistemi energetici (aerobico ed anaerobico)

Il processo aerobico impiega l’ossigeno ed è predominante quando il muscolo è a riposo. I mitocondri sono la sede della produzione di energia aerobica. Più grande è il numero di mitocondri in una cellula, maggiore è la resa aerobica dei processi ossidativi; ovviamente, la cellula muscolare è particolarmente ricca in mitocondri. Quando a causa del sovraccarico di lavoro la circolazione sanguigna diviene carente nell’approvvigionamento dell’ossigeno, la cellula passa a produrre ATP per via anaerobica utilizzando sistemi enzimatici intracellulari ma non mitocondriali. Molte cellule, come quelle del cuore, del cervello e di altri organi, hanno una capacità anaerobica molto limitata perciò debbono essere continuamente rifornite di ossigeno, altrimenti muoiono. Diversamente dal cuore e dal cervello, i muscoli scheletrici, come i tricipiti ed i quadricipiti, hanno una notevole capacità anaerobica.   I lipidi ed i carboidrati sono le due classi di sostanze che le cellule impiegano per produrre la maggior parte di molecole di ATP. Le proteine non rappresentano una fonte di energia preferenziale, ed in un corretto regime nutrizionale giocano un ruolo minoritario. In carenza di substrati meno nobili, l’organismo è tuttavia costretto ad utilizzarle depauperando il tessuto muscolare. A riposo, quando il sistema cardiopolmonare è facilmente in grado di approvvigionare adeguate quantità di ossigeno ai mitocondri delle cellule muscolari, l’ATP è prodotto sia tramite gli acidi grassi sia tramite il glucosio. In altre parole, a riposo, la maggior parte di ATP necessaria è prodotta aerobicamente. Quando l'intensità dell'esercizio aumenta, il sistema    cardiovascolare compie tutti gli sforzi possibili per aumentare la fornitura di ossigeno ai mitocondri dei muscoli in attività e per mantenere la produzione aerobica di ATP. Con il protrarsi dell’esercizio, l’irrorazione sanguigna diventa carente e l’ossigeno insufficiente; è allora che il muscolo attiva il sistema anaerobico utilizzando l’acido piruvico in vece dell’ossigeno come ossidante. L’acido piruvico è ridotto ad acido lattico che è la molecola responsabile della sensazione di fatica muscolare. L'intensità di esercizio alla quale non è più disponibile un adeguato apporto di ossigeno è chiamata soglia anaerobica, ed è raggiunta prima dello sforzo massimo. Ancora una volta il moto muscolare poneva un quesito di difficile soluzioni. Gli eredi di Giovanni Alfonso Borelli, che nel 1680 proponeva nel suo De motu animalium l’esistenza di un "fluido nervoso", erano, però, alle prese con una molecola e non con un’essenza metafisica. Da questi esperimenti si concluse, infatti, che il muscolo contiene sostanze che possono fornire l’energia per la contrazione, almeno per brevi periodi, in assenza di attività metabolica che formi ATP. Quando per la prima volta si fecero queste osservazioni l’ATP era stato appena scoperto e l’ovvia relazione con gli aspetti energetici cellulari faceva pensare che esso fosse la fonte immediata di energia necessaria per la contrazione, quando la glicolisi o la respirazione erano bloccate con veleni. Ma per due ragioni questa spiegazione era inadeguata. In primo luogo sarebbero necessarie per il muscolo di mammifero 10-3 moli di ATP per grammo di muscolo per minuto di lavoro contro una quantità realmente presente di 5 10-3 moli/g, sufficiente per soli 0.5 secondi di attività. In secondo luogo l’analisi accurata delle quantità di ADP e di ATP nel muscolo prima e dopo le singole contrazioni, non ha rivelato alcuna variazione apprezzabile delle due molecole. La spiegazione del dilemma risiede nella presenza nel muscolo di una molecola capace di scambiare con gran facilità gruppi fosfato con l’ATP e l’ADP e condurre ad una condizione di "riserva funzionale" persistente ed efficiente. Questa molecola è la creatina. Nelle condizioni fisiologiche di pH del muscolo (circa 6) il seguente equilibrio è spostato fortemente a destra: fosfocreatina + ADP creatina + ATP questo fatto spiega perché la concentrazione di ATP nel muscolo non decresce durante una singola contrazione.

 

La creatina è la più importante molecola per la produzione di energia anaerobica. Un muscolo sotto sforzo esaurisce le riserve di ATP in un massimo di 2 secondi, a questo punto ha a disposizione, grazie alle riserve di fosfocreatina, una "finestra metabolica " di 30-45 secondi prima di attivare il catabolismo anaerobico del glicogeno, dopo circa mezz’ora deve attingere alla fonte energetica fornita dai lipidi. Nell’uomo il pool di creatina (per il 95% nella muscolatura scheletrica) è pari a 120 g, ne vengono perduti giornalmente 2 grammi attraverso l’escrezione urinaria dei metaboliti. Questa quantità è integrata con l’apporto alimentare di circa 1 grammo pro die. La creatina è un tripeptide (arginina, glicina e metionina) che può essere prodotto nel fegato e nei reni, frequentemente, però, la quantità prodotta deve essere integrata con la dieta attraverso l’assunzione di carne. Nella popolazione vi è un’ampia di distribuzione di persone ad "alto e basso contenuto di creatina", in funzione della funzionalità epatica e renale, della dieta, ed, ovviamente, dell’attività fisica. L’atleta dovrebbe trarre gran vantaggio da un arricchimento della dieta in creatina. In effetti, la pratica di assumere creatina è diffusa da alcuni anni.

 

 L'inibizione della fosforilazione ossidativa, conseguenza di difetti nella struttura del DNA  nucleare o mitocondriale, causa un aumento della formazione di radicali liberi. Questi a loro volta producono un'instabilità delle membrane cellulari, ma soprattutto ulteriori danni al DNA mitocondriale, cosa che aggrava ulteriormente il deficit della fosforilazione ossidativa. I tentativi terapeutici nelle malattie mitocondriali (qualunque sia il fenotipo clinico, il difetto enzimatico o la lesione genetica) sono dunque orientati a prevenire o attenuare gli effetti del  danno da radicali liberi e a stimolare la produzione di ATP mitocondriale. In realtà nessuno dei farmaci utilizzati, a meno che non sia presente una carenza specifica, è in grado di risolvere la malattia, ma soltanto di migliorare alcuni sintomi, in particolare l'intolleranza allo sforzo e la facile esauribilità muscolare.

 

La CPK (creatinfosfochinasi) Normalmente, un aumento della CPK sierica è un segno di malattia muscolare

 

La Carnitina e' un aminoacido non essenziale. Per il processo di conversione è  indispensabile la presenza di vitamina C in quantità sufficiente (fino a 2gr. di').la carnitina svolge un ruolo importante nel metabolismo dei   grassi e nella riduzione dei trigliceridi. Somministrando ogni giorno da 1 a 3 g di   carnitina si ottiene l'ossidazione dei trigliceridi. Questa caratteristica rappresenta   un prezioso potenziale in svariate condizioni patologiche, quali claudicazione   intermittente, problemi di circolazione negli arti superiori e inferiori, infarto   miocardico e disturbi renali. La carnitina provvede al trasferimento degli acidi   grassi attraverso le membrane dei mitocondri (sedi di produzione energetica in   tutte le cellule dell'organismo), dove vengono utilizzati come fonte di energia. Si ritiene che la somministrazione di carnitina possa avere degli effetti benefici anche  in altre condizioni patologiche, quali distrofia muscolare, distrofia miotonica,  distrofia muscolare progressiva scapolo-omerale e del cingolo pelvico, poiché in   questi casi si verifica una perdita di carnitina nelle urine e quindi si verifica un   maggiore fabbisogno. L'uso di carnitina nella stimolazione del metabolismo dei   grassi può produrre dei risultati positivi in casi di obesità.

 

L' Ornitina Alfa Keto Glutarato è uno dei più potenti agenti anti-catabolici mai scoperto fino ad oggi. Favorisce  i processi che creano energia e prende parte al processo di  depurazione dell'ammoniaca (un composto che si genera  durante il lavoro muscolare e causa il senso di fatica). Non  e da confondere con la comune ornitina. E' invece I'unione di una molecola dell'aminoacido L-Ornitina con I'Acido alfa   cheto glutarico. Questo acido e molto interessante poiche e implicato sia nel processo del metabolismo degli aminoacidi  che in quello energetico. I ricercatori hanno trovato un legame tra la quantita di proteine sintetizzate nei muscoli e la quantita di L-glutammina presente all'interno dei muscoli,   Piu alto e il livello di glutammina, maggiore è la quantita di proteine presente nei muscoli e viceversa. L'Acido Alfa     Cheto Glutarico incrementa il livello di glutammina presente  nei muscoli. L'OKG va sempre presa circa un ora prima   dell'attivita fisica per neutralizzare il rilascio degli ormoni  catabolici che causano la degradazione muscolare, per   favorire il metabolismo energetico e prevenire la formazione  di amrnoniaca. Quanto: 6-12 grammi (a seconda del peso  corporeo e dell'impegno richiesto).

 

Glutammina: E' uno dei più importanti aminoacidi nel nostro organismo.  E' un importantissimo nutriente per il cervello e può  migliorare le funzioni cerebrali. Ha proprietà  anticataboliche e favorisce il recupero. Aumenta il volume  cellulare portando con sè acqua ed altri nutrienti   (aminoacidi, etc..) all'interno delle cellule e perciò migliora il  metabolismo proteico, creando migliori condizioni per la  sintesi di nuovo tessuto muscolare. Le dosi giornaliere  possono variare da 5 g fino a 15 g, preferibilmente dopo gli    allenamenti. Un aumento del livello di insulina (e quindi di  glicemia) può migliorare l'assorbimento di questo  aminoacido, quindi è consigliabile assumerlo dopo gli   allenamenti con succo di frutta o piccole quantità di   zucchero o miele (per esempio: 10 g di glutammina in 200  ml di succo di frutta). Tutti i nutrienti con proprietà di  'volumizzatori cellulari' vanno assunti con abbondante    liquido. La glutammina ha anche proprietà stimolanti il  rilascio dell'ormone della crescita, va presa in questo caso  in abbinamento ad altri aminoacidi con simili proprietà,  come arginina, ornitina, glicina, lisina. Come stimolante del   GH (ormone della crescita) va assunta a stomaco vuoto e a     glicemia bassa, preferibilmente prima di coricarsi. La  glutammina si degrada piuttosto velocemente in acqua (già  dopo qualche giorno inizia la decomposizione). Consiglio di   utilizzare in giornata la glutam mina (e i prodotti contenenti  glutammina) dopo averla preparata con acqua. Molti   aminoacidi e derivati tendono a degradarsi se tenuti in  acqua per parecchi giorni. Consiglio di utilizzare sempre i  prodotti contenenti aminoacidi entro le 24 ore dopo averli  preparati in acqua. Dose giornaliera: da 2,5 g a 8 g, ottima  dopo gli allenamenti.  

 

Taurina: è un aminoacido abbondantemente contenuto   nei tessuti muscolari. Sembra avere un'azione simile a quella dell'insulina, cioè migliora il trasporto del glucosio e di alcuni aminoacidi. Ha proprietà antiossidanti e  anticataboliche, aumenta il volume cellulare e promuove condizioni anaboliche (miglioramento del metabolismo  proteico) all'interno delle cellule.

 

Piruvato (calcio piruvato): Il piruvato è il prodotto finale della glicolisi (metabolismo del glucosio). Questa sostanza si trasforma poi in lattato oppure in acetil COA. In  carenza di ossigeno viene trasformato in lattato, mentre se l'ossigeno è sufficiente vine trasformato in acetil CoA, entra   nei mitocondri e può incrementare il livello di ATP. Il  piruvato partecipa al processo in cui il glucosio lascia il    flusso sanguigno ed entra nelle cellule muscolari, dove viene  utilizzato per produrre ATP. In alcuni studi (Stanko et al.) su  atleti l'integrazione con piruvato ha aumentato  significativamente la resistenza muscolare (+20%). In altri  studi il piruvato ha aumentato la lipolisi (utilizzo dei grassi a  scopo energetico) e diminuiti la percentuale di grasso  corporeo. Nonostante i primi studi siano stati fatti con 16 g  al giorno di piruvato, in più recenti studi sono state utilizzate  dosi molto più basse (6 g al giorno, un dosaggio alla portata di tutti) ottenendo comunque risultati di rilievo, e  cioè diminuzione di grasso corporeo, incremento del metabolismo basale e incremento dell'energia e  dimunuzione del senso di fatica. In aggiunta, il piruvato  sembra avere azione antiossidante. Al momento gli studi su  questa sostanza sono ancora pochi per poter esprimere un  parere definitivo, comunque potrebbe valere la pena    provarla. Dosaggi consigliati 6 g al giorno.

 

Garcinia cambogia : Fornisce acido idrossicitrico  (HCA). L'acido idrossicitrico attiva l'ossidazione a scopo energetico degli acidi grassi nel fegato permettendo al fegato di sintetizzare più efficacemente il glucosio e   costruire le riserve di glicogeno, diminuendo il senso di  fame riducendo così l'assunzione di cibo. L' HCA inibisce la  sintesi degli acidi grassi, il che significa che il nostro   organismo costruisce e deposita meno grassi. L'HCA è un  potente inibitore competitivo dell'enzima citrato liasi, enzima  che si trova principalmente nel fegato ed è fondamentale   per la regolazione del metabolismo lipidico. L'HCA a livello  cellulare occupa i recettori dell'enzima citrato liasi,  bloccandone l'azione. Il risultato è che vengono sintetizzati  meno acidi grassi, rendendo disponibile meno grasso per il  deposito nei tessuti adiposi. Quindi, gli effetti principali   dell'HCA sono: 1) inibizione della la trasformazione dell'eccesso di carboidrati (zuccheri e amidi) ingenti in  grasso. 2) incremento della disponibilità di glicogeno nel   fegato, con il risultato di aumentare la disponibilità  energetica e inviare più velocemente al cervello un segnale  di 'sazietà'.

 

Tribulus terrestris: L'estratto di questa erba sembra in  grado di incrementare naturalmente i livelli di testosterone e  quindi le prestazioni degli atleti e l'aumento di massa  muscolare. Sembrerebbe che finalmente si sia trovato un  prodotto naturale che influisce sulla produzione di    testosterone endogeno Alcuni studi cimici provano un   tangibile effetto di questa erba su manifestazioni  metaboliche che dipendono dal testosterone (aumento della  libido, aumento della produzionedi sperma, etc.). Non sono  stati riscontrati effetti collaterali. Comunque questo è un prodotto che vale la pena provare. Dosaggio consigliato:  750-1250 mg diviso in più assunzioni giornaliere. Come per   tutte le sostanze che modificano il profilo endocrinologico   personale, è caldamente raccomandata la ciclizzazione, per     un periodo massimo di sei-otto settimane, in fase di massa,  seguito da uno stacco di altre quattro. Valutare i risultati  non prima di tre settimane.

 

Yohimbe: L'estratto di questa pianta fornisce yohimbina, sostanza che hadimostrato un certa utilità nella curadell'impotenza (la yohimbina è un vasodilatatore). Può  favorire l'attività sessuale. Non è vero che aumenta la   secrezione di testosterone. In uno studio si è trovato che la   yohimbina inibisce la secrezione naturale di ormone della crescita. Sembrerebbe comunque avere qualche proprietà se utilizzata in formule per la riduzione del grasso corporeo.

 

I carboidrati sono la fonte principale di energia per  l'organismo. Si dividono fondamentalmente in tre categorie:  1) Monosaccaridi o zuccheri semplici, come il glucosio,   fruttosio, galattosio. 2) Disaccaridi o zuccheri doppi,   comprendenti saccarosio, lattosio e maltosio, formati da  due monosaccaridi legati fra di loro. 3) Polisaccaridi o   carboidrati complessi, come amidi, maltodestrine, cellulosa,   pectine e glicogeno, costituiti da molti monosaccaridi legati   fra loro. Vi sono vari tipi di carboidrati in commercio. L'utilità  di ogni tipo di carboidrato varia a seconda dell'impiego a cui  è destinato. E' quindi difficile stabilire la validità di ogni   carboidrato in maniera generica. La velocità con cui i   carboidrati vengono assimilati viene espressa dall'indice    glicemico. Più l'indice glicemico è alto più il carboidrato è   veloce. E' necessario assumere i carboidrati veloci a  piccole dosi per non provocare scompensi alla glicemia. lì   glucosio o destrosio, il cui indice glicemico è posto uguale a   100, è fra gli zuccheri più veloci. Amidi: sono carboidrati   complessi o polisaccaridi, formati da tante molecole di monosaccaridi, principalmente glucosio, legate fra di loro.   Gli amidi sono formati principalmente da due tipi di catene     di glucosio: amilosio e amilopectina. L'amilosio ha catena    lineare, mentre l'amilopectina ha catena ramificata.    L'amilosio è poco digeribile, solo il 40% viene digerito.  L'amilopectina si digerisce molto più velocemente e quindi   gli amidi contenenti molta amilopectina hanno un indice   glicemico più alto. La cottura aumenta la digeribilità degli   amidi. Maltodestrine: sono amidi parzialmente predigeriti  (solitamente amido di mais odi grano), in cui le catene di  polisaccaridi sono accorciate mediante idrolisi. Il processo  di predigestione rende l'amido completamente assimilabile.     Contengono mediamente da 5 al 20% di mono e disaccaridi  e il resto è costituito da polisaccaridi a corta catena. Sono  facilmente assimilabili e forniscono energia a medio termine   e anche a breve. Sciroppo di glucosio: è praticamente una   maltodestrina più predigerita, con più mono e disaccaridi (da 20 a 50%). E' comunque da considerare un carboidrato   complesso . Fornisce energia a medio termine e anche a   breve. Sciroppo di fruttosio: (stesso discorso dello sciroppo    di glucosio, tranne che contiene anche fruttosio): fornisce   energia a medio termine e anche a breve. Ha indice   glicemico più basso rispetto allo sciroppo di glucosio.     Fruttosio: è un zucchero semplice con indice glicemico fra i  più bassi di tutti i carboidrati (indice glicemico =20). fornisce    energia a medio e lungo termine. Saccarosio o zucchero da   cucina: (indice glicemico =59) è un disaccaride, cioè è   formato da due zuccheri legati fra di loro. Ogni molecola di    saccarosio è formata da una molecola di glucosio ed una di   fruttosio. Ha un indice glicemico medio e fornisce energia a     breve termine. Glucosio (destrosio): (indice glicemico =100)   è uno zucchero semplice ad alto indice glicemico e fornisce   energia a brevissimo termine. Maltosio: (indice glicemico  =105) è un disaccaride ad alto indice glicemico formato da  due molecole di glucosio e fornisce energia a brevissimo   termine. Lattosio o zucchero del latte: indice glicemico =46.   Miele: indice glicemico =73.

 

GRASSI O LIPIDI:   Vi è una riscoperta di questi nutrienti nell'alimentazione degli  sportivi. I grassi e gli oli alimentari sono formati da tre   molecole di acidi grassi legati ad una molecola di glicerina   (la glicerina può essere chiamata anche glicerolo). Mentre  la glicerina non cambia, cioè è uguale in tutti i grassi, gli  acidi grassi variano notevolmente e danno le caratteristiche tipiche di ogni grasso. Gli acidi grassi variano in peso molecolare enei doppi legami (C=C) che possono  contenere. Si dividono sostanzialmente in: saturi senza doppi legami, monoinsaturi con un doppio legame e poli  nsaturi con più doppi legami. Gli acidi grassi contenuti negli  oli e in tutti gli alimenti sono comunque legati alla glicerina.       L'acido grasso più comunemente reperibile nei grassi è     l'acido oleico, un acido grasso monoinsaturo (34% in media            di tutti i grassi animali e vegetali). Una piccolissima parte di  acidi grassi può essere libera, e questa determina l'acidità  di un olio.     Alcune sostanze di tipo lipidico stanno incontrando un certo   interesse: Acidi grassi polinsaturi essenziali o vitamina F o  EFA (essentiai fatty acids): acido linoleico (acido grasso  di insaturo owero con due doppi legami nella molecola),     acido linolenico (acido grasso tri insaturo ovvero con tre    doppi legami nella molecola), acido arachidonico (acido  grasso penta insaturo owero con quattro doppi legami nella    molecola). Questi nutrienti sono indispensabili all'organismo    e non possono essere sintetizzati all'interno dello stesso.     Sono reperibili in vegetali oleosi e oli di origine vegetale,    pesce e olio di pesce. Sono difficili da conservare perché si  ossidano facilmente e si degradano nella lavorazione a caldo dei cibi. Sono distrutti quando i grassi vengono  idrogenati (produzione di margarine). L' acido linoleico   (omega 6) e l'acido linolenico (omega 3) si trovano  comunemente in molti oli vegetali. L'acido arachidonico è  comune in molti grassi animali e olio di pesce. L'olio di   pesce ha dimostrato di poter aumentare i livelli di superossi   dismutasi (SOD), un'importantissimo antiossidante prodotto dall'organismo. Dall'acido arachidonico si generano per via  enzimatica nell'organismo le prostaglandine. L'olio di lino è  particolarmente ricco di acidi grassi omega 3, ma scarseggia in omega 6. L'olio di girasole è ricco in omega  6. Una miscela molto bilanciata è costituita dagli oli ricavati   dai seguenti semi: lino, girasole, sesamo, germe di riso,  germe di grano, germe di avena. Anche la semplice miscela  con 3 parti di olio di lino e una parte di olio di girasole ha un  apporto abbastanza bilanci ato di acidi grassi essenziali.    Apporto giornaliero di acidi grassi essenziali consigliato: da  4,2 a 14 g. Trigliceridi a media catena o MCT: Sono un  tipo di grassi che tende meno a depositarsi come tessuto   adiposo rispetto ai grassi convenzionali e fornisce la stessa  energia dei grassi comuni (9 kcal al grammo). Hanno una  loro validità quando utilizzati in integratori energetici. Acido  gamma-linoleico (GLA): è un acido grasso non essenziale molto benefico per la salute. Può essere utile per la  riduzione del colesterolo, contro l'artrite reumatoide, contro  l'eczema e la neuropatia diabetica. E' contenuto al 20-24%  nell'olio di borragene e al 9% nell'olio di primula. EPA e   DHA (acido elcosapentanoico e docosaesanoico): sono  acidi grassi non essenziali, in quanto il nostro organismo  può fabbricarli ametaboliche o dieta con basse quantità di  EFA) la sintesi di questi acidi grassi può essere  insufficiente. Sono indispensabili per un buon funzionamento  dell'organismo. Sono contenuti in vari oli di pesce. Acido linoleico coniugato o CLA: è un acido grasso non   essenziale recentemente proposto come integratore. E' contenuto naturalmente in alcuni alimenti di origine animale  (carni e formaggi).Viene definito come "fattore di crescita" e dovrebbe influire sull'utilizzo e stoccaggio di energia nel  corpo. Viene ricavato mediante modifica dell'acido linoleico, contenuto in moltissimi oli vegetali. Il CLA viene solitamente   prodotto modificando chimicamente l'olio di girasole. Gli oli vegetali non contengono naturalmente il CLA. Le dosi  solitamente consigliate sono da 2 a 6 grammi al giorno. E'  sicuramente un buon antiossidante, mentre le proprietà anticataboliche e dimagranti non sono del tutto dimostrate.    Può valere la pena di provarlo, senza però aspettarsi   risultati eclatanti. Può essere un buon igrediente per un   integratore lipidico, assieme agli EFA, EPA, DHA, ai  fosfolipidi e al GLA. Lecitina: è una sostanza formata da  fosfolipidi: fosfatidiì colina, fosfatidil inositolo, fosfatidil   etanolamina e una piccola parte (circa 2%) di fosfatidil  senna. Può essere di utilità nell'alimentazione degli sportivi.  Fosfatidiì senna (PS): è un fosfolipide tornato alla ribalta  ultimamente per aver dimostrato in alcuni studi la propria  capacità di bloccare in parte l'azione del cortisolo, ormone   dagli effetti fortemente catabolici. Contrastando l'azione del  cortisolo, la PS ha funzione anticatabolica. La PS è anche  un nutriente utile per il cervello, in quanto migliora le funzioni cognitive, particolarmente negli adulti e negli anziani. La PS  costituisce il 70% delle membrane delle cellule cerebrali. La  fosfatidilserina incrementa il turnover dell'acetilcolina  incrememtando il metabolismo energetico delle cellule  cerebrali. Dose consigliata: 300 mg al giorno.

 


 

 

 

Novità sui mitocondri

 

Tratto dal sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare)

 

I mitocondri sono particolari strutture delle cellule che permettono ad esse di "respirare", cioè di ricavare energia dagli alimenti digeriti mediante reazioni in cui è utilizzato l'ossigeno. Essi si sono evoluti da batteri che si sono adattati a vivere nella cellula e che, con un lungo processo, hanno progressivamente ceduto al nucleo di essa i geni delle loro proteine, divenendo così strutture intracellulari incapaci di vita indipendente. A testimonianza della loro origine, i mitocondri conservano un proprio DNA "autonomo", che regola la sintesi di proteine essenziali per la respirazione, trasmesso ai nuovi nati quasi esclusivamente dalla madre.

Si sa oggi che alterazioni nel DNA di questi organelli sono responsabili di un gruppo eterogeneo di gravi patologie note appunto come malattie mitocondriali, anche se non è ancora chiaro come tali mutazioni provochino i differenti quadri patologici.

In uno studio dell'Università di Padova, finanziato da Telethon e condotto da Rosario Rizzuto, Paolo Pinton e Tullio Pozzan, in collaborazione con ricercatori dell'Università del Massachusetts (Stati Uniti), si è ora riusciti a ottenere per la prima volta, grazie a tecnologie innovative di microscopia, un'immagine tridimensionale dei mitocondri in cellule viventi.

Le osservazioni hanno rivelato che, contrariamente a quanto si credeva, i mitocondri non sono strutture a forma di sigaro distinte e indipendenti, ma costituiscono in realtà un complesso reticolo interconnesso, in rapido e continuo movimento all'interno della cellule. Essi poi risultano a stretto contatto con il reticolo endoplasmatico, una struttura cellulare da cui captano ioni calcio, ricevendo il segnale di attivazione.

Tali acquisizioni, pubblicate da "Science", contribuiranno a meglio comprendere i processi legati ai mitocondri, in particolare i meccanismi delle malattie mitocondriali, e soprattutto aprono la prospettiva di poter sviluppare in futuro nuovi farmaci che possano influire positivamente in queste patologie, agendo sul trasporto del calcio.

 

NUOVA SCOPERTA SCIENTIFICA

Ecco la «porta» della vecchiaia    Milano. È nelle centraline energetiche della cellula, i mitocondri, una delle chiavi per comprendere la causa dell'invecchiamento, con un meccanismo identico dagli insetti all'uomo. La scoperta, pubblicata domani su «Science» e opera di due italiani, apre la possibilità di poter intervenire in futuro sulle degenerazioni cellulari responsabili dell'invecchiamento, e in particolare di poter avere nuove armi per combattere le malattie neurodegenerative tipiche dell'età come Alzheimer, morbo di Parkinson e sclerosi laterale amiotrofica.  Basato sull'esame dei mitocondri di un piccolo gruppo di centenari, lo studio è nato dalla collaborazione decennale fra il direttore della cattedra di Neurologia dell'università di Milano, Guglielmo Scarlato, e il biologo molecolare Giuseppe Attardi, del California institute of technology (Caltech), uno dei padri della ricerca sui mitocondri. Allo studio hanno collaborato Nereo Bresolin e Franca Mazzucchelli, entrambi di Milano. I mitocondri fanno respirare la cellula e le forniscono energia. Per ragioni ancora ignote, a un certo punto della  vita cominciano ad alterarsi, dando spazio a fenomeni di ossidazione e riducendo progressivamente la disponibilità di energia della cellula. È ora possibile esplorare nuove ipotesi, ad esempio, andando a guardare nei mitocondri dei centenari. Per la prima volta ci sono strumenti per verificare l'ipotesi suggestiva se il modo di invecchiare viene ereditato dalla madre con i mitocondri (quelli paterni si perdono nella fecondazione).  Le mutazioni non ci sono nei giovani, ma cominciano solo a un certo punto della vita. Scoprire perchè è tra le scommesse dei prossimi anni.

 


 

 

Acido lattico plasmatico


Alcune malattie muscolari - in particolare le miopatie metaboliche - possono causare un alterato valore dell'acido lattico plasmatico, valutato a riposo o nell'ambito di particolari prove.
Nel tessuto muscolare, l'acido piruvico, quando non può entrare nei mitocondri per essere ossidato, viene trasformato in acido lattico. Questo permette che la glicolisi, a monte, continui a trasformare altro glucosio in acido piruvico e così produrre legami energetici. Un aumento dell'acido lattico - o dell'insieme di acido lattico e acido piruvico - in generale è indice di un'alterazione dell'attività mitocondriale, quale si può avere per deficit della piruvicodeidrogenasi, della piruvicodecarbossilasi, della citocromo-C-ossidasi o di altri enzimi della catena respiratoria. Queste anomalie enzimatiche spesso si manifestano come encefalomiopatie, cioè malattie a prevalente coinvolgimento muscolare e cerebrale.
Nel sospetto di una patologia mitocondriale, se l'acido lattico basale è normale, si può evidenziare un suo incremento patologico mediante la "Prova da sforzo aerobico", test nel quale il paziente esegue un esercizio di venti minuti alla cyclette e viene sottoposto poi a una serie di prelievi di sangue seriali proprio per dosare l'acido lattico.
L'acido lattico plasmatico può anche essere valutato nella "Prova da sforzo anaerobico", test in cui il paziente apre e chiude ripetutamente con forza una mano per un minuto, mentre viene bloccata la circolazione arteriosa del braccio (e quindi l'apporto di ossigeno) mediante un bracciale.
Una successione di prelievi allo stesso arto viene eseguita prima e dopo il test: se essi indicano una mancata produzione di acido lattico, sono segnale di alterazione della glicolisi o della glicogenolisi. Ne sono esempi le miopatie da deficit degli enzimi fosfofruttochinasi e miofosforilasi.

 

Carnitinemia
Presso alcuni centri specializzati si può dosare nel sangue la carnitina, una sostanza che viene in parte assunta col cibo e in parte sintetizzata nell'organismo. Essa ha la funzione di trasportare gli acidi grassi a lunga catena all'interno dei mitocondri per l'ossidazione. Per questo la mancanza di carnitina determina accumulo di grassi nei tessuti.
Nella miopatia da deficit di carnitina, questa sostanza è deficitaria nel muscolo ma presente nel sangue. Si osserva invece un livello molto basso di carnitinemia (concentrazione di carnitina nel sangue) nella forma sistemica della malattia da deficit di carnitina, patologia molto rara in cui oltre al muscolo scheletrico sono interessati anche altri organi, quali cuore, reni, cervello e fegato.
Si possono osservare riduzioni della carnitinemia in conseguenza di altre malattie, come ad esempio nei disturbi del metabolismo del piruvato (altra denominazione dell'acido piruvico salificato), o in forme di encefalomiopatia mitocondriale. Più frequentemente, questa condizione di deficit secondario di carnitina si può osservare in seguito ad emodialisi, malnutrizione, gravidanza o trattamenti con particolari farmaci.

 

IDENTIFICATO IL GENE DELLA PARAPLEGIA SPASTICA

Tratto dal sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) http://www.uildm.org

 

La scoperta. tutta italiana. è stata effettuata da un gruppo di ricercatori dell'istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) attivo presso il Parco Scientifico Biomedico San Raffaele di Milano e guidato dal Prof. Andrea Ballabio in collaborazione con il Dr. Giorgio Casari, il Dr. Massimo Zeviani dell'Istituto Neurologico C. Besta di Milano e i Dottori Giuseppe De Michele e Sergio Cocozza dell'Università di Napoli.
Le paraplegie spastiche ereditarie, sono un gruppo di malattie genetiche caratterizzate da progressiva rigidità e debolezza degli arti inferiori e colpiscono circa una persona su 10.000. I primi sintomi insorgono di solito intorno ai 25 anni con disturbi della deambulazione fino a portare spesso alla completa paralisi degli arti inferiori intorno ai 50 anni. Oltre alle manifestazioni cliniche menzionate molti pazienti manifestano forme comprendenti anche ritardo mentale, atassia. retinite pigmentosa, atrofia ottica e sordità.
La ricerca è partita dall'individuazione di una famiglia di origina molisana in cui cinque individui erano affetti da paraplegia spastica. Grazie all'interazione tra i centri coinvolti è stato possibile eseguire un'analisi genetica che ha portato all'identificazione e donazione del gene nel cromosoma 16, consentendo quindi di studiarne le alterazioni e la funzione.
Questo gene dirige la sintesi di una proteina, battezzata paraplegina. che ad un’analisi bioinformatica risultava essere molto simile a proteine precedentemente studiate in altri organismi, ad esempio nel lievito. Tale proteina è localizzata nei mitocondri, quegli organelli che si ritrovano all'interno di ogni cellula e la cui funzione è la produzione di energia: questo avviene anche nell'uomo. E' ovvio che i tessuti che hanno un maggiore dispendio di energia, come per esempio il muscolo e il sistema nervoso, sono quelli che risentono di più delle alterazioni dei mitocondri.
Dall'analisi dei mitocondri delle fibre muscolari degli ammalati si sono riscontrate gravi alterazioni morfologiche e funzionali. Tutti questi dati dimostrano, per la prima volta, che la paraplegia spastica è una "malattia dei mitocondri" ma soprattutto che anomalie di questi organelli possono essere responsabili di malattie neurogenerative.
La scoperta della paraplegia ha importanti ricadute non soltanto scientifiche ma anche cliniche. In campo diagnostico sarà possibile la diagnosi molecolare della malattia con identificazione degli individui portatori sani e la diagnosi prenatale delle gravidanze a rischio.
La comprensione del meccanismo di questa malattia, che era sconosciuto fino ad oggi, ci fa ben sperare nella possibilità di prevenirla e curarne i sintomi, per esempio tramite farmaci che migliorino la funzione dei mitocondri.
Infine, è possibile speculare che altre malattie neurovegetative, quali ad esempio la sclerosi multipla o la sclerosi laterale amiotrofica possano anch'esse essere causate da anomalie dei mitocondri.

 

 

Paraplegia spastica

Come pubblicato in giugno dalla rivista "Cell", un gruppo di ricercatori del TIGEM (Istituto Telethon di genetica e medicina) di Milano, coordinato da Giorgio Casari e Andrea Ballabio, in collaborazione con studiosi di altri centri, tra cui Massimo Zeviani del "Besta" di Milano e Giuseppe De Michele e Sergio Cocozza dell’Università di Napoli, ha identificato il gene della paraplegia spastica.

Con il termine di paraplegia spastica si indica un gruppo di malattie genetiche che colpisce una persona su diecimila, che insorge intorno ai venticinque anni e che causa progressiva rigidità e debolezza agli arti inferiori fino alla loro completa paralisi intorno ai cinquant’anni di età. Molti pazienti presentano forme che comprendono anche ritardo mentale, atassia, retinite pigmentosa, atrofia ottica, sordità.

Partendo dall’individuazione di una famiglia molisana con cinque casi della patologia, si è proceduto ad un’analisi genetica che ha portato all’identificazione e clonazione del gene nel cromosoma 16. Studiandone la funzione, si è visto poi che esso dirige la sintesi di una proteina - simile ad altre studiate precedentemente in organismi diversi come il lievito - battezzata paraplegina e localizzata nei mitocondri, gli organelli presenti dentro ogni cellula e deputati alla produzione di energia. Questi ultimi infatti si presentano gravemente alterati, sia dal punto di vista morfologico che funzionale, nelle fibre muscolari dei pazienti con paraplegia spastica.

Tali acquisizioni dimostrano per la prima volta che la paraplegia spastica è una malattia dei mitocondri, e che anomalie a tali organelli possono causare malattie neurodegenerative (magari anche la sclerosi multipla o la stessa sclerosi laterale amiotrofica).

Dal punto di vista clinico, la scoperta permetterà la diagnosi molecolare (anche prenatale) e l’identificazione dei portatori sani, oltre che favorire le ricerche di un trattamento efficace dei sintomi, ad esempio con farmaci che migliorino la funzione dei mitocondri.

 

Central core e minicore

Tratto dal sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) http://www.uildm.org

 

Molti lettori hanno contattato la nostra redazione per chiedere informazioni circa le malattie cosiddette central core e minicore (o multicore).

Ce ne parla il professor Carlo Trevisan della Clinica neurologica II dell'Università di Padova.

La Malattia "Central Core" è una miopatia congenita rara ad esordio precoce - non sono molti i casi di insorgenza in età adulta - che si caratterizza, all'esame istochimico del tessuto muscolare, per la presenza di aree prive di attività enzimatiche ossidative (i cosiddetti cores, termine inglese che letteralmente significa "noccioli"), al centro delle sezioni trasverse delle fibre di tipo 1 (quelle a contrazione lenta, spesso predominanti in questa patologia). Tali aree si producono per la mancanza di mitocondri.

Sul piano clinico, il bambino, che alla nascita di solito presenta un lieve deficit del tono muscolare (ipotonia), avrà un ritardo dello sviluppo motorio, accompagnato da un deficit di forza variabile, ma per lo più non grave. Questa debolezza tende a rimanere stazionaria nel tempo anche se esiste la possibilità di una progressione lenta. Alla nascita possono essere presenti anche lussazione dell'anca e altre anomalie scheletriche. L'esame della CK sierica e l'elettromiografia sono generalmente normali o solo lievemente alterati.

La malattia viene di solito trasmessa con modalità autosomica dominante: il gene è stato mappato sul locus q13.1 del cromosoma 19, come quello dell'Ipertermia maligna: questo rende ragione del fatto che i pazienti affetti da questa miopatia siano a rischio di incidenti anestesiologici anche mortali.

La Malattia "Minicore (o "Multicore") è un'altra rara miopatia congenita solo in apparenza simile alla precedente. Le aree piccole e multifocali di degenerazione, caratteristiche di questa patologia, possono essere riscontrate nelle fibre muscolari di tipo 1 e 2 e si diffondono solitamente per la lunghezza di pochi sarcomeri lungo tali fibre. Esse presentano tratti caratteristici al microscopio elettronico, ma la loro presenza può anche essere aspecifica e secondaria ad altre miopatie. Di solito anche nella Malattia "Minicore" si riscontra una predominanza delle fibre di tipo 1.

I sintomi si manifestano in genere nell'infanzia, con un'ipotonia lieve e non progressiva e debolezza dei muscoli delle braccia e delle cosce. Possono essere colpiti anche i muscoli extraoculari e facciali. La CK sierica risulta normale, mentre l'elettromiografia può essere di tipo miopatico.

La modalità di trasmissione di questa patologia è diversa da quella della Malattia "Central Core": nella "Minicore", infatti, essa è soprattutto autosomica recessiva, anche se non può essere del tutto esclusa la trasmissione autosomica dominante.

Anche questi pazienti, seppur in proporzione minore rispetto alla "Central Core", possono presentare suscettibilità all'ipertermia maligna, in corso di anestesia generale.

Non esiste ancora purtroppo terapia farmacologica né per la malattia "Central Core", né per quella "Minicore". I pazienti possono trarre vantaggi da cicli di fisiokinesiterapia e da eventuali interventi ortopedici per le malformazioni ossee a volte associate.

 

 


 

Repubblica -11 luglio 2002

L'allarme delle cellule morenti per aiutare l'organismo a salvarsi


Non tutte si spengono ugualmente: la necrosi e l'apoptosi
di CLAUDIA DI GIORGIO

MILANO - Le cellule del nostro corpo che muoiono per "cause innaturali" lanciano un segnale d'allarme alle loro compagne, una specie di "canto del cigno" che serve ad avvertire le altre cellule, stimolandone la reazione. L'hanno scoperto due ricercatori dell'Istituto San Raffaele di Milano, Paola Scaffidi e Marco Bianchi, che, assieme a Tom Mistell del National Cancer Institute di Bethesda - come scrive oggi un articolo pubblicato sulla rivistica scientifica "Nature" - sono riusciti a identificare il primo meccanismo noto attraverso cui le cellule si comunicano che si è verificato un danno ai tessuti.

Il segnale emesso dalle cellule morenti consiste in una singola proteina, chiamata HMGB1, la cui principale funzione fino ad oggi sembrava collegata alla formazione dei cromosomi. In una cellula sana, la proteina è saldamente ancorata al nucleo cellulare, ma se la cellula muore in seguito a un trauma, la HMGB1 si "stacca" e comincia a disperdersi all'esterno. Le cellule vicine, che sono dotate di uno speciale recettore per la HMGB1, "vedono" la proteina in circolazione e raccolgono l'allarme, reagendo ciascuna a seconda della sua identità. Alcune si sostituiscono alla cellula morta, altre iniziano a dividersi, altre ancora danno il via ad una risposta infiammatoria, provocando la violenta reazione dell'organismo.

Ma l'allarme viene lanciato esclusivamente quando la causa della morte è traumatica. Le cellule dell'organismo, infatti, non muoiono tutte per la stessa ragione. C'è una morte per così dire programmata, legata al processo di invecchiamento della cellula oppure ad un suo cattivo funzionamento. Gli scienziati definiscono questa morte programmata con un bel termine greco, "apoptosi", che descrive la caduta delle foglie in autunno e rende bene anche la naturalezza di questo tipo di morte cellulare, uno dei meccanismi fondamentali della regolazione biologica.

Tuttavia, una cellula può morire anche quando è perfettamente sana, ad esempio perché le viene a mancare l'ossigeno, oppure perché è stata avvelenata o per trauma meccanico. Si parla, allora, di una cellula "in necrosi". Ed è solo in questo caso, quando cioè si è verificato un evento violento e imprevisto, che la cellula morente lancia il suo segnale alle vicine, rilasciando bruscamente la proteina HMGB1.

E' troppo presto, naturalmente, per poter pensare alle applicazioni terapeutiche della scoperta, ma la ricerca dell'Istituto San Raffaele di Milano apre prospettive finora impensate: quali, ad esempio, la possibilità di controllare a piacimento l'emissione del segnale d'allarme, bloccando i processi infiammatori eccessivi oppure stimolando l'intervento di cellule "riparatrici" dei tessuti danneggiati.

 


 

Ictus, proteina naturale ripara i danni

BOSTON Un gruppo di biologi del "Children’s Hospital" di Boston hanno individuato una proteina naturale, l’inosina, in grado di riparare parzialmente i danni da ictus. La ricerca pubblicata sulla rivista "Proceedings of National Academy of Sciences" è stata eseguita su topi ai quali erano stati indotti danni simili a quelli dell’ictus umano, patologia causata da un’improvvisa mancanza di sangue al cervello in seguito al blocco di un vaso sanguigno in loco (si pensi ad un piccolo trombo, ictus ischemico) o alla sua rottura (ictus emorragico): conseguentemente a ciò alcuni neuroni muoiono perdendo le loro connessioni con le altre parti del cervello.
L’inosina stimola la crescita di nuove cellule nervose in zone del cervello sane limitrofe a quelle danneggiate dall’ictus, producendo nuove connessioni. Ciò compenserebbe almeno parzialmente la perdita di quelle originali producendo miglioramenti significativi nel comportamento degli animali trattati rispetto a quelli a cui non era stata somministrata inosina.
«La ricerca», spiega Larry Benowitz, responsabile dello studio, «mostra che l’inosina induce un notevole recupero del cervello dopo un ictus, apparentemente sufficiente a promuovere un sostanziale recupero funzionale. L’inosina, proteina presente nel cervello, può divenire un nuovo approccio alla rigenerazione nervosa nell’ictus e in altre malattie cerebrali».
 


 

Sull’Alzheimer familiari italiani più abbandonati

Ennesima ricerca internazionale sui bisogni inascoltati di chi si occupa dei pazienti di Alzheimer. Dopo l’indagineprogetto su 11 paesi, resa pubblica a Maastricht alla Conferenza delle organizzazioni europee dell’Alzheimer (sponsor JanssenCilag), ora è la volta di uno studio (sponsor Pfizer) tra 700 caregivers di cinque paesi (Francia, Italia, Spagna, Australia, Regno Unito) a valutare il livello di soddisfazione rispetto a diagnosi e trattamento.
La metà dei caregivers intervistati ha dichiarato di prendersi cura del proprio congiunto 7 giorni su 7. Il 74% degli intervistati in Italia ha dichiarato di dover accudire il proprio parente a casa senza alcuna assistenza esterna, contrariamente a quanto succede negli altri Paesi dove il 34% usufruisce di un aiuto esterno e il 20% usufruisce dei centri di cura dove il paziente può essere assistito almeno parte della giornata. Il 53% degli italiani lamenta una carenza di supporto da parte del SSN, dimostrandosi i meno soddisfatti in Europa. 3 familiari su 4 pensano che prendersi cura di un malato di Alzheimer impedisca loro di condurre una propria vita e più della meta' di loro (58%) afferma di soffrire di depressione. La maggioranza, il 77%, ha definito la cura di un malato di Alzheimer stancante, il 67% lo ha definito impegnativo e il 51% frustrante.
Cosa può migliorare allora la vita di chi si occupa di un malato di Alzheimer? Sicuramente la diagnosi precoce (la mancanza di una diagnosi secondo il 58% degli intervistati non fa che peggiorare lo stato del malato ma anche di colui che se ne occupa) e un trattamento efficace (il 72% dei caregivers ha dichiarato fondamentale l’uso di un trattamento farmacologico e si dichiara soddisfatto dei risultati ottenuti), oltre consigli, supporto psicologico e informazioni sulla malattia (70%). Analoghi risultati dell’indagine di Maastricht.

 


 

Staminali trasformate in neuroni


Esperimento effettuato sugli animali da Wichterle e Jessell, dell'Howard Hughes Medical Institute. Una speranza per la riparazione dei tessuti danneggiati.

NEW YORK - Le cellule staminali embrionali sono state 'trasformate' in neuroni motori funzionanti. L'importante passo avanti è il frutto di 15 anni di ricerche. Ci sono riusciti ricercatori statunitensi utilizzando cellule di embrioni di topo, in uno studio pubblicato dalla rivista Cell . Adesso, si spera di poter ripetere l'esperimento sugli esseri umani e ottenere nuovi neuroni per rigenerare tessuti danneggiati. Partendo da staminali embrionali, il successo ottenuto da Hynek Wichterle e Thomas Jessell, dell'Howard Hughes Medical Institute (Columbia University), si basa principalmente su due fattori chiave, l'acido retinoico, che 'spinge' i neuroni a trasformarsi in cellule progenitrici dei motoneuroni spinali, e la proteina 'Sonic hedgehog', che li stimola a diventare neuroni motori. L'intero processo ha ripercorso le normali tappe della crescita embrionale e ha richiesto un minuzioso e certosino dosaggio di queste due sostanze e di altri composti chimici. Per seguire i vari stadi le cellule embrionali sono state marcate con una sostanza fluorescente. Questo ha permesso di dimostrare che i neuroni, una volta inseriti nel midollo spinale degli embrioni, sono in grado di sopravvivere e 'proiettare' i prolungamenti assonali verso i muscoli, stabilendo le giuste connessioni. I ricercatori ritengono che, a questo punto, siano necessari solo 'piccoli ritocchi' al cocktail utilizzato per ottenere che questi neuroni si comportino nello stesso modo anche quando vengono introdotti nel midollo spinale di animali adulti e hanno già avviato degli studi in questa direzione.
(19 luglio 2002, ore 20

 


 

Paraplegia spastica ereditaria, una mitocondriopatia

Giorgio Casari
Telethon Institute of Genetics and Medicine (TIGEM), San Raffaele Biomedical Science Park.
Milano

La paraplegia spastica ereditaria (HSP) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da spasticità progressiva e debolezza degli arti inferiori.
Sono state distinte due forme cliniche: una forma pura di HSP, con spasticità e iperriflessia, e una forma complicata con altri sintomi associati quali atrofia ottica, atassia cerebellare, ritardo mentale e ittiosi.
Il quadro neuropatologico mostra una degenerazione assonale dei motoneuroni nei tratti corticospinali. HSP mostra inoltre una ampia eterogeneita genetica: molti loci autosomici sono stati localizzati, ma finora solo due geni, codificanti le proteine paraplegina e spastina, risultano associato a questa forma neurodegenerativa.
La paraplegina e omologa ad una famiglia di metalloproteasi di lievito che presentano attivita proteolitica e chaperone-like e mediano la degradazione di proteine mitocondriali non correttamente assemblate.
L'inaspettata evidenza che la paraplegina e una proteina mitocondriale apre nuove prospettive agli studi sulla eziologia e sulla patofisiologia della HSP.
Il presente studio si focalizza sulla funzione della paraplegina, che rientra nel sistema di controllo qualita del mitocondrio ed e strettamente legata alle complesse caratteristiche di cronicita e di progressivita della malattia. Allo scopo di chiarire i meccanismi patogenetici di questa classe di disordini neurodegenerativi, di stabilire il ruolo del sistema di controllo qualita delle proteine all'interno del mitocondrio e di identificare nuovi possibili geni responsabili di altre forme di paraplegia spastica, verranno caratterizzati mediante studi genetici e funzionali le linee cellulari provenienti da pazienti HSP, ceppi mutanti di lievito e modelli animali murini. La conoscenza della eziopatologia di HSP permettera quindi, possibilmente, di indirizzare lo sviluppo di nuovi agenti terapeutici.


Studio sulle staminali condotto da un centro sul Lago Maggiore

I test su cellule da embrioni, primo sì italiano

ROMA -  - La notizia si è diffusa veloce fra i laboratori, poche ore prima della chiusura di Ferragosto, quasi in coincidenza con l’annuncio a Londra del primo sì a esperimenti di clonazione terapeutica che potrebbero contribuire a mettere a punto nuove cure contro il diabete. I ricercatori non se l’aspettavano. Il Comitato nazionale di bioetica ha dato il via libera alla prima sperimentazione italiana con linee cellulari embrionarie. Sembra incredibile, visto il clima ostile verso ogni forma di intervento sugli ovociti già fecondati, quindi già lanciati verso la vita. Le linee sono cellule ricavate dall’embrione e poi messe in coltura, moltiplicate e riposte in speciali banche per essere vendute ai centri da società o istituti americani, australiani e coreani. Da un solo embrione, che viene distrutto e di solito proviene da quelli in eccesso messi a disposizione dalle coppie sottoposte a fecondazione artificiale, se ne possono ottenere un’infinità.

IL  VIA LIBERA - Da noi non sono mai state utilizzate, almeno ufficialmente, considerati i paletti che di volta in volta hanno delimitato sempre più il campo di azione degli scienziati, scoraggiando iniziative rischiose e non legittimate. Ma in questa occasione il Cnb ha ritenuto non ci fossero ragioni normative né univoca posizione etica per negare il nullaosta al centro di Ispra, sul Lago Maggiore, l’Ecvam (European centre for the validation of althernative methods). L’Istituto, pur insistendo sul nostro territorio, fa capo alla Commissione europea e partecipa ad un programma sperimentale finanziato nell’ambito del Sesto programma quadro stabilito da Bruxelles. Si vogliono studiare gli effetti sull’embrione delle sostanze chimiche diffuse nell’ambiente e vedere se ci sono rischi di malformazione per il feto durante la gravidanza.

IL VOTO - Il documento è stato votato all’unanimità, salvo due astenuti, nell’ultima riunione estiva. Il Cnb nella risposta ricorda che già nel parere sulle linee cellulari embrionali dell’aprile 2003 «la maggioranza dei componenti ha espresso parere negativo a qualsiasi forma di sperimentazione che comporti o abbia comportato la distruzione di embrioni umani, una minoranza invece si è detta favorevole». Ambedue le posizioni non hanno dunque carattere vincolante anche se si aggiunge che «la posizione di maggioranza è stata assunta dal governo italiano»

Secondo punto: il Comitato precisa che «la legge sulla fecondazione artificiale è oggi l’unico strumento normativo italiano che regola la sperimentazione su embrioni umani a fini di ricerca». La legge non fa riferimento alle linee cellulari, escluse dunque dai divieti. In pratica i «saggi» non hanno potuto dire di no. Cinzia Caporale, bioeticista di Siena, una delle anime del Referendum contro la legge sulla fecondazione, ha redatto il documento e lo commenta: «Abbiamo messo nero su bianco che quella ricerca non è illegale, che possono andare avanti. Se è stata dischiusa una porta? Questi pareri fanno giurisprudenza interna e avrebbero valore se si verificassero casi analoghi. Indirettamente il via libera riguarda tutti i centri che vogliono utilizzare linee cellulari già esistenti. Sono soddisfatta perché abbiamo dimostrato che il Cnb non vuole ostacolare la ricerca scientifica»

L'ELENCO - Esistono diverse decine di linee cellulari, elencate in un registro americano e disponibili su ordinazione. Sono conservate in banche americane, di Singapore, Australia e Corea, provengono tutte da embrioni soprannumerari freschi o congelati. Quelle acquistate per il progetto europeo sono state prodotte prima del 2001. Una data convenzionale, una sorta di punto e a capo stabilito da Bush quando nell’agosto di tre ani fa decise di assegnare finanziamenti pubblici solo ai centri che si fossero limitati all’impiego delle «vecchie» cellule.

IL BANDO - La comunità scientifica ora richiede a gran voce l’abbattimento di questa demarcazione (l’ultima crociata viene lanciata con un articolo sul New England Journal of Medicine firmato da George Daley, Harvard University) perché il materiale precedente al 2001 viene considerato di scarsa qualità rispetto alle nuove linee. Dal bando del presidente ad oggi sarebbero state create almeno altre 128 linee, molto più efficaci e sicure.

Spiega Giulio Cossu, che sta sperimentando sui cani con distrofia muscolare l’eventuale efficacia di staminali ottenute da cellule adulte: «Se le linee sono il risultato di procedure corrette e controllate, hanno la stessa utilità di quelle prese direttamente dall’embrione, ma con lo svantaggio di non appartenere al paziente che vuoi curare».

Margherita De Bac

 


 

Una proteina mutante dietro il morbo di Gehrig
È presente in circa il 3% dei pazienti      

 

Due articoli pubblicati sul numero dell'8 luglio 2004 della rivista "Neuron" fanno luce su alcuni aspetti del morbo di Lou Gehrig. I ricercatori spiegano che nelle cellule di alcuni pazienti di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) una forma mutante di una proteina normalmente protettiva ha come obiettivo i mitocondri, le "centrali energetiche", dei neuroni motori, uccidendo i neuroni e provocando infine la paralisi e la morte.
Il colpevole è una forma mutante dell'enzima superossido dismutasi (SOD1), che in condizioni normali protegge le cellule dalle dannose specie reattive dell'ossigeno. Tuttavia, circa il 3 per cento dei pazienti che soffrono di SLA presenta una forma mutata dell'enzima.
Nel primo studio, Don Cleveland dell'Università della California di San Diego e colleghi hanno condotto esperimenti nei topi per dimostrare che la proteina SOD1 mutante migra selettivamente fino ai mitocondri dei neuroni del midollo spinale, dove si attacca alla membrana mitocondriale. Nel secondo studio, Robert H. Brown jr. del Massachusetts General Hospital di Boston e colleghi descrivono un meccanismo specifico mediante il quale la SOD1 mutante uccide i neuroni del midollo spinale dopo aver raggiunto i loro mitocondri. I ricercatori hanno scoperto che, sia nei neuroni di topo che in quelli del midollo spinale umano, la proteina mutante si lega specificatamente a una proteina mitocondriale chiamata Bcl-2 che normalmente sopprime il processo di apoptosi delle cellule. Questa aggregazione può innescare il meccanismo della morte cellulare disattivando Bcl-2 oppure convertendola in un attivatore di apoptosi.     

                               


 

Parkinson: Italiani Scoprono Il Gene Responsabile

Roma, 15 apr.- E' tutta italiana la nuova scoperta scientifica di un nuovo gene responsabile della malattia di Parkinson ad esordio giovanile. Lo hanno individuato nei laboratori dell'Istituto CSS Mendel di Roma, diretto dal prof. Bruno Dallapiccola, un gruppo coordinato dalla prof.ssa Enza Maria Valente grazie alla collaborazione con Telethon, l'universita' Cattolica di Roma e ricercatori inglesi e tedeschi. Lo studio sara' pubblicato domani sulla rivista internazionale "Science". In pratica i ricercatori hanno scoperto un gene, denominato PINK1 localizzato sul cromosoma 1 che, quando e' sano, protegge la funzione mitocondriale e i neuroni, ma che se mutato da stress, rende i neuroni colpiti dalla malattia (i dopaminergici) piu' vulnerabili e quindi favoriscono la neurodegenerazione e sviluppo piu' rapido del morbo. Il gene e' stato identificato in due famiglie siciliane e una spagnola. Ora i ricercatori sperano entro 7-10 anni di avere farmaci mirati antiossidanti. "Abbiamo studiato per 3 anni le famiglie osservando 60 geni ed escludendone la meta' per arrivare poi alle mutazioni uguali del gene nelle tre famiglie", ha detto la prof.ssa Valente. "E' una fase interessante perche' abbiamo scoperto che i due meccanismi principali: stress ossidativo delle cellule e l'accumulo di proteine anomale sono correlati tra loro", ha aggiunto ricordando che nella malattia di Parkinson l'80% delle cellule sono morte e quindi occorre intervenire prima con terapie preventive. "I geni conosciuti nella malattia sono una dozzina e ritengo che la scoperta di questo nuovo gene ci consentira' molto presto di individuare terapie in quella regione del cervello localizzata e conosciuta dove avviene la mutazione e quindi la malattia", ha detto il prof. Dallapiccola. Il Parkison e' una patologia neurodegenerativa del cervello che colpisce le cellule che producono la dopamina, il neurotrasmettitore utilizzato dai neuroni per comunicare fra loro. E' frequente negli anziani e l'esordio puo' avvenire dopo i 50 anni, con un picco fra i 59 e i 62 anni. Colpisce il 2% della popolazione ultra65enne ma anche i giovani. In Italia si stima che 100 mila persone siano affette dalla malattia di Parkinson. -

 

Mutazione del gene PINK1 in una rara forma di Parkinson giovanile

Ricercatori , coordinati da Enza Maria Valente dell'Istituto Mendel di Roma, hanno identificato un gene responsabile di una rara forma ereditaria di Parkinson ad esordio giovanile.
Il gene PINK1, localizzato sul cromosoma 1, svolge un importante ruolo nel mantenimento dell'attività
mitocondriale e nella protezione delle cellule nervose dallo stress ossidativo.
Una mutazione nel gene PINK1 provoca una maggiore vulnerabilità dei neuroni dopaminergici a condizioni di stress ossidativo.
La ricerca ha riguardato 3 famiglie, di cui 2 italiane ed una spagnola, che presentavano una mutazione nel gene PINK1.
Secondo i Ricercatori, nonostante la rarità della forma giovanile di malattia di Parkinson, la comprensione dei meccanismi alla base del processo di neurodegenerazione permette di individuare nuovi target terapeutici. ( Xagena_2004 )

Fonte: Science, April 2004

 


 

Yahoo notizie

Lunedì 2 Febbraio 2004, 18:51

Staminali: Sirchia, Per Distrofia Una Speranza Non Nuova Cura

Milano, 2 feb. (Adnkronos) - ''Non e' una nuova cura ma una grande speranza, non la fine di un percorso ma l'inizio di una via che rimane lunga. Ed e' importante che la gente lo capisca bene, per non creare illusioni dannose per i pazienti e per la ricerca''. Cosi' il ministro della Salute Girolamo Sirchia, oggi al Policlinico di Milano, ha presentato la prima sperimentazione sull'uomo delle cellule staminali contro la distrofia di Duchenne. I test, autorizzati a novembre dall'Iss e dal Comitato etico dell'Irccs milanese, partiranno a breve su otto bimbi malati tra 2 e 10 anni. Tra questi il figlio di un medico che ha collaborato alla ricerca. La sperimentazione - sostenuta dal Centro Dino Ferrari e dall'Associazione francese contro le miopatie-Telethon, e coordinata dall'equipe neurologica del professor Nereo Bresolin - e' frutto di una ricerca che ha visto impegnati, oltre al Maggiore, anche l'ospedale San Raffaele di Milano, l'Irccs Eugenio Medea e l'universita' degli Studi di Pavia. L'obiettivo finale e' di arrivare un giorno alla terapia genica, con iniezioni di cellule staminali 'ingegnerizzate' (cioe' 'corrette' attraverso la sostituzione del gene malato con uno sano) in grado di riparare i muscoli malati. Ma ''per ora - ha spiegato Yvan Torrente, coordinatore del Laboratorio staminali del Policlinico - cercheremo solo di verificare che le staminali, prelevate dai muscoli del malato, fatte moltiplicare e reiniettate senza alcuna modifica nel muscolo della mano, siano innocue, senza effetti indesiderati, e arrivino dove devono''. Per una vera e propria terapia, insomma, ''servira' del tempo e non bisogna promettere ai malati soluzioni magiche a portata di mano in pochi giorni - ha precisato Sirchia - Questa sperimentazione non ci permettera' di risolvere il problema a breve, ma certamente ci consente di sperare che nel giro di qualche anno si possano trattare malattie oggi difficilmente curabili''. La distrofia di Duchenne, che colpisce un neonato su 3.500, ma per esempio anche la sclerosi laterale amiotrofica: il cosiddetto morbo di Lou Gehrig, sul quale ''e' in corso un analogo esperimento. Ci sono quindi grandi attese. Ma va detto che, finche' i dati non sono chiari, questi sono solo esperimenti. Non cure disponibili''. E ''lo sanno bene i genitori dei bambini che tratteremo - ha assicurato Bresolin - Hanno firmato un consenso informato e sono perfettamente consapevoli che per ora la nostra intenzione non e' di curare i loro figli ma di verificare l'innocuita' e la fattibilita' di questa rivoluzionaria metodica''. Il ministro ha poi ricordato che ''sulle cellule staminali ci sono state inutili polemiche. Chi sostiene che le uniche utili siano quelle embrionali si deve ricredere. La vera promessa arriva dalle staminali adulti'', e secondo Sirchia queste sperimentazioni lo dimostrano. Presente in conferenza stampa, tra gli altri, anche Piero Ferrari, figlio del 'patron' di Maranello, Enzo, e fratello di Dino, morto a causa della distrofia e al quale nel 1984 e' stato dedicato l'omonimo centro. ''Voglio ricordare chi non c'e' piu' - ha detto - il professor Guglielmo Scarlato, grande neurologo e anima del Centro Dino Ferrari, Dino e mio padre. Che da industriale ha sempre promosso la ricerca e creduto nell'innovazione tecnica e scientifica''. (Opa/Adnkronos Salute)


 

PER IL DIABETE SCOPERTO IL RUOLO DEI MITOCONDRI (19/05)

Negli anziani la resistenza all'insulina e la minore capacita' di metabolizzare gli zuccheri sono associate all'invecchiamento dei mitocondri, gli organelli da cui dipende la respirazione e la produzione di energia cellulare. Uno studio statunitense, pubblicato sulla rivista Science, suggerisce che il diabete di tipo 2, tipica malattia della terza eta', puo' derivare dalla minore capacita' dei mitocondri di trasformare lo zucchero in energia.
Analisi piu' approfondite di diversi tessuti mettevano 'sotto accusa' la minore capacita' dei muscoli di metabolizzare il glucosio. Negli anziani, infatti, sia i muscoli che il fegato, risultavano infiltrati da depositi di grasso. Inoltre, esami di campioni di tessuto muscolare indicavano che l'invecchiamento aveva ridotto del 40% le capacita' ossidative e di fosforilazione dei
mitocondri, da cui dipende la loro capacita' di fornire alle cellule l'energia per far contrarre i muscoli. Secondo i ricercatori, dunque, la predisposizione al diabete delle persone anziane puo' dipendere, almeno in parte, dall'invecchiamento dei mitocondri e dalla conseguente minore capacita' dei tessuti (soprattutto quelli con metabolismo elevato, come muscoli e fegato) di 'bruciare gli zuccheri'.

I dati emersi dallo studio confermano l'ipotesi che la resistenza all'insulina a livello del muscolo scheletrico nella prole insulina-resistente di pazienti con diabete di tipo 2 sia correlata ad una disfunzione del metabolismo intramiocellulare degli acidi grassi, probabilmente a causa di un difetto ereditario nella fosforilazione ossidativa mitocondriale.


 

Difetto mitocondriale ereditato dal padre.

 21 Agosto 2002

I mitocondri hanno loro propri geni e gli scienziati lungamente hanno ritenuto che soltanto le madri li passassero sopra alla generazione seguente.
Ma ora, gli scienziati danesi hanno documentato la prima eccezione conosciuta alla regola, un uomo di cui le cellule del muscolo contengono i mitocondri che sono venuti principalmente dal suo padre.
La scoperta era così inattesa che i ricercatori hanno ripetuto i loro esperimenti parecchie volte assicurarsi che non avevano mescolato sui campioni o non avevano fatto altri errori.
E' un caso di eredità paterna dei mitocondri. Questa scoperta è stata una sorpresa molto grande per i ricercatori genetisti all'ospedale dell'università de Copenhaghen.
Alcune malattie rare sono causate dalle mutazioni in geni mitocondriali. Tuttavia, non fa differenza se o non il gene difettoso è venuto dalla madre, questa scoperta ha poca importanza pratica per i pazienti.
Lo studio dello Schwartz, pubblicato nell'edizione del giovedì del giornale della Nuova Inghilterra della medicina, ha fatto partecipare un uomo 28-year-old con un'incapacità severa e lifelong di esercitare o fare funzionare più di alcuni punti. Il suo problema è stato seguito ad un'omissione in uno dei geni che controlla i suoi mitocondri.
Tuttavia, i ricercatori hanno trovato che soltanto il suo muscolo, il tessuto che usa la maggior parte della energia, ha avuto mitocondri con il difetto genetico. Cellule nella suoi anima, pelle, capelli e mitocondri altrove contenuti con un modello genetico differente. Avanzi la prova genetica rivelatrice che i mitocondri in suo muscolo erano identici al suo padre, mentre quelli altrove nel suo corpo sono venuto dalla sua madre.
Nessuno conosce quante volte possa accadere nel tempo, anche se Schwartz ed altri credono è abbastanza raro. Forse non lo vedremo mai più un altro caso come questo, ma penso che potrebbe accadere di più di quello che ora pensiamo.
Sia lo sperma che l'uovo che viene insieme fare un embrione trasportare i mitocondri. Tuttavia, lo sperma imballa soltanto circa 100 copie, mentre l'uovo ha 100.000.
Secondo una teoria, i mitocondri del maschio sono inondati semplicemente dal numero ben più grande dalla femmina. Tuttavia, persino le prove genetiche altamente sensibili hanno ordinariamente non riescono a trovare tutta la traccia dei mitocondri dei padri dopo alcuni giorni dello sviluppo dell'embrione.

Un'altra teoria suggerisce che un certo sistema di sorveglianza nell'embrione sarchia fuori i mitocondri del padre.

I biologi evolutivi hanno supposto che il DNA mitocondriale di ogni persona è una copia della loro madre, la loro nonna ed e così via, di nuovo all'alba della specie.

 


 

 

 

Attualità e prospettive di un nuovo modello di studio per le malattie degenerative: l’approccio metabolico. Organizzato all’Università di Milano, dalla Fondazione Sigma Tau un simposio internazionale che ha ospitato i principali protagonisti della ricerca scientifica

 

A pochi giorni dalla scoperta di una delle cause dell’invecchiamento nel metabolismo mitocondriale, presso l’Istituto diretto dal prof. Scarlato all’Università di Milano e in collaborazione con l’Ospedale Maggiore - Policlinico di Milano - un simposio internazionale ha ospitato i principali protagonisti della ricerca scientifica per discutere sulle prospettive attuali di un approccio metabolico alla malattia. Queste le questioni al centro dell’incontro: bastano solo il DNA cellulare e i suoi geni a "dettare legge" per la nostra esistenza? È sufficiente alla ricerca biomedica, rivolgere la maggior parte degli sforzi e delle risorse per "conoscere"i soli geni? Come si fa a mettere in secondo piano le molecole che dai geni sono codificate, le interazioni e i processi metabolici coinvolti che sono poi vita per la complessità dell’organismo? Su questo versante, l’associazione tra geni e metabolismo, la genetica medica, ha da tempo una sua tradizione di studi, che però, si è detto durante il congresso, è stata messa relativamente da parte dalla grande impresa del Progetto Genoma Umano. In questa prospettiva, gli interventi di Barton Childs o di Charles Scriver hanno riportato all’attenzione del numeroso pubblico presente, il valore degli studi più recenti che hanno definitivamente aperto la strada a una riconsiderazione e a una nuova classificazione delle malattie genetiche. È ormai infatti dimostrato che un ruolo essenziale per la salute e il benessere del nostro corpo lo gioca l’integrità e il benessere di un altro DNA, trasmessoci dalla sola madre.

È il DNA che sta nei mitocondri, le particelle interne alla cellula che le forniscono alimento, energia per "respirare". Nuovi e fervidi orizzonti di ricerca per la medicina si sono ormai aperti attraverso lo studio dei mitocondri. A esempio, come confermano le ricerche di Giuseppe Attardi e Guglielmo Scarlato pubblicate ad ottobre 1999 su "Science", l’organismo "invecchia" quando il mitocondrio "invecchia" e, con il tempo, altera la produzione di energia rendendosi responsabile del danneggiamento del buon metabolismo cellulare. Disfunzioni dei mitocondri, mutazioni del DNA mitocondriale per abusi dietetici o inquinamento ambientale, e loro replicazione incontrollata nel tempo, sembrano essere fra le cause principali di molte patologie degenerative che spesso si manifestano nel corso dell’invecchiamento. Il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson - ma anche il diabete o gli stessi tumori - possono ricevere una nuova luce da un approccio metabolico alla malattia. Studi pionieristici sulle alterazioni del DNA mitocondriale furono compiuti dallo svedese Rolf Luft, presente al congresso di Milano, negli anni ‘60, e proseguiti poi - tra gli altri - da Salvatore Di Mauro, Giuseppe Attardi, Menotti Calvani. Alterazioni tanto più evidenti quanto più l’organo colpito era costituito da cellule a scarsa capacità rigenerativa, come nel caso delle encefalomiopatie, patologie che colpiscono il tessuto muscolare e il cervello, rare ma mortali. Anche se una terapia mitocondriale è ancora lontana, e senza nulla voler togliere all’importanza degli studi diretti a individuare i geni responsabili di molte malattie, la conclusione a cui sono giunti i partecipanti all’incontro è che per le patologie degenerative si può ragionevolmente sostenere che "uno degli obiettivi fondamentali della ricerca biomedica è anche quello di cercare di intervenire sul metabolismo per modulare i danni che si producono con l’avanzare dell’età".

 


 


Aumento del DNA mitocondriale nei linfociti dei pazienti con lipodistrofia
 13/11/2003  (
www.biaids.it)
 
 Uno studio recente di M. Galli e dei suoi collaboratori dell’Università di Milano, pubblicato recentemente su Antiviral Therapy (2003; 8:315-321), dimostra che il contenuto di DNA
mitocondriale è aumentato nei linfociti dei pazienti sieropositivi sottoposti a HAART e affetti da lipodistrofia (LD). Gli autori dello studio hanno misurato i livelli di DNA mitocondriale nei linfociti (CD4 e CD8) di 23 pazienti HIV+ sottoposti a HAART con lipodistrofia (9 con accumulo di grasso, 6 con perdita di grasso, 8 con un forma combinata di accumulo e perdta di grasso), di 11 pazienti sieropositivi senza lipodistrofia e di 10 controlli sieronegativi. Dopo isolamento dei linfociti, il contenuto di DNA mitocondriale, misurato mediante PCR, è risultato aumentato nei CD4 dei pazienti con LD, rispetto ai pazienti senza lipodistrofia e ai controlli. Il contenuto di DNA mitocondriale è risultato aumentato anche nei pazienti con accumulo di grasso, rispetto ai pazienti senza lipodistrofia e ai controlli, sia a livello dei CD4 che dei CD8. Considerando tutti i pazienti sieropositivi, è stata osservata una correlazione positiva tra il contenuto di DNA mitocondriale linfocitario e i livelli di colesterolo (ma non con i livelli di trigliceridi e con la glicemia). Secondo gli autori dello studio, pur in attesa di ulteriori conferme, questi dati suggeriscono un coinvolgimento dei mitocondri nella genesi della lipodistrofia. Rimane comunque da definire, secondo Galli e i suoi collaboratori, se la misurazione del DNA mitocondriale a livello dei linfociti possa essere considerato un marker utile e affidabile per la diagnosi e il monitoraggio delle alterazioni della distribuzione del grasso corporeo.


Scoperti bimbi geneticamente modificati

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - Il «Mondo Nuovo» di Huxley esce dalle fantasiose ma remote pagine della letteratura utopistica per diventare realtà. Una realtà terrificante ma da oggi anche tremendamente vera. Un gruppo di scienziati americani ha fatto nascere i primi esseri umani geneticamente alterati del pianeta. I piccoli, rigorosamente anonimi, sarebbero tutti sani. Il rivoluzionario annuncio è contenuto in uno studio firmato sul Journal of Human Reproduction da Jason Barritt, Carol Brenner, Henry Malter e Jacques Cohen, tutti ricercatori presso il Gamete and Embryo Research Laboratory dell’Istituto di Scienze e Medicina riproduttiva dell’ospedale San Barnabas di West Orange, nel New Jersey.

Dallo studio si apprende che ben 30 bambini con il Dna modificato sono venuti alla luce negli ultimi mesi, la metà dei quali sarebbero stati fatti nascere proprio grazie agli esperimenti programmati e messi a punto da Cohen e condotti ormai dal 1997 senza troppa pubblicità nell’ospedale San Barnabas. La tecnica è la stessa adottata anche tempo fa all’università di Torino, ma c’è il sospetto che possano essersi verificate altre manipolazioni nel laboratorio americano.

Rimbalzata sul sito Internet della Bbc, la notizia ha subito creato un terremoto transatlantico. Al punto che il sito del San Barnabas ad un certo punto è stato oscurato, forse dallo stesso ospedale, dove i quattro medici si sono resi irreperibili per ore, subito dopo che la notizia dei primi bambini modificati geneticamente stava dilagando su tutta la rete mondiale.

Ma in serata, dopo aver avuto il via libera dall’ufficio legale, uno dei ricercatori ha rotto il silenzio per difendersi dalle accuse. «Ci siamo limitati a ringiovanire l’ovulo difettoso aggiungendo circa il 15% di citoplasma del donatore», ha spiegato Carol Brenner, una delle autrici degli esperimenti. «I mitocondri principali restano della madre, con una piccola percentuale di quelli della donatrice. Nessun gene del nucleo è stato iniettato e quindi parlare di bambini geneticamente modificati è sbagliato. Senza queste tecniche queste donne non avrebbero mai potuto avere figli propri». Di diverso parere altri esperti di genetica, secondo i quali i quattro medici del San Barnabas sono tutt’altro che benefattori. Quei trenta bambini sono nati infatti grazie alla tecnica, a dir poco controversa, del cosiddetto «trasferimento ovoplasmico». Un procedimento che consiste nell’estrarre alcuni geni dalla cellula di una «donatrice» fertile per iniettarli nell’ovocellula di una donna con problemi di fertilità a causa di difetti mitocondriali.

Oltre ad essere la sede delle reazioni di respirazione e produzione di energia della cellula, il Dna del mitocondrio viene tramandato da madre in figlio, generazione dopo generazione, da quando esiste il mondo. Ma questi 30 bambini geneticamente modificati possiedono non due bensì tre «genitori». I test condotti su due di loro, che oggi hanno un anno, confermano infatti che essi sono portatori di una piccola dose di geni «alieni», non ereditati da nessuno dei legittimi genitori. I geni appartengono infatti al mitocondrio di una donatrice sana e sono stati usati per correggere l’infertilità della loro madre che, da sola, non sarebbe mai stata in grado di concepirli.

La portata dell’esperimento è a dir poco enorme. «Così facendo si è interrotto il pedigree genetico di un gruppo di esseri umani», spiega il sociologo David Raindorf. «Si è alterata intenzionalmente l’eredità genetica di un individuo, cancellandone di fatto la storia».
Oltre ad essere illegale in molti Paesi, la pratica è condannata da molti anche sul piano etico e morale. «Tali tecnologie di riproduzione genetica aprono la strada ad un futuro a dir poco sconcertante di bambini fatti su misura», mette in guardia Eric Juengst, docente di genetica alla Case Western University . Ma nessuno può fermare questi esperimenti perché svolti con soldi privati e non pubblici.

Alessandra Farkas

5 maggio 2000

  


Staminali, sì australiano

Canberra Con un voto affidato alla coscienza dei singoli deputati, il Parlamento australiano ha approvato la possibilità di fare ricerca medica sulle cellule staminali estratte dai circa 70 mila embrioni umani "avanzati" dai trattamenti di fecondazione artificiale.
Saranno i "proprietari" degli embrioni a decidere di volta in volta se affidarli alla medicina.

La Repubblica - Salute 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 09-02-08