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Londra, creato in laboratorio embrione da tre genitoridi ALESSIA MANFREDI
Un embrione umano, nato da tre genitori. L'annuncio shock
della sua creazione in laboratorio è stato dato da un'équipe
britannica dell'Università di Newcastle, che spera in questo
modo di ottenere cure efficaci per una serie di gravi
malattie ereditarie. I mitocondri, infatti, sono piccoli organi che forniscono energia alle cellule. Se per anomalie genetiche non funzionano correttamente, non riescono a consumare completamente cibo e ossigeno, creando pericolosi accumuli tossici responsabili di oltre 40 malattie, che portano disabilità e anche alla morte. Malattie che si potrebbero evitare se gli embrioni a rischio ricevessero un trapianto mitocondriale. La tecnica, hanno spiegato gli scienziati ad un convegno medico a Londra, prevede la fecondazione in vitro e la rimozione successiva del nucleo della cellula uovo. Il nucleo viene poi inserito nella cellula uovo di una donatrice, il cui Dna è stato rimosso. Il feto che ne risulta eredita il Dna nucleare da entrambi i genitori e quello mitocondriale da una terza persona. La tecnica finora è stata sperimentata solo in laboratorio, usando 10 embrioni con gravi anomalie rimasti inutilizzati per i trattamenti tradizionali di fecondazione; quelli creati sono stati distrutti dopo sei giorni. "Esperimenti simili sono stati fatti anche in Italia" commenta il genetista Bruno Dalla Piccola "per ringiovanire, ad esempio, le cellule uovo di donne anziane, ma quello delle malattie mitocondriali è un campo complesso. La prova del nove sarebbe vedere se al momento della nascita si può dimostrare che i mitocondri sono effettivamente del terzo partner", conclude. Gli scienziati di Newcastle hanno chiarito che un bambino che dovesse nascere usando questa tecnica avrebbe elementi genetici di tre diverse persone, ma che il Dna nucleare, che regola l'aspetto fisico e altre caratteristiche chiave, non verrebbe dalla cellula uovo del terzo donatore. La loro è una motivazione terapeutica: "in linea di principio siamo convinti di poter sviluppare questa tecnica e offrire una cura in un futuro prossimo per poter dare alle famiglie la speranza di non trasmettere ai figli la malattia", spiega a Bbc il dottor Patrick Chinnery, membro dell'équipe. "Dal punto di vista teorico può funzionare" conferma il professor Dalla Piccola, che però avverte: "dal punto di vista pratico mi lascia maggiormente perplesso. Ogni estremizzazione rischia di diventare accanimento riproduttivo". Senza contare le questioni di tipo etico destinate ad aprirsi dopo l'annuncio. E in Gran Bretagna i gruppi in difesa della vita, come il Comment on Reproductive Ethics, hanno già bollato l'esperimento come "pericoloso e rischioso: un passo in avanti verso la creazione di bambini su misura". (5 febbraio 2008 http://www.repubblica.it )
03/05/2007 Una molecola già nota diventa oggi una candidata per la cura del cancro
Il dicloroacetato (DCA), una molecola usata da tempo nella cura di alcune rare malattie metaboliche nei bambini, potrebbe favorire la morte delle cellule tumorali. La scoperta, pubblicata su Cancer Cell, è opera di un gruppo di scienziati canadesi della University of Alberta. Il cancro è in grado di alterare il normale processo di morte programmata delle cellule. E molte ricerche hanno tentato di comprendere attraverso quali meccanismi ciò avvenga per poterne arrestare il processo. DCA agisce sui mitocondri, gli organuli cellulari deputati alla produzione di energia attraverso la respirazione. Secondo Evangelos Michelakis, che ha coordinato il progetto, sarebbero proprio i mitocondri ad avere un ruolo nello sviluppo e nella sopravvivenza dei tumori, in quanto la loro funzione è alterata nelle cellule malate. DCA sarebbe in grado di ripristinare la loro attività. Negli studi di laboratorio, infatti, DCA ha soppresso la crescita della massa tumorale, senza danni per le cellule sane. Una delle cose più interessanti è che, poiché tutti i tipi di tumore sopprimono l'attività mitocondriale, la molecola potrebbe potenzialmente agire su molte forme di cancro, anche se per dimostrare questo saranno necessari ulteriori studi in merito.
21/06/2001 Cancro: atttenzione all'abuso vitamine e antiossidanti
Attenzione ad assumere in maniera indiscriminata agenti antiossidanti come vitamina C ed E. Mentre infatti possono essere importanti nella prevenzione del cancro, paradossalmente possono favorire la crescita delle cellule tumorali eliminando gli ossidanti 'buoni', i radicali liberi presenti a livello mitocondriale, che invece accelerano il suicidio delle cellule maligne.Sono le conclusioni di uno studio realizzato dall'Istituto di Patologia Generale dell'Università Cattolica e presentate al corso di aggiornamento internazionale ''Redox signaling in proliferative disorders'' svoltosi nei giorni scorsi a Roma nella sede della stessa università. I ricercatori guidati dal prof. Tommaso Galeotti hanno individuato due tipi di radicali liberi. ''Se provengono dal citoplasma della cellula - ha spiegato Galeotti - sono responsabili di segnali che svolgono un'azione procancerogena, quindi sono 'cattivi', ledono il DNA o sospingono la moltiplicazione delle cellule cancerose e la formazione di nuovi vasi che le nutrono; se viceversa provengono dai mitocondri, sono anticancerogeni, 'buoni', e provocano la morte delle cellule tumorali.Poche sostanze in natura godono di una pessima fama come i radicali dell'ossigeno - ha aggiunto Galeotti - tali composti, estremamente instabili ed evanescenti, presentano, infatti, una eccezionale capacità di attaccare i costituenti delle cellule viventi e sono stati da tempo chiamati in causa come agenti responsabili dell'invecchiamento e di malattie importanti come il cancro, l'aterosclerosi o il morbo di Alzheimer. I nostri studi suggeriscono, tuttavia che, almeno in alcune circostanze, tali molecole killer possano giocare un ruolo benefico per il nostro organismo, rappresentando una importante linea di difesa contro lo sviluppo e la moltiplicazione delle cellule tumorali, oltre che un componente determinante del meccanismo di azione dei farmaci antitumorali oggi più usati''. Gli studi di laboratorio condotti alla Cattolica suggeriscono, pertanto, di ''evitare l'uso indiscriminato di agenti antiossidanti'' e stimolano la messa a punto di farmaci ''che siano capaci di distinguere tra radicali 'cattivi' e radicali 'buoni', questi ultimi necessari per combattere il cancro'.
fonte: fhttp://www.saluteeuropa.it/
A UN PASSO DAL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI ADULTE
La fondazione cellule staminali di Terni nel giro di pochi mesi, e dopo aver avuto la necessaria certificazione, trapianterà in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica cellule moltiplicate in laboratorio. La ricerca è stata finanziata per l'80 per cento dal vescovo di Terni. Manca solo la certificazione, poi potrà partire la prima sperimentazione clinica sui malati di sclerosi laterale amiotrofica di cellule staminali adulete coltivate in Italia. La ricerca porta la firma della Fondazione cellule staminali di Terni ed è stata presentata a Roma in un convego che si è tenuto presso l' Istituto Superiore di Sanità. "Le cellule prelevate da feti abortiti spontaneamentee moltiplicate in laboratorio sono pronte per il trapianto. Appena sarà arrivata la certificazione definiremo il protocollo clinico di ricerca" ha detto Angelo Vescovi, dell'Università Bicocca di Milano, direttore della Banca di cellule staminali celebrali di Terni e direttore del progetto. Vescovi ha poi precisato che l'obiettivo è abbastanza ravvicinato perché per la certificazione è questione di pochi mesi. Soddisfatto per l'esito della ricerca anche mons. Vincenzo Paglia:"Abbiamo fatto un'enorme fatica per trovare fondi privati per la ricerca sulle cellule staminali adulte, ma ora siamo ripagati da un risultato che supera le divisioni nate intorno al dibattito sulle cellule staminali embrionali", ha affermato il vescovo di Terni che poi ha aggiunto:"Sarebbe enormemente sbagliato finanziare una ricerca che non pone problemi etici". Il progetto sulle staminali adulte portato avanti dalla Fondazione ternana, oltre al suo valore scientifico, ha assunto anche un significato simbolico perché è stato finanziato per l'80 per cento dalla Conferenza Episcopale Italiana. I test potranno essere effettuati in Italia se il via libera arriverà dalle autorità regolatorie europee o negli Stati Uniti se il placet giungerà in anticipo dall'altra parte dell'oceano. "Il progetto è inoltre coerente con la missione dell'Istituto Superiore di Sanità, che consiste nel promuovere la ricerca e nel trasferirla alla clinica", ha poi concluso Enrico Garaci, presidente dell'ISS.
Un altro passo contro la distrofiaUn farmaco già efficace nel modello animale funziona anche su cellule umane Il trattamento di cellule di pazienti affetti da
distrofia muscolare congenita di Ullrich
con un farmaco già in uso per altri scopi ripara il guasto che scatena la
malattia, proprio come era successo nel modello animale. Si tratta della
ciclosporina A e soprattutto di un suo analogo che, diversamente dalla
ciclosporina, non dà effetti di immunosoppressione. Può così partire il
trial clinico con ciclosporina A su bambini affetti dalla malattia con
difetti nel gene per il collagene VI, una
proteina che normalmente riveste le fibre muscolari formando una
sorta di ragnatela e che manca nei malati.
Citocromo C OssidasiCreato all’Università di Stanford un modello artificiale in grado di riprodurre il funzionamento di un importante “motore cellulare” Un team di ricercatori dell’Università di Stanford ha creato un modello enzimatico artificiale in grado di riprodurre il funzionamento di un importante “motore cellulare” finora non meglio caratterizzato. Si tratta della proteina Citocromo C Ossidasi (CCO), indispensabile per la produzione di energia di tutti gli organismi viventi aerobi a partire dall’ossigeno. Secondo gli autori, i risultati – pubblicati Science – aiuteranno a comprendere le cause delle principali malattie, tra cui il cancro, ma anche a incentivare lo sviluppo di nuove forme di energia. Molti organismi viventi ricavano la propria energia grazie alla presenza di organelli cellulari detti mitocondri, ossia strutture a membrana all’interno delle quali è ancorata una serie di enzimi adibiti alla cosiddetta “respirazione cellulare”. Tale processo consiste nel trasferimento di elettroni da una molecola a un’altra allo scopo di produrre adenosin-trifosfato (ATP), la molecola universale di stoccaggio dell’energia usata in tutti le altre attività cellulari. L’ultimo enzima coinvolto in questa catena è la CCO, la quale riceve dalla proteina che lo precede quattro elettroni che trasferirà a una molecola di ossigeno producendo due molecole di acqua. Questo passaggio è cruciale poiché un errore porterebbe alla produzione di molecole fortemente ossidanti, tossiche per la cellula e probabilmente alla base di molte patologie. Per capire meglio il meccanismo d’azione della CCO, Neal K. Devaraj, ricercatore presso il laboratorio di James Collman, ha costruito un modello del sito attivo, ovvero la porzione della superficie proteica dove di fatto la luogo il trasferimento di elettroni. La realizzazione del modello, durata alcuni anni, ha richiesto ben 32 passaggi chimici necessari a posizionare correttamente tre elementi responsabili dell’attività enzimatica: una molecola organica detta fenolo, un atomo di ferro e uno di rame. Il modo in cui gli elettroni vengono trasferiti a e da questi elementi è ancora da chiarire nel dettaglio poiché il meccanismo è così rapido che è impossibile studiare ogni atomo separatamente. Tuttavia, è stato possibile verificare che tutti e tre gli elementi sono essenziali, poiché l’assenza anche di uno solo causa un danno ingente all’attività enzimatica, con formazione di grandi quantità di specie ossidanti. Secondo Devaraj, non solo questa tecnica innovativa permetterà di studiare anche altri enzimi, ma la comprensione del meccanismo d’azione della CCO potrebbe portare allo sviluppo di migliori catalizzatori per celle a combustibile che convertono energia chimica in energia elettrica. (a.p.) http://www.galileonet.it/news/8073/a-tutto-enzima
Trial clinico fai da teIl dicloroacetato ha mostrato interessanti proprietà antitumorali sui topi, ma nessuna azienda è interessata a svilupparlo. Il composto è noto da anni e non è brevettabile. Manca quindi l'incentivo economico alle multinazionali del farmaco per avviare un trial clinico. Così i pazienti si autorganizzano, ma i ricercatori vorrebbero frenarli per condurre una regolare sperimentazione. Chi ha ragione? di Nicola Nosengo Un bel problema. Che si fa quando si ha tra le mani un farmaco che promette molto contro i tumori, che i ricercatori vorrebbero sperimentare secondo le regole, ma che i pazienti possono già procurarsi facilmente? Chi spiega ai malati terminali che devono aspettare due anni per l'approvazione della Food and Drug Administration? La storia riguarda il dicloroacetato, un composto già noto da anni, e da tempo sperimentato (anche se mai approvato) contro alcune rare malattie neurologiche. Ha la capacità di riattivare i mitocondri, i piccoli organelli che hanno il compito di ossidare gli zuccheri e fare così da centrale energetica della cellula, quando questi siano difettosi. All'inizio di quest'anno, Evangelos Michelakis dell'Università dell'Alberta a Edmonton (Usa) ha pubblicato sulla rivista Cancer Cell i risultati di uno studio sui ratti in cui questo composto è stato per la prima volta testato contro le cellule tumorali. Nella maggior parte dei tumori, i mitocondri sono infatti “spenti”, e le cellule usano un altro sistema, meno efficiente, per procurarsi energia: si tratta della glicolisi, in cui le molecole di zucchero vengono scisse in modo in condizioni anaerobiche, cioè in assenza di ossigeno. È il cosiddetto effetto Warburg, noto fino dal 1930 e che rappresenta una differenza fondamentale tra le cellule sane e quelle tumorali. Secondo i ricercatori canadesi, questo non avviene solo, come si è sempre pensato, perché le cellule tumorali hanno a disposizione meno ossigeno, ma perché i mitocondri hanno anche un'altra funzione: regolano l'apoptosi, cioè la morte programmata di cellule difettose. Per questo al tumore conviene tagliarli fuori. Ecco allora l'idea di provare a riattivarli. E in effetti, nei topi malati di tumore al polmone, nel giro di una settimana la crescita del tumore si era arrestata, e dopo tre mesi i tumori erano grandi la metà rispetto agli animali non trattati. Il tutto con pochissimi effetti collaterali. A questo punto una casa farmaceutica avrebbe dovuto prendere al volo l'occasione e portare la molecola in sperimentazione. Ma il dicloroacetato è noto da anni, e non è brevettabile. Manca quindi l'incentivo economico, e di multinazionali del farmaco ad aiutare i ricercatori canadesi non se ne sono viste. Michelakis e colleghi hanno quindi iniziato a raccogliere fondi da fondazioni e investitori privati, per iniziare un trial clinico nei prossimi mesi. Qui entra in scena Jim Tassano, un californiano incappato nelle notizie sul dicloroacetato mentre cercava disperatamente di aiutare un amico malato di cancro. Tassano ha ordinato tutte le scorte di questo composto che ha trovato sul mercato, poi si è messo addirittura a produrlo in proprio, e a venderlo tramite il suo sito web, presentandolo come un prodotto veterinario (che non richiede approvazione dell'Fda). Al momento lo hanno già acquistato circa 200 pazienti, che ora stanno documentando i loro progressi sul sito dello stesso Tassano. Il più preoccupato è lo stesso Michelakis. Questa sperimentazione autogestita rischia di ostacolare l'approvazione del farmaco: prima di tutto se alcuni di questi pazienti avessero pesanti effetti collaterali (il farmaco finora sembra molto sicuro, ma questo vale per la versione industriale, non per quella casalinga di Tassano) il dicloroacetato si farebbe una pessima reputazione che ostacolerebbe gli sviluppo successivi. Inoltre, per convincere i pazienti a partecipare a una sperimentazione controllata, si dà loro in cambio la possibilità di avere un farmaco che altrimenti non avrebbero. Se il farmaco si trova su Internet, sarà difficile reclutare soggetti per un trial. “Personalmente non mi pare che i risultati sugli animali siano così entusiasmanti da suscitare questo clamore”, commenta Maurizio D'Incalci, direttore del dipartimento di oncologia medica dell'Istituto Mario Negri di Milano: “Non è la prima volta che si tenta di attaccare il tumore agendo sui mitocondri, ma finora non si è mai arrivati a nulla. Va ricordato poi che esiste comunque il brevetto d'uso, una protezione più debole del brevetto vero e proprio ma che permette comunque in un caso come questo, se la molecola è davvero interessante, di avere un incentivo economico”. In ogni caso, i rischi dell'iniziativa di Tassano sono tanti. “Anche se ora i pazienti cercano di raccogliere i dati in modo più sistematico, se questa sperimentazione autogestita continua è molto difficile che si arrivi mai all'approvazione della Fda”. C'è però una lezione da trarre, secondo l'esperto italiano. “I pazienti, le loro famiglie e le loro associazioni andrebbero coinvolte di più nel processo che porta alla sperimentazione e approvazione dei farmaci. Hanno molte competenze preziose, e soprattutto possono contribuire a velocizzare le procedure. Ormai lo sforzo di tutelare i pazienti nei trial attraverso le regolamentazioni ha portato all'eccesso opposto. L'ossessione per linee guida, good clinical practice e così via ha reso le sperimentazioni cliniche così onerose sul piano organizzativo e finanziario che possono farle solo le grandi multinazionali, e comunque con grande lentezza. Così si finisce per rallentare l'innovazione, e storie come questa sono il segnale che bisogna cercare dei modi per accelerarla”. http://www.galileonet.it/primo-piano/8198/trial-clinico-fai-da-te
Scoperta la causa del tumore alla tiroideLa malattia ha origine da mutazioni nel Dna dei mitocondri. La ricerca dell'Università di Bologna Mutazioni nel Dna mitocondriale. È questa la causa scatenante del tumore alla tiroide. Questa la scoperta tutta italiana, firmata dai ricercatori dell'Università di Bologna guidati da Giovanni Romeo, che apre importanti ricadute non solo per la diagnostica dei tumori. I mitocondri sono gli organelli cellulari che regolano la produzione di energia, ovvero trasformano l'ossigeno in “carburante”. Possiedono un loro Dna, un frazione di patrimonio genetico esterna al nucleo ed ereditata unicamente per via materna. È questo Dna a essere incriminato nello sviluppo iniziale di un tipo particolarmente aggressivo di cancro alla tiroide. Frequentemente, nelle forme più violente dei tumori alla ghiandola tiroidea (ma anche in alcuni tumori della mammella) le cellule appaiono gonfie. Tumori di questo tipo vengono chiamati oncociti. Le analisi in vitro e in vivo condotte dall'équipe di genetisti bolognesi hanno permesso di scoprire che le cellule tumorali sono gonfie perché sono piene di mitocondri che non funzionano correttamente per via di specifiche alterazioni nel loro Dna. La cellula ingrossata sarà un nuovo marcatore dello sviluppo tumorale, che permetterà di intervenire in anticipo sullo sviluppo della malattia. Ma non solo. La ricerca potrebbe anche risolvere il mistero della cosiddetta immortalità delle cellule maligne. Il motivo per cui nei tumori va in tilt il processo di apoptosi (la morte programmata) potrebbe dipendere proprio dai mitocondri, il cui Dna regola questo cruciale meccanismo di difesa cellulare. (da.c.) http://www.galileonet.it/news/8372/scoperta-la-causa-del-tumore-alla-tiroide
La rivoluzione delle staminali, le cellule adulte tornano embrionali.
Rigenerano tutti i tessuti. "Così la clonazione
senza problemi etici" ROMA - Ci provava da un anno e alla fine il giapponese che si era
messo in testa di spostare indietro l'orologio biologico, trasformando le
cellule adulte del topo in qualcosa di molto simile alle embrionali, ci è
riuscito. Da qualche mese in un laboratorio dell'università di Kyoto godono
ottima salute alcuni topolini transgenici, nati da cellule del tessuto
connettivo "riprogrammate" geneticamente in modo da trasformarsi in
staminali pluripotenti, quelle particolari cellule in grado di generare
tutti i tessuti dell'organismo cui appartengono. Il professor Shinya
Yamanaka, che già nel 2006 aveva fatto parlare di sé per i suoi primi
tentativi "in vitro" ed ora ha pubblicato l'attesa dimostrazione "in vivo"
su "Cell Stem Cell", ha anche fatto centro due volte: "Nature" ha pubblicato
altri due lavori di scienziati del Mit di Boston e di Harvard che hanno
riprodotto il medesimo esperimento. 7 giugno 2007 "La Republica.it " TECNOLOGIA & SCIENZA
Un fattore di trascrizione nei dendriti La proteina Elk-1 interagisce con i mitocondri dei neuroni I ricercatori della School of Medicine dell’Università della Pennsylvania hanno scoperto che una proteina chiamata Elk-1 interagisce con i mitocondri, gli organelli deputati a fornire energia alla cellula, suggerendo che essa – solitamente attiva all’interno del nucleo – possa avere un ruolo nella morte cellulare e nelle patologie correlate alla degenerazione dei neuroni. I ricercatori hanno in particolare scoperto la presenza di mRNA e della proteina Elk-1, un fattore di trascrizione, nei dendriti; solitamente i fattori di trascrizione, che hanno una funzione di rilievo nell’espressione dei geni promuovendone la trascrizione, sono presenti e operano solo all’interno del nucleo. Nei dendriti sembra invece che interferiscano con l’attività dei mitocondri: facendo aumentare i livelli di Elk-1 nei dendriti, la vitalità delle cellule diminuiva e si riscontrava un aumento di morte nella popolazione di neuroni; al contrario, inibendo l’espressione della proteina cresceva il numero di neuroni che sopravvivevano. Dato che la morte cellulare è un fattore presente in numerosi disturbi neurologici e psichiatrici, i ricercatori ipotizzano un collegamento con le disfunzioni a livello dendritico e, quindi, con l’evoluzione del processo patologico. Secondo James Eberwine, uno degli autori dell’articolo su "Nature Methods" in cui si illustra la ricerca, “questi dati forniscono nuovi indirizzi di ricerca, ivi inclusa la determinazione del ruolo della sintesi locale di proteine e delle loro modificazioni nelle patologie correlate ai dendriti, compresi la sindrome dell’X fragile, la schizofrenia e l’autismo.” © 1999 - 2006 Le Scienze S.p.A.
STAMINALI TOTIPOTENTI NEL LIQUIDO AMNIOTICO. NO ALLA IDEOLOGIZZAZIONE E STRUMENTALIZZAZIONE. SI ALLA LIBERA RICERCA SCIENTIFICA
Firenze, 8 Gennaio 2007
SCOPERTE NUOVE MUTAZIONI GENETICHE NELLE MALATTIE DEI MITOCONDRI
Per
ulteriori informazioni: Tel. 02 2394 2618; e-mail
ricercaecura@istituto-besta.it
Comunicato n. 140 31 ottobre 2006
Ministero della SaluteUFFICIO STAMPA
Richiesta farmaco contro la SLA. Precisazioni del Ministero della Salute
I In queste ultime settimane il Ministero della Salute ha ricevuto diverse richieste di cittadini per ottenere il medicinale IGF-1 ai fini del trattamento della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). In proposito è doveroso precisare quanto segue:
· Il medicinale IGF-1 non è in commercio in Italia, in nessun Paese europeo e nessuna domanda di commercializzazione è al momento stata presentata all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). · Il medicinale IGF-1 è commercializzato esclusivamente negli USA ed è autorizzato per una malattia rara da malaccrescimento nel bambino (sindrome di Laron) ma non è autorizzato per la SLA. · Il Ministero sta, nel frattempo, dando esecuzione a specifici provvedimenti dei Tribunali che impongono l’erogazione preventiva del IGF-1 a favore dei singoli soggetti .
· Al fine di affrontare responsabilmente il problema sul piano generale, senza creare aspettative non dimostrabili, si è comunque deciso di avviare, di intesa tra il Ministero, l’AIFA e l’ISS, uno studio clinico che possa verificare la reale efficacia del IGF-1 e il suo profilo di beneficio-rischio nei pazienti affetti da SLA, in confronto con il trattamento farmacologico oggi disponibile e rimborsato (Riluzolo - Rilutek®).
Considerate le numerose richieste di informazioni e di chiarimenti pervenuteci riguardo all’utilizzo della molecola IGF-1 nella Sla, anche a seguito delle vicende che hanno coinvolto diversi ammalati italiani che si sono rivolti ai Tribunali per ottenere il riconoscimento del diritto alla cura con tale molecola sperimentale, riteniamo opportuno fornire notizie riguardo agli studi che sinora sono stati effettuati sull’IGF-1 nel mondo e sull’attuale stato dell’arte delle sperimentazioni di cui è oggetto questa molecola. Al momento sull'IGF1 sono stati effettuati i seguenti studi: - Il primo studio americano di Lai et Al - Effetto dell'IGF-1: Ricombinante umano sulla progressione della SLA. Studio controllato con placebo, del 1997, pubblicato sulla rivista "Neurology". Tale studio dimostrava un modesto, ma clinicamente significativo, rallentamento della progressione dei sintomi della SLA, concludendo che erano necessari ulteriori studi per comprendere meglio i meccanismi di questo effetto terapeutico. - Il secondo studio europeo di Borasio et Al - Studio controllato con placebo dell'IGF-1 nella SLA del 1998 e pubblicato anch'esso su "Neurology". Le conclusioni degli autori di questo studio erano le seguenti: lo studio europeo non ha mostrato un beneficio significativo dell'IGF-1 sulla progressione della SLA. Tali studi furono effettuati con la somministrazione per via sistemica (sottocutanea) del farmaco. A questo punto sia la FDA che l'EMEA (i due enti regolatori americano ed europeo) non hanno ritenuto tali dati sufficienti per approvare l'uso dell'IGF-1 nella SLA e hanno richiesto un ulteriore studio per verificarne l'efficacia. Un terzo studio è stato in realtà eseguito in Giappone, ma non è mai stato pubblicato. Una revisione sistematica complessiva dei due studi è stata pubblicata nel 2002 sul COCHRANE DATABASE (di Mitchell, Wokke e Borasio). La conclusione di tale revisione fu la seguente: "I revisori considerano la qualità metodologica degli studi insoddisfacente, con un elevato rischio di errore. [...] L'elevato numero di pazienti trattati con IGF-1 che hanno presentato disturbi nella sede dell'iniezione sottocutanea (circa 30%) potrebbe aver rotto la cecità per il ricercatore curante [...]. L'efficacia dell'IGF-1 nella SLA rimane non provata. Vi è una chiara indicazione che il farmaco potrebbe essere modestamente efficace, ma i risultati disponibili non permettono di trarre una valutazione definitiva [...]. I revisori ritengono molto importante che siano eseguiti ulteriori studi sull'IGF-1 nella SLA per fornire risposte definitive a queste incertezze." Nel 2005 fu pubblicato su “Neurol. Res.” (2005, Oct; 27) un lavoro di Nagano I. del Dipartimento di Neurologia dell’Università di Okayama, sui benefici legati alla somministrazione per via intratecale dell’IGF-1 in nove pazienti Sla. Alcuni di essi furono randomizzati per ricevere alte dosi di IGF-1, altri per ricevere basse dosi della stessa molecola ogni due settimane per un totale di 40 settimane. I pazienti trattati con le alte dosi mostrarono un modesto ma significativo effetto benefico senza l’evidenza di importanti effetti collaterali. Gli autori conclusero evidenziando la necessità di ulteriori studi con campione più numeroso per confermare l’efficacia ed ottimizzare il dosaggio della molecola. Negli Stati Uniti e' attualmente in corso uno studio clinico di fase III sulla somministrazione dell’ IGF-1 per via sottocutanea che coinvolge 20 centri ed è coordinato dal Dr. Eric Sorenson del Mayo Medical Center in Rochester. Lo studio è co-finanziato dall’Alsa (Amyotrophic Lateral Sclerosis Association). I risultati sono attesi entro il 2007 e potranno finalmente fornire una risposta definitiva sulla sicurezza e sull'efficacia del farmaco nella SLA. In Italia, al momento attuale, per poter ottenere la molecola IGF-1 si deve, dietro prescrizione del neurologo curante, ricorrere al cosiddetto “uso compassionevole”. Tale procedura è normata dalla L. 23 dicembre 1996/ n. 648 e dal successivo Decreto del Ministero della Salute dell’8 maggio 2003. L’Aisla da tempo ha richiesto all’on. Livia Turco, Ministro per la Salute, al Prof. Enrico Garaci, Presidente della Commissione Ministeriale Sla, e al Prof. Nello Martini, Direttore Agenzia Italiana del Farmaco, una chiara e precisa posizione sull’IGF-1 per definire in maniera omogenea l’autorizzazione al suo uso compassionevole per pazienti con Sla, non lasciando più al singolo Tribunale la decisione in merito. Datata 14 settembre 2006 è pervenuta alla nostra Associazione una lettera a firma del Dr. Carlo Tomino, Direttore Sperimentazione Clinica dell’Aifa, in cui viene comunicato che le nostre richieste saranno sottoposte alla prima riunione utile della Sottocommissione Sperimentazione Clinica e della Commissione Tecnico-Scientifica dell’AIFA
http://www.aisla.it/home.asp
SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA: IDENTIFICATO IL LUOGO DEL DELITTO
I processi tossici che danneggiano i motoneuroni e causano la degenerazione dei muscoli si scatenano nel mitocondrio. La scoperta è il risultato di un progetto di ricerca Telethon adottato da Sisal s.p.a.
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose del midollo spinale che comandano il movimento dei muscoli. La morte dei motoneuroni altera la funzionalità del muscolo scheletrico causando paralisi e atrofia muscolare.Il declino muscolare che si verifica nelle persone colpite da sclerosi laterale amiotrofica potrebbe essere causato da fattori tossici che si accumulano nei mitocondri, le centrali energetiche della cellula, avvelenando i motoneuroni. È questa l’ultima scoperta di un gruppo di ricercatori Telethon della Fondazione Santa Lucia IRCCS guidati da Maria Teresa Carrì, professoressa di biochimica all’Università di Roma Tor Vergata, pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale PNAS. Il gruppo, grazie al sostegno di Telethon, sta portando avanti da diversi anni un progetto di ricerca sulla forma familiare della malattia. Nella maggioranza dei casi la malattia è sporadica (cioè si verifica senza che ci siano stati casi precedenti in famiglia). Circa il 10% dei casi è di origine familiare ed è dovuto a cause genetiche. La maggior parte dei casi familiari sono causati da difetti nel gene chiamato superossido dismutasi 1 (SOD1). Le mutazioni del gene SOD1 determinano la formazione di una proteina tossica per i motoneuroni. A questo riguardo lo studio della professoressa Carrì ha finalmente svelato il motivo dell’effetto tossico: la proteina SOD1 alterata forma aggregati che si accumulano nel mitocondrio, il luogo dove viene prodotta l’energia necessaria a tutte le funzioni della cellula, e lo avvelenano; se viene compromesso il funzionamento del mitocondrio, la cellula va in deficit energetico e degenera. “In questo lavoro, svolto in collaborazione con un gruppo della prof.ssa Joan Valentine della UCLA (Los Angeles, California), - chiarisce la Carrì - abbiamo dimostrato per la prima volta che la proprietà tossica della SOD1 mutante deriva dal fatto che essa si localizza nei mitocondri dei motoneuroni. Questi risultati, pur non avendo ricadute immediate sui pazienti, aggiungono un tassello importante alla comprensione della forma genetica della malattia, passaggio indispensabile affinché in futuro possano essere messe a punto terapie efficaci e mirate per le diverse varianti di SLA.”
Comunicato stampa Roma, 04/10/2006
http://www.telethon.it/comunicazione/dettaglio_news.asp?id=1151
Una proteina potrebbe riparare le cellule nervose
Importante scoperta di due ricercatori italiani sulla Id2, proteina che contribuisce alla crescita dei tumori. Uno studio che potrebbe aprire nuove prospettive sia per la cura del cancro che delle lesioni di midollo spinale
Sono due ricercatori italiani - Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che operano presso il Columbia University Medical Center di New York - i responsabili di uno studio che potrebbe aprire importanti prospettive sia per la cura dei tumori che per le lesioni del midollo spinale
Si tratta, nel dettaglio, dell'identificazione di una nuova e sorprendente funzione della proteina Id2, una molecola che già si sapeva implicata nella crescita delle cellule staminali e dei tumori pediatrici del sistema nervoso I ricercatori hanno scoperto che se introdotta all'interno delle cellule nervose normali, non staminali, tale proteina promuove la crescita degli assoni, strutture simili a filamenti, con funzioni di collegamento e comunicazione, che trasmettono l'impulso nervoso ad altre cellule del cervello o ai muscoli.
La
proteina Id2 è da tempo oggetto di studio per lo sviluppo di nuove terapie dei
tumori, ma fino ad oggi non erano noti i meccanismi attraverso cui essa si
accumula nelle cellule tumorali, aumentandone la malignità. Iavarone e Lasorella
hanno scoperto che è l'enzima APC (Anaphase Promoting
Complex), di cui si conosce la funzione di regolatore della divisione
cellulare, a promuovere la distruzione della proteina Id2 e di
altre della stessa famiglia. Quindi, il risultato nuovo e importante di questo studio è che questa assenza è causata appunto dalla continua distruzione dell'Id2 da parte dell'enzima APC. E tuttavia, essendo proprio questa mancanza a rendere impossibile la crescita degli assoni nelle cellule nervose mature, potrebbe essere sufficiente una modificazione in una regione della proteina, per renderla resistente alla distruzione e capace di "riparare" le cellule nervose, facendo ricrescere gli assoni.
Per ora
gli esperimenti sono stati compiuti solo in laboratorio e la scoperta non è
quindi ancora associata alla produzione di alcun farmaco. E tuttavia si tratta
certamente di una tappa molto importante sia per la cura dei
tumori che delle malattie neurologiche.
http://superando.eosservice.com/content/view/1202/122/
14.07.2006
La scoperta fatta presso il Dulbecco Telethon Institute
Ricercatori del Dulbecco Telethon Institute presso l’Istituto veneto di medicina molecolare di Padova e dell’Istituto interuniversitario Flanders per la biotecnologia (VIB) a Gent, in Belgio hanno identificato nella proteina PARL un fattore chiave per il corretto funzionamento dell’apoptosi, il processo di “morte programmata” delle cellule. Precedenti studi avevano messo in luce il coinvolgimento della proteina nel funzionamento dei mitocondri, gli organelli cellulari preposti alla produzione dell’energia necessaria al funzionamento della cellula, ma la sua funzione specifica non era stata identificata. L’ipotesi avanzata da Luca Scorrano e Bart De Strooper, e ora confermata dallo studio che essi hanno diretto, era però che la proteina PARL intervenisse in un’altra funzione svolta dai mitocondri, quella di integrazione e amplificazione dei segnali apoptotici. A questo scopo i ricercatori hanno creato una linea mutante di topi knock-out in cui era soppressa la capacità del gene interessato a esprimere la proteina PARL. Essi hanno così potuto osservare che pur essendo i loro mitocondri perfettamente in grado di convertire l’ossigeno in energia, sembravano aver perso la capacità di modulare l’apoptosi, con una rapida morte delle cellule. In effetti, questi topi subivano processi di senescenza precoce, in particolare a soli quattro mesi iniziavano a perdere forza muscolare, tanto che le loro capacità respiratorie decadevano rapidamente.
La proteina ha come bersaglio la Bax, che innesca il suicidio cellulare Ricercatori del Burnham Institute hanno scoperto che l’umanina, una piccola proteina comprendente 24 amminoacidi recentemente scoperta nel corso di studi sul morbo di Alzheimer, sopprime l’attività della proteina Bax. Quest’ultima innesca la morte cellulare patologica in un gran numero di malattie, compreso il morbo di Parkinson e la degenerazione delle ovaie durante la menopausa. Questi risultati, che saranno pubblicati in futuro sulla rivista “Nature”, suggeriscono lo sviluppo di una nuova terapia basata sull’inibizione dell’attività di distruzione cellulare della Bax. La proteina Bax è nota per attivare l’apoptosi, il programma di morte cellulare latente in tutte le cellule. Agisce attaccando la sorgente di energia della cellula, il mitocondrio, provocando così il suicidio della cellula. L’apoptosi è importante per il normale sviluppo e per mantenere l’equilibrio cellulare. Molte malattie sono collegate al malfunzionamento di questo sistema: un eccesso di morte cellulare è associata con i disturbi degenerativi del sistema nervoso, il colpo apoplettico e l’attacco di cuore; l’incapacità di attivare il programma è invece una delle caratteristiche dei tumori. John C. Reed e colleghi hanno identificato l’umanina come una proteina che interagisce con la Bax. Hanno scoperto che l’umanina si lega alla Bax, impedendole di attaccare il mitocondrio e bloccando la sua capacità di causare la morte cellulare. “I nostri risultati - spiega Reed - dimostrano che Bax è il bersaglio dell’umanina, e suggeriscono almeno tre nuovi modi di progettare terapie per prevenire o di arrestare le malattie associate all’attivazione di Bax”.
La scoperta di come le attività della proteina p53 promuovano segnali che innescano il suicidio cellulare fornisce indizi importanti per lo sviluppo di nuovi farmaci anticancro. Lo sostiene uno studio di ricercatori del St. Jude Children’s Research Hospital, pubblicato sul numero del 9 settembre della rivista "Science". La ricerca mostra che la proteina PUMA libera p53 dal "blocco" di una terza proteina, Bcl-xL, così che p53 possa attivare la serie di segnali che innescano il suicidio cellulare programmato, o apoptosi. Si tratta del meccanismo mediante il quale le cellule anormali vengono eliminate dal corpo prima che possano causare malattie come il cancro. Per esempio, se una cellula soffre di una lesione irreparabile al proprio materiale genetico, il gene p53 si attiva e produce la proteina p53, che si accumula nel nucleo e nel citoplasma della cellula danneggiata. Questo conduce all'apoptosi, ma finora gli scienziati non sapevano come i contributi nel nucleo e nel citoplasma fossero associati. Jerry E. Chipul e colleghi hanno ora risolto l'enigma spiegando perché l'attività di p53 è osservata sia nel nucleo che nel citoplasma. Secondo i ricercatori, l'accumulo di p53 nel nucleo regola l'espressione di diversi geni associati all'apoptosi, compreso PUMA. La proteina PUMA viene poi prodotta nel citoplasma, dove altre proteine p53 sono legate a Bcl-xL, e si lega alla coppia p53/Bcl-xL, causandone la rottura. Una volta libera, p53 innesca una serie di segnali sui mitocondri che producono le molecole energetiche necessarie per le attività cellulari. Le membrane che ricoprono i mitocondri vengono perforate, consentendo a certe molecole di fuoriuscire e dare inizio al processo di apoptosi
UNA
DISFUNZIONE DEI
MITOCONDRI ALL'ORIGINE DEL MORBO DI PARKINSON
COPERTO UN NUOVO GENE RESPONSABILE DELLA RIDUZIONE DEL DNA MITOCONDRIALE È stato identificato un nuovo gene che, se alterato, causa una gravissima malattia genetica neurologica, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale (MDDS), spesso letale nel primo anno di vita per le complicanze neurologiche e l’insufficienza epatica. Ad effettuare la scoperta – di cui si riferisce su Nature genetics è stato un gruppo di ricercatori italiani finanziati da Telethon e coordinati da Massimo Zeviani dell’IRCCS-Besta di Milano. La sindrome da deplezione del DNA mitocondriale è causata da anomalie dei mitocondri (gli organelli dove un complesso sistema di enzimi produce energia partendo dagli zuccheri introdotti nell’organismo con l’alimentazione) e colpisce diversi tessuti tra cui muscolo, cervello e fegato. Il gene identificato da Zeviani, chiamato MpV17, contribuisce al mantenimento dell’integrità dei mitocondri che forniscono l’energia necessaria allo svolgimento di tutte le funzioni vitali. Difetti di questo gene causano una riduzione nella produzione di energia disponibile con gravi conseguenze sul funzionamento dei tessuti. Le ricerche condotte da gruppo di Zeviani su alcune famiglie italiane colpite dalla malattia hanno permesso in una prima fase di localizzare sul cromosoma 2 il gene MPV17 e poi di identificare nei pazienti le alterazioni del gene responsabili della malattia. “Questo lavoro è iniziato con lo studio di una grande famiglia in cui alcune persone risultavano affette da una malattia metabolica ad esordio precoce con gravi crisi ipoglicemiche e danno epatico”, ha spiegato Zeviani. “Nei casi più gravi la situazione degenerava rapidamente in cirrosi e insufficienza epatica. In questi pazienti abbiamo notato una diminuzione del DNA mitocondriale nel fegato. È stato questo il campanello d’allarme che ci ha messo sulla giusta strada per capire che la malattia era legata ad un difetto dei mitocondri.” Alla scoperta ha partecipato anche un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste e del IRCCS-Burlo Garofolo. Il prossimo passo sarà chiarire in che modo le alterazioni del gene MPV17 causano i sintomi della malattia e prevederne l’evoluzione
L'ERITROPOIETINA
EFFICACE CONTRO LE NEUROPATIE PERIFERICHE
Milano,
27 apr . (Adnkronos Salute) - Mangiare grandi quantità di grassi buoni, cioè
quelli polinsaturi, e vitamina E può dimezzare il rischio di sviluppare una
malattia dei motoneuroni. Lo rivela uno studio olandese, pubblicato sul Journal
of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry. Scorpacciate di omega 3 e omega 6,
contenuti in alcuni vegetali e nel pesce, possono dunque abbassare anche del 60%
il pericolo di una malattia progressiva e fatale, che causa indebolimento
muscolare e colpisce circa 5.000 persone solo in Gran Bretagna. Stesso effetto
protettivo ha la vitamina E.
I
MITOCONDRI SONO I SENSORI
DELL'OSSIGENO
Disfunzioni mitocondriali e apoptosi in un modello murino privo di collagene VI A cura di: Istituto per i trapianti d'organo e immunocitologia - ITOI
Il
collagene VI è una proteina della matrice extracellulare che forma un reticolo
di microfilamenti nel muscolo scheletrico ed in altri organi. Le mutazioni dei
geni del collagene VI causano due malattie nell’uomo: la miopatia di Bethlem e
la distrofia muscolare congenita di Ullrich, di cui è ignota la patogenesi. E’
stato eseguito uno studio in collaborazione con l’Università di Padova (Prof. P.
Bonaldo) su topi transgenici privi collagene VI (Col6a1-/-) prodotti
precedentemente. Questi risultati indicano che le miopatie dovute a collagene VI hanno una inaspettata patogenesi mitocondriale. La carenza di collagene VI causa un aumento dell’apertura del PTP attraverso un’anomala trasmissione del segnale mediata da integrine. L’aumentata apertura del PTP altererebbe la gestione del Ca2+ da parte del SR con ulteriore aumento del tempo di apertura del PTP e avvierebbe un circolo vizioso che conduce alle alterazioni strutturali. Il dato che le alterazioni e l’apoptosi nel muscolo Col6a1-/-possano essere recuperati dalla CsA attraverso un meccanismo mitocondriale, può aprire un percorso di trattamento farmacologico per la miopatia di Bethlem e la distrofia muscolare congenita di Ullrich.
08.03.2006
Lo studio ha importanti ricadute per la comprensione della fisiologia dei tumori Potrebbero avere importanti implicazioni per comprendere la fisiologia dei tumori due nuovi studi pubblicati sulla rivista “Cell Metabolism” che hanno avuto come oggetto il meccanismo con il quale le cellule si adattano alla condizione di scarsità di ossigeno. Tale meccanismo - si apprende dagli articoli - servirebbe a proteggere la cellula dalla produzione di radicali liberi che sarebbe fatale in condizioni di ipossia. Questa è la condizione che viene a crearsi quando la fornitura di ossigeno dal flusso sanguigno è insufficiente a coprire la richiesta dei tessuti dell’organismo, come avviene per esempio durante l’esercizio fisico, o nel caso di ischemie e tumori. In condizioni di ipossia, infatti, le cellule si adattano alle condizioni di deficit di ossigeno attivando un programma di variazioni dell’espressione genica iniziata dal fattore di trascrizione indotto da ipossia (HIF-1). Questi nuovi studi rivelano come l’adattamento all’ipossia dipenda dall’attivazione di un processo che serve a inibire la respirazione e a impedire l'utilizzazione del piruvato, il precursore del lattato, da parte dei mitocondri, che rappresentano le centrali energetiche delle cellule. In essi infatti le molecole derivate dai nutrienti sono convertite in energia utilizzabile attraverso la respirazione. “Si tratta, di un meccanismo molto elegante”, ha spiegato Nicholas Denko della Stanford University, coautore di uno dei due articoli. “Le cellule semplicemente chiudono i rubinetti che inviano il combustibile ai mitocondri.” Entrambe le ricerche hanno trovato che le cellule inibiscono la funzione dei mitocondri e il consumo di ossigeno in condizioni di scarsità di ossigeno utilizzando l’enzima piruvato deidrogenasi chinasi 1 (PDK1). Il gruppo di Chi Dang della Johns Hopkins University di Baltimora ha mostrato come in condizioni di ipossia le cellule di topi di laboratorio in cui era presente un deficit di HIF-1 non erano in grado di attivare il PDK1 e andavano incontro ad apoptosi, che seguiva a un drastico calo del livello di specie reattive dell’ossigeno (ROS). L’espressione forzata del PDK1 nelle cellule ipossiche che mancavano di HIF-1 limitava la generazione di radicali liberi tossici e salvava le cellule dalla morte. Il gruppo di Denko, invece, ha dimostrato come nelle cellule tumorali l’HIF-1 sia causa di un calo nell’utilizzazione dell’ossigeno, che dà come risultato un aumento nella disponibilità di questo elemento, causando al contempo una diminuzione della morte cellulare. La connessione con le possibili applicazioni mediche consiste nel fatto che l’attività dell’HIF-1 rende le cellule più resistenti al farmaco antitumorale tirapazamina (TPZ). Per contro, le cellule con un deficit di HIF-1 cresciute in condizioni di ipossia mostrano una maggiore sensibilità alla molecola rispetto alle cellule normali. © 1999 - 2006 Le Scienze S.p.A
LA DNA POLIMERASI GAMMA:
UNA SOLA PROTEINA, MOLTE MALATTIE NEURODEGENERATIVE EREDITARIE
NEI MITOCONDRI LA CAUSA DELLA SINDROME DI ALPERS
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Neurogenetica
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Staminali
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Patologie mitocondriali
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EMCELL cellule staminali embrionali
La
notizia, come riportata da un lancio dell'agenzia Ansa:
La
ricerca su Internet l'abbiamo cosi' fatta anche noi e abbiamo subito trovato
la clinica di Kiev EMCELL (http://www.emcell.com/),
un sito classico per una clinica sanitaria, rigorosamente in inglese e con tanto
di foto in prima pagina del Professor Alexandr Smikodub, "inventore del
metodo di trattamento con le cellule staminali embrionali".
Donatella Poretti (http://staminali.aduc.it/)
Dal 2006 staminali fetali contro le malattie neurodegenerative
E'
previsto per il 2006 in Italia il primo intervento sull'uomo basato sull'uso di
cellule staminali prelevate 10 anni fa da feti naturalmente abortiti per curare
due gravi malattia neurodegenerative. Lo ha annunciato a Roma il co-direttore
dell'Istituto per la ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano,
Angelo Vescovi, a margine del convegno sulla procreazione assistita
organizzato all'Accademia dei Lincei dall'Istituto per la documentazione e gli
studi legislativi (Isle), lo scorso 31 gennaio.
Si' del Comitato nazionale di bioetica all'uso di cellule fetali da Ivg
Il
Comitato Nazionale per la Bioetica, in seduta plenaria, ha approvato il 20
maggio a larghissima maggioranza (1 astenuto, 1 voto contrario) un parere che
definisce moralmente ammissibile l'utilizzo a fini terapeutici di cellule fetali
provenienti da interruzione volontaria di gravidanza ove rispettate una serie di
condizioni indicate nel documento: nessun genere di vantaggio o incentivo tra i
soggetti implicati, consenso da parte della donna che non deve subire nessun
trattamento preventivo prima di interrompere la gravidanza, uso del tessuto
fetale solo per pratiche di elevata rilevanza scientifica.
Una molecola naturale, tante medicine contro malattie del cervello
Tre studi su modelli animali e su pazienti dimostrano le potenzialità di una semplice molecola naturale contro malattie quali il morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o morbo di Lou Gehrig, le conseguenze di un ictus. È quanto riferito da Päivi Liesi, del Brain Laboratory all’Università di Helsinki in Finlandia al Meeting Annuale della Society for Neuroscience al Washington Convention Center di Washington, D.C. I tre studi presentati rafforzano e ampliano i risultati della ricerca pubblicata sul Journal of Neuroscience Research. La protagonista di questi lavori è la proteina KDI tri-peptide (KDI) che si ottiene da una molecola più grande presente normalmente nel corpo umano, la laminina.“Non vi è ormai alcun dubbio – ha dichiarato Liesi – che KDI possa avere efficacia terapeutica e aiutare a prevenire e anche a revertire (curare) alcune delle conseguenze di queste devastanti malattie neurologiche”. Nel primo studio, sul morbo di Parkinson, modelli animali di questa malattia
neurodegenerativa, caratterizzata da danno a livello dei centri dopaminergici
per il controllo motorio, hanno ricevuto iniezioni di KDI. I risultati sono
stati sorprendenti, ha riferito il neurologo: una sola iniezione di KDI ha
prevenuto la morte cellulare legata alla malattia, a differenza di animali col
Parkinson non trattati con KDI. “Questo è un approccio pionieristico per trattare il morbo di Parkinson ", ha dichiarato George Martin, direttore scientifico del National Institute on Aging statunitense. "Invece di focalizzare l’attenzione sul trattamento dei sintomi della malattia, dopo che questi hanno già cominciato a sgretolare la qualità di vita dei pazienti, questi risultati mostrano come i sintomi possono essere trattati al loro esordio e la loro progressione interrotta”. Nel secondo studio gli esperti hanno osservato uomini e animali con la SLA, una devastante malattia neurologica che causa la morte di neuroni del cervello e del midollo spinale. Nella ricerca si dimostra per la prima volta che le cellule del midollo spinale dei pazienti tentano di produrre maggiori quantità di KDI. Inoltre nei pazienti questo aumento di produzione di KDI è inversamente proporzionale alla gravità della malattia. “Sembra che il corpo tenti di proteggersi producendo KDI”, ha riportato Liesi, ma in molti casi non è capace di produrne abbastanza da fermare il danno. Questo fa supporre che fornire ulteriori quantità di KDI potrebbe potenziare l’azione autoprotettiva dell’organismo. La scoperta per la prima volta rivela che KDI è coinvolta nella SLA e potrebbe essere usata a scopo terapeutico. Infine il terzo studio mostra che KDI potrebbe avere poteri protettivi contro i danni di un ictus. Il cervello colpito da ictus, è dimostrato in questo studio, reagisce producendo naturalmente KDI nei tessuti sani limitrofi alle aree danneggiate. “Al momento stiamo testando l’abilità di KDI di prevenire il danno da ictus e i risultati preliminari sono molto promettenti”, ha detto Liesi, anticipando che sperimentazioni cliniche sono imminenti in vari ambiti della lotta alle malattie neurodegenerative.
Le mutazioni che causano apoptosi contribuiscono al processo di invecchiamento
Uno studio, compiuto da Ricercatori dell’Università della Florida, ha trovato che mutazioni a livello mitocondriale causate da aumento di peso corporeo e mancanza di esercizio, e non da stress ossidativo da radicali liberi, possono essere un fattore chiave nel processo di invecchiamento.I Ricercatori hanno scoperto che gli animali incapaci a riparare gli errori durante il processo di replicazione del DNA, presentavano un aumento dell’apoptosi, cioè della morte cellulare programmata. E’ stato osservato che i topi mutanti vivevano meno rispetto ai topi normali. Già a 9 mesi d’età, andavano incontro a perdita di peli, a perdita dell’udito, della massa ossea, segni di invecchiamento. Tuttavia, sebbene i topi rappresentino un buon modello di invecchiamento, essi mancano della componente infiammazione cronica, che può essere alla base, ad esempio, della malattia cardiovascolare, delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. L’infiammazione cronica è associata ad un aumentata produzione di radicali liberi
Fonte: University of Florida, 2005
Inghilterra: ok alla clonazione di un embrione umano
Due «mamme» forniranno il materiale genetico. L'esperimento autorizzato per una ricerca sulle malattie ereditarie mitocondriali
LONDRA - Gli
scienziati dell'universitá di Newcastle, in Gran Bretagna, hanno ottenuto il via
libera alla clonazione di un embrione umano. Doug Turnbull, professore di
neurologia dell'universitá di Newcastle, e Mary Herbert, direttore scientifico
del Newcastle Fertility Centre, intendono verificare se questo metodo funziona
anche su embrioni umani.
PERPLESSITA' - Interessante dal punto di vista sperimentale ma
difficilmente traducibile in una pratica clinica accettata, poichè si
pone come presupposto l'accettazione della clonazione umana. Questa, in
sintesi, la posizione del direttore dell'Istituto di genetica
dell'Università Cattolica di Roma, Giovanni Neri, in merito all'annuncio
dei ricercatori dell'Università di Newcastle, in Inghilterra, pronti a
clonare un embrione umano utilizzando il materiale genetico di due madri
con l'obiettivo di prevenire la trasmissione madre-figlio di alcune
malattie genetiche. «In questa operazione - ha commentato Neri - può
esserci un interesse sperimentale, ma è difficile che una simile
metodica posa poi tradursi in una pratica accettata e applicata.
Significherebbe infatti dover comunque accettare il principio
dell'ammissibilità della clonazione umana». «Dal punto di vista tecnico
- ha affermato l'esperto - non mi sembra ci siano grosse novità, dal
momento che il trasferimento di nucleo è stato già effettuato varie
volte sugli animali. Ma che sia stata data l'autorizzazione a procedere
ad una sperimentazione in tal senso sull'uomo - ha concluso - mi lascia
molto perplesso». 08 settembre 2005
Ruolo patogenetico delle mutazioni del gene OPA1 nella neuropatia ottica autosomica dominante
Bloccando un gene si vivrà 25 anni in più
Il dottor Faust vendette l’anima al diavolo per un’eterna giovinezza mai ottenuta. Non sapeva ancora che il segreto è in un piccolo tratto di Dna, un gene. Non quello dell’immortalità, ma di una vecchiaia in salute giovanile. Particolare importante: bloccando questo gene la vita media si allungherebbe di un 30 per cento. Tradotto: se la media attuale è 78-80 anni, potrebbe toccare i 100-105 anni. E tutto ciò senza dover scendere a patti con il diavolo. Il gene è il P66shc. La scoperta, tutta italiana, è avvenuta in due tempi: nel 1999 (storica la pubblicazione su Nature) l’identificazione di questo frammento di Dna anti-aging; nel 2005 (la pubblicazione su Cell, la più importante rivista scientifica al mondo di biologia cellulare) ecco il suo meccanismo d’azione. Lo studio è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc). «Sei anni fa dimostrammo che gli anni di vita dei mammiferi sono geneticamente determinati, incidenti a parte: nell’animale, inibendo l’attività del gene P66, la durata di vita aumenta del 30 per cento — spiega Pier Giuseppe Pelicci, direttore del Dipartimento di oncologia sperimentale dell’Istituto europeo di oncologia e coordinatore del gruppo Ieo-Ifom autore della ricerca —. Oggi sappiamo come questo avviene. Siamo quindi, dal punto di vista scientifico, nella posizione di trovare una o più molecole in grado di bloccare l’attività di P66 per ottenere non solo una durata maggiore della vita, ma soprattutto una durata maggiore della vita sana, senza le malattie connesse all’invecchiamento cellulare, come l’aterosclerosi, il Parkinson, l’Alzheimer e il cancro». Soddisfatto il professor Umberto Veronesi, direttore scientifico dello Ieo: «Tutte le ricerche che indagano l’invecchiamento sono importanti, proprio per riuscire a raggiungere un allungamento della vita in buona salute. La scienza non si interessa dell’immortalità, ma delle malattie degenerative legate all’invecchiamento. Noi dobbiamo studiare come preservare la migliore qualità di vita possibile». Ma come funziona questo P66? Marco Giorgio, primo firmatario del lavoro su Cell, cerca una spiegazione comprensibile ai profani: «Da tempo sappiamo che all’interno della cellula i mitocondri (le "centrali elettriche" cellulari, ndr) producono l’energia necessaria alle funzioni vitali, ma il costo biologico di questa attività sono i radicali liberi (rifiuti) e acqua ossigenata (H2O2). In una vita media, di circa 75 anni, un uomo produce circa due litri di acqua ossigenata. L’H2O2 è molto pericolosa per la cellula stessa, perché tende, a causa delle reazioni termodinamiche che innesca, a indurre mutazioni dannose nelle proteine e nel Dna che costituisce i geni. Da qui invecchiamento e morte. Studiando a fondo P66 abbiamo scoperto che il mitocondrio non produce H2O2 per caso, ma volontariamente. La proteina prodotta dal gene P66 lavora nel mitocondrio, dove sottrae elettroni per legarli a molecole di ossigeno e produrre proprio H2O2». Maallora P66 è un gene «cattivo »? «Non esistono in natura geni "cattivi" — replica Enrica Migliaccio, coautrice delle ricerche —. Anzi, P66 serve a regolare i cicli fondamentali delle cellule nell’uomo e in tutti i vertebrati: dalla morte (apoptosi) alla nascita di nuove cellule. E’, in pratica, il gene regolatore del rinnovamento dei tessuti. Il prezzo biologico che paghiamo per questo ricambio vitale è proprio l’invecchiamento ». Quindi perché si deve andare a bloccare P66? «La scoperta del meccanismo d’azione di P66 ha implicazioni filosofiche —conclude Pelicci —. Dal punto di vista evolutivo, è chiaro che l’invecchiamento non ha alcun interesse. La natura lo considera un evento poco rilevante ai fini della conservazione della specie. Ha però implicazioni pratiche. Poiché noi oggi non viviamo in condizioni naturali, possiamo biologicamente fare a meno di P66 e combattere l’invecchiamento. E’ solo questione di risorse poter trovare inibitori di questo affascinante gene per perseguire una "più lunga" qualità di vita». I tempi? «Pochi anni con i fondi adeguati. Conosciamo la reazione chimica e già esistono dei potenziali inibitori: vanno provati». Mario Pappagallo 29 luglio 2005
Medicina: Fatica Cronica? Dipende Da 'Iperlavoro' Geni Nel Sangue
Roma, 22 lug. (Adnkronos Salute) - Cronicamente stanchi? E una questione di geni e di quanto lavorano. Un gruppo di ricercatori britannici ha individuato alcuni marcatori biologici della sindrome della fatica cronica, una scoperta che potrebbe portare alla messa a punto di un test per la diagnosi di questinsieme di disturbi: senso di profonda stanchezza, debolezza, mal di testa, sonno disturbato. Secondo gli scienziati, nei globuli bianchi delle persone che soffrono di fatica cronica, alcuni geni funzionano diversamente: sono piu attivi rispetto al normale. Usando tecnologie molto sofisticate, lequipe del St George Hospital di Londra ha confrontato i livelli di attivita dei geni nei globuli bianchi di 25 volontari sani e 25 con fatica cronica. Sono emerse differenze nel comportamento di 35 geni tra i 9.522 analizzati. Altri test hanno mostrato, nel sangue dei pazienti, 15 di questi geni ben 4 volte piu attivi del normale. Solo uno, invece, lavorava di meno. La maggior parte dei geni individuati dai ricercatori gioca un ruolo importante nei mitocondri, le centrali energetiche della cellula. Uno dei prodotti di questi geni, infatti, e EIF4G1, a sua volta coinvolto nella produzione di proteine nei mitocondri. Quando questo viene attaccato da alcuni virus, le cellule reagiscono aumentando lespressione dei geni, che cosi viene alterata. Abbiamo mostrato - afferma Jonathan Kerr, coordinatore della ricerca - il ruolo svolto dai globuli bianchi e dalla loro attivita nellinsorgenza della malattia. Questo potrebbe portare allo sviluppo di farmaci mirati.(Mad/Adnkronos Salute
Un "ricostituente" dei neuroni
Il GDNF appartiene alla stessa famiglia dei fattori neurotrofici del più famoso GNF (fattore di crescita neuronale) scoperto da Rita Levi Montalcini. Prodotto dalle cellule gliali che sono l'impalcatura di sostegno delle cellule nervose di tutto il corpo, regola sviluppo e funzionamento del sistema nervoso, ma anche altri apparati come quello renale o quello gastro-intestinale. Individuato una decina d'anni fa, ha dimostrato la capacità di aumentare la sopravvivenza dei neuroni dopaminergici della sostanza nera cerebrale, regolando il passaggio del potassio attraverso i canali della loro membrana cellulare. L'effetto protettivo e "ricostituente" dei fattori neurotrofici non sarebbe prerogativa esclusiva di queste sostanze: anche alla base dell'attività terapeutica di molti farmaci anti-parkinson, dalla levodopa al pramipezolo, sembra infatti esserci un effetto di neuroprotezione anti-ossidativa che farebbe aumentare la sopravvivenza dei neuroni. 8 luglio 2005
U n articolo tratto da Corriere Salute del 16 gennaio 2005
Paraplegia: miracolo cinese?
Infuria la polemica sul chirurgo di Pechino che inietta cellule fetali per "restituire il movimento". Manca la documentazione scientifica
Un ospedale nella parte ovest di Pechino con la sua pagoda a colori vivaci e i giardini curati come solo i cinesi sanno fare. Uno dei tanti, apparentemente. Ma quello che sta accadendo nelle sue sale operatorie è al centro di una polemica scientifica feroce, mentre cresce un pellegrinaggio che ha assunto dimensioni mondiali. Huang Hongyun, neurochirurgo con formazione americana, da tre anni inietta a paraplegici e malati di Sclerosi laterale amiotrofica cellule prelevate dal bulbo olfattorio di feti di 16 settimane e coltivate in laboratorio. Con risultati, a quanto sembra, strabilianti. Tanto che anche la rivista inglese Lancet si è sentita in dovere di intervistare una dozzina di questi "miracolati". Riceve ogni giorno una montagna di email da tutto il mondo da persone paraplegiche e colpite da sclerosi laterale amiotrofica e la sua lista di attesa scoppia: per i pazienti stranieri (l'intervento costa 20.000 dollari) l'elenco arriva alla fine del 2006, per i cinesi si allunga a dieci anni. SPREGIUDICATEZZA Ma l'uomo del miracolo, il neurochirurgo Huang Hongyun, contadino "per forza" all' epoca della Rivoluzione Culturale, poi studente di medicina e chirurgo negli Stati Uniti, Paese al quale deve la sua formazione, con olimpica tranquillità confessa di non avere una spiegazione del perché il suo metodo funziona, ma di sentirsi forte dei risultati. «Sono evidenti, sotto gli occhi di tutti: gli scienziati occidentali possono venire a constatarli» ha dichiarato alla rivista inglese Lancet. Ma nonostante abbia operato 500 persone in soli tre anni, Huang non si sente in dovere di pubblicare dati sul suo lavoro sulle riviste internazionali; si limita al Chinese Medical Journal. Di ricerche strutturate e rigorose con gruppi di confronto placebo, ed altro, non vuol sapere: «Mi occupo di gente che soffre, devo fare qualcosa per loro, non posso darmi da fare per essere accettato dalla Comunità scientifica» afferma lapidario. Senz' altro l' intervento di Huang è innovativo; secondo i suoi nemici, fino alla spregiudicatezza. DAL BULBO OLFATTORIO Si tratta, in sostanza, di una terapia "cellulare" che non utilizza, però, le ormai mitiche staminali, ma cellule gliali basali prelevate da feti abortiti di circa 16 settimane (in Cina la politica del governo per la limitazione delle nascite ne fornisce in abbondanza) coltivate in laboratorio per 14 giorni su particolari terreni di cultura sui quali il chirurgo è riluttante a dare troppe spiegazioni. Sono cellule del bulbo olfattorio (la struttura alla radice del naso da cui partono gli impulsi che permettono la percezione degli odori), progenitrici della cosiddetta glia, la sostanza bianca del cervello e dei nervi, che ha funzione di isolante e di supporto ai neuroni. LE PROPRIETA' «Cellule, presenti nel feto, ma in misura minore anche nell' organismo adulto, interessanti per le loro caratteristiche di immaturità e per la capacità di secernere fattori di crescita - spiega Eugenio Parati, Direttore del Dipartimento di neurobiologia e terapie neuroriparatrici dell' Istituto C. Besta di Milano -. Tra questi, diverse neutotrofine e il Nerve Growth Factor (NGF). Senza dimenticare la laminina e la fibronectina». Per la coltivazione in laboratorio Huang Hongyunutilizza sieri bovini - vietati in Europa per precauzione in seguito al "Morbo della mucca pazza" - che gli permettono di moltiplicarle fino a venti volte, tanto che da un solo feto riesce a ricavare il milione di cellule necessario per l' intervento sulle persone paralizzate. Intervento che avviene in anestesia generale e presuppone l' iniezione delle cellule, metà immediatamente al di sotto, l' altra metà al di sopra, dell' area di midollo spinale lesionata. Per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei nervi che comandano vari muscoli, l' operazione è più invasiva, nonostante venga eseguita in anestesia locale: dopo aver aperto il cranio, Huang inietta oltre 2 milioni di cellule nella corteccia frontale del cervello. E sono proprio questi pazienti quelli che sembrano ricavarne il maggiore beneficio. Come Judy Cooper, americana della Florida, alla quale la malattia fu diagnosticata un anno fa: quando è arrivata nell' ospedale di Pechino qualche mese fa aveva difficoltà a camminare e non riusciva a parlare. Due settimane dopo l' intervento si muoveva senza particolari problemi. LE REAZIONI Come è possibile una ripresa del genere? Il neurochirurgo cinese sostiene che i risultati sono dovuti alla grande quantità di fattori di crescita che le cellule basali gliali producono, tali da stimolare la rigenerazione delle cellule nervose. Scettici gli scienziati, ovviamente, ma non tutti. Paul Cooper, direttore del centro di chirurgia spinale dell' Università di New York confessa di essere rimasto impressionato dai risultati di Huang: «Non è un ciarlatano; - ha dichiarato al Lancet - è incredibile: ho visto gambe paralizzate tornare a muoversi; persone con le braccia immobili riuscire a tenere in mano una tazza di tè». Molto perplesso, invece, Parati: «Siamo di fronte ad uno sperimentalismo esasperato. Si è visto in vitro che queste cellule sono capaci di produrre fattori di crescita. Ma quello che accade in laboratorio non è detto che avvenga nell' organismo. E per quanto riguarda l' animale da esperimento, ci sono soltanto due studi sul ratto pubblicati negli anni scorsi che confermerebbero questa attività benefica delle cellule basali gliali. Mi sembra poco. Non dimentichiamo, infine, che l' iniezione praticata da Huang non è esente da rischi: si possono indurre tumori, ma anche provocare ematomi e piccole emorragie».
Francia Porciani
Vedi anche: miopatie metaboliche
Usa: moltiplicate per la prima volta cellule staminali cerebrali
Scienziati dell'Università della Florida hanno annunciato di aver trovato un modo per individuare cellule staminali nel cervello e moltiplicarle. La scoperta potrebbe aprire la strada nuove terapie nella lotta a malattie degenerative, come il Parkinson e la corea di Huntington. I ricercatori, che hanno condotto esperimenti sui topi, hanno studiato le staminali, cellule-madri che si trovano in tutti i tessuti, ma che sono difficili da identificare. In teoria, una volta isolate e coltivate sotto le giuste condizioni, esse possono dar vita a tipologie del tessuto desiderato. Le cellule staminali adulte possono provenire dal paziente stesso, senza dover ricorrere ai donatori. «Abbiamo usato un microscopio speciale - ha detto Tennis Steindler, che ha lavorato allo studio dell'Università della Florida - che ci permette di vedere le cellule vivere per lunghi periodi di tempo, per cui abbiamo effettivamente constatato che le staminali danno vita a nuovi neuroni. Probabilmente un metodo diverso potrebbe riuscire a individuare la madre di tutte le cellule staminali, noi siamo fiduciosi». I ricercatori hanno anche spiegato il modo in cui queste cellule vengono moltiplicate. «È come una catena di montaggio per fabbricare e accrescere il numero di cellule cerebrali. -ha detto Bjorn Scheffler, un neuroscienziato dell'Università della Florida- Possiamo prendere queste cellule e congelarle fino a quando ne avremo bisogno. Poi possiamo scongelarle, dare il via a un processo di generazione delle cellule e produrre una tonnellata di nuovi neuroni». Altri gruppi di ricerca erano finora riusciti a coltivare e a far differenziare in laboratorio delle cellule nervose, ma quello coordinato da Bjorn Scheffler, del McKnight Brain Institute, in Florida, ha potuto anche osservare il processo di neurogenesi attraverso il quale una cellula nervosa multipotente (capace cioè di svilupparsi in più direzioni), come una delle cellule che formano l'impalcatura del sistema nervoso, riesce a trasformarsi in un neurone. Il prossimo passo dei ricercatori sarà ripetere lo stesso esperimento su cellule nervose umane e, in caso di successo, si apriranno nuove possibilità per avere a disposizione riserve illimitate di cellule nervose da utilizzare in futuro per la cura di malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson. Teoricamente, secondo i ricercatori, queste provviste di neuroni potrebbero essere accumulate e conservate in un congelatore fino al momento di utilizzarle. Impossibile, comunque, stabilire quando questo diventerà possibile: la strada della ricerca in questo campo è ancora molto lunga e potrebbero occorrere anni prima di arrivare a risultati da trasformare in terapie. La stessa tecnica potrebbe essere utilizzata anche per ottenere un modello che permetta di studiare il processo di riparazione naturale delle lesioni del sistema nervoso centrale e sul quale sperimentare nuove generazioni di farmaci in grado di stimolare la rigenerazione delle cellule nervose danneggiate. Si compirebbe in questo modo un passo in avanti importante sulla strada della cosiddetta medicina rigenerativa, alla cui base c'è la capacità di stimolare e modulare l'attività delle cellule staminali
Martedì 31 Maggio 2005 Stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e risposte allo stress cellulare nelle malattie neurodegenerative ( Xagena - Neurologia )
Esiste una significativa evidenza che nella patogenesi di diverse malattie
neurodegenerative, tra cui la malattia di Parkinson, la malattia di Alzheimer,
l’atassia di Friedreich ( FRDA ), la sclerosi multipla e la sclerosi laterale
amiotrofica, sia implicata la generazione di specie reattive dell’ossigeno ( ROS
) e/o di specie reattive dell’azoto ( RNS ) associata alla disfunzione
mitocondriale.
Venerdì 22 Aprile 2005 STAMINALI: LINCEI, SI' A USO EMBRIONI ABBANDONATI
(ANSA) - ROMA, 22 APR -
Si' dall'Accademia dei Lincei all'uso degli embrioni congelati in sovrannumero
per ottenere cellule staminali a fini di ricerca. E' quanto emerge dal documento
sulle cellule staminali approvato oggi nell'adunanza delle Classi riunite
dell'Accademia con 58 voti favorevoli, 8 contrari e 14 astenuti.
21/3/2005 Una mutazione del missense nel gene PUS1 che interessa un amminoacido altamente conservato è stata associata con l'anemia mitocondriale di Sideroblastic e di Myopathy (MLASA), un disordine ossidativo recessivo autosomal raro di fosforilazione. Il gene PUS1 mette l'enzima in codice Pseudouridine Synthase 1 (Pus1p) che è conosciuto ai tRNAs dello pseudouridylate in altre specie. Il RNA totale è stato isolato dalle linee linfoblastoidi delle cellule stabilite dai pazienti, i genitori, fratelli germani inalterati ed i comandi indipendenti ed i tRNAs si sono analizzati per la presenza dello pseudouridine alle posizioni previste. I tRNAs mitocondriali e citoplasmici dai pazienti di MLASA stanno difettando della modifica ai luoghi modificati normalmente da Pus1p, mentre i tRNAs dai comandi, dai fratelli germani inalterati, o dai genitori tutti hanno pseudouridine a queste posizioni. In più, non ci era attività di Pus1p in un estratto fatto da una linea delle cellule derivata da un paziente con MLASA. La macchiatura di Immunohistochemical di Pus1p nelle linee delle cellule ha mostrato la distribuzione nucleare, citoplasmica e mitocondriale della proteina e non ci è differenza nella macchiatura fra i pazienti ed i membri inalterati della famiglia. MLASA è associato così con lo pseudouridylation assente o notevolmente ridotto di tRNA ai luoghi specifici, implicanti questa via nella relativa patogenesi molecolare.
26/3/2005 Myopathy mitocondriale in ophthalmoplegia esterno progressivo (PEO) è stato associato con le mutazioni POLG1. POLG1 mette l'unità secondaria in codice catalitica dell'alfa di gamma della polimerasi ed è l'unica polimerasi conosciuta per partecipare alla replica di mtDNA. Ha due dominii dal punto di vista funzionale differenti, un dominio della polimerasi ed un dominio di exonuclease con attività di correzione delle bozze. In questo studio abbiamo studiato direttamente se le mutazioni del punto di mtDNA sono implicate, o indirettamente, nella patogenesi degli esemplari di biopsia del PEO. Muscle dai pazienti con le mutazioni POLG1, interessante o il exonuclease o il dominio della polimerasi, è stato studiato. Singola ossidasi del citocromo c (le fibre del muscolo di COX)-deficient sono state dissecate e selezionato per le mutazioni clonally espanse del punto di mtDNA usando un'analisi denaturante sensibile di elettroforesi del gel di pendenza, in cui tre regioni differenti del mtDNA, compreso cinque geni differenti di tRNA, sono state studiate. Per selezionare per le mutazioni a caso distribuite del punto di mtDNA in muscolo, due regioni del mtDNA compreso gli scaglioni di fatturazione di omissione sono state studiate da PCR high-fidelity, seguito clonando ed ordinando. PCR a lungo raggio ha rivelato le omissioni multiple di mtDNA in tutti i pazienti ma non nei comandi. Nessuna mutazione del punto è stata identificata nelle singole fibre del muscolo di COX-deficient. La clonazione ed ordinare dell'omogeneato del muscolo hanno identificato le mutazioni a caso distribuite del punto a molto a bassa frequenza in pazienti e nei comandi (< 1:50 000). Concludiamo che le mutazioni del punto di mtDNA non sembrano coinvolgere direttamente o indirettamente nella patogenesi della malattia mitocondriale in pazienti con il giornale differente di POLG1 mutations.European della genetica umana (2005) 13, 463-469, doi:10.1038/sj.ejhg.5201341 pubblicati in linea il 9 febbraio 2005.
2/3/2005 Accumulando la prova suggerisce la disfunzione mitocondriale nel disordine bipolare. Le analisi dei geni mitocondrio-relativi che usando il DNA LARS2 significativamente aumentato indicato microarray (sintetasi mitocondriale di leucyl-tRNA) nelle cortecce prefrontal post mortem dei pazienti con disordine bipolare hanno fornito dall'accumulazione del cervello del fondamento di Stanley. LARS2 è un gene nucleare che mette l'enzima in codice che catalizza il aminoacylation di tRNA(Leu) mitocondriale. Una mutazione del punto del DNA, un 324Á>g mitocondriali bene-studiati, nella regione del tRNA(Leu (UUR)), riguardante con MELAS (myopathy mitocondriale, encefalopatia, acidosi lattica e colpo-come gli episodi), è conosciuta per fare diminuire l'efficienza del aminoacylation del tRNA(Leu (UUR)). METODI: Il livello dello stato di stabilità di LARS2 è stato esaminato nei cybrids transmitochondrial che trasportano 324Á>g. Abbiamo esaminato la mutazione 324Á>g in questi cervelli usando il metodo acido-premuto nucleico di polimorfismo di lunghezza del frammento di limitazione di reazione a catena della polimerasi del peptide. RISULTATI: LARS2 era upregulated nei cybrids transmitochrondrial che trasportano 324Á>g. Il 324Á>g è stato rilevato nei cervelli post mortem di due pazienti con disordine bipolare ed uno con la schizofrenia. Questi pazienti inoltre hanno mostrato i livelli elevati della mutazione nei loro fegati e significativamente più alta espressione del gene di LARS2 rispetto ad altri oggetti. CONCLUSIONI: Questi risultati indicano che il upregulation di LARS2 è un marchio di garanzia della mutazione 32Â>g. L'accumulazione della mutazione 324Á>g nel cervello può avere un ruolo pathophysiologic nel disordine e nella schizofrenia bipolari
Data:
04/03/2005 Testo: Topi con sintomi simili a quelli del morbo di Alzheimer hanno ritrovato la memoria dopo aver "sniffato" una proteina tutta italiana, ossia il fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf) scoperto dal Nobel Rita Levi Montalcini. La scoperta, finanziata da Telethon e pubblicata oggi sulla rivista dell'Accademia delle scienze degli Stati Uniti, Pnas, apre nuove prospettive per la terapia di questa forma di demenza, sempre più diffusa nei Paesi occidentali con il progressivo invecchiamento della popolazione. Lo studio è stato coordinato da Antonino Cattaneo, ricercatore presso la Scuola superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste e allievo di Rita Levi Montalcini, ed è stato condotto nell'ambito del progetto Telethon che mira a sviluppare strategie terapeutiche non invasive per migliorare i deficit comportamentali dell'Alzheimer. Titolare del progetto è Nicoletta Berardi, dell'Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa. I ricercatori hanno osservato che, somministrato nel naso dei topi malati, l'Ngf non solo migliora la salute delle cellule nervose, ma aiuta gli animali a recuperare la memoria, per esempio riescono a ricordare un oggetto a loro familiare. Si apre così la possibilità di compensare i danni provocati dalla malattia, con il vantaggio ulteriore di una terapia non invasiva né dolorosa: potrebbe bastare una spruzzata di Ngf nel naso perché la proteina, seguendo la pista dell'olfatto, dal naso riesca a raggiungere il cervello e a penetrare negli spazi liberi tra cellule vicine, fino a risalire al cervello. Fonte:Il Sole 24ore Sanità
Importante scoperta scientifica, trovata una nuova causa di miopatia mitocondriale
La ricerca è stata condotta dal gruppo del professor Antonio Federico, direttore della Neurologia-Malattie NeuroMetaboliche delle Scotte Una nuova causa di miopatia mitocondriale identificata a Siena dal gruppo del professor Antonio Federico, direttore della Neurologia-Malattie NeuroMetaboliche del policlinico Santa Maria alle Scotte. La scoperta è pubblicata sul numero in uscita il 18 febbraio dell'importante rivista internazionale Biochemical and Biophysical Research Communications. Si tratta dell’individuazione di una nuova mutazione a carico del DNA mitocondriale associata ad una forma ereditaria di miopatia. “Sono malattie neuromuscolari causate da disfunzioni del sistema energetico cellulare – spiega il professor Federico - che colpiscono direttamente il tessuto muscolare provocandone una progressiva degenerazione. I sintomi vanno dalla debolezza muscolare generalizzata o localizzata ad esempio ai muscoli oculari”. L’evoluzione della malattia limita la capacità deambulatoria dei malati e, in casi estremi, compromette le funzionalità cardiache. “La scoperta scientifica – aggiunge Federico - interamente condotta a Siena, conferma l'alta qualità della ricerca neurobiologica e clinica del nostro gruppo che, nel 2004, ripetendo quanto già avvenuto negli anni precedenti, ha pubblicato oltre 30 lavori sulle principali riviste scientifiche internazionali. Tale successo è legato all’alta specializzazione del gruppo, con collaboratori entusiasti ed operosi”. Un successo ottenuto malgrado le precarie condizioni della ricerca scientifica italiana che premia un gruppo che riesce a competere con grandi università internazionali e ad attrarre a Siena pazienti dalle altre regioni italiane ed anche dall'estero. “Recentemente – conclude Federico - un paziente affetto da una forma simile di miopatia mitocondriale è giunto a noi inviato dalla Russia".
Disturbi metabolici associati a mutazioni mitocondriali
Xagena - Metabolismo ) - Presso l’Università di Yale e Syracuse negli
Usa, alcuni ricercatori hanno scoperto che una mutazione nel DNA
mitocondriale
può influenzare i livelli di colesterolo ed i valori pressori. La sindrome
metabolica sta diventando un emergente problema nei Paesi Occidentali, ed ha
assunto caratteristiche epidemiche negli USA. La sindrome metabolica è
caratterizzata da alta pressione sanguigna, alti livelli di colesterolo e di
trigliceridi, resistenza all’insulina, obesità e basso livello di colesterolo
HDL.
L'obiettivo è quello di trovare farmaci per arrestare la MND GB: sì a Wilmut. Potrà clonare embrioni umani AB: sì a Wilmut. Potrà clonare embrioni umani LONDRA (GRAN BRETAGNA) - Un passo di rilevante importanza scientifica e non solo. Il governo britannico ha concesso la licenza per attività scientifiche di clonazione terapeutica di esseri umani a Ian Wilmot, Lo scienziato la cui équipe creò nel 1996 la pecora "Dolly" LA
RICERCA - Wilmut clonerà embrioni umani
per studiare la malattia del
moto-neurone (MND), una patologia che provoca la morte dei neuroni
che controllano i movimenti nel cervello e nel midollo spinale.
La clonazione terapeutica è legale in Gran Bretagna dal 2001, ma da
allora l'authority preposta al vaglio delle autorizzazioni
ha concesso il proprio parere positivo solo un'altra volta. Al
Roslin Institute di Edimburgo, dove il papá di Dolly lavora, si intendono
clonare embrioni con la MND per studiarne la
progressione «con dettagli di precisione inimmaginabili con altri
metodi». 08 febbraio 2005
Usa. Come le staminali si trasformano in neuroni, uno studio (Anno IV Numero 80 del 4 Febbraio 2005)
E' stato
pubblicato sulla rivista scientifica Neuron uno studio che apre la via
allo sviluppo di terapie per le malattie neurovegetative del sistema nervoso
come il Parkinson, la malattia di Huntington e la sclerosi laterale amiotrofica.
Terapie basate sulla manipolazione dei geni e delle molecole dedicati al
controllo dello sviluppo dei neuroni potrebbero permettere a quelli danneggiati
di sopravvivere e funzionare, o indurre le cellule staminali a differenziarsi
per sostituirli.
SCOPERTO IL GENE ETHE1, RESPONSABILE DELL’ENCEFALOPATIA ETILMALONICA Individuato il gene responsabile dell’Encefalopatia Etilmalonica, una malattia metabolica dell’infanzia che porta al decesso dei pazienti entro la prima decade di vita. Da oltre dieci anni numerosi ricercatori avevano tentato invano di identificare le basi biochimiche o molecolari della malattia, descritta per la prima volta negli anni ’90 da ricercatori italiani tra cui la dottoressa Barbara Garavaglia. Lo studio, svolto dall’equipe del dottor Zeviani è partito dall’analisi di venti famiglie consanguinee e, attraverso una strategia di selezione innovativa, è stato possibile identificare le mutazioni genetiche che causano la malattia. Il gene causativo si trova sul cromosoma 19 e produce una proteina, battezzata Ethe1, che agisce nei mitocondri: Anomalie di Ethe1 scatenano la patologia. Grazie anche al sostegno della Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani ONLUS, sono attualmente in corso studi funzionali di Ethe1 per sviluppare nuove strategie terapeutiche. L’intera ricerca è stata pubblicata dalla rivista American Journal of Human Genetics
Associazione tra polimorfismi a singolo nucleotide del gene SLC25A12 ed autismo
L'autismo è un disturbo che colpisce
bambini attorno all'età di 3 anni , in prevalenza i maschi.
L'aldeide-deidrogenasi mitocondriale e le specie reattive di ossigeno sono coinvolte nella tolleranza alla Nitroglicerina
Studi hanno dimostrato che l'aldeide-deidrogenasi
mitocondriale ( ALDH-2 ) svolge un ruolo centrale nel processo di biotrasformazione in vivo della Nitroglicerina ( GTN ) e che la sua inibizione è
responsabile della tolleranza.
Alterata attività mitocondriale nella prole insulino-resistente di pazienti affetti da diabete di tipo 2
La resistenza all'insulina sembra
essere il miglior predittore per lo sviluppo di diabete nei bambini dei pazienti
con diabete di tipo 2, ma non è noto il meccanismo che ne sta alla base.
Per la prima volta il Dna
mitocondriale è stato riconosciuto come direttamente legato a marcatori
metabolici del diabete di tipo 2. In quest’ultimo studio del Cold Spring Harbor Laboratory sono stati confrontati due diversi ceppi di topi da laboratorio con corredi genetici nucleari virtualmente identici tra loro ma genomi mitocondriali differenti. Secondo quanto riportato sulla rivista on-line "Genome Research”, gli studiosi hanno così potuto constatare come i due ceppi di animali avessero significative differenze nel metabolismo dell’energia e nel suo immagazzinamento. In particolare, uno dei due mostrava una tolleranza al glucosio deficitaria, una sintesi muscolare del glicogeno ridotta e bassi livelli di ATP muscolo-scheletrica, oltre a una diminuita attività di un enzima implicato nella produzione di energia denominato citocromo c ossidasi. Tutte queste alterazioni sono caratteristiche anche del diabete umano. Una volta ottenute alcune sequenze genetiche estratte dai mitocondri, sono state individuate varianti genetiche che codificano per proteine coinvolte nella produzione di energia. Così, per la prima volta, si è riusciti a collegare direttamente varianti genetiche mitocondriali a marcatori metabolici per il diabete tipo 2.“Il nostro studio getta una luce sul ruolo delle variazioni del Dna mitocondriale”, ha spiegato Theodore Kurtz, che ha coordinato il progetto di ricerca. “Inoltre, i modelli animali sviluppati nel nostro studio aprono la strada a futuri studi in cui potranno essere analizzati ulteriormente gli effetti di tali variazioni, considerando fissato il patrimonio genetico nucleare.”
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/DNA_mitocondriale_e_diabete/1310845
Cardiotossicità da antracicline
2004: un anno importante di scelte politiche
Il 2004
e' stato un anno importante per la medicina rigenerativa. Notizie di scoperte
scientifiche e politiche si sono rincorse un po' in tutto il mondo. Se in
febbraio la Corea del Sud ha fatto parlare di se' con la prima
clonazione di un embrione umano per poterne derivare cellule staminali, la
Gran Bretagna nell'agosto ha autorizzato il primo progetto di clonazione
terapeutica al gruppo dell'Universita' di Newcastle. Obbiettivo: sconfiggere
il diabete, una malattia che colpisce nel mondo 180-200 milioni di persone.
"La nostra ambizione e' che il Regno Unito diventi la capitale della scienza
del mondo", ha detto in seguito il premier Tony Blair. "Una ricerca
adeguatamente regolata potrebbe cambiare le speranze di vita di persone che
soffrono del morbo di Parkinson, di quello di Alzheimer, di diabete, o delle
vittime di ictus. Noi non bloccheremo questa ricerca. I benefici potenziali
sono enormi. Non e' giusto negare la speranza di una cura alle persone che
soffrono di queste malattie". "Oggi vogliamo dare un segnale, e dire che la
Gran Bretagna e' il posto dove fare le ricerche sulle staminali".
Donatella Poretti
Ricavate dal muscolo cellule staminali «curatrici»
Potrebbero essere impiegate per riparare lesioni come le distrofie, le sclerosi, Parkinson, Alzheimer e ictus
MILANO
-
Da un pezzo di muscolo
del braccio più piccolo di una caramella si possono ottenere
cellule staminali capaci di riparare danni al tessuto muscolare e al
sistema nervoso. La nuova scoperta, contenuta nella ricerca firmata da un gruppo
di scienziati
dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, degli Spedali Riuniti e
dell'Università di Brescia, finanziata dalla Regione Lombardia e
pubblicata sull'ultimo numero di «Lancet», è stata presentata a Milano alla
presenza del presidente lombardo, Roberto Formigoni.
Il fenomeno e' stato osservato dall'Universita' di Ancona (ANSA) - ROMA, 22 NOV - Le cellule adulte possono trasformarsi radicalmente e cambiare identita' proprio come fanno le cellule staminali. Il fenomeno, osservato negli animali in una condizione fisiologica come l'allattamento, dai ricercatore dell'Universita' di Ancona, ha portato alla conclusione che la cellula adiposa matura puo' trasformarsi in un'altra cellula matura svolgendo un'altra funzione come la cellula epiteliale. Lo ha confermato Saverio Cinti, coordinatore del gruppo di ricerca.
[ Xagena - Psichiatria (Chi soffre di Disturbo Bipolare fa esperienza di oscillazioni dell'umore molto intense che vanno da uno stato depressivo ad una condizione di grande eccitamento.) ] -
Il meccanismo alla base del
disturbo bipolare resta ancora sconosciuto.
Inibitori della deformilasi come farmaci antitumorali Ricercatori dello Sloan-Kettering Institute a
New York, mentre stavano studiando l'enzima deformilasi, hanno trovato che un
antibiotico, Actinonina, in grado di inibire la deformilasi, può inibire la
crescita tumorale. Fonte: Sloan-Kettering Institute, 2004
30.10.2004 Gli aggregati di proteine tossiche interferiscono con il proteasoma Le malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, il Parkinson o la sclerosi laterale amiotrofica, sono caratterizzate da differenti tipi di perdita delle funzioni nervose (da cali di memoria a movimenti muscolari incontrollabili), ma si ritiene che condividano molti meccanismi molecolari. Un gruppo di scienziati della Northwestern University, guidato dal biologo Richard I. Morimoto, ha effettuato una scoperta che potrebbe aiutare a comprendere uno di questi meccanismi. Studiando le proteine tossiche coinvolte nella corea di Huntington, i ricercatori hanno scoperto che la proteina responsabile della malattia interferisce gravemente con il funzionamento del proteasoma, il macchinario cellulare che si occupa di eliminare le proteine danneggiate all'interno della cellula. Lo studio, che potrebbe suggerire come prevenire alcune malattie neurodegenerative e sviluppare farmaci più efficaci, è stato pubblicato sulla rivista "European Molecular Biology Organization Journal". In tutti i disturbi neurodegenerativi umani sono presenti proteine danneggiate o ripiegate erroneamente, che si accumulano insieme per formare aggregati tossici. Il team di Morimoto è il primo a dimostrare in cellule umane viventi e in tempo reale che gli aggregati di proteine tossiche, in questo caso provocate dall'Huntingtina mutante, si legano irreversibilmente al proteasoma e impediscono la completa degradazione della proteina. © 1999 - 2004 Le Scienze S.p.A
GB: MENTRE ONU DIBATTE, PARTE CLONAZIONE TERAPEUTICA /ANSA (ANSA) - LONDRA, 20 OTT
- Un gruppo di ricercatori dell'universita' britannica di Newcastle ha gia'
cominciato i primi studi mirati a clonare embrioni dai quali estrarre cellule
staminali da utilizzare in possibili trattamenti contro malattie incurabili come
l'Alzheimer ed il morbo di Parkinson. Corea di Huntington - Disfunzione dei mitocondriMalattia neurodegenerativa rara (4000 persone affette in Italia) e fatale con sintomi impressionanti (movimenti involontari e scoordinati, disturbi comportamentali e demenza). Finora non c'è terapia. Al contrario delle più frequenti neurodegenerazioni come Alzheimer e Parkinson, è sempre causata da un difetto genetico, una mutazione in una proteina chiamata huntingtina. Mutazione particolare, che introduce una serie di aminoacidi (glutamina) in eccesso nella proteina. Questo tipo di mutazione è stato identificato recentemente per varie malattie neurologiche che ora vengono raggruppate come 'polyglutamine diseases'. Non si sa come esattamente le glutamine esplichino la loro azione dannosa. Questo nuovo studio pubblicato in anticipo su Nature Neuroscience dimostra che la huntingtina mutata provoca una disfunzione dei mitocondri (gli organelli delle cellule che, come le centrali termiche, producono energia). I mitocondri sono indispensabili per la sopravvivenza cellulare (i neuroni sono cellule con alto fabbisogno energetico) e una loro disfunzione è discussa anche nel caso dell'Alzheimer e del Parkinson. Finora non si è potuto comunque dimostrare la disfunzione dei mitocondri in modo così chiaro come avviene in questo studio che, usando mitocondri isolati dai pazienti e da topi transgenici che producono huntingtina patologica, dimostra che le loro membrane cellulari sono elettricamente instabili (si depolarizzano molto più facilmente in presenza di calcio rispetto a mitocondri normali). È possibile che l'effetto sia mediato direttamente dalla huntingtina mutata perché solo questa si lega ai mitocondri, come viene dimostrato tramite microscopia elettronica. La sofferenza dei mitocondri è generale, perché dimostrabile anche nei mitocondri dei globuli bianchi del sangue. Rimane per ora un mistero il fenomeno della 'vulnerabilità selettiva' di quel gruppo di neuroni che dopo molti anni degenera causando sintomi neurologici e infine la morte dei pazienti. Coenzima Q10 nel Parkinson Viene oggi pubblicato su Archives of Neurology uno studio (abstract + editoriale) eseguito su 80 pazienti affetti dalla malattia di Parkinson in un primo stadio con sintomi leggeri che non richiedevano ancora terapia farmacologica. Somministrando dosaggi alti (fino a 1200mg al giorno) di coenzima Q10 si è osservato un rallentamento della progressione nell'arco di 16 mesi di osservazione. Il coenzima Q10 (anche chiamato ubichinone o ubidecarenone, la figura mostra la sua formula) è una molecola fisiologica con proprietà antiossidanti ('anti-ruggine') che si trova in tutte le membrane cellulari tra cui le membrane interne dei mitocondri, dove fa parte del complesso I della cosiddetta catena respiratoria, coinvolta nella produzione di energia da parte dei mitocondri. È stato dimostrato in passato che nella malattia di Parkinson si trova una riduzione di complesso I in una delle zone affette da neurodegenerazione (substantia nigra del tronco cerebrale). Da cui il tentativo di sostituire il coenzima Q10 che viene venduto da tempo (a dosaggi molto più bassi di quelli usati nello studio) nelle erboristerie per una sua presunta azione generale contro i processi di invecchiamento. Il presente studio è piccolo (i risultati sono al limite della significatività statistica) e non permette un giudizio definitivo sull'efficacia nel Parkinson (già 10 anni fa uno studio preliminare dichiarava un effetto protettivo della selegilina che allora fu largamente impiegata nella terapia del Parkinson ma abbandonata quando studi successivi hanno revocato l'esistenza di questo effetto).
EMILIA ROMAGNA POTENZIA ASSISTENZA AI DISABILI GRAVI Bologna, 5 ott. (Adnkronos) - Assegni di 23 euro al giorno per le famiglie che assistono persone con gravi disabilita' acquisite, pagamento totale della retta, nel caso i pazienti siano ricoverati in strutture residenziali e maggiore integrazione tra rete ospedaliera, Aziende Usl e servizi sociali dei Comuni. Sono questi i punti chiave della delibera della Regione Emilia Romagna che ha come obiettivo il sostegno delle persone con gravissime cerebrolesioni e patologie come la sclerosi laterale amiotrofica. Il costo totale di questi interventi e' di 5 milioni di euro. Secondo una stima della Regione, in Emilia Romagna sarebbero circa 600 i pazienti con gravi disabilita' acquisite e con un livello molto basso di autosufficienza. Molti sono stati vittime di incidenti stradali: sono infatti i trauma cranici le cause piu' diffuse della disabilita' Nuova scoperta sul suicidio cellulare Di Italiasalute.it Capire a fondo il suicidio cellulare
permetterà di sviluppare farmaci per numerose malattie genetiche. Capire a fondo il suicidio cellulare permetterà di sviluppare farmaci per numerose malattie geneticheLe cellule vengono frequentemente raggiunte da minacce di
morte che possono indurle al suicidio: tali minacce vengono raccolte da una
serie di “postini” molecolari, gli ioni calcio, e consegnate a strutture
tubulari molto lunghe, una sorta di gallerie fatte da mitocondri, le
centrali energetiche della cellula che possono trasformarsi in centrali di
autodistruzione. Ma l’interruzione di tali gallerie ad opera di alcune
“macchine molecolari”, come la
proteina Drp-1 ( dynamin-related protein-1) , blocca il flusso
di ioni calcio all’interno della cellula proteggendola da alcuni dei segnali
mortali.
IN VENETO GRATUITI FARMACI PER MALATTIE RARE NEUROLOGICHECOMUNICATO STAMPA N. 1158 DEL 20/07/2004(AVN) Venezia, 20 lug. - In Veneto saranno presto completamente a carico del Servizio Sanitario Pubblico tutta una serie di farmaci per curare molte malattie rare di tipo neurologico che invece, su scala nazionale, sono inseriti nella cosiddetta "Fascia C" a totale carico dell'assistito.
Lo ha deciso la Giunta regionale nella sua ultima seduta su proposta dell'assessore alla sanità Fabio Gava.
"Quello delle malattie rare - sottolinea Gava - è un settore molto delicato per le ricadute sui pazienti e sulle loro famiglie, e molti farmaci indispensabili sono ancora a carico del paziente. L'allargamento delle esenzioni che abbiamo inserito con questa delibera è una doverosa presa d'atto di queste difficoltà, supportata dal parere di uno specifico tavolo tecnico per l'identificazione dei protocolli di trattamento farmacologico delle malattie rare neurologiche, che ha stilato una tabella di farmaci da inserire nelle esenzioni" T ali farmaci sono l'Amantadina, il Baclofene 10 mg., il Clobazam, la Vitamina E, il Piracetam, il CoQ10, la Levocarnitina e la Quetapina. Essi consentono di curare ben 34 diverse malattie, tra le quali la sclerosi laterale amiotrofica e primaria, le leucodistrofie, e 5 tipi di epilessie farmaco-resistenti.
La dispensazione dei medicinali potrà essere richiesta sulla base del Piano Terapeutico redatto dal medico specialista certificatore operante in uno dei presidi accreditati nella regione Veneto. Visto il veloce evolversi della farmaceutica in questo settore, l'elenco di farmaci esenti verrà rivalutato e aggiornato almeno una volta all'anno. A cura dell'Ufficio Stampa della Regione Veneto
Venerdì 27 Agosto 2004, 19:18 SANITA': ACCORDO TRIVENETO PER CURA MALATTIE RARE
(ANSA) - TRIESTE, 27 AGO - Le Regioni
Friuli-Venezia Giulia e Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano
sottoscriveranno un accordo per coordinare e monitorare le attivita'
assistenziali in tema di malattie rare, con l' obiettivo di garantire ai
pazienti affetti da questo genere di patologie pari opportunita' di diagnosi,
trattamento e
cura.
Mercoledì 30 Giugno 2004, 10:11 Anomalie del DNA mitocondriale sono associate a disordini dello spettro autistico Di PediatriaOnline.net ( Xagena - Pediatria ) - Scopo
dello studio è stato quello di individuare le alterazioni del DNA
mitocondriale associate alle caratteristiche
autistiche , ed in particolare la mutazione A3243G nel DNA
mitocondriale e la deplezione del DNA
mitocondriale.
Il Mitocondrio è un organulo cellulare all'interno del quale avviene la
produzione di energia sotto forma di ATP; i mitocondri sono dotati di un proprio
DNA, diverso quindi da quello della cellula, che si replica mediante l'enzima DNA-polimerasi gamma. Questo danno a livello
mitocondriale rappresenta verosimilmente il
meccanismo attraverso il quale hanno origine diverse complicanze che si possono
osservare in corso di terapia antiretrovirale, come per esempio la pancreatite,
la neuropatia periferica, l'acidosi lattica, la steatosi epatica e la
lipodistrofia (Tabella 1). Tabella 1
L'acidosi lattica e la pancreatite rappresentano sicuramente le manifestazioni patologiche più gravi e potenzialmente fatali.
Eziopatogenesi molecolare delle Encefalomiopatie Mitocondriali
Un numero sempre crescente di disordini ad interessamento
multisistemico riconosce come causa una possibile disfunzione a carico della
catena respiratoria mitocondriale. Una volta
sospettata una patologia di tipo mitocondriale sulla
base di dati clinico-laboratoristici, la definitiva diagnosi viene raggiunta
solo dopo aver evidenziato lo specifico difetto molecolare ed averne confermato
la patogenicità attraverso una serie di criteri indipendenti: possibile natura
eteroplasmica in specifici tessuti, segregazione con il fenotipo clinico,
correlazione con difetti molecolari dimostrabili a livello tissutale ed in
sistemi cellulari. Inoltre alcune mutazioni del genoma
mitocondriale (mtDNA) sono associate a pattern clinici predicibili, ma
spesso il grado di variabilità oltrepassa la stretta correlazione
genotipo-fenotipo, suggerendo l'implicazione di altri fattori, inclusi quelli
derivanti da particolari aplotipi del mtDNA o da differenti background nucleari.
Lo studio, condotto nella prima parte del progetto, prevedeva l'impiego di
tecniche robotizzate di sequenziamento massivo onde acquisire genomi
mitocondriali interi per la "detection" di nuove mutazioni e di nuove possibili
correlazioni della variabilità clinica delle encefalomiopatie
mitocondriali.
Nella seconda parte del progetto l'applicazione di metodiche post-genomiche,
basate sulla valutazione dell’espressione genica tramite microarrays e Real-Time
PCR, ha permesso di investigare sorgenti di variabilità clinica legate
all’assetto genico nucleare.
Ricercatore Usa: «Non abbiamo alterato i geni»
La tecnica usata per far partorire alcune donne infertili non altera i geni ma semplicemente aggiunge materiale innocuo
WASHINGTON - La
tecnica usata dai ricercatori che hanno fatto
nascere i primi bambini geneticamente alterati
non manipola i geni, ma semplicemente
aggiunge innocuo materiale extra
genetico nei nuovi esseri: lo ha dichiarato il direttore
scientifico dell'Istituto per la medicina riproduttiva a St. Barnas, nel
New Jersey, che ha guidato gli esperimenti. «Non
abbiamo cambiato alcun gene» ha dichiarato Jacques Cohen,
«questo sarebbe stato un passo molto grande
rispetto a questa piccola cosa che abbiamo portato a termine. Comunque
si può dire che normalmente ci sarebbe stato un mitocondrio da una sola
fonte (la madre). Ora c'è un
mitocondrio da due fonti, e quindi ci sono due diversi tipi di
Dna mitocondriale». 5 maggio 2001 (http://www.corriere.it/)
Neanderthal e homo sapiens non sono parenti I ricercatori italiani hanno confrontato il Dna degli esemplari dei due gruppi rinvenuti in Puglia nel 1988
LO
STUDIO - Da questo risultato gli scienziati hanno dedotto che il
nostro diretto antenato non si è mai
accoppiato con uomini di Neanderthal, limitandosi a
dividere con loro i territori
colonizzati durante il tardo Pleistocene, circa 40 mila anni fa. «Abbiamo
esaminato il Dna dei
mitocondri
estratto dagli scheletri di quattro
Neanderthaliani vissuti tra 29 e 42 mila anni fa, poi quello di
due scheletri pugliesi di uomo anatomicamente moderno risalenti a circa 14 mila
anni fa, già battezzati uomini di Cro-Magnon, infine quello di un vasto gruppo
di individui contemporanei», racconta Bertorelle spiegando che i
mitocondri sono organelli delle cellule che servono per produrre energia e che sono dotati di un
proprio pacchetto di geni molto utile negli studi sul passato degli uomini. (http://www.corriere.it/)
Italiani Scoprono Radicali Liberi Buoni
Roma, 9 mag. 2003 - Importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi protettivi contro gravi malattie neurodegenerative. I ricercatori dell'Istituto di patologia generale della Cattolica di Roma, hanno localizzato nel citoplasma alcuni radicali liberi buoni, che attivano un enzima anti-ossidante utile ad allontanare i temuti radicali liberi nocivi, che si trovano nei mitocondri e sono responsabile della morte delle cellule nervose. Lo studio, apre la strada ad importanti ricadute terapeutiche, possiamo infatti pensare di mettere a punto farmaci in grado di ridurre i radicali liberi nocivi nei mitocondri, per la cura di malattie come demenze e Parkinson'. Tutto nasce dal fattore neurotrofico (Nerve Growth Factor, scoperto dal Nobel Montalcini), che protegge le cellule neuronali dalla morte programmata. E questo proprio sfruttando i radicali liberi buoni attraverso un circuito che attiva l'enzima antiossidante che elimina i radicali liberi mitocondriali. I risultati si inseriscono nel piano di ricerca che da tempo stiamo seguendo per comprendere i meccanismi dei radicali liberi, siano di danno o di protezione. Meccanismi importanti per la segnalazione cellulare, perché permettono di trasmettere al nucleo della cellula informazioni essenziali per la produzione di proteine. Fattori neurotrofici quali il Nerve Growth Factor (NGF) sono alla base dei meccanismi di sopravvivenza dei neuroni. Fino a oggi però gran parte dei meccanismi che regolano questo processo erano in gran parte ignoti. La scoperta è piuttosto sorprendente, dal momento che i radicali liberi sono tradizionalmente considerati agenti nocivi implicati nello sviluppo di malattie neurodegenerative. L'iniziale aumento di radicali liberi che si verifica servirebbe in realtà proprio a vaccinare le cellule contro lo stress ossidativo, attraverso l'induzione delle difese antiossidanti (messe in campo dall'enzima della superossidodismutasi 2). Insomma, almeno in teoria e' possibile sostituire l'azione dei fattori neurotrofici, carenti in alcune malattie neurodegenerative, attraverso un farmaco che rimuove i radicali liberi cattivi, quelli mitocondriali, impiegando antiossidanti selettivi.
Miopatia metabolica con insufficienza di carnitina "Sono affetta da miopatia metabolica (diagnosticatami dal professor Corrado Angelini) e grazie a una dieta ferrea priva di grassi a lunga catena, alla somministrazione orale di due grammi al giorno di carnitina e all'uso di olio MCT [olio con grassi a corta catena che possono essere utilizzati senza carnitina, N.d.R.], ora sto bene e desidero saperne di più sulla mia patologia". Questa, in sintesi, la testimonianza che una lettrice di Roma ci ha fatto pervenire. In merito abbiamo interpellato lo stesso professor Angelini, direttore del Centro di epidemiologia e prevenzione delle malattie neuromuscolari di Padova. Le miopatie metaboliche da accumulo di lipidi sono caratterizzate, come dice il nome, da un eccessivo "immagazzinamento" di grassi da parte delle fibre muscolari, che può essere causato da un deficit di carnitina. La carnitina, infatti, svolge un importante ruolo nel trasporto di acidi grassi a lunga catena ai mitocondri (dove essi vengono sottoposti ad un processo di ossidazione) e la carenza di essa provoca un aumento di lipidi (in particolare di trigliceridi). Il difetto di carnitina può essere il risultato di problemi nella sintesi di questa sostanza da parte del fegato, o nel trasporto ad alta affinità dal sangue ad altri organi, muscoli compresi (si parla in questo caso di deficit di carnitina sistemico), oppure ancora nel trasporto attivo di carnitina dal fluido extracellulare nel muscolo (forma miopatica del deficit di carnitina). La miopatia da deficit di carnitina ha solitamente una trasmissione autosomica recessiva; i primi sintomi si manifestano nella prima infanzia o in età adulta ed è presente debolezza muscolare generalizzata, che colpisce in particolare i muscoli prossimali e, talvolta, i muscoli del collo. Dal punto di vista biochimico, il livello di carnitina può risultare normale nel siero, ma ridotto nel tessuto muscolare. Questa paziente, da me seguita sin dall'età di otto anni, era arrivata alla nostra osservazione con diagnosi di distrofia muscolare. Il nostro centro a suo tempo diagnosticò invece proprio una sindrome da difetto di carnitina, e la mise in trattamento con carnitina e con dieta MCT. In alcune malattie metaboliche da accumulo di lipidi, tale trattamento è estremamente efficace, come ad esempio nei bambini con cardiomiopatia e disturbo del trasporto ad alta affinità della carnitina, dove evita il trapianto cardiaco. Si tratta di sindromi rare e di difficile riconoscimento, ma una diagnosi accurata permette la messa in atto di un'efficace terapia da cui il paziente può trarre beneficio.
Una miopatia: la Glicogenosi di tipo II
Ci scrivono dalla Repubblica di San Marino i genitori di un bambino di quattro anni e mezzo, affetto da una forma infantile di Miopatia metabolica da difetto di maltasi acida (Glicogenosi di tipo II). Oltre ad informazioni generali su questa patologia, ci viene chiesto in particolare se esistano delle regole da adottare a livello alimentare che possano essere di qualche beneficio e se l'attività sportiva sia controindicata in questo tipo di pazienti. Risponde il professor Carlo Trevisan, professore associato di neurologia presso la Clinica neurologica II dell'Università di Padova. La Glicogenosi da deficit di maltasi è una rara malattia genetica che si caratterizza per l'accumulo di glicogeno nel muscolo scheletrico che provoca un progressivo disturbo della forza muscolare. Essa viene chiamata anche Glicogenosi tipo II, e porta a disturbi dovuti all'incapacità dell'organismo di utilizzare correttamente il glucosio immagazzinato come glicogeno, nonché ad alterazioni causate dall'accumulo del glicogeno stesso nei lisosomi (particolari strutture che si trovano nella fibra muscolare) dei tessuti. Nella forma infantile, questa malattia si esprime con particolare gravità determinando anche cardiomegalia (dilatazione cardiaca) associata ad alterazioni di altri tessuti quali il fegato e il sistema nervoso. Nelle forme ad esordio tardivo, invece, i sintomi sono limitati al muscolo e l'andamento dei disturbi è spesso relativamente benigno. Il modo eterogeneo di presentarsi della malattia dipende dalla differente riduzione della quantità di enzima nel muscolo, verosimilmente in collegamento a diverse mutazioni del gene della maltasi acida, che è stato localizzato nel cromosoma 17 (regione q 21-23). Per le diverse forme in cui si esprime la miopatia da deficit di maltasi acida, non sono state ancora identificate valide terapie: sono stati altresì tentati approcci terapeutici con vitamina A o con ormoni di tipo tiroideo, corticosteroide o progestinico, ma senza successo. Ugualmente inefficace si è rivelato il trattamento con dieta a basso contenuto di zuccheri, con l'aggiunta, in alcuni casi, di epinefrina. L'intervento sul piano dietetico è tuttavia quello che suscita più interesse, perché in alcuni pazienti con deficit di maltasi acida ad esordio tardivo si sono ottenuti dei dati positivi, anche se parziali, con dieta ad alto contenuto di proteine (50% di carboidrati, 20% di grassi, 30% di proteine). Questo tipo di dieta non è tuttavia risultato valido per tutti i pazienti ed essa va pertanto discussa di caso in caso con il medico curante. La terapia di base della malattia resta comunque sconosciuta. Per quanto riguarda l'impegno muscolare dei pazienti con forme di questa malattia, va ricordato che in generale l'attività fisica va espletata in modo spontaneo e secondo le attitudini naturali, evitando tuttavia sforzi o impegno muscolare prolungato e con la regola di interrompere l'attività quando insorgono i primi segni di stanchezza. In generale, l'attività fisica di questi pazienti - inclusa quella sportiva - dovrebbe comunque essere valutata di volta in volta con il neurologo e il fisiatra che hanno in carico il soggetto, data la notevole variabilità con cui si presenta la malattia.
Principi di genetica mitocondriale.
La genetica del mtDNA dei vertebrati ha le seguenti caratteristiche peculiari, che la distingue dalla genetica mendeliana classica. 1. Eredità materna. La trasmissione dell'informazione genetica mitocondriale non segue le leggi di Mendel. Infatti, la madre trasmette il proprio mtDNA alla discendenza, e le figlie trasmettono a loro volta il loro mtDNA alla generazione successiva, ma il gamete maschile non dà alcun contributo al genotipo mitocondriale dello zigote. Tale tipo di trasmissione è probabilmente dovuta al fatto che i pochi mitocondri contenuti nel colletto dello spermatozoo non entrano nell'uovo durante la fecondazione, o ne vengono rapidamente eliminati attraverso un meccanismo sconosciuto. 2. Poliploidia. A differenza dei geni nucleari, presenti in due copie (o alleli) per ciascun nucleo, il numero di copie di ciascun gene mitocondriale presenti in ogni cellula umana raggiunge l'ordine delle migliaia. In ciascuna cellula vi sono infatti centinaia di mitocondri, ciascuno dei quali a sua volta contiene da due a dieci copie di mtDNA. Durante la divisione cellulare, i genomi mitocondriali seguono la distribuzione (stocastica) degli organelli che li ospitano. 3. Elevata velocità di mutazione. I mitocondri sembrano mancare di un efficiente sistema di riparazione del DNA. Inoltre, il mtDNA non è protetto da istoni, ed è localizzato in prossimità della membrana mitocondriale interna, dove vengono prodotti radicali liberi altamente mutagenici, come sottoprodotti della fosforilazione ossidativa. Queste peculiari divisione mitotica possa variare secondo uno spettro continuo, in accordo con la distribuzione degli organelli. Si può avere una enorme variazione della percentuale di mutazione sia da cellula a cellula, o da tessuto a tessuto dello stesso individuo, sia tra individui diversi della medesima discendenza materna. Questo fenomeno spiega in parte anche la estrema variabilità fenotipica delle malattie mitocondriali causate da mutazioni del mtDNA. Tuttavia, in genere gli effetti patologici di una tazione(eteroplasmica) insorgono solo quando la proporzione relativa tra mtDNA mutato e mtDNA normale supera una determinata soglia. In queste condizioni, il mtDNA normale non è più in grado di complementare il mtDNA difettoso, che potrà quindi esprimere il proprio fenotipo patologico. L'espressione fenotipica di una mutazione del mtDNA dipende dalla natura patogena "intrinseca" della mutazione stessa ma anche dalla sua distribuzione tissutale, e dalla dipendenza di ciascun organo dall'energia fornita dalla respirazione mitocondriale. Gli organi più sensibili a difetti della fosforilazione ossidativa sono, nell'ordine, il sistema visivo e uditivo, il sistema nervoso centrale e periferico, il cuore, i muscoli scheletrici, il pancreas endocrino, i parenchimi renale ed epatico, etc. Infine, la gravità degli effetti di una mutazione del mtDNA può essere influenzata da altri fattori, incluso la coesistenza di altre mutazioni o polimorfismi dello stesso mtDNA, l'età dell'individuo, e fattori ambientali ed epigenetici.
Malattie mitocondriali. Difetti di trasporto intramitocondriale dei substrati energetici, i difetti di utilizzazione dei substrati, ed i difetti della fosforilazione ossidativa.Le alterazioni morfologiche più note riguardano il muscolo scheletrico, le cui fibre vanno incontro ad una proliferazione di mitocondri anormali, specie quelli localizzati sotto il sarcolemma, che causa la insorgenza delle cosiddette fibre "ragged-red" (fibre "rosse stracciate", RRF). La proliferazione mitocondriale è chiaramente dimostrata anche dall'intensa reazione istochimica delle fibre ragged-red all'enzima Succinato Deidrogenasi, parte del complesso respiratorio II. Un'altra alterazione frequente è la presenza di fibre muscolari che risultano negative alla reazione istochimica per la citocromo c ossidasi (COX), il complesso respiratorio IV. Dal punto di vista laboratoristico, un'alterazione frequente è la presenza di elevati livelli di acido lattico nel sangue (e, spesso, anche nel liquor cefalo-rachidiano). L'accumulo di lattato è causato dall'insufficienza della respirazione mitocondriale, e dalla conseguente riduzione dell'acido piruvico, accumulatosi come prodotto terminale della glicolisi, in acido lattico da parte della lattico deidrogenasi citoplasmatica. Tuttavia, caratteristiche "mitocondriali" tipiche possono essere assenti anche in entità cliniche sicuramente causate da mutazioni del mtDNA. L'esempio più noto è quello della Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber (LHON), o del complesso Neuropatia Atassia, Retinite Pigmentosa (NARP) (v. oltre). L'identificazione di mutazioni del mtDNA ha fornito le basi per l'attuale classificazione dei disordini mitocondriali. Un primo gruppo di malattie è caratterizzato dalla presenza di mutazioni del mtDNA, ad insorgenza sporadica, o a trasmissione materna. Un secondo gruppo è costituito dall'associazione di mutazioni del mtDNA con la trasmissione mendeliana della malattia. Si ritiene che questo gruppo di malattie siano causate da mutazioni in geni nucleari, il che giustifica l'eredità mendeliana, che controllano la integrità strutturale e la propagazione del mtDNA. Per questo vengono anche definite come disordini della comunicazione nucleo-mitocondriale. Infine, vi è un gruppo numeroso di malattie che non sono associate a mutazioni note del mtDNA, e che si ritiene siano causate da mutazioni in geni nucleari che fanno parte o controllano la fosforilazione ossidativa. Queste malattie sono classificate sulla base delle sole alterazioni biochimiche rilevate dall'analisi dei tessuti affetti. 1. Mutazioni del mtDNA . A seconda delle caratteristiche molecolari e genetiche delle mutazioni del mtDNA, questo gruppo di difetti comprende sindromi dovute a riarrangiamenti su larga scala del mtDNA, o a mutazioni puntiformi del mtDNA. Riarrangiamenti del mtDNA. Si può trattare di delezioni parziali del mtDNA o, più raramente, di plicazioni parziali. Entrambi i tipi di mutazione sono eteroplasmici, dato che coesistono sempre con una quota di mtDNA normale o selvatico. Queste alterazioni grossolane del mtDNA sono quasi invariabilmente asssociate con tre principali presentazioni cliniche: la sindrome di Kearns-Sayre, l'Oftalmoplegia Esterna Progressiva, e la sindrome di Pearson. La s. di Kearns-Sayre (KSS) è una grave malattia ad insorgenza sporadica caratterizzata dalla triade: 1) Oftalmoplegia Esterna Progressiva (PEO) con ptosi bilaterale; 2) Retinopatia Pigmentaria; 3) insorgenza prima dei 20 anni. Segni aggiuntivi frequenti sono una sindrome cerebellare progressiva, il deterioramento mentale, la sordità neurosensoriale, blocchi di conduzione cardiaca, e iperproteinorrachia. Vi è spesso ritardo staturo-ponderale e arresto di crescita. La prognosi è severa, e i pazienti spesso non superano la terza-quarta decade, anche dopo l'impianto di pace-maker. La Miopatia Oculare sporadica è caratterizzata dall'insorgenza in età adulta di Oftalmoplegia Esterna Progressiva (PEO) con ptosi bilaterale, spesso associate a ipostenia prossimale di grado variabile, atrofia muscolare e intolleranza all'esercizio. La sindrome di Pearson è una rara malattia della prima infanzia caratterizzata da anemia sideroblastica, pancitopenia, ad insorgenza connatale, ed insufficienza del pancreas esocrino con malassorbimento. Nei pochi bambini che sopravvivono oltre i primi anni si assiste ad un progressivo miglioramento della situazione ematologica e gastrointestinale, mentre insorgono i segni caratteristici della sindrome di Kearns-Sayre. Le sindromi associate a riarrangiamenti del mtDNA sono nella gran parte dei casi sporadiche. Raramente duplicazioni geniche, ma non singole delezioni, sono state trasmesse matrilinearmente. Dal momento che molecole di genoma mitocondriale deleto sono state riscontrate anche in ovociti umani, è possibile che un meccanismo ancora sconosciuto intervenga nel prevenire la trasmissione verticale o l' espansione della popolazione di molecole mutate. L' espansione clonale di un singolo evento mutazionale sembra essere responsabile dei riarrangiamenti mitocondriali. L'intervento della segregazione mitotica e l'effetto soglia successivamente influenzerebbero la distribuzione nei vari tessuti e quindi il fenotipo. Mutazioni puntiformi del mtDNA. Si tratta di quadri clinici associati a singole sostituzioni nucleotidiche, o a micro inserzioni/microdelezioni, nella molecola del mtDNA. Queste mutazioni possono interessare sequenze codificanti tRNA mRNA o rRNA. A differenza dei macroriarrangiamenti, che sono per lo più sporadici, tutte le mutazioni puntiformi vengono trasmesse per via matrilineare. Poichè, come ricordato, i polimorfismi del mtDNA sono numerosi nella specie umana, le mutazioni patogene possono essere distinte dai polimorfismi non patogeni sulla base dei seguenti criteri: 1) la mutazione deve alterare un residuo (nucleotidico e/o aminoacidico) fortemente conservato durante l'evoluzione delle specie; 2) la segregazione del fenotipo patologico con la mutazione deve essere molto stretta; in pratica, la mutazione non dovrebbe essere individuata in una vasta collezione di campioni di controllo; 3) la mutazione dovrebbe essere eteroplasmica; 4) dovrebbe essere riscontrata in famiglie clinicamente simili ma etnicamente diverse. Eteroplasmia e multietnicità suggeriscono che la mutazione è avvenuta di recente, e che è in atto una selezione negativa che si oppone alla fissazione stabile della mutazione stessa. Sebbene, ad oggi, più di 50 mutazioni puntiformi siano state descritte in associazione con uno spettro eterogeneo di presentazioni cliniche, le mutazioni di gran lunga più frequenti sono solo quattro, e sono associate a sindromi cliniche piuttosto ben definite. Tali mutazioni sono: la mutazione A3243G associata alle sindromi "MELAS/PEO"; la mutazione A8344G associata alla sindrome "MERRF"; la mutazione T8993G associata alla sindrome "NARP"; e la mutazione A11778G associata alla sindrome "LHON". Qui di seguito riportiamo le principali sindromi cliniche associate a mutazioni puntiformi del mtDNA.
I) La Encefalomiopatia Mitocondriale con Acidosi Lattica ed episodi "Stroke" (Mitochondrial Encephalomyopathy, Lactic Acidosis and Strokelike episodes, MELAS) è definita dalla presenza delle seguenti manifestazioni: 1) episodi di tipo ictale (stroke-like) causati da lesioni cerebrali focali spesso localizzate nelle aree parieto-occipitali; 2) acidosi lattica o comunque livelli anormali di lattato nel sangue (e liquor); 3) fibre "ragged-red" nella biopsia muscolare scheletrica. Altri segni di coinvolgimento del sistema nervoso centrale comprendono il deterioramento mentale, episodi di emicrania con aura spesso preceduti da crisi di nausea e vomito "cerebrale", epilessia focale o generalizzata, e sordità neurosensoriale. La malattia è trasmessa per via materna e l'esordio è variabile, dalla primissima infanzia all'età giovanile-adulta. La patogenesi degli episodi "stroke-like" è incerta, ma un'alterazione dei mitocondri contenuti nelle cellule dei vasi cerebrali e muscolari è stata osservata con tecniche morfologiche ed istochimiche. La s. MELAS è tipicamente associata alla mutazione A3243G, nel gene codificante il tRNA per la Leucina(UUR). Sono state in seguito riportate altre mutazioni puntiformi associate a MELAS, anche se si tratta di casi più rari. La correlazione genotipo-fenotipo per la mutazione A3243G non è molto stretta, poiché le manifestazioni cliniche ad essa associate non sono limitate alla s. MELAS tipica. Ad esempio, la mutazione A3243G è stata identificata anche in numerose famiglie affette da PEO matrilineare, da miopatia isolata, cardiomiopatia isolata, o in famiglie con una sindrome matrilineare che associa diabete mellito e sordità neurosensoriale.
II) La mioclono epilessia con fibre ragged-red (Myoclonus Epilepsy with Ragged Red Fibers, MERRF) è caratterizzata dall'associazione di mioclono, epilessia, ipostenia ed ipotrofia muscolare, atassia cerebellare, ipoacusia e deterioramento mentale. L'entità delle manifestazioni cliniche può essere estremamente variabile nell'ambito della stessa famiglia. Tale variabilità si ritiene sia in relazione alla quantità di mtDNA mutato rispetto al normale (eteroplasmia) ed alla variabilità nella distribuzione tissutale della mutazione (segregazione mitotica). La maggior parte delle famiglie affette è portatrice della transizione A8344G, nella sequenza del tRNA per la lisina. Più di rado è stata osservata una mutazione in posizione 8356, nel medesimo gene.
III) La sindrome caratterizzata da neuropatia, atassia e retinite pigmentosa (Neurogenic muscle weakness, ataxia, retinitis pigmentosa, NARP) può comprendere, oltre ai suddetti segni, la epilessia e il decadimento mentale. La malattia ha in genere il suo esordio in età adulta. A differenza delle patologie sopra descritte, la biopsia muscolare non mostra la presenza delle tipiche fibre ragged red. La malattia è stata associata alla trasversione T8993G, nella sequenza codificante la subunità 6 dell'ATPasi mitocondriale (complesso V della catena respiratoria). La stessa mutazione, con un grado di teroplasmia nettamente più elevato rispetto al fenotipo NARP, è stata anche riscontrata in piccoli pazienti affetti da sindrome di Leigh senza deficit biochimico di citocromo c ossidasi o piruvico deidrogenasi (v. oltre). Più di rado è stata osservata una transizione T->C alla stessa posizione.
IV) La neuropatia ottica ereditaria di Leber (Leber's Hereditary Optic Neuropathy, LHON), ad esordio in età giovanile e netta prevalenza nel sesso maschile, è caratterizzata dalla perdita acuta o subacuta della visione centrale con esito in atrofia ottica. Il deficit visivo, che a parte rari casi è permanente, costituisce in genere l'unica manifestazione della malattia che però raramente può comprendere anche alterazioni del ritmo cardiaco (sindrome di pre-eccitazione ventricolare). L'esame del fondo oculare evidenzia l'atrofia ottica accompagnata tipicamente da una microangiopatia teleangiectasica peripapillare. Analogamente al fenotipo NARP, anche nella LHON la biopsia muscolare non evidenzia la presenza di fibre ragged-red. La malattia è stata associata a numerose mutazioni puntiformi del mtDNA. Di queste, alcune vengono considerate "mutazioni primarie", che interessano alcune delle subunità del complesso respiratorio I, in quanto sono state osservate esclusivamente in pazienti affetti da LHON. Sono state descritte altre mutazioni puntiformi, definite con termine improprio "mutazioni secondarie", l'importanza delle quali non è stata ancora definita. Numerose altre mutazioni puntiformi del mtDNA sono state associate a diversi fenotipi clinici in singoli pazienti o in poche famiglie. Ad esempio, una mutazione omoplasmica in posizione 1555 nel gene codificante il rRNA 12S è causa della sordità familiare non sindromica indotta dall'assunzione di aminoglicosidi. Si pensa che tale mutazione produca alterazioni strutturali della regione ove il tRNA si lega al ribosoma, facilitando il legame degli aminoglicosidi e potenziandone gli effetti inibitori sulla traduzione proteica degli mRNA mitocondriali. La patogenesi della malattie mitocondriali associate a mutazioni puntiformi del mtDNA non é ancora chiarita; in particolare non é noto il meccanismo in base al quale le alterazioni genetiche osservate siano in grado di determinare quadri clinici così diversi tra loro e spesso accomunati da un analogo deficit biochimico della catena respiratoria mitocondriale. Studi sperimentali in vitro sostengono l'ipotesi che le mutazioni nei geni tRNA, così come le delezioni parziali del mtDNA, siano responsabili di un'alterazione della traduzione e della sintesi proteica di componenti della catena respiratoria mitocondriale. Le mutazioni puntiformi che colpiscono geni strutturali, come le mutazioni LHON o NARP, causerebbero invece un'insufficienza dell'attività enzimatica dei complessi a cui appartengono le subunità proteiche specificate dai geni mutati. 2. Difetti della comunicazione intergenomica nucleo- mitocondriale Nonostante il mtDNA sia trasmesso per via matrilineare, sono stati descritti quadri clinici nei quali la trasmissione genetica della malattia è di tipo mendeliano. Questa caratteristica suggerisce che tali sindromi siano causate da mutazioni in geni nucleari che colpiscono l'integrità del genoma mitocondriale. Si conoscono due gruppi di difetti genetici della comunicazione nucleo- mitocondriale: a) alterazioni qualitative del mtDNA (delezioni multiple del mtDNA); b) alterazioni quantitative del mtDNA (deplezione tessuto-specifica del mtDNA). a) Delezioni multiple del mtDNA sono in genere associate alla oftalmoplegia esterna progressiva a trasmissione autosomico-dominante (adPEO), una sindrome complessa ad esordio in età adulta e caratterizzata, oltre alla PEO, da ipoacusia neurosensoriale, polineuropatia sensitivo-motoria, atassia, tremore, e moderata acidosi lattica. La biopsia muscolare evidenzia le tipiche fibre ragged-red. La forma recessiva (arPEO), più rara, ha invece esordio in età pediatrica, e la PEO è qui spesso associata ad una grave cardiomiopatia ipertrofica intrattabile che richiede il trapianto. Studi di linkage hanno rivelato l'esistenza di almeno due distinti loci genici (sul braccio lungo del cromosoma 10 e su quello corto del cromosoma 3, rispettivamente) nella forma di PEO autosomica dominante. b) Le sindromi da deplezione del mtDNA sono patologie a trasmissione autosomica recessiva caratterizzate, dal punto di vista molecolare, dalla riduzione tessuto-specifica del mtDNA fino a valori < 2% del normale. Dal punto di vista clinico, si conoscono tre diverse presentazioni, tutte molto gravi ed invariabilmente fatali: i) una grave miopatia precocissima con o senza la comparsa di tubulopatia di DeToni-Fanconi; ii) una forma di epatopatia rapidamente progressiva con esito in insufficienza epatica; iii) una forma tardo infantile, con esordio in genere dopo il primo anno di età, caratterizzata da miopatia rapidamente progressiva. In questi pazienti l'analisi molecolare con la tecnica del Southern blot è diagnostica in quanto rivela, nei tessuti clinicamente interessati, l'assenza pressoché completa del mtDNA. 3. Difetti biochimici della catena respiratoria La maggior parte delle subunità proteiche costituenti gli enzimi della catena respiratoria sono codificate dal DNA nucleare. La possibilità di una deficienza della catena respiratoria conseguente ad una mutazione di un gene nucleare emerge dall'osservazione di casi familiari a trasmissione mendeliana, in cui non vi sono mutazioni del mtDNA ma vi è un chiaro deficit biochimico di una o più attività enzimatiche della catena respiratoria. A tutt'oggi, però, non è ancora stata identificata alcuna alterazione molecolare in geni nucleari codificanti proteine della catena respiratoria, con l'unica eccezione di una mutazione nel gene della subunità flavoproteica della Succinato Deidrogenasi (SDH, Complesso II), trovata in due fratelli con sindrome di Leigh. Analogamente ai quadri associati a mutazioni del mtDNA, i difetti della catena respiratoria definiti biochimicamente (e presumibilmente dovuti a mutazioni "nucleari") presentano una notevole eterogeneità clinica. L'esordio può avvenire in età neonatale, infantile, giovanile o adulta. I difetti biochimici più frequentemente osservati sono a carico del complesso I e del complesso IV (citocromo c ossidasi, COX). Pazienti con esordio più tardivo presentano un insieme di segni e sintomi di interessamento del sistema nervoso centrale e periferico tra i quali i più frequenti sono atassia, epilessia, ipoacusia neurosensoriale, retinopatia pigmentosa, decadimento mentale, disturbi del movimento, e polineuropatia. Probabilmente, la malattia più nota e frequente del gruppo dei disordini "nucleari" dei mitocondri è la sindrome di Leigh. I bambini affetti presentano, dopo un iniziale sviluppo normale nei primi mesi di vita, un progressivo ritardo della psicomotricità, accompagnato da incoordinazione dei movimenti oculari, vomito ricorrente, epilessia, segni di compromissione delle vie piramidali e del sistema extrapiramidale, anomalie "centrali" della ventilazione polmonare, e marcata acidosi lattica. In pratica sono soprattutto colpite le funzioni neurologiche che fanno capo ai sistemi che attraversano o sono localizzati nel tronco cerebrale (e nel cervelletto). Particolarmente importante è lo studio dell'encefalo mediante risonanza magnetica nucleare (RMN), che ha sostituito il riscontro neuropatologico su cui si fondava in passato la diagnosi. La RMN evidenzia tipiche alterazioni di segnale bilateralmente a livello del tronco encefalico, del talamo e dei cordoni posteriori del midollo spinale; questo quadro corrisponde al riscontro anatomo-patologico patognomonico di aree di necrosi con gliosi e proliferazione vascolare. Nella maggior parte dei pazienti la malattia è associata a deficit del complesso IV (citocromo c ossidasi) o dell'enzima piruvico deidrogenasi. In quest'ultimo caso, le alterazioni genetiche più frequenti sono a carico del gene codificante la subunità E-1a, localizzato sul cromosoma X. Nonostante ciò, esistono numerosi casi di femmine clinicamente affette portatrici di mutazioni del gene E-1a, in cui l'espressione fenotipica dipende dall'inattivazione prevalente del cromosoma X non affetto. Nella sindrome di Leigh non vi sono fibre ragged-red nella biopsia muscolare, ma nei casi associati a deficit di COX la reazione istochimica specifica è molto ridotta nel tessuto muscolare e il difetto biochimico è generalizzato, dato che si riscontra anche nei fibroblasti e in altri tessuti. Più raramente la sindrome di Leigh è stata associata ad un difetto del complesso I. Dal punto di vista genetico- molecolare, nei casi con deficit di COX (e in quelli da deficit di complesso I), non sono state trovate mutazioni nei geni codificanti le varie subunità dei rispettivi enzimi. Si ritiene perciò che i difetti genetici siano a carico di geni nucleari codificanti proteine necessarie al corretto assemblaggio e/o al funzionamento dei complessi. Recentemente alcuni pazienti con sindrome di Leigh sono risultati portatori di mutazioni del mtDNA, soprattutto della mutazione NARP. Nonostante l'eterogeneità genetica, i tipici reperti neuropatologici, e le conseguenze cliniche della sindrome di Leigh, presenti in tutti i diversi sottogruppi eziologici, sono evidentemente l'espressione finale comune del danno da deficit energetico sul cervello in via di sviluppo.
Il DNA mitocondriale contiene i geni per solamente 13 proteine, ma sono proteine fondamentali nel processo della conservazione dell’energia in forma della molecola altamente energetica dell’ATP. Il DNA mitocondriale ha una velocità di mutazione almeno 10 volte superiore a quella del DNA del nucleo, a causa delle minori protezioni a cui esso è soggetto. Si conoscono alcune malattie ereditarie legate a mutazioni del DNA mitocondriale, che si manifestano con gravi deficit energetici ai muscoli e al sistema nervoso e vengono ereditate solamente dalla madre: in altre parole un padre affetto da una di queste malattie non potrà mai trasmetterla ai figli. Se le malattie mitocondriali non sono frequenti, tuttavia l’invecchiamento è un fenomeno universale: orbene, è proprio sul DNA mitocondriale che l’interesse si è focalizzato con l’ipotesi che il suo inevitabile deterioramento sia la causa primaria dell’invecchiamento e della morte delle cellule e degli organismi. E’ stato detto paradossalmente che l’invecchiamento è una malattia mitocondriale con 100% di mortalità. La causa principale di questo declino sarebbero i radicali liberi dell’ossigeno che si formano durante la respirazione cellulare. Come un motore brucia benzina utilizzando ossigeno per produrre energia meccanica, così i mitocondri bruciano sostanze derivate dagli alimenti in presenza di ossigeno per produrre energia chimica in forma della molecola dell’ATP. E’ stato calcolato che dall’1 al 4% dell’ossigeno usato dai mitocondri per la sintesi dell’ATP viene, per così dire, mal utilizzato e dà origine a radicali liberi. E’ dunque nella prima sorgente vitale, l’ossigeno, che sono poste le basi della vecchiaia e della morte, rendendo così il processo inevitabile ed irreversibile. Gli effetti dell’ossigeno sono potenziati dalla presenza di sostanze tossiche come il fumo di sigaretta, l’alcool, inquinanti ambientali, farmaci. Questo stress ossidativo produce mutazioni e frammentazione del DNA mitocondriale, alterando progressivamente le proteine da esso codificate e interferendo quindi con la funzione energetica delle cellule, che si atrofizzano e muoiono. Poiché la causa primaria del danno che porta alla senescenza è il graduale attacco da parte dei radicali dell’ossigeno, tutti quei meccanismi antiossidanti che prevengono o interrompono l’attacco radicalico sono potenzialmente utili a ritardare la senescenza. Quali sono queste sostanze? Vi sono molecole antiossidanti che interrompono la catena di reazioni dovute ai radicali liberi e vi sono enzimi antiossidanti che distruggono i radicali. Tra le prime sono note la vitamina A, la vitamina E, i caroteni, i polifenoli ,il Coenzima Q, la vitamina C e altre molecole anche di sintesi. Una corretta abitudine alimentare che apporti queste sostanze potrebbe migliorare la situazione: la longevità delle popolazioni che consumano olio di oliva e vegetali ricchi di vitamine antiossidanti e il vino rosso ricco di polifenoli è a favore di questa idea.
I sistemi energetici (aerobico ed anaerobico) Il processo aerobico impiega l’ossigeno ed è predominante quando il muscolo è a riposo. I mitocondri sono la sede della produzione di energia aerobica. Più grande è il numero di mitocondri in una cellula, maggiore è la resa aerobica dei processi ossidativi; ovviamente, la cellula muscolare è particolarmente ricca in mitocondri. Quando a causa del sovraccarico di lavoro la circolazione sanguigna diviene carente nell’approvvigionamento dell’ossigeno, la cellula passa a produrre ATP per via anaerobica utilizzando sistemi enzimatici intracellulari ma non mitocondriali. Molte cellule, come quelle del cuore, del cervello e di altri organi, hanno una capacità anaerobica molto limitata perciò debbono essere continuamente rifornite di ossigeno, altrimenti muoiono. Diversamente dal cuore e dal cervello, i muscoli scheletrici, come i tricipiti ed i quadricipiti, hanno una notevole capacità anaerobica. I lipidi ed i carboidrati sono le due classi di sostanze che le cellule impiegano per produrre la maggior parte di molecole di ATP. Le proteine non rappresentano una fonte di energia preferenziale, ed in un corretto regime nutrizionale giocano un ruolo minoritario. In carenza di substrati meno nobili, l’organismo è tuttavia costretto ad utilizzarle depauperando il tessuto muscolare. A riposo, quando il sistema cardiopolmonare è facilmente in grado di approvvigionare adeguate quantità di ossigeno ai mitocondri delle cellule muscolari, l’ATP è prodotto sia tramite gli acidi grassi sia tramite il glucosio. In altre parole, a riposo, la maggior parte di ATP necessaria è prodotta aerobicamente. Quando l'intensità dell'esercizio aumenta, il sistema cardiovascolare compie tutti gli sforzi possibili per aumentare la fornitura di ossigeno ai mitocondri dei muscoli in attività e per mantenere la produzione aerobica di ATP. Con il protrarsi dell’esercizio, l’irrorazione sanguigna diventa carente e l’ossigeno insufficiente; è allora che il muscolo attiva il sistema anaerobico utilizzando l’acido piruvico in vece dell’ossigeno come ossidante. L’acido piruvico è ridotto ad acido lattico che è la molecola responsabile della sensazione di fatica muscolare. L'intensità di esercizio alla quale non è più disponibile un adeguato apporto di ossigeno è chiamata soglia anaerobica, ed è raggiunta prima dello sforzo massimo. Ancora una volta il moto muscolare poneva un quesito di difficile soluzioni. Gli eredi di Giovanni Alfonso Borelli, che nel 1680 proponeva nel suo De motu animalium l’esistenza di un "fluido nervoso", erano, però, alle prese con una molecola e non con un’essenza metafisica. Da questi esperimenti si concluse, infatti, che il muscolo contiene sostanze che possono fornire l’energia per la contrazione, almeno per brevi periodi, in assenza di attività metabolica che formi ATP. Quando per la prima volta si fecero queste osservazioni l’ATP era stato appena scoperto e l’ovvia relazione con gli aspetti energetici cellulari faceva pensare che esso fosse la fonte immediata di energia necessaria per la contrazione, quando la glicolisi o la respirazione erano bloccate con veleni. Ma per due ragioni questa spiegazione era inadeguata. In primo luogo sarebbero necessarie per il muscolo di mammifero 10-3 moli di ATP per grammo di muscolo per minuto di lavoro contro una quantità realmente presente di 5 10-3 moli/g, sufficiente per soli 0.5 secondi di attività. In secondo luogo l’analisi accurata delle quantità di ADP e di ATP nel muscolo prima e dopo le singole contrazioni, non ha rivelato alcuna variazione apprezzabile delle due molecole. La spiegazione del dilemma risiede nella presenza nel muscolo di una molecola capace di scambiare con gran facilità gruppi fosfato con l’ATP e l’ADP e condurre ad una condizione di "riserva funzionale" persistente ed efficiente. Questa molecola è la creatina. Nelle condizioni fisiologiche di pH del muscolo (circa 6) il seguente equilibrio è spostato fortemente a destra: fosfocreatina + ADP creatina + ATP questo fatto spiega perché la concentrazione di ATP nel muscolo non decresce durante una singola contrazione.
La creatina è la più importante molecola per la produzione di energia anaerobica. Un muscolo sotto sforzo esaurisce le riserve di ATP in un massimo di 2 secondi, a questo punto ha a disposizione, grazie alle riserve di fosfocreatina, una "finestra metabolica " di 30-45 secondi prima di attivare il catabolismo anaerobico del glicogeno, dopo circa mezz’ora deve attingere alla fonte energetica fornita dai lipidi. Nell’uomo il pool di creatina (per il 95% nella muscolatura scheletrica) è pari a 120 g, ne vengono perduti giornalmente 2 grammi attraverso l’escrezione urinaria dei metaboliti. Questa quantità è integrata con l’apporto alimentare di circa 1 grammo pro die. La creatina è un tripeptide (arginina, glicina e metionina) che può essere prodotto nel fegato e nei reni, frequentemente, però, la quantità prodotta deve essere integrata con la dieta attraverso l’assunzione di carne. Nella popolazione vi è un’ampia di distribuzione di persone ad "alto e basso contenuto di creatina", in funzione della funzionalità epatica e renale, della dieta, ed, ovviamente, dell’attività fisica. L’atleta dovrebbe trarre gran vantaggio da un arricchimento della dieta in creatina. In effetti, la pratica di assumere creatina è diffusa da alcuni anni.
L'inibizione della fosforilazione ossidativa, conseguenza di difetti nella struttura del DNA nucleare o mitocondriale, causa un aumento della formazione di radicali liberi. Questi a loro volta producono un'instabilità delle membrane cellulari, ma soprattutto ulteriori danni al DNA mitocondriale, cosa che aggrava ulteriormente il deficit della fosforilazione ossidativa. I tentativi terapeutici nelle malattie mitocondriali (qualunque sia il fenotipo clinico, il difetto enzimatico o la lesione genetica) sono dunque orientati a prevenire o attenuare gli effetti del danno da radicali liberi e a stimolare la produzione di ATP mitocondriale. In realtà nessuno dei farmaci utilizzati, a meno che non sia presente una carenza specifica, è in grado di risolvere la malattia, ma soltanto di migliorare alcuni sintomi, in particolare l'intolleranza allo sforzo e la facile esauribilità muscolare.
La CPK (creatinfosfochinasi) Normalmente, un aumento della CPK sierica è un segno di malattia muscolare
La Carnitina e' un aminoacido non essenziale. Per il processo di conversione è indispensabile la presenza di vitamina C in quantità sufficiente (fino a 2gr. di').la carnitina svolge un ruolo importante nel metabolismo dei grassi e nella riduzione dei trigliceridi. Somministrando ogni giorno da 1 a 3 g di carnitina si ottiene l'ossidazione dei trigliceridi. Questa caratteristica rappresenta un prezioso potenziale in svariate condizioni patologiche, quali claudicazione intermittente, problemi di circolazione negli arti superiori e inferiori, infarto miocardico e disturbi renali. La carnitina provvede al trasferimento degli acidi grassi attraverso le membrane dei mitocondri (sedi di produzione energetica in tutte le cellule dell'organismo), dove vengono utilizzati come fonte di energia. Si ritiene che la somministrazione di carnitina possa avere degli effetti benefici anche in altre condizioni patologiche, quali distrofia muscolare, distrofia miotonica, distrofia muscolare progressiva scapolo-omerale e del cingolo pelvico, poiché in questi casi si verifica una perdita di carnitina nelle urine e quindi si verifica un maggiore fabbisogno. L'uso di carnitina nella stimolazione del metabolismo dei grassi può produrre dei risultati positivi in casi di obesità.
L' Ornitina Alfa Keto Glutarato è uno dei più potenti agenti anti-catabolici mai scoperto fino ad oggi. Favorisce i processi che creano energia e prende parte al processo di depurazione dell'ammoniaca (un composto che si genera durante il lavoro muscolare e causa il senso di fatica). Non e da confondere con la comune ornitina. E' invece I'unione di una molecola dell'aminoacido L-Ornitina con I'Acido alfa cheto glutarico. Questo acido e molto interessante poiche e implicato sia nel processo del metabolismo degli aminoacidi che in quello energetico. I ricercatori hanno trovato un legame tra la quantita di proteine sintetizzate nei muscoli e la quantita di L-glutammina presente all'interno dei muscoli, Piu alto e il livello di glutammina, maggiore è la quantita di proteine presente nei muscoli e viceversa. L'Acido Alfa Cheto Glutarico incrementa il livello di glutammina presente nei muscoli. L'OKG va sempre presa circa un ora prima dell'attivita fisica per neutralizzare il rilascio degli ormoni catabolici che causano la degradazione muscolare, per favorire il metabolismo energetico e prevenire la formazione di amrnoniaca. Quanto: 6-12 grammi (a seconda del peso corporeo e dell'impegno richiesto).
Glutammina: E' uno dei più importanti aminoacidi nel nostro organismo. E' un importantissimo nutriente per il cervello e può migliorare le funzioni cerebrali. Ha proprietà anticataboliche e favorisce il recupero. Aumenta il volume cellulare portando con sè acqua ed altri nutrienti (aminoacidi, etc..) all'interno delle cellule e perciò migliora il metabolismo proteico, creando migliori condizioni per la sintesi di nuovo tessuto muscolare. Le dosi giornaliere possono variare da 5 g fino a 15 g, preferibilmente dopo gli allenamenti. Un aumento del livello di insulina (e quindi di glicemia) può migliorare l'assorbimento di questo aminoacido, quindi è consigliabile assumerlo dopo gli allenamenti con succo di frutta o piccole quantità di zucchero o miele (per esempio: 10 g di glutammina in 200 ml di succo di frutta). Tutti i nutrienti con proprietà di 'volumizzatori cellulari' vanno assunti con abbondante liquido. La glutammina ha anche proprietà stimolanti il rilascio dell'ormone della crescita, va presa in questo caso in abbinamento ad altri aminoacidi con simili proprietà, come arginina, ornitina, glicina, lisina. Come stimolante del GH (ormone della crescita) va assunta a stomaco vuoto e a glicemia bassa, preferibilmente prima di coricarsi. La glutammina si degrada piuttosto velocemente in acqua (già dopo qualche giorno inizia la decomposizione). Consiglio di utilizzare in giornata la glutam mina (e i prodotti contenenti glutammina) dopo averla preparata con acqua. Molti aminoacidi e derivati tendono a degradarsi se tenuti in acqua per parecchi giorni. Consiglio di utilizzare sempre i prodotti contenenti aminoacidi entro le 24 ore dopo averli preparati in acqua. Dose giornaliera: da 2,5 g a 8 g, ottima dopo gli allenamenti.
Taurina: è un aminoacido abbondantemente contenuto nei tessuti muscolari. Sembra avere un'azione simile a quella dell'insulina, cioè migliora il trasporto del glucosio e di alcuni aminoacidi. Ha proprietà antiossidanti e anticataboliche, aumenta il volume cellulare e promuove condizioni anaboliche (miglioramento del metabolismo proteico) all'interno delle cellule.
Piruvato (calcio piruvato): Il piruvato è il prodotto finale della glicolisi (metabolismo del glucosio). Questa sostanza si trasforma poi in lattato oppure in acetil COA. In carenza di ossigeno viene trasformato in lattato, mentre se l'ossigeno è sufficiente vine trasformato in acetil CoA, entra nei mitocondri e può incrementare il livello di ATP. Il piruvato partecipa al processo in cui il glucosio lascia il flusso sanguigno ed entra nelle cellule muscolari, dove viene utilizzato per produrre ATP. In alcuni studi (Stanko et al.) su atleti l'integrazione con piruvato ha aumentato significativamente la resistenza muscolare (+20%). In altri studi il piruvato ha aumentato la lipolisi (utilizzo dei grassi a scopo energetico) e diminuiti la percentuale di grasso corporeo. Nonostante i primi studi siano stati fatti con 16 g al giorno di piruvato, in più recenti studi sono state utilizzate dosi molto più basse (6 g al giorno, un dosaggio alla portata di tutti) ottenendo comunque risultati di rilievo, e cioè diminuzione di grasso corporeo, incremento del metabolismo basale e incremento dell'energia e dimunuzione del senso di fatica. In aggiunta, il piruvato sembra avere azione antiossidante. Al momento gli studi su questa sostanza sono ancora pochi per poter esprimere un parere definitivo, comunque potrebbe valere la pena provarla. Dosaggi consigliati 6 g al giorno.
Garcinia cambogia : Fornisce acido idrossicitrico (HCA). L'acido idrossicitrico attiva l'ossidazione a scopo energetico degli acidi grassi nel fegato permettendo al fegato di sintetizzare più efficacemente il glucosio e costruire le riserve di glicogeno, diminuendo il senso di fame riducendo così l'assunzione di cibo. L' HCA inibisce la sintesi degli acidi grassi, il che significa che il nostro organismo costruisce e deposita meno grassi. L'HCA è un potente inibitore competitivo dell'enzima citrato liasi, enzima che si trova principalmente nel fegato ed è fondamentale per la regolazione del metabolismo lipidico. L'HCA a livello cellulare occupa i recettori dell'enzima citrato liasi, bloccandone l'azione. Il risultato è che vengono sintetizzati meno acidi grassi, rendendo disponibile meno grasso per il deposito nei tessuti adiposi. Quindi, gli effetti principali dell'HCA sono: 1) inibizione della la trasformazione dell'eccesso di carboidrati (zuccheri e amidi) ingenti in grasso. 2) incremento della disponibilità di glicogeno nel fegato, con il risultato di aumentare la disponibilità energetica e inviare più velocemente al cervello un segnale di 'sazietà'.
Tribulus terrestris: L'estratto di questa erba sembra in grado di incrementare naturalmente i livelli di testosterone e quindi le prestazioni degli atleti e l'aumento di massa muscolare. Sembrerebbe che finalmente si sia trovato un prodotto naturale che influisce sulla produzione di testosterone endogeno Alcuni studi cimici provano un tangibile effetto di questa erba su manifestazioni metaboliche che dipendono dal testosterone (aumento della libido, aumento della produzionedi sperma, etc.). Non sono stati riscontrati effetti collaterali. Comunque questo è un prodotto che vale la pena provare. Dosaggio consigliato: 750-1250 mg diviso in più assunzioni giornaliere. Come per tutte le sostanze che modificano il profilo endocrinologico personale, è caldamente raccomandata la ciclizzazione, per un periodo massimo di sei-otto settimane, in fase di massa, seguito da uno stacco di altre quattro. Valutare i risultati non prima di tre settimane.
Yohimbe: L'estratto di questa pianta fornisce yohimbina, sostanza che hadimostrato un certa utilità nella curadell'impotenza (la yohimbina è un vasodilatatore). Può favorire l'attività sessuale. Non è vero che aumenta la secrezione di testosterone. In uno studio si è trovato che la yohimbina inibisce la secrezione naturale di ormone della crescita. Sembrerebbe comunque avere qualche proprietà se utilizzata in formule per la riduzione del grasso corporeo.
I carboidrati sono la fonte principale di energia per l'organismo. Si dividono fondamentalmente in tre categorie: 1) Monosaccaridi o zuccheri semplici, come il glucosio, fruttosio, galattosio. 2) Disaccaridi o zuccheri doppi, comprendenti saccarosio, lattosio e maltosio, formati da due monosaccaridi legati fra di loro. 3) Polisaccaridi o carboidrati complessi, come amidi, maltodestrine, cellulosa, pectine e glicogeno, costituiti da molti monosaccaridi legati fra loro. Vi sono vari tipi di carboidrati in commercio. L'utilità di ogni tipo di carboidrato varia a seconda dell'impiego a cui è destinato. E' quindi difficile stabilire la validità di ogni carboidrato in maniera generica. La velocità con cui i carboidrati vengono assimilati viene espressa dall'indice glicemico. Più l'indice glicemico è alto più il carboidrato è veloce. E' necessario assumere i carboidrati veloci a piccole dosi per non provocare scompensi alla glicemia. lì glucosio o destrosio, il cui indice glicemico è posto uguale a 100, è fra gli zuccheri più veloci. Amidi: sono carboidrati complessi o polisaccaridi, formati da tante molecole di monosaccaridi, principalmente glucosio, legate fra di loro. Gli amidi sono formati principalmente da due tipi di catene di glucosio: amilosio e amilopectina. L'amilosio ha catena lineare, mentre l'amilopectina ha catena ramificata. L'amilosio è poco digeribile, solo il 40% viene digerito. L'amilopectina si digerisce molto più velocemente e quindi gli amidi contenenti molta amilopectina hanno un indice glicemico più alto. La cottura aumenta la digeribilità degli amidi. Maltodestrine: sono amidi parzialmente predigeriti (solitamente amido di mais odi grano), in cui le catene di polisaccaridi sono accorciate mediante idrolisi. Il processo di predigestione rende l'amido completamente assimilabile. Contengono mediamente da 5 al 20% di mono e disaccaridi e il resto è costituito da polisaccaridi a corta catena. Sono facilmente assimilabili e forniscono energia a medio termine e anche a breve. Sciroppo di glucosio: è praticamente una maltodestrina più predigerita, con più mono e disaccaridi (da 20 a 50%). E' comunque da considerare un carboidrato complesso . Fornisce energia a medio termine e anche a breve. Sciroppo di fruttosio: (stesso discorso dello sciroppo di glucosio, tranne che contiene anche fruttosio): fornisce energia a medio termine e anche a breve. Ha indice glicemico più basso rispetto allo sciroppo di glucosio. Fruttosio: è un zucchero semplice con indice glicemico fra i più bassi di tutti i carboidrati (indice glicemico =20). fornisce energia a medio e lungo termine. Saccarosio o zucchero da cucina: (indice glicemico =59) è un disaccaride, cioè è formato da due zuccheri legati fra di loro. Ogni molecola di saccarosio è formata da una molecola di glucosio ed una di fruttosio. Ha un indice glicemico medio e fornisce energia a breve termine. Glucosio (destrosio): (indice glicemico =100) è uno zucchero semplice ad alto indice glicemico e fornisce energia a brevissimo termine. Maltosio: (indice glicemico =105) è un disaccaride ad alto indice glicemico formato da due molecole di glucosio e fornisce energia a brevissimo termine. Lattosio o zucchero del latte: indice glicemico =46. Miele: indice glicemico =73.
GRASSI O LIPIDI: Vi è una riscoperta di questi nutrienti nell'alimentazione degli sportivi. I grassi e gli oli alimentari sono formati da tre molecole di acidi grassi legati ad una molecola di glicerina (la glicerina può essere chiamata anche glicerolo). Mentre la glicerina non cambia, cioè è uguale in tutti i grassi, gli acidi grassi variano notevolmente e danno le caratteristiche tipiche di ogni grasso. Gli acidi grassi variano in peso molecolare enei doppi legami (C=C) che possono contenere. Si dividono sostanzialmente in: saturi senza doppi legami, monoinsaturi con un doppio legame e poli nsaturi con più doppi legami. Gli acidi grassi contenuti negli oli e in tutti gli alimenti sono comunque legati alla glicerina. L'acido grasso più comunemente reperibile nei grassi è l'acido oleico, un acido grasso monoinsaturo (34% in media di tutti i grassi animali e vegetali). Una piccolissima parte di acidi grassi può essere libera, e questa determina l'acidità di un olio. Alcune sostanze di tipo lipidico stanno incontrando un certo interesse: Acidi grassi polinsaturi essenziali o vitamina F o EFA (essentiai fatty acids): acido linoleico (acido grasso di insaturo owero con due doppi legami nella molecola), acido linolenico (acido grasso tri insaturo ovvero con tre doppi legami nella molecola), acido arachidonico (acido grasso penta insaturo owero con quattro doppi legami nella molecola). Questi nutrienti sono indispensabili all'organismo e non possono essere sintetizzati all'interno dello stesso. Sono reperibili in vegetali oleosi e oli di origine vegetale, pesce e olio di pesce. Sono difficili da conservare perché si ossidano facilmente e si degradano nella lavorazione a caldo dei cibi. Sono distrutti quando i grassi vengono idrogenati (produzione di margarine). L' acido linoleico (omega 6) e l'acido linolenico (omega 3) si trovano comunemente in molti oli vegetali. L'acido arachidonico è comune in molti grassi animali e olio di pesce. L'olio di pesce ha dimostrato di poter aumentare i livelli di superossi dismutasi (SOD), un'importantissimo antiossidante prodotto dall'organismo. Dall'acido arachidonico si generano per via enzimatica nell'organismo le prostaglandine. L'olio di lino è particolarmente ricco di acidi grassi omega 3, ma scarseggia in omega 6. L'olio di girasole è ricco in omega 6. Una miscela molto bilanciata è costituita dagli oli ricavati dai seguenti semi: lino, girasole, sesamo, germe di riso, germe di grano, germe di avena. Anche la semplice miscela con 3 parti di olio di lino e una parte di olio di girasole ha un apporto abbastanza bilanci ato di acidi grassi essenziali. Apporto giornaliero di acidi grassi essenziali consigliato: da 4,2 a 14 g. Trigliceridi a media catena o MCT: Sono un tipo di grassi che tende meno a depositarsi come tessuto adiposo rispetto ai grassi convenzionali e fornisce la stessa energia dei grassi comuni (9 kcal al grammo). Hanno una loro validità quando utilizzati in integratori energetici. Acido gamma-linoleico (GLA): è un acido grasso non essenziale molto benefico per la salute. Può essere utile per la riduzione del colesterolo, contro l'artrite reumatoide, contro l'eczema e la neuropatia diabetica. E' contenuto al 20-24% nell'olio di borragene e al 9% nell'olio di primula. EPA e DHA (acido elcosapentanoico e docosaesanoico): sono acidi grassi non essenziali, in quanto il nostro organismo può fabbricarli ametaboliche o dieta con basse quantità di EFA) la sintesi di questi acidi grassi può essere insufficiente. Sono indispensabili per un buon funzionamento dell'organismo. Sono contenuti in vari oli di pesce. Acido linoleico coniugato o CLA: è un acido grasso non essenziale recentemente proposto come integratore. E' contenuto naturalmente in alcuni alimenti di origine animale (carni e formaggi).Viene definito come "fattore di crescita" e dovrebbe influire sull'utilizzo e stoccaggio di energia nel corpo. Viene ricavato mediante modifica dell'acido linoleico, contenuto in moltissimi oli vegetali. Il CLA viene solitamente prodotto modificando chimicamente l'olio di girasole. Gli oli vegetali non contengono naturalmente il CLA. Le dosi solitamente consigliate sono da 2 a 6 grammi al giorno. E' sicuramente un buon antiossidante, mentre le proprietà anticataboliche e dimagranti non sono del tutto dimostrate. Può valere la pena di provarlo, senza però aspettarsi risultati eclatanti. Può essere un buon igrediente per un integratore lipidico, assieme agli EFA, EPA, DHA, ai fosfolipidi e al GLA. Lecitina: è una sostanza formata da fosfolipidi: fosfatidiì colina, fosfatidil inositolo, fosfatidil etanolamina e una piccola parte (circa 2%) di fosfatidil senna. Può essere di utilità nell'alimentazione degli sportivi. Fosfatidiì senna (PS): è un fosfolipide tornato alla ribalta ultimamente per aver dimostrato in alcuni studi la propria capacità di bloccare in parte l'azione del cortisolo, ormone dagli effetti fortemente catabolici. Contrastando l'azione del cortisolo, la PS ha funzione anticatabolica. La PS è anche un nutriente utile per il cervello, in quanto migliora le funzioni cognitive, particolarmente negli adulti e negli anziani. La PS costituisce il 70% delle membrane delle cellule cerebrali. La fosfatidilserina incrementa il turnover dell'acetilcolina incrememtando il metabolismo energetico delle cellule cerebrali. Dose consigliata: 300 mg al giorno.
Tratto dal sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare)
I mitocondri sono particolari strutture delle cellule che permettono ad esse di "respirare", cioè di ricavare energia dagli alimenti digeriti mediante reazioni in cui è utilizzato l'ossigeno. Essi si sono evoluti da batteri che si sono adattati a vivere nella cellula e che, con un lungo processo, hanno progressivamente ceduto al nucleo di essa i geni delle loro proteine, divenendo così strutture intracellulari incapaci di vita indipendente. A testimonianza della loro origine, i mitocondri conservano un proprio DNA "autonomo", che regola la sintesi di proteine essenziali per la respirazione, trasmesso ai nuovi nati quasi esclusivamente dalla madre. Si sa oggi che alterazioni nel DNA di questi organelli sono responsabili di un gruppo eterogeneo di gravi patologie note appunto come malattie mitocondriali, anche se non è ancora chiaro come tali mutazioni provochino i differenti quadri patologici. In uno studio dell'Università di Padova, finanziato da Telethon e condotto da Rosario Rizzuto, Paolo Pinton e Tullio Pozzan, in collaborazione con ricercatori dell'Università del Massachusetts (Stati Uniti), si è ora riusciti a ottenere per la prima volta, grazie a tecnologie innovative di microscopia, un'immagine tridimensionale dei mitocondri in cellule viventi. Le osservazioni hanno rivelato che, contrariamente a quanto si credeva, i mitocondri non sono strutture a forma di sigaro distinte e indipendenti, ma costituiscono in realtà un complesso reticolo interconnesso, in rapido e continuo movimento all'interno della cellule. Essi poi risultano a stretto contatto con il reticolo endoplasmatico, una struttura cellulare da cui captano ioni calcio, ricevendo il segnale di attivazione. Tali acquisizioni, pubblicate da "Science", contribuiranno a meglio comprendere i processi legati ai mitocondri, in particolare i meccanismi delle malattie mitocondriali, e soprattutto aprono la prospettiva di poter sviluppare in futuro nuovi farmaci che possano influire positivamente in queste patologie, agendo sul trasporto del calcio.
Ecco la «porta» della vecchiaia Milano. È nelle centraline energetiche della cellula, i mitocondri, una delle chiavi per comprendere la causa dell'invecchiamento, con un meccanismo identico dagli insetti all'uomo. La scoperta, pubblicata domani su «Science» e opera di due italiani, apre la possibilità di poter intervenire in futuro sulle degenerazioni cellulari responsabili dell'invecchiamento, e in particolare di poter avere nuove armi per combattere le malattie neurodegenerative tipiche dell'età come Alzheimer, morbo di Parkinson e sclerosi laterale amiotrofica. Basato sull'esame dei mitocondri di un piccolo gruppo di centenari, lo studio è nato dalla collaborazione decennale fra il direttore della cattedra di Neurologia dell'università di Milano, Guglielmo Scarlato, e il biologo molecolare Giuseppe Attardi, del California institute of technology (Caltech), uno dei padri della ricerca sui mitocondri. Allo studio hanno collaborato Nereo Bresolin e Franca Mazzucchelli, entrambi di Milano. I mitocondri fanno respirare la cellula e le forniscono energia. Per ragioni ancora ignote, a un certo punto della vita cominciano ad alterarsi, dando spazio a fenomeni di ossidazione e riducendo progressivamente la disponibilità di energia della cellula. È ora possibile esplorare nuove ipotesi, ad esempio, andando a guardare nei mitocondri dei centenari. Per la prima volta ci sono strumenti per verificare l'ipotesi suggestiva se il modo di invecchiare viene ereditato dalla madre con i mitocondri (quelli paterni si perdono nella fecondazione). Le mutazioni non ci sono nei giovani, ma cominciano solo a un certo punto della vita. Scoprire perchè è tra le scommesse dei prossimi anni.
Carnitinemia
IDENTIFICATO IL GENE DELLA PARAPLEGIA SPASTICA Tratto dal sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) http://www.uildm.org
La scoperta. tutta italiana. è stata effettuata da un gruppo di
ricercatori dell'istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) attivo presso
il Parco Scientifico Biomedico San Raffaele di Milano e guidato dal Prof. Andrea
Ballabio in collaborazione con il Dr. Giorgio Casari, il Dr. Massimo Zeviani
dell'Istituto Neurologico C. Besta di Milano e i Dottori Giuseppe De Michele e
Sergio Cocozza dell'Università di Napoli.
Come pubblicato in giugno dalla rivista "Cell", un gruppo di ricercatori del TIGEM (Istituto Telethon di genetica e medicina) di Milano, coordinato da Giorgio Casari e Andrea Ballabio, in collaborazione con studiosi di altri centri, tra cui Massimo Zeviani del "Besta" di Milano e Giuseppe De Michele e Sergio Cocozza dell’Università di Napoli, ha identificato il gene della paraplegia spastica. Con il termine di paraplegia spastica si indica un gruppo di malattie genetiche che colpisce una persona su diecimila, che insorge intorno ai venticinque anni e che causa progressiva rigidità e debolezza agli arti inferiori fino alla loro completa paralisi intorno ai cinquant’anni di età. Molti pazienti presentano forme che comprendono anche ritardo mentale, atassia, retinite pigmentosa, atrofia ottica, sordità. Partendo dall’individuazione di una famiglia molisana con cinque casi della patologia, si è proceduto ad un’analisi genetica che ha portato all’identificazione e clonazione del gene nel cromosoma 16. Studiandone la funzione, si è visto poi che esso dirige la sintesi di una proteina - simile ad altre studiate precedentemente in organismi diversi come il lievito - battezzata paraplegina e localizzata nei mitocondri, gli organelli presenti dentro ogni cellula e deputati alla produzione di energia. Questi ultimi infatti si presentano gravemente alterati, sia dal punto di vista morfologico che funzionale, nelle fibre muscolari dei pazienti con paraplegia spastica. Tali acquisizioni dimostrano per la prima volta che la paraplegia spastica è una malattia dei mitocondri, e che anomalie a tali organelli possono causare malattie neurodegenerative (magari anche la sclerosi multipla o la stessa sclerosi laterale amiotrofica). Dal punto di vista clinico, la scoperta permetterà la diagnosi molecolare (anche prenatale) e l’identificazione dei portatori sani, oltre che favorire le ricerche di un trattamento efficace dei sintomi, ad esempio con farmaci che migliorino la funzione dei mitocondri. Central core e minicoreTratto dal sito della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) http://www.uildm.org
Molti lettori hanno contattato la nostra redazione per chiedere informazioni circa le malattie cosiddette central core e minicore (o multicore). Ce ne parla il professor Carlo Trevisan della Clinica neurologica II dell'Università di Padova. La Malattia "Central Core" è una miopatia congenita rara ad esordio precoce - non sono molti i casi di insorgenza in età adulta - che si caratterizza, all'esame istochimico del tessuto muscolare, per la presenza di aree prive di attività enzimatiche ossidative (i cosiddetti cores, termine inglese che letteralmente significa "noccioli"), al centro delle sezioni trasverse delle fibre di tipo 1 (quelle a contrazione lenta, spesso predominanti in questa patologia). Tali aree si producono per la mancanza di mitocondri. Sul piano clinico, il bambino, che alla nascita di solito presenta un lieve deficit del tono muscolare (ipotonia), avrà un ritardo dello sviluppo motorio, accompagnato da un deficit di forza variabile, ma per lo più non grave. Questa debolezza tende a rimanere stazionaria nel tempo anche se esiste la possibilità di una progressione lenta. Alla nascita possono essere presenti anche lussazione dell'anca e altre anomalie scheletriche. L'esame della CK sierica e l'elettromiografia sono generalmente normali o solo lievemente alterati. La malattia viene di solito trasmessa con modalità autosomica dominante: il gene è stato mappato sul locus q13.1 del cromosoma 19, come quello dell'Ipertermia maligna: questo rende ragione del fatto che i pazienti affetti da questa miopatia siano a rischio di incidenti anestesiologici anche mortali. La Malattia "Minicore (o "Multicore") è un'altra rara miopatia congenita solo in apparenza simile alla precedente. Le aree piccole e multifocali di degenerazione, caratteristiche di questa patologia, possono essere riscontrate nelle fibre muscolari di tipo 1 e 2 e si diffondono solitamente per la lunghezza di pochi sarcomeri lungo tali fibre. Esse presentano tratti caratteristici al microscopio elettronico, ma la loro presenza può anche essere aspecifica e secondaria ad altre miopatie. Di solito anche nella Malattia "Minicore" si riscontra una predominanza delle fibre di tipo 1. I sintomi si manifestano in genere nell'infanzia, con un'ipotonia lieve e non progressiva e debolezza dei muscoli delle braccia e delle cosce. Possono essere colpiti anche i muscoli extraoculari e facciali. La CK sierica risulta normale, mentre l'elettromiografia può essere di tipo miopatico. La modalità di trasmissione di questa patologia è diversa da quella della Malattia "Central Core": nella "Minicore", infatti, essa è soprattutto autosomica recessiva, anche se non può essere del tutto esclusa la trasmissione autosomica dominante. Anche questi pazienti, seppur in proporzione minore rispetto alla "Central Core", possono presentare suscettibilità all'ipertermia maligna, in corso di anestesia generale. Non esiste ancora purtroppo terapia farmacologica né per la malattia "Central Core", né per quella "Minicore". I pazienti possono trarre vantaggi da cicli di fisiokinesiterapia e da eventuali interventi ortopedici per le malformazioni ossee a volte associate.
Repubblica -11 luglio 2002 L'allarme delle cellule morenti per aiutare l'organismo a salvarsi
MILANO - Le cellule del nostro corpo
che muoiono per "cause innaturali" lanciano un segnale d'allarme alle loro
compagne, una specie di "canto del cigno" che serve ad avvertire le altre
cellule, stimolandone la reazione. L'hanno scoperto due ricercatori
dell'Istituto San Raffaele di Milano, Paola Scaffidi e Marco Bianchi, che,
assieme a Tom Mistell del National Cancer Institute di Bethesda - come scrive
oggi un articolo pubblicato sulla rivistica scientifica "Nature" - sono riusciti
a identificare il primo meccanismo noto attraverso cui le cellule si comunicano
che si è verificato un danno ai tessuti.
Ictus, proteina naturale ripara i danni
Sull’Alzheimer familiari
italiani più abbandonati
Staminali trasformate in neuroni
NEW YORK - Le cellule
staminali embrionali sono state 'trasformate' in neuroni motori funzionanti.
L'importante passo avanti è il frutto di 15 anni di ricerche. Ci sono riusciti
ricercatori statunitensi utilizzando cellule di embrioni di topo, in uno studio
pubblicato dalla rivista Cell . Adesso, si spera di poter ripetere l'esperimento
sugli esseri umani e ottenere nuovi neuroni per rigenerare tessuti danneggiati.
Partendo da staminali embrionali, il successo ottenuto da Hynek Wichterle e
Thomas Jessell, dell'Howard Hughes Medical Institute (Columbia University), si
basa principalmente su due fattori chiave, l'acido retinoico, che 'spinge' i
neuroni a trasformarsi in cellule progenitrici dei motoneuroni spinali, e la
proteina 'Sonic hedgehog', che li stimola a diventare neuroni motori. L'intero
processo ha ripercorso le normali tappe della crescita embrionale e ha richiesto
un minuzioso e certosino dosaggio di queste due sostanze e di altri composti
chimici. Per seguire i vari stadi le cellule embrionali sono state marcate con
una sostanza fluorescente. Questo ha permesso di dimostrare che i neuroni, una
volta inseriti nel midollo spinale degli embrioni, sono in grado di sopravvivere
e 'proiettare' i prolungamenti assonali verso i muscoli, stabilendo le giuste
connessioni. I ricercatori ritengono che, a questo punto, siano necessari solo
'piccoli ritocchi' al cocktail utilizzato per ottenere che questi neuroni si
comportino nello stesso modo anche quando vengono introdotti nel midollo spinale
di animali adulti e hanno già avviato degli studi in questa direzione.
Paraplegia spastica ereditaria, una mitocondriopatia
Giorgio
Casari La
paraplegia spastica ereditaria (HSP) è una malattia neurodegenerativa
caratterizzata da spasticità progressiva e debolezza degli arti inferiori. Studio sulle staminali condotto da un centro sul Lago Maggiore I test su cellule da embrioni, primo sì italiano ROMA - - La notizia si è diffusa veloce fra i laboratori, poche ore prima della chiusura di Ferragosto, quasi in coincidenza con l’annuncio a Londra del primo sì a esperimenti di clonazione terapeutica che potrebbero contribuire a mettere a punto nuove cure contro il diabete. I ricercatori non se l’aspettavano. Il Comitato nazionale di bioetica ha dato il via libera alla prima sperimentazione italiana con linee cellulari embrionarie. Sembra incredibile, visto il clima ostile verso ogni forma di intervento sugli ovociti già fecondati, quindi già lanciati verso la vita. Le linee sono cellule ricavate dall’embrione e poi messe in coltura, moltiplicate e riposte in speciali banche per essere vendute ai centri da società o istituti americani, australiani e coreani. Da un solo embrione, che viene distrutto e di solito proviene da quelli in eccesso messi a disposizione dalle coppie sottoposte a fecondazione artificiale, se ne possono ottenere un’infinità. IL VIA LIBERA - Da noi non sono mai state utilizzate, almeno ufficialmente, considerati i paletti che di volta in volta hanno delimitato sempre più il campo di azione degli scienziati, scoraggiando iniziative rischiose e non legittimate. Ma in questa occasione il Cnb ha ritenuto non ci fossero ragioni normative né univoca posizione etica per negare il nullaosta al centro di Ispra, sul Lago Maggiore, l’Ecvam (European centre for the validation of althernative methods). L’Istituto, pur insistendo sul nostro territorio, fa capo alla Commissione europea e partecipa ad un programma sperimentale finanziato nell’ambito del Sesto programma quadro stabilito da Bruxelles. Si vogliono studiare gli effetti sull’embrione delle sostanze chimiche diffuse nell’ambiente e vedere se ci sono rischi di malformazione per il feto durante la gravidanza. IL VOTO - Il documento è stato votato all’unanimità, salvo due astenuti, nell’ultima riunione estiva. Il Cnb nella risposta ricorda che già nel parere sulle linee cellulari embrionali dell’aprile 2003 «la maggioranza dei componenti ha espresso parere negativo a qualsiasi forma di sperimentazione che comporti o abbia comportato la distruzione di embrioni umani, una minoranza invece si è detta favorevole». Ambedue le posizioni non hanno dunque carattere vincolante anche se si aggiunge che «la posizione di maggioranza è stata assunta dal governo italiano» Secondo punto: il Comitato precisa che «la legge sulla fecondazione artificiale è oggi l’unico strumento normativo italiano che regola la sperimentazione su embrioni umani a fini di ricerca». La legge non fa riferimento alle linee cellulari, escluse dunque dai divieti. In pratica i «saggi» non hanno potuto dire di no. Cinzia Caporale, bioeticista di Siena, una delle anime del Referendum contro la legge sulla fecondazione, ha redatto il documento e lo commenta: «Abbiamo messo nero su bianco che quella ricerca non è illegale, che possono andare avanti. Se è stata dischiusa una porta? Questi pareri fanno giurisprudenza interna e avrebbero valore se si verificassero casi analoghi. Indirettamente il via libera riguarda tutti i centri che vogliono utilizzare linee cellulari già esistenti. Sono soddisfatta perché abbiamo dimostrato che il Cnb non vuole ostacolare la ricerca scientifica» L'ELENCO - Esistono diverse decine di linee cellulari, elencate in un registro americano e disponibili su ordinazione. Sono conservate in banche americane, di Singapore, Australia e Corea, provengono tutte da embrioni soprannumerari freschi o congelati. Quelle acquistate per il progetto europeo sono state prodotte prima del 2001. Una data convenzionale, una sorta di punto e a capo stabilito da Bush quando nell’agosto di tre ani fa decise di assegnare finanziamenti pubblici solo ai centri che si fossero limitati all’impiego delle «vecchie» cellule. IL BANDO - La comunità scientifica ora richiede a gran voce l’abbattimento di questa demarcazione (l’ultima crociata viene lanciata con un articolo sul New England Journal of Medicine firmato da George Daley, Harvard University) perché il materiale precedente al 2001 viene considerato di scarsa qualità rispetto alle nuove linee. Dal bando del presidente ad oggi sarebbero state create almeno altre 128 linee, molto più efficaci e sicure. Spiega Giulio Cossu, che sta sperimentando sui cani con distrofia muscolare l’eventuale efficacia di staminali ottenute da cellule adulte: «Se le linee sono il risultato di procedure corrette e controllate, hanno la stessa utilità di quelle prese direttamente dall’embrione, ma con lo svantaggio di non appartenere al paziente che vuoi curare». Margherita De Bac
Una proteina mutante dietro il
morbo di Gehrig
Due
articoli pubblicati sul numero dell'8 luglio 2004 della rivista "Neuron"
fanno luce su alcuni aspetti del morbo di Lou Gehrig. I ricercatori spiegano che
nelle cellule di alcuni pazienti di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) una
forma mutante di una proteina normalmente protettiva ha come obiettivo i
mitocondri, le "centrali energetiche", dei neuroni motori, uccidendo i
neuroni e provocando infine la paralisi e la morte.
Parkinson: Italiani Scoprono Il Gene Responsabile Roma, 15 apr.- E' tutta italiana la nuova scoperta scientifica di un nuovo gene responsabile della malattia di Parkinson ad esordio giovanile. Lo hanno individuato nei laboratori dell'Istituto CSS Mendel di Roma, diretto dal prof. Bruno Dallapiccola, un gruppo coordinato dalla prof.ssa Enza Maria Valente grazie alla collaborazione con Telethon, l'universita' Cattolica di Roma e ricercatori inglesi e tedeschi. Lo studio sara' pubblicato domani sulla rivista internazionale "Science". In pratica i ricercatori hanno scoperto un gene, denominato PINK1 localizzato sul cromosoma 1 che, quando e' sano, protegge la funzione mitocondriale e i neuroni, ma che se mutato da stress, rende i neuroni colpiti dalla malattia (i dopaminergici) piu' vulnerabili e quindi favoriscono la neurodegenerazione e sviluppo piu' rapido del morbo. Il gene e' stato identificato in due famiglie siciliane e una spagnola. Ora i ricercatori sperano entro 7-10 anni di avere farmaci mirati antiossidanti. "Abbiamo studiato per 3 anni le famiglie osservando 60 geni ed escludendone la meta' per arrivare poi alle mutazioni uguali del gene nelle tre famiglie", ha detto la prof.ssa Valente. "E' una fase interessante perche' abbiamo scoperto che i due meccanismi principali: stress ossidativo delle cellule e l'accumulo di proteine anomale sono correlati tra loro", ha aggiunto ricordando che nella malattia di Parkinson l'80% delle cellule sono morte e quindi occorre intervenire prima con terapie preventive. "I geni conosciuti nella malattia sono una dozzina e ritengo che la scoperta di questo nuovo gene ci consentira' molto presto di individuare terapie in quella regione del cervello localizzata e conosciuta dove avviene la mutazione e quindi la malattia", ha detto il prof. Dallapiccola. Il Parkison e' una patologia neurodegenerativa del cervello che colpisce le cellule che producono la dopamina, il neurotrasmettitore utilizzato dai neuroni per comunicare fra loro. E' frequente negli anziani e l'esordio puo' avvenire dopo i 50 anni, con un picco fra i 59 e i 62 anni. Colpisce il 2% della popolazione ultra65enne ma anche i giovani. In Italia si stima che 100 mila persone siano affette dalla malattia di Parkinson. -
Mutazione del gene PINK1 in una rara forma di Parkinson giovanile
Ricercatori ,
coordinati da Enza Maria Valente dell'Istituto Mendel di Roma, hanno
identificato un gene responsabile di una rara forma ereditaria di Parkinson ad
esordio giovanile.
Yahoo notizie Lunedì 2 Febbraio 2004, 18:51 Staminali: Sirchia, Per Distrofia Una Speranza Non Nuova Cura Milano, 2 feb. (Adnkronos) - ''Non e' una nuova cura ma una grande speranza, non la fine di un percorso ma l'inizio di una via che rimane lunga. Ed e' importante che la gente lo capisca bene, per non creare illusioni dannose per i pazienti e per la ricerca''. Cosi' il ministro della Salute Girolamo Sirchia, oggi al Policlinico di Milano, ha presentato la prima sperimentazione sull'uomo delle cellule staminali contro la distrofia di Duchenne. I test, autorizzati a novembre dall'Iss e dal Comitato etico dell'Irccs milanese, partiranno a breve su otto bimbi malati tra 2 e 10 anni. Tra questi il figlio di un medico che ha collaborato alla ricerca. La sperimentazione - sostenuta dal Centro Dino Ferrari e dall'Associazione francese contro le miopatie-Telethon, e coordinata dall'equipe neurologica del professor Nereo Bresolin - e' frutto di una ricerca che ha visto impegnati, oltre al Maggiore, anche l'ospedale San Raffaele di Milano, l'Irccs Eugenio Medea e l'universita' degli Studi di Pavia. L'obiettivo finale e' di arrivare un giorno alla terapia genica, con iniezioni di cellule staminali 'ingegnerizzate' (cioe' 'corrette' attraverso la sostituzione del gene malato con uno sano) in grado di riparare i muscoli malati. Ma ''per ora - ha spiegato Yvan Torrente, coordinatore del Laboratorio staminali del Policlinico - cercheremo solo di verificare che le staminali, prelevate dai muscoli del malato, fatte moltiplicare e reiniettate senza alcuna modifica nel muscolo della mano, siano innocue, senza effetti indesiderati, e arrivino dove devono''. Per una vera e propria terapia, insomma, ''servira' del tempo e non bisogna promettere ai malati soluzioni magiche a portata di mano in pochi giorni - ha precisato Sirchia - Questa sperimentazione non ci permettera' di risolvere il problema a breve, ma certamente ci consente di sperare che nel giro di qualche anno si possano trattare malattie oggi difficilmente curabili''. La distrofia di Duchenne, che colpisce un neonato su 3.500, ma per esempio anche la sclerosi laterale amiotrofica: il cosiddetto morbo di Lou Gehrig, sul quale ''e' in corso un analogo esperimento. Ci sono quindi grandi attese. Ma va detto che, finche' i dati non sono chiari, questi sono solo esperimenti. Non cure disponibili''. E ''lo sanno bene i genitori dei bambini che tratteremo - ha assicurato Bresolin - Hanno firmato un consenso informato e sono perfettamente consapevoli che per ora la nostra intenzione non e' di curare i loro figli ma di verificare l'innocuita' e la fattibilita' di questa rivoluzionaria metodica''. Il ministro ha poi ricordato che ''sulle cellule staminali ci sono state inutili polemiche. Chi sostiene che le uniche utili siano quelle embrionali si deve ricredere. La vera promessa arriva dalle staminali adulti'', e secondo Sirchia queste sperimentazioni lo dimostrano. Presente in conferenza stampa, tra gli altri, anche Piero Ferrari, figlio del 'patron' di Maranello, Enzo, e fratello di Dino, morto a causa della distrofia e al quale nel 1984 e' stato dedicato l'omonimo centro. ''Voglio ricordare chi non c'e' piu' - ha detto - il professor Guglielmo Scarlato, grande neurologo e anima del Centro Dino Ferrari, Dino e mio padre. Che da industriale ha sempre promosso la ricerca e creduto nell'innovazione tecnica e scientifica''. (Opa/Adnkronos Salute)
PER IL DIABETE SCOPERTO IL RUOLO DEI MITOCONDRI (19/05) Negli anziani la
resistenza all'insulina e la minore capacita' di metabolizzare gli zuccheri sono
associate all'invecchiamento dei
mitocondri, gli organelli da cui dipende la
respirazione e la produzione di energia cellulare. Uno studio statunitense,
pubblicato sulla rivista Science, suggerisce che il diabete di tipo 2, tipica
malattia della terza eta', puo' derivare dalla minore capacita' dei
mitocondri
di trasformare lo zucchero in energia. I dati emersi dallo studio confermano l'ipotesi che la resistenza all'insulina a livello del muscolo scheletrico nella prole insulina-resistente di pazienti con diabete di tipo 2 sia correlata ad una disfunzione del metabolismo intramiocellulare degli acidi grassi, probabilmente a causa di un difetto ereditario nella fosforilazione ossidativa mitocondriale.
Difetto mitocondriale ereditato dal padre. 21 Agosto 2002
I
mitocondri
hanno loro propri geni e gli scienziati lungamente hanno ritenuto che soltanto
le madri li passassero sopra alla generazione seguente. Un'altra teoria suggerisce che un certo sistema di sorveglianza nell'embrione sarchia fuori i mitocondri del padre. I biologi evolutivi hanno supposto che il DNA mitocondriale di ogni persona è una copia della loro madre, la loro nonna ed e così via, di nuovo all'alba della specie.
Attualità e prospettive di un nuovo modello di studio per le malattie degenerative: l’approccio metabolico. Organizzato all’Università di Milano, dalla Fondazione Sigma Tau un simposio internazionale che ha ospitato i principali protagonisti della ricerca scientifica
A pochi giorni dalla scoperta di una delle cause dell’invecchiamento nel metabolismo mitocondriale, presso l’Istituto diretto dal prof. Scarlato all’Università di Milano e in collaborazione con l’Ospedale Maggiore - Policlinico di Milano - un simposio internazionale ha ospitato i principali protagonisti della ricerca scientifica per discutere sulle prospettive attuali di un approccio metabolico alla malattia. Queste le questioni al centro dell’incontro: bastano solo il DNA cellulare e i suoi geni a "dettare legge" per la nostra esistenza? È sufficiente alla ricerca biomedica, rivolgere la maggior parte degli sforzi e delle risorse per "conoscere"i soli geni? Come si fa a mettere in secondo piano le molecole che dai geni sono codificate, le interazioni e i processi metabolici coinvolti che sono poi vita per la complessità dell’organismo? Su questo versante, l’associazione tra geni e metabolismo, la genetica medica, ha da tempo una sua tradizione di studi, che però, si è detto durante il congresso, è stata messa relativamente da parte dalla grande impresa del Progetto Genoma Umano. In questa prospettiva, gli interventi di Barton Childs o di Charles Scriver hanno riportato all’attenzione del numeroso pubblico presente, il valore degli studi più recenti che hanno definitivamente aperto la strada a una riconsiderazione e a una nuova classificazione delle malattie genetiche. È ormai infatti dimostrato che un ruolo essenziale per la salute e il benessere del nostro corpo lo gioca l’integrità e il benessere di un altro DNA, trasmessoci dalla sola madre. È il DNA che sta nei mitocondri, le particelle interne alla cellula che le forniscono alimento, energia per "respirare". Nuovi e fervidi orizzonti di ricerca per la medicina si sono ormai aperti attraverso lo studio dei mitocondri. A esempio, come confermano le ricerche di Giuseppe Attardi e Guglielmo Scarlato pubblicate ad ottobre 1999 su "Science", l’organismo "invecchia" quando il mitocondrio "invecchia" e, con il tempo, altera la produzione di energia rendendosi responsabile del danneggiamento del buon metabolismo cellulare. Disfunzioni dei mitocondri, mutazioni del DNA mitocondriale per abusi dietetici o inquinamento ambientale, e loro replicazione incontrollata nel tempo, sembrano essere fra le cause principali di molte patologie degenerative che spesso si manifestano nel corso dell’invecchiamento. Il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson - ma anche il diabete o gli stessi tumori - possono ricevere una nuova luce da un approccio metabolico alla malattia. Studi pionieristici sulle alterazioni del DNA mitocondriale furono compiuti dallo svedese Rolf Luft, presente al congresso di Milano, negli anni ‘60, e proseguiti poi - tra gli altri - da Salvatore Di Mauro, Giuseppe Attardi, Menotti Calvani. Alterazioni tanto più evidenti quanto più l’organo colpito era costituito da cellule a scarsa capacità rigenerativa, come nel caso delle encefalomiopatie, patologie che colpiscono il tessuto muscolare e il cervello, rare ma mortali. Anche se una terapia mitocondriale è ancora lontana, e senza nulla voler togliere all’importanza degli studi diretti a individuare i geni responsabili di molte malattie, la conclusione a cui sono giunti i partecipanti all’incontro è che per le patologie degenerative si può ragionevolmente sostenere che "uno degli obiettivi fondamentali della ricerca biomedica è anche quello di cercare di intervenire sul metabolismo per modulare i danni che si producono con l’avanzare dell’età".
Scoperti bimbi geneticamente modificati
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Alessandra Farkas 5 maggio 2000
Staminali, sì australiano La Repubblica - Salute
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Ultimo aggiornamento: 09-02-08