MITO diagnostica

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Come si fa a diagnosticare una malattia mitocondriale?

Quali esami genetici sono utili nelle malattie mitocondriali?

Considerazioni Diagnostiche

La visita neurologica

L'ispezione del paziente

Il tono e la forza muscolare

Mialgie e crampi

Esame obiettivo generale

Esami del sangue: CPK

                           Latticodeidrogenasi (LDH) e altri enzimi

                           Acido lattico plasmatico

                           Mioglobinemia

                           Carnitinemia

                           Anticorpi antirecettori dell'acetilcolina

                           Altre indagini nel sangue

Esami delle urine: Mioglobinuria

                          Altri accertamenti nelle urine

La biopsia muscolare

Tecniche neuroradiologiche: RMN

                                          PET

L'elettromiografia clinica EMG

Consulenza genetica

Approfondimenti

Alcuni centri diagnostici      

 

 

 

 

 

 

 

Come si fa a diagnosticare una malattia mitocondriale?

L’intolleranza allo sforzo con accumulo di acido lattico a riposo.

La presenza di alterazioni mitocondriali rilevabili dall’analisi della biopsia muscolare.

La conferma definitiva della diagnosi si ha però con il riscontro di un preciso difetto biochimico degli enzimi della catena respiratoria o di una mutazione sul DNA mitocondriale

Quali esami genetici sono utili nelle malattie mitocondriali?
È consigliabile eseguire l’analisi delle mutazioni puntiformi del DNA mitocondriale, tramite un semplice prelievo di sangue, in quelle famiglie dove sia stato individuato almeno un caso di encefalopatia mitocondriale.
Poiché, anche all'interno della stessa famiglia, la variabilità dei sintomi può essere elevata, la previsione sul decorso della malattia nei portatori di basse percentuali di mutazione è difficilmente formulabile.
La diagnosi prenatale è spesso possibile, ma anche in questo caso la previsione sul decorso della malattia non è sempre facilmente formulabile.

Non tutte le malattie mitocondriali dipendono da alterazione del DNA dei mitocondri. Molte sono dovute ad alterazioni in geni nucleari e si trasmettono come malattie monogeniche

 

 

Considerazioni Diagnostiche

La diagnosi di malattia mitocondriale si basa sullo studio multidisciplinare del  paziente e dei suoi familiari, dal punto di vista clinico, morfologico, biochimico e  genetico-molecolare. L'esame clinico accurato è fondamentale nell'indirizzo di tutta la successiva procedura diagnostica.    La presenza di miopatia progressiva e/o di PEO, spesso accompagnate da segni "centrali" coinvolgenti diversi sistemi neuronali, è abbastanza tipica, ma spesso è  proprio l'associazione inusuale di segni clinici a carico di sistemi   ed organi embriologicamente e funzionalmente non correlati, in sindromi cliniche  complesse e di difficile inquadramento nosologico, a far insorgere il sospetto di una  patologia mitocondriale. Il sospetto si rafforza se la sindrome è ereditaria, e vi è  evidenza di trasmissione materna.    Accanto alla patologia a carico del SNC (ad es. la sindrome di Leigh) e del muscolo  scheletrico (ad es. le gravi miopatie infantili precoci da deficit isolato di COX), vi sono spesso quadri atipici, con coinvolgimento prevalente od esclusivo di altri organi

Ad esempio sono stati descritti quadri di grave insufficienza epatica  connatale o infantile precoce, associata a steatosi e cirrosi micronodulare. Per quanto  riguarda il sistema cardiovascolare, casi di morte improvvisa, o l'insorgenza di  blocchi di branca, o il "deficit di pompa" causato dalla presenza di una cardiomiopatia  progressiva non sono rari in pazienti "mitocondriali". Ciò non è sorprendente dal  momento che il cuore è un tessuto che consuma molta energia, fornita in massima parte  dal metabolismo ossidativo aerobio. La biopsia endomiocardica si è dimostrata utile  in casi selezionati, per evidenziare alterazioni morfologiche, biochimiche e  molecolari. In campo nefrologico, la nefropatia tubulo-interstiziale, ma soprattutto la  tubulopatia prossimale di DeToni-Fanconi sono le manifestazioni più frequentemente  osservabili in patologia mitocondriale pediatrica. Nei pazienti tubulopatici può talora  mancare l'acidosi lattica ma spesso un elevato acido lattico urinario, così come valori  anomali degli intermedi del ciclo di Krebs, suggeriscono difetti della catena  respiratoria. Infine, il diabete mellito ad esordio precoce, ma anche  l'ipoparatiroidismo, l'ipotiroidismo, l'ipogonadismo ipogonadotropo, e il deficit di  ACTH, sono stati segnalati quali complicazioni endocrinopatiche delle mitocondriopatie pediatriche.    Dal punto di vista laboratoristico, il dato di più frequente riscontro è la presenza di  elevati livelli di acido lattico nel sangue e, spesso, anche nel liquor cefalo-rachidiano  (LCR). Particolarmente indicativo di alterazioni degli enzimi della catena respiratoria  è il contemporaneo rialzo di lattato, piruvato ed alanina, con elevato rapporto  lattato/piruvato. Al contrario, l'acidosi lattica associata ad un basso indice  lattato/piruvato suggerisce la presenza di difetti della piruvato deidrogenasi. La  acidosi lattica è un dato di quasi costante riscontro nel bambino "mitocondriale",  mentre nell'adulto può essere assente. Data la difficoltà della diagnosi clinica nel  paziente pediatrico, le misurazioni del lattato ematico e liquorale e degli altri "punti  redox" (acido piruvico, beta- idrossibutirrato e acetoacetato) se eseguiti correttamente  da un laboratorio esperto, sono esami poco costosi e rapidi, che risultano    estremamente utili per l'inquadramento diagnostico. Nei casi dubbi, può essere utile la  valutazione di curve del lattato "dinamiche" (durante e dopo un esercizio muscolare  standard nell'adulto, o, nel bambino, durante il digiuno prolungato e in periodo  post-prandiale).    Lo studio morfologico della biopsia muscolare è fondamentale in quasi tutti i casi di  patologia mitocondriale, pediatrici e adulti, anche se si è già sottolineato che talora i  quadro morfologico muscolare è normale (ad es. nella LHON e nella NARP). Il  tessuto muscolare è ideale per lacaratterizzazione biochimica dei difetti della catena    respiratoria, e per la rivelazione istochimica di deficit della COX. Inoltre, la  disponibilità di tessuto muscolare bioptico è fondamentale in caso di fenotipi associati  amacroriarrangiamenti del mtDNA, in quanto tali alterazioni sono spesso assenti in  altri tipi cellulari (ad es. leucociti ematici). Al contrario, nel sospetto di mutazioni puntiformi del mtDNA, lo screening molecolare iniziale può essere eseguito anche su   DNA estratto da sangue periferico.   Le alterazioni neuro-radiologiche sono abbastanza tipiche. Si tratta soprattutto di alterazioni simmetriche delle strutture cerebrali profonde  (anomalie del tronco encefalico, dei gangli della base, della sostanza bianca  periventricolare) e del cervelletto (atrofia del verme o atrofia globale). Lesioni    encefalomalaciche, specie nelle zone posteriori degli emisferi cerebrali, suggeriscono    la possibilità di una sindrome "MELAS". La spettroscopia basa sulla RMN del  cervello o del muscolo è stata utilizzata per valutare, in maniera non invasiva, l'attività  metabolica e lo stato energetico di questi organi. E' pertanto possibil identificare aree  cerebrali o gruppi muscolari in cui vi sia una eccessiva produzione di acido lattico o  una ridotta produzione di ATP. Ciò consente il follow-up non invasivo dei pazienti e    la valutazione strumentale dell'eventuale efficacia dell'approccio terapeutico. Poco é  noto a questo riguardo ma lo sviluppo di sistemi di ricerca avanzati, compreso  l'utilizzo di modelli animali transgenici e i primi tentativi di "terapia genica", ed un più  "disciplinato" utilizzo di farmaci energetizzanti (carnitina, CoQ10, etc) forniranno nel ampie possibilità terapeutiche.

L’interesse per queste curiose e indispensabili strutture cellulari è aumentato ancor più dopo la dimostrazione recente che un gruppo eterogeneo di gravi e numerose malattie (note come "malattie mitocondriali") è causato da  mutazioni del DNA dei mitocondri, ma è tuttora poco noto come queste   mutazioni possano provocare differenti quadri patologici. Lo studio, condotto da Rosario Rizzuto insieme a Paolo Pinton e Tullio Pozzan, in  collaborazione con ricercatori americani dell’Università del Massachussetts,  utilizzando un approccio tecnologico innovativo (ossia un microscopio a    fluorescenza ultrarapido che permette di acquisire 30 immagini in meno di un  secondo), ha ottenuto per la prima volta un’immagine tridimensionale di questi  organelli in cellule viventi. I risultati di questo lavoro cambiano una nozione ormai consolidata in biologia: i mitocondri non sono infatti piccoli organelli "a  forma di sigaro" distinti e indipendenti, come si era creduto finora, ma un intricato reticolo interconnesso, in rapido e continuo movimento all’interno  della cellula. Questo nuovo concetto può servire a comprendere non solo processi importanti nella vita di questi organelli, ma anche come si sviluppano    le malattie dovute a mutazioni del DNA mitocondriale. Inoltre è stato possibile dimostrare che i mitocondri sono a strettissimo contatto con un’altra struttura della cellula, il reticolo endoplasmatico, e grazie a questa vicinanza ricevono, al momento opportuno, il segnale di attivazione. Quando una cellula viene stimolata, infatti, il reticolo endoplasmatico rilascia ioni calcio nelle immediate  vicinanze dei mitocondri, che li captano prontamente e vengono così attivati.     Questo raffinato meccanismo di segnalazione e il ruolo fondamentale degli ioni calcio nel controllo della funzione mitocondriale aprono l’affascinante   prospettiva di poterne "modulare" l’attività grazie allo sviluppo di nuovi farmaci  che agiscano sul trasporto del calcio.    Per ulteriori informazioni rivolgersi al Dott. Rosario Rizzuto - Tel.   049/8276065  E’ disponibile a richiesta copia dell’articolo pubblicato su Science

 


 

La visita neurologica
a cura della Redazione di DM

Patologie neuromuscolari diverse possono presentare talvolta sintomi e segni simili. Una diagnosi precisa non può pertanto prescindere da un'accurata ricostruzione del decorso della malattia e da un attento esame clinico, in altre parole da un'accurata visita del paziente.
Importanti elementi per orientare la diagnosi sono l'età e il sesso, le modalità di esordio del disturbo e l'andamento nel corso del tempo. Inoltre, quando si sospetta una malattia ereditaria, è fondamentale indagare anche sugli altri componenti della famiglia: possono infatti essere svelati eventuali ascendenti che presentavano segni di una patologia miopatica (disturbi nella marcia, difetti scheletrici o muscolari, ritardi psicomotori). Se i parenti risultano clinicamente normali, sono opportuni studi del DNA, degli enzimi muscolari, i dosaggi ormonali, l'elettromiografia o la biopsia muscolare: esami, questi, che potrebbero rivelare anomalie non manifeste.
Prima di procedere all'ispezione diretta del paziente, si ritiene opportuno porre allo stesso una serie di domande utili a evidenziare eventuali sintomi magari non notati come tali: ipotrofie muscolari (scarso sviluppo di un muscolo in un particolare settore del corpo), sensazione di tremori o fascicolazioni (la "carne che balla"), dolori in varie sedi, urine scure dopo sforzo, variazioni nella forza muscolare nell'arco della giornata o nel caso di particolari attività.
E' anche utile un'indagine sulle abitudini di vita e sul tipo di attività svolte dal paziente: questo infatti permette di valutare l'entità del disturbo e di ricercare eventuali cause tossiche o traumatiche all'origine della patologia.

L'ispezione del paziente
Il primo elemento che viene osservato con attenzione in una visita ad un paziente neuromuscolare è la deambulazione (la marcia) normale, poi quella sulle punte e sui talloni.
La marcia anserina (a mo' di papera), associata a iperlordosi (spostamento in avanti della colonna vertebrale all'altezza del bacino), rivela una carenza di forza prossimale agli arti inferiori, cioè vicina all'asse mediano del corpo (ad esempio dei muscoli delle cosce), tipica delle distrofie muscolari. Di contro, una marcia steppante - cioè con un allungamento accentuato della gamba - è segno di un deficit di forza distale, ovvero agli arti inferiori (distanti dall'asse mediano del corpo: polpacci, piedi, avambracci), come si osserva nelle polinevriti.
Si procede poi all'ispezione esterna del paziente svestito, prima in piedi, poi disteso, prono e supino. Viene posta attenzione ad eventuali alterazioni della pelle, deformità ossee o articolari (scoliosi, piede cavo ecc.), presenza di asimmetrie delle masse muscolari, ovvero muscoli omologhi degli arti di diverse dimensioni. Generalmente, in questo caso, si procede a misurazioni del diametro dell'arto, tramite un metro, in sedi che siano alla stessa distanza da determinati punti di riferimento ossei: ad esempio, per l'arto inferiore, la rotula; in tal modo è possibile quantificare l'entità del fenomeno e controllarne l'andamento nelle visite successive.
Un fenomeno ricorrente in caso di particolari malattie neuromuscolari può essere l'atrofia del muscolo (muscolo non sviluppato), talvolta associata ad astenia, cioè a debolezza muscolare. Non sempre comunque l'atrofia si accompagna a debolezza: ad esempio, in alcuni processi di origine neurologica, un'atrofia evidente può coesistere con una conservazione relativamente buona della forza, mentre in altre patologie - come la miastenia e alcune miopatie endocrine - si manifesta il processo inverso, cioè una forte astenia non accompagnata da processi di atrofizzazione del muscolo.
Altri segni sono poi:
- le ipertrofie e le pseudoipertrofie muscolari, cioè uno sviluppo abnorme, localizzato o generalizzato, della dimensione del muscolo.
Nel primo caso vi è un'associazione del segno clinico con debolezza muscolare. Si parla invece di pseudoipertrofia quando la perdita di fibre muscolari - che avviene solitamente nei processi distrofici - viene compensata da proliferazione di materiale fibroso, di consistenza pastosa: è il caso della pseudoipertrofia dei polpacci che si osserva nelle distrofie di Duchenne e Becker, nelle atrofie spinali tipo Kugelberg-Welander e nelle donne portatrici di distrofie tipo Duchenne;
- l'ipotrofia, cioè lo scarso sviluppo di gruppi muscolari. La sua localizzazione in una sede particolare (cingolo scapolare, bicipite, tricipite, muscoli della mano, muscoli distali degli arti inferiori) orienta di volta in volta sulla probabile malattia di base;
- le retrazioni tendinee, cioè le riduzioni di lunghezza dei legamenti che uniscono i muscoli alle ossa. Queste possono essere causate dal processo di atrofizzazione (diminuzione di volume) del muscolo. Le conseguenze sono il blocco delle articolazioni, in particolare delle caviglie, delle ginocchia, dei gomiti e dei polsi. In pratica, i tendini si ritraggono limitando o impedendo l'estensione completa della gamba. Tale fenomeno è frequente nei processi distrofici e la sua precoce individuazione è importante per ritardarne l'evoluzione con adeguati trattamenti fisioterapici;
- le facies, cioè le conformazioni del volto, determinate dai processi di interessamento dei muscoli facciali. Esse possono comportare ptosi (abbassamento delle palpebre), strabismo, palato ogivale, viso allungato;
- le fascicolazioni, cioè guizzi brevi (e per questo difficilmente percepibili se non si presta una particolare attenzione) e aritmici, visibili sotto la pelle che ricopre il muscolo in varie sedi del corpo. Esse possono anche essere scatenate dalla percussione del muscolo, con il già menzionato fenomeno della "carne che balla".

Il tono e la forza muscolare
Fin dalla fase neonatale si possono riscontrare segni di malattie neuromuscolari, dovute a numerose affezioni ad esordio precoce. Uno di questi è la cosiddetta ipotonia del lattante, vale a dire una debolezza muscolare che impedisce al neonato di alzarsi. Il bambino ipotonico tende a rimanere disteso, a braccia e gambe allargate (posizione "a rana"), e quando viene fatto muovere, gli arti e le articolazioni sembrano allentati. Se il bambino inoltre viene sollevato per le braccia in posizione seduta, il capo tende a cadere all'indietro, mentre, se viene sostenuto per il ventre, la testa e gli arti pendono mollemente. Utili indicazioni diagnostiche possono fornire anche l'intensità del pianto e della respirazione.
Nei bambini più grandi e negli adulti il tono muscolare viene esaminato facendo fare dei movimenti passivi alle estremità e valutando la resistenza che si incontra. Per un test attendibile è necessaria, in questo caso, una buona collaborazione da parte del soggetto.
In pazienti neuromuscolari l'esame della forza (eseguito opponendo una resistenza al movimento compiuto dal paziente e saggiando segmento per segmento i muscoli specifici o facendo compiere alla persona particolari "manovre") può rivelare un'astenia (debolezza) localizzata in diversi punti:
- astenia generalizzata, che coinvolge tutti i segmenti muscolari. E' propria della miastenia, delle miopatie metaboliche e delle miopatie congenite;
- astenia prossimale, che interessa i muscoli delle cosce, del cingolo pelvico (il bacino) o di quello scapolare (le spalle), frequente nei processi miopatici e in alcune forme di amiotrofia.
Nel caso di deficit di forza nei muscoli delle cosce o del bacino, i sintomi saranno l'affaticabilità nella marcia, la facilità alle cadute, la difficoltà nel sollevarsi da accovacciati o seduti e nel salire le scale senza appoggiarsi a sostegni. La debolezza del cingolo scapolare può manifestarsi poi nella difficoltà a pettinarsi o a stendere la biancheria, mentre l'esame clinico rivela la presenza delle scapole alate, cioè sporgenti in modo rilevante;
- astenia distale, che colpisce i muscoli dell'avambraccio, del polpaccio, della mano o del piede, ed è segno di patologie neurogene, salvo alcune eccezioni, quali la miotonia di Steinert e alcune forme di miopatia dette appunto distali.
Nel caso di un interessamento dei muscoli delle mani, il paziente avrà difficoltà a compiere movimenti fini, come scrivere o adoperare le posate. Quando invece sono coinvolti i muscoli degli arti inferiori, tenderà a inciampare facilmente;
- astenia dei muscoli del tronco, per la quale il paziente ha difficoltà a passare dalla posizione supina a quella seduta senza fissarsi con le mani a qualche punto di appoggio (ad esempio il bordo del lettino).
L'astenia può inoltre colpire i muscoli del collo, con la difficoltà nel sollevare il capo e la tendenza a tenerlo lievemente flesso in avanti, degli occhi, con diplopia (vista doppia) e caduta delle palpebre (ptosi), del volto, con difficoltà nella masticazione, della deglutizione e della fonazione, con modificazioni nel timbro della voce.

Mialgie e crampi
Tra i disturbi soggettivi lamentati da un paziente neuromuscolare, vanno segnalate le mialgie (dolori muscolari), che si possono manifestare a riposo o dopo sforzo (in questo caso si parla di crampi). Utile è anche la palpazione delle masse muscolari per evidenziare eventuali mialgie dopo la compressione delle stesse.
Dolori muscolari durante e dopo uno sforzo, che scompaiono con il riposo, possono invece manifestarsi in patologie caratterizzate da carenza di enzimi glicolitici muscolari. E' comunque sempre necessaria un'attenta valutazione da parte del medico, in quanto le mialgie possono manifestarsi anche a seguito di disturbi di origine psichica - come nevrosi o sindromi depressive - che non hanno nulla a che vedere con patologie neuromuscolari.

Esame obiettivo generale
Un esame obiettivo generale dovrà ricercare la presenza di eventuali affezioni cardiache, respiratorie, scheletriche, endocrine, metaboliche, infiammatorie, neoplastiche, che si possono associare alle malattie neuromuscolari.
Va comunque segnalato che non sempre è sufficiente un esame clinico per esprimere una diagnosi di malattia neuromuscolare. Talvolta, infatti, alcune alterazioni enzimatiche, elettromiografiche o metaboliche sono presenti a livello cellulare o molecolare anche di fronte ad un quadro clinico negativo.
Nel caso, ad esempio, di alcune donne portatrici della distrofia di Duchenne o di Becker, solo un'accurata indagine genetica e l'analisi del DNA possono svelare un'anomalia, poiché per il resto esse appaiono perfettamente sane.
Per questo, quindi, è necessario svolgere specifiche analisi strumentali quando l'esame clinico obiettivo fa sospettare la presenza di una patologia neuromuscolare.

 

Esami del sangue
CPK
La CPK (creatinfosfochinasi) - detta anche CK (creatinchinasi) - è un enzima presente in modo caratteristico ed elevato nel muscolo e nel miocardio (la parte muscolare del cuore). Si tratta di una proteina che ha la funzione di trasformare in modo reversibile l'ATP (l'adenosin-trifosfato, sostanza che serve al trasporto di energia) e la creatina (aminoacido presente nel tessuto muscolare) in fosfocreatina, composto donatore di energia, essenziale per la normale attività muscolare.
Sia la CPK muscolare che quella cardiaca sono composte da due sub-unità, che possono essere di tipo M o di tipo B: nel muscolo si trova la CPK con doppia sub-unità M (forma MM), mentre nel cuore si trova sia la forma MM che una forma MB (sub-unità M associata a sub-unità B).
L'aumento della CPK nel siero (liquido del sangue che si separa da questo in seguito alla coagulazione) può essere causato da alterazioni muscolari o anche cardiache. Tra queste ultime va segnalato in particolare l'infarto del miocardio, in cui la CPK si caratterizza per un aumento di quattro-cinque volte il normale, nei due giorni successivi all'evento patologico, e per una componente di forma MB particolarmente evidente.
Generalmente, tuttavia, specie nel bambino e nel giovane, la CPK aumenta in seguito ad alterazioni del tessuto muscolo-scheletrico. Un'alterazione lieve e transitoria è spesso dovuta a cause banali, quali un'iniezione intramuscolare, uno sforzo prolungato o un trauma muscolare, ma un aumento persistente ed elevato (spesso oltre dieci volte il normale) è caratteristico proprio delle distrofie muscolari, con alterazioni della membrana delle fibre, in particolare delle forme X-linked (distrofia di Duchenne, di Becker) e di altre forme, quali la distrofia da deficit di adalina e la distrofia congenita da deficit di merosina.
Nelle distrofie X-linked, l'analisi della CPK nel siero dopo sforzo muscolare viene utilizzata per la diagnosi dello stato di portatrice, anche se bisogna ricordare che a questo scopo l'analisi del DNA ha una capacità diagnostica molto superiore. Da segnalare poi che incrementi dei dati di CPK si possono osservare anche nella polimiosite e nell'ipotiroidismo. I valori più elevati si registrano in seguito a rabdomiolisi acuta - ovvero a necrosi massiccia delle fibre muscolari - fino ad arrivare anche a cento-trecento volte oltre il normale; tale evento si configura sul piano clinico come crisi mioglobinurica (vedi oltre).
Normalmente, quindi, un aumento della CPK sierica è un segno di malattia muscolare. E tuttavia va ricordato che alcune miopatie si possono generalmente presentare con valori lievemente alterati o addirittura normali: tra questi, la distrofia miotonica, la distrofia facio-scapolo-omerale e alcune forme di miopatia congenita.
Nelle atrofie muscolari spinali e nelle polineuropatie, la CPK è di regola normale, ma può presentarsi aumentata nelle forme croniche.
Nella distrofia di Duchenne, infine, la CPK sierica tende a decrescere con l'età, anche se, fino a quando il paziente è ancora deambulante, si possono osservare variazioni in aumento o in decremento che si collegano non al decorso della malattia ma a fattori casuali, quale ad esempio la quantità di esercizio muscolare eseguito il giorno prima del prelievo.

Latticodeidrogenasi (LDH) e altri enzimi
Nel siero di pazienti con malattie muscolari si può anche riscontrare l'aumento del valore di altri enzimi presenti nelle fibre muscolari, e in particolare della latticodeidrogenasi (LDH), dell'aldolasi, della piruvicochinasi (PK) e dell'aspartatoaminotransferasi (AST).
Nelle miopatie in cui si rileva un aumento della CPK, tali enzimi si possono presentare anch'essi alterati, ma di solito in modo meno evidente, cosicché la loro valutazione riveste meno importanza nella diagnostica della patologia muscolare. Va segnalato tuttavia che in alcuni casi, come ad esempio in alcune forme o fasi della polimiosite, specie infantile, si può osservare nel siero una CPK normale, accanto all'alterazione isolata di altri enzimi quali la LDH.
L'elevazione degli enzimi AST e ALT (alaninaaminotransferasi) è considerata espressione di malattia epatica, dato che il fegato ne è particolarmente ricco: ed è per questo che quando, in caso di miopatia, aumentano nel sangue le transaminasi, e in particolare la AST, il medico può essere erroneamente indirizzato verso una malattia del fegato, se contemporaneamente non si procede ad una valutazione della CPK.

Acido lattico plasmatico
Alcune malattie muscolari - in particolare le miopatie metaboliche - possono causare un alterato valore dell'acido lattico plasmatico, valutato a riposo o nell'ambito di particolari prove.
Nel tessuto muscolare, l'acido piruvico, quando non può entrare nei mitocondri per essere ossidato, viene trasformato in acido lattico. Questo permette che la glicolisi, a monte, continui a trasformare altro glucosio in acido piruvico e così produrre legami energetici. Un aumento dell'acido lattico - o dell'insieme di acido lattico e acido piruvico - in generale è indice di un'alterazione dell'attività mitocondriale, quale si può avere per deficit della piruvicodeidrogenasi, della piruvicodecarbossilasi, della citocromo-C-ossidasi o di altri enzimi della catena respiratoria. Queste anomalie enzimatiche spesso si manifestano come encefalomiopatie, cioè malattie a prevalente coinvolgimento muscolare e cerebrale.
Nel sospetto di una patologia mitocondriale, se l'acido lattico basale è normale, si può evidenziare un suo incremento patologico mediante la "Prova da sforzo aerobico", test nel quale il paziente esegue un esercizio di venti minuti alla cyclette e viene sottoposto poi a una serie di prelievi di sangue seriali proprio per dosare l'acido lattico.
L'acido lattico plasmatico può anche essere valutato nella "Prova da sforzo anaerobico", test in cui il paziente apre e chiude ripetutamente con forza una mano per un minuto, mentre viene bloccata la circolazione arteriosa del braccio (e quindi l'apporto di ossigeno) mediante un bracciale.
Una successione di prelievi allo stesso arto viene eseguita prima e dopo il test: se essi indicano una mancata produzione di acido lattico, sono segnale di alterazione della glicolisi o della glicogenolisi. Ne sono esempi le miopatie da deficit degli enzimi fosfofruttochinasi e miofosforilasi.

Mioglobinemia
Il trasporto di ossigeno all'interno delle fibre muscolari è regolato da un'emo-proteina denominata mioglobina. In generale, le malattie muscolari che determinano aumento nel siero delle CPK comportano anche il concomitante aumento della mioglobina: nella diagnostica delle malattie neuromuscolari, il dosaggio plasmatico di questo costituente appare pertanto poco rilevante, se si eccettuano i casi dubbi di mioglobinuria (vedi oltre).
Il dosaggio della mioglobinemia (concentrazione di mioglobina nel sangue) è più utile nella diagnosi dell'infarto miocardico, perché questo evento determina un aumento della mioglobina nel plasma più precocemente di quello della CPK.

Carnitinemia
Presso alcuni centri specializzati si può dosare nel sangue la carnitina, una sostanza che viene in parte assunta col cibo e in parte sintetizzata nell'organismo. Essa ha la funzione di trasportare gli acidi grassi a lunga catena all'interno dei mitocondri per l'ossidazione. Per questo la mancanza di carnitina determina accumulo di grassi nei tessuti.
Nella miopatia da deficit di carnitina, questa sostanza è deficitaria nel muscolo ma presente nel sangue. Si osserva invece un livello molto basso di carnitinemia (concentrazione di carnitina nel sangue) nella forma sistemica della malattia da deficit di carnitina, patologia molto rara in cui oltre al muscolo scheletrico sono interessati anche altri organi, quali cuore, reni, cervello e fegato.
Si possono osservare riduzioni della carnitinemia in conseguenza di altre malattie, come ad esempio nei disturbi del metabolismo del piruvato (altra denominazione dell'acido piruvico salificato), o in forme di encefalomiopatia mitocondriale. Più frequentemente, questa condizione di deficit secondario di carnitina si può osservare in seguito ad emodialisi, malnutrizione, gravidanza o trattamenti con particolari farmaci.

Anticorpi antirecettori dell'acetilcolina
E' quest'ultimo un esame utile nella diagnostica della miastenia grave, malattia causata da autoanticorpi diretti contro i recettori dell'acetilcolina della placca neuromuscolare (punto di contatto tra il nervo e la fibra muscolare). L'identificazione di tali anticorpi nel siero indica la diagnosi di miastenia grave.
Va tenuto presente che circa il 10-20% dei pazienti miastenici non sono positivi a questo esame e pertanto la normalità dello stesso non può escludere la presenza della malattia.

Altre indagini nel sangue
Oltre a quanto elencato, a livello ematico si possono eseguire anche altri esami ai fini della diagnosi di una malattia neuromuscolare. Tra questi ricordiamo l'analisi degli acidi organici, che va eseguita anche nelle urine, e che può permettere l'identificazione di malattie metaboliche molto gravi.

Esami delle urine
Mioglobinuria
Il muscolo scheletrico è ricco di mioglobina, un'emoproteina simile all'emoglobina del sangue, che è in grado di trasportare ossigeno dal capillare al mitocondrio, dove viene utilizzato per l'ossidazione metabolica. La mioglobinuria (comparsa di mioglobina nelle urine) è conseguente alla presenza nel plasma di una mioglobinemia in valori superiori a quelli della soglia renale per questo pigmento.
Tale evento patologico è possibile quando dal muscolo vengono rilasciate nel sangue massicce quantità dei suoi costituenti, generalmente in seguito a necrosi muscolare acuta diffusa (rabdomiolisi), come si osserva nelle crisi mioglobinuriche ricorrenti (la mioglobinuria è la presenza di mioglobina nelle urine), caratteristiche di alcune malattie metaboliche.
Tra queste ultime la più frequente è la forma genetica da deficit dell'enzima detto carnitina-palmitil-transferasi. Ma crisi mioglobinuriche possono verificarsi anche in pazienti con distrofia, ad esempio dopo sforzi muscolari eccessivi, e possono rappresentare l'unico sintomo di una forma X-linked (variante mite della distrofia di Becker). La mioglobinuria, infine, può anche essere causata da schiacciamento di estese masse muscolari, come succede - per citare un esempio semplice, ma particolarmente evidente - in seguito ai traumi derivanti dal crollo di un edificio.
Nella crisi mioglobinurica conclamata, le urine presentano un caratteristico color "coca-cola" (una volta si parlava di color "marsala"), mentre non cambiano molto il colore se la quantità di mioglobina nelle urine è modesta. In ogni caso esami immunologici o spettrofotometrici specifici possono indicare con precisione la quantità di mioglobina presente nelle urine.
Nei laboratori meno attrezzati, la mioglobina viene evidenziata con test più semplici che però non la distinguono dall'emoglobina del sangue. In questi casi sarà solo il contemporaneo elevato aumento della CPK nel siero a indicare che si è in presenza di mioglobinuria (mioglobina nelle urine) e non di emoglobinuria (emoglobina nelle urine).
La diagnosi di crisi mioglobinurica è molto importante perché tale evento morboso può essere gravissimo a causa di complicanze renali o cardiache. Le forme più gravi si osservano per lo più in pazienti che presentano la cosiddetta suscettibilità all'ipertermia maligna, collegata, quest'ultima, all'uso di dialogenati o succinilcolina, sostanze usate per l'anestesia generale.
Queste stesse sostanze possono provocare gravi complicazioni anche in altri pazienti miopatici, sia pure con minore probabilità. La presenza di una miopatia deve portare quindi ad un'accurata valutazione anestesiologica, prima di qualsiasi intervento chirurgico.

Altri accertamenti nelle urine
Nella diagnostica delle malattie muscolari, si possono eseguire anche altre indagini di laboratorio a livello delle urine. In centri altamente specializzati, si può ad esempio valutare il profilo urinario degli acidi organici mediante metodiche diagnostiche molto sofisticate, come la gascromatografia e la spettrofotometria di massa, esami espletabili anche a livello del sangue.
Le analisi degli acidi organici consentono di diagnosticare le cosiddette organicoacidurie, patologie rare, ma molto gravi, tra cui vanno segnalate le malattie da alterazioni enzimatiche collegate al ciclo di Krebs (importante via del metabolismo mitocondriale) - quale ad esempio la forma da accumulo di acido metilmalonico - e quelle da deficit enzimatici della beta-ossidazione, quale ad esempio la glutaricoaciduria di tipo II.
 

 

Biopsia:

  • La biopsia muscolare permette di distinguere la natura della miopatia, che può essere, ad esempio, degenerativa, metabolica o infiammatoria.  

  • La biopsia di nervo periferico risulta indicata laddove la diagnosi clinica richieda una caratterizzazione di alterazioni patologiche associate a vasculite, amiloidosi e neuropatie ereditarie.  

  • La biopsia di cute si rivela utile nell’integrazione dello studio diagnostico di alcune malattie neuromuscolari, quali ad esempio distrofia muscolare di Emery-Dreifuss e distrofia neuroassonale.

  • Sul prelievo bioptico possono essere effettuati studi istochimici, istoenzimatici, immunoistochimici in microscopia ottica, ed ultrastrutturali in microscopia elettronica.

 

 

La biopsia muscolare
di Marina Fanin

Come e perché
La biopsia muscolare è il prelievo di una limitata porzione di muscolo (1 o 2 centimetri) dalla coscia o dal braccio, tramite una piccola incisione in anestesia locale (simile a quella utilizzata dal dentista). La ferita viene poi chiusa con qualche punto di sutura.
L'intervento per biopsia richiede circa mezz'ora di tempo, ma solo di rado viene eseguito ambulatorialmente. Di solito, infatti, il paziente che vi si sottopone viene ricoverato in ospedale per qualche giorno, perché è necessario eseguire previamente una visita neurologica e specifici esami del sangue, oltre ad un elettromiogramma, un elettrocardiogramma e una radiografia del torace.
Eccettuati quei rari casi in cui il parere del medico sia contrario, tutte le persone possono essere sottoposte a biopsia muscolare senza correre rischi, compresi i bambini al di sotto di un anno di vita.

La biopsia muscolare viene eseguita quando un neurologo o un pediatra la ritengono necessaria. Infatti, si arriva a praticarla quando la visita neurologica rileva dei sintomi sospetti che vengono confermati dal risultato di altri esami mirati. Quelli che in genere il neurologo prescrive sono l'elettromiogramma ed alcune analisi del sangue, che servono, ad esempio, a conoscere il valore della creatin-kinasi (CK), enzima caratteristico delle cellule muscolari.
In qualche caso, in cui un familiare soffra di una malattia muscolare ereditaria, la biopsia può servire anche ad individuare altre persone della stessa famiglia che - pur non soffrendo di quella stessa malattia - la possono trasmettere

 

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Sezione trasversale di biopsia muscolare, colorata con ematossilina-eosina (duecento ingrandimenti). Alcune anomalie presenti in questa biopsia sono costituite dalla coesistenza di fibre di dimensioni maggiori della norma (fibre ipertrofiche) e di fibre di dimensioni inferiori alla norma (fibre ipotrofiche o atrofiche), dalla presenza di nuclei cellulari localizzati all'interno del citoplasma (nuclei centrali) - anziché lungo la membrana cellulare - e dall'aumento del tessuto connettivo interstiziale che separa le fibre muscolari tra di loro.

 

 

 

 

 

E' consigliabile sottoporsi all'intervento in un centro specializzato in malattie neuromuscolari, dove vengano analizzate alcune centinaia di biopsie per anno. Questo perché le procedure di indagine sono molto sofisticate ed eseguibili solo nei centri più grandi e meglio attrezzati. Ciò permette inoltre di condurre un ampio numero di esami sulla porzione di muscolo prelevata. In qualche caso, infatti, le indagini più comuni non sono sufficienti a far capire con esattezza di quale tipo di malattia si tratti, ed è perciò necessario approfondire le analisi in modo ancora più specialistico.
Talora, per poter arrivare alla diagnosi corretta, è necessario analizzare alcuni dei componenti del muscolo (proteine ed enzimi) che risultano difettosi in determinate malattie, e queste ricerche si possono eseguire solo sul prelievo effettuato tramite la biopsia.

I recenti progressi nel campo delle malattie neuromuscolari ereditarie possono portare a chiedersi se sia sempre necessario arrivare alla biopsia muscolare per ottenere una diagnosi. Si può dire senz'altro che per diagnosticare la maggior parte delle distrofie muscolari - le miopatie congenite (miopatia nemalinica, miopatia centronucleare, miopatia central-core), le miopatie metaboliche, le miopatie infiammatorie (miositi), le atrofie muscolari spinali e la sclerosi laterale amiotrofica - tale strumento di indagine resti insostituibile.

La diagnosi istologica
Appena prelevato, durante la biopsia, il muscolo viene congelato immergendolo in azoto liquido (a una temperatura di -180 gradi). Questa procedura di fissazione consente di:

a) ottenere delle "fette" (o "sezioni") di muscolo estremamente sottili (dello spessore di millesimi di millimetro), adatte ad essere successivamente colorate e osservate al microscopio;
b) utilizzare il pezzettino di muscolo per indagini specialistiche (analisi biochimiche di enzimi muscolari, analisi sulle proteine muscolari ecc.) quando, dopo le indagini preliminari, esse si rendano necessarie per precisare la diagnosi;
c) conservare nel tempo il reperto rimanente, una volta effettuate le analisi: infatti, se trattata e conservata correttamente in particolari congelatori, una biopsia muscolare può essere utilizzata anche dopo qualche decina di anni.

Come già accennato, la diagnosi istologica della biopsia muscolare si ottiene tramite l'osservazione al microscopio di un numero variabile di vetrini, sui quali vengono racchiuse e colorate alcune "fette" del reperto. Ciascuno dei vetrini viene colorato in un modo diverso, per poter evidenziare i vari componenti del muscolo.
Più ampio è il numero di colorazioni o di analisi che vengono eseguite (analisi istochimiche ed istoenzimatiche), più numerose sono le informazioni che si possono ottenere.

Le analisi istochimiche più comuni (ematossilina-eosina, tricromica, PAS, Oil Red O) sfruttano la proprietà chimica delle soluzioni coloranti di legarsi in modo specifico ad uno dei componenti delle cellule muscolari.
Con tali colorazioni si possono esaminare la forma e la grandezza delle cellule muscolari, la posizione dei nuclei all'interno delle cellule stesse, l'infiammazione del muscolo, l'aumento di materiale fibroso non-muscolare (connettivo), la presenza di segni che indicano la distruzione delle cellule (degenerazione o necrosi), la formazione di nuove cellule (rigenerazione), l'aumento di particolari componenti (glicogeno, grassi).
Mentre nel muscolo normale le cellule sono di forma e dimensione regolari, nel muscolo malato si possono osservare cellule dal diametro più piccolo (atrofiche) o più grande (ipertrofiche) della norma, cellule dalle forme schiacciate (angolate) anziché circolari, nuclei localizzati all'interno della cellula anziché lungo il contorno periferico (membrana).
Alcune particolari colorazioni istoenzimatiche (deidrogenasi mitocondriali, citocromo ossidasi ecc.) permettono di verificare il corretto funzionamento di alcuni componenti della cellula muscolare - chiamati mitocondri - in cui avviene la produzione di energia utilizzata dalla cellula stessa durante la contrazione del muscolo.

 

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Sezione trasversale di biopsia muscolare, colorata con l'enzima ATP-asi acida (duecento ingrandimenti). Si osservano fibre muscolari che reagiscono positivamente e vengono identificate come fibre di tipo 1 (fibre scure) e fibre di tipo 2 che non si colorano (fibre chiare). Le fibre muscolari che rigenerano presentano con questa reazione una colorazione di tipo intermedio.

 

 

 

 

Altre colorazioni istoenzimatiche (ATP-asi miosiniche) consentono di evidenziare eventuali disturbi dell'innervazione del muscolo che non si potrebbero osservare semplicemente con le colorazioni istochimiche.
Dopo aver esaminato al microscopio tutte le colorazioni istochimiche ed istoenzimatiche disponibili e dopo avere annotato le eventuali anomalie osservate in ciascuna colorazione, un osservatore sufficientemente esperto in malattie muscolari può formulare la diagnosi istologica.

Va ricordato in conclusione che se queste sono le indagini principali che si eseguono relativamente alla biopsia muscolare, in qualche caso, però, può essere necessario approfondire li esami e procedere con successive colorazioni immunoistochimiche, oppure con dosaggi enzimatici, analisi di proteine, analisi sul DNA e altro ancora.
 

 

" Articoli tratti da DM, periodico dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. http://www.uildm.org "

 


 

 


Tecniche neuroradiologiche
di Elisabetta Menegazzo

A fianco dei tradizionali esami di "routine" (esame clinico, elettromiografia, biopsia), è opportuno segnalare anche l'esistenza di tecniche neuroradiologiche per la diagnosi di patologie in cui si sospetti un coinvolgimento del tessuto cerebrale.
Con il termine tecniche neuroradiologiche si intendono in particolare la risonanza magnetica nucleare (RMN) e la tomografia ad emissione di positroni (PET).

RMN
In una radiografia tradizionale, le radiazioni evidenziano più la struttura ossea e meno i tessuti. Per semplificare, si può dire che la struttura ossea appare come la "parte chiara" dell'immagine, mentre i tessuti appaiono "scuri".
Nel caso della RMN anche i tessuti non ossei esaminati inviano "segnali" che vengono rilevati in presenza di un campo magnetico e che danno luogo ad un'immagine.
Utilizzando opportunamente la RMN è possibile ottenere un'immagine costituita da diverse gradazioni di grigio, che corrispondono alle differenti densità del tessuto studiato.
L'esecuzione dell'esame in questione è semplice e non invasiva. Il paziente viene posizionato orizzontalmente all'interno di una macchina a forma di "tubo" e viene sottoposto a un campo magnetico. E' quindi importante che egli non soffra di claustrofobia (paura dei luoghi chiusi), e che non abbia in corpo schegge metalliche, protesi artificiali del cristallino, pompe di infusione di insulina o pace-maker che possono portare ad effetti dannosi, se sottoposti al campo magnetico.

PET
La PET è una metodica che si serve di un indicatore (fluoro-desossi-glucosio) che è utilizzato dal tessuto cerebrale e che si mescola nel sangue.
Si può valutare quindi come viene utilizzata tale sostanza dalle cellule cerebrali.

Le patologie interessate
Essendo un esame non invasivo, la RMN è facilmente eseguibile in età pediatrica per la diagnosi di malformazioni o alterazioni cerebrali, che possono essere presenti nelle distrofie muscolari congenite.
E' anche utile nella diagnosi differenziale tra la sclerosi laterale amiotrofica (malattia caratterizzata da progressivo "dimagramento" dei muscoli, con mancanza di forza e sensazione di "carne che balla"), la mielopatia da spondiloartrosi e la siringomielia (caratterizzata da una "cavità" che si forma nel midollo spinale).

RMN e PET trovano applicazione anche nella diagnosi della distrofia miotonica e delle encefalopatie mitocondriali.
La distrofia miotonica è una patologia neuromuscolare in cui - oltre al tessuto muscolare - possono essere coinvolti altri apparati, tra cui quello cerebrale. Tra le caratteristiche più importanti di essa, vi è l'abnorme espansione di una sequenza di DNA situata nel cromosoma 19 (chiamata tripletta CTG).
In questo caso la RMN cerebrale può evidenziare alterazioni della densità cerebrale e la PET alterazioni diffuse o localizzate del metabolismo energetico (vale a dire dell'utilizzazione di sostanze energetiche, quali il glucosio).
Riguardo poi alle encefalopatie mitocondriali, esse sono sempre malattie neuromuscolari, dovute però ad un'alterazione del DNA mitocondriale. Qui, all'interessamento del tessuto muscolare, si possono associare disturbi di diverso tipo che coinvolgono anche il tessuto cerebrale.
Nelle encefalopatie mitocondriali, la RMN può evidenziare la presenza nel cervello di aree con alterata circolazione sanguigna (le cosiddette ischemie), mentre la PET consente di individuare aree in cui l'utilizzazione di sostanze energetiche (metabolismo energetico) è anomala.
 

 

 

 

L'elettromiografia clinica
a cura della Redazione di DM

Il termine elettromiografia (EMG) indica un particolare esame che amplifica, visualizza e registra l'attività elettrica del muscolo volontario (muscolatura striata), attività che è alla base del processo di contrazione del muscolo stesso, e la risposta di un nervo a una stimolazione elettrica.
Esso viene praticato quando si sospetta una patologia del muscolo (distrofia, miotonia), della giunzione muscolo-nervo (miastenia), del nervo periferico, della radice del nervo o del motoneurone.
Per chiarire con un esempio, l'EMG registra quanta corrente passa attraverso un "filo elettrico" (il motoneurone e il nervo periferico) e come funziona la "lampadina" che deve accendere quel medesimo filo elettrico (il muscolo striato).
L'EMG consente quindi di evidenziare la presenza di anomalie dei muscoli ("lampadina rotta") o di patologie che provocano una ridotta o assente innervazione del muscolo ("filo elettrico = cattivo conduttore" oppure "conduttore spezzato"): spesso, grazie a questo tipo di indagine, è possibile localizzare la sede precisa di una lesione nervosa. L'esame fornisce inoltre elementi obiettivi che permettono di quantificare e di seguire l'evoluzione di un'affezione nervosa. Esso non consente però di riconoscere la natura esatta del danno, nervoso o muscolare che esso sia.

Il muscolo volontario
Per capirne un po' di più può forse tornare utile qualche elementare nozione sulla struttura del muscolo e sui suoi meccanismi di funzionamento.
Il muscolo volontario è formato da gruppi di fibre muscolari disposte secondo un ordine regolare - le cosiddette unità motorie - ciascuna delle quali innervata da un motoneurone.
A sua volta, una fibra muscolare è formata da unità ancora più piccole, le miofibrille, costituite da filamenti microscopici, chiamati actina e miosina, proteine che controllano la contrazione. Ogni fibra muscolare è fornita di una terminazione nervosa che riceve gli impulsi che dal cervello vanno al midollo spinale (1° motoneurone) e dal midollo al muscolo (2° motoneurone). L'impulso nervoso, simile ad una scarica elettrica, stimola il muscolo liberando un neurotrasmettitore, una sostanza chimica chiamata acetilcolina. Tutto questo dà inizio a una catena di eventi chimici ed elettrici che provocano lo scivolamento dei filamenti di miosina su quelli di actina, in modo molto simile ad una scala che si possa allungare o accorciare. E' proprio tale movimento a determinare l'accorciamento (contrazione) del muscolo.
La forza della contrazione del muscolo dipende da due fattori: la frequenza delle pulsazioni delle singole unità motorie (potenziale) e il numero delle unità motorie coinvolte nella contrazione. In altri termini, più frequenti sono le pulsazioni e maggiore è il numero delle unità motorie, più forte sarà la contrazione dell'intero muscolo. La contrazione massima si avrà quando tutte le unità motorie saranno coinvolte nel movimento e quando la pulsazione delle fibre sarà al livello massimo.

Le attività rilevate
Come detto all'inizio, l'esame elettromiografico rileva l'attività elettrica del muscolo, vale a dire le variazioni di potenziale delle unità motorie nel muscolo in attività, quando esso passa da una fase di rilasciamento alla contrazione. Inoltre, esso permette di stabilire - nel caso di una patologia che colpisce il sistema muscolare - se il danno è di tipo neurogeno (atrofia neurogena, provocata dalla lesione del motoneurone, della radice o del nervo) o muscolare (atrofia miogena, provocata dal danneggiamento di alcune fibre muscolari).
In un muscolo normale a riposo, non c'è alcuna attività elettrica: il cervello (la cosiddetta "centrale elettrica") non trasmette impulsi e non c'è pertanto alcun passaggio di corrente attraverso i nervi (i cosiddetti "fili elettrici"). Nel corso del movimento volontario graduato, si registra un'attività via via più complessa. Dapprima, per un movimento lieve, si può ottenere l'attivazione di una sola unità motoria con pulsazioni poco frequenti. Ciò permette di studiare le caratteristiche del potenziale di unità motoria. A mano a mano che il movimento si va rinforzando, si attivano nuove unità motorie (è il fenomeno definito sommazione spaziale) e, nel contempo, ogni singola unità motoria aumenta la frequenza delle proprie pulsazioni (sommazione temporale).
Un segnale di attività spontanea in un muscolo a riposo non è normale: la sua presenza, infatti, può indicare un'affezione acuta o cronica del nervo periferico, una rigenerazione nervosa o una sindrome miotonica.
Solitamente un tracciato troppo ricco di una debole ampiezza (polifasico), in un muscolo in contrazione, fa pensare a una patologia muscolare. Al contrario, un tracciato povero e accelerato, con dei potenziali talvolta di grande ampiezza, orienta verso un'affezione nervosa.
L'esame di stimolo-rivelazione misura il tempo che impiega la stimolazione elettrica a raggiungere il punto di registrazione dello stimolo stesso. Stimolando più punti sullo stesso nervo si può calcolare la velocità di conduzione nervosa (motrice o sensitiva): eventuali anomalie sono segno di una neuropatia.

Le apparecchiature
La strumentazione utilizzata per compiere l'elettromiografia comprende:
- gli elettrodi, piccole "sonde" che vengono infisse nel muscolo da esplorare. Normalmente l'elettrodo utilizzato è l'ago coassiale di Bronck, che ha al suo interno uno o due fili (si parla, nel primo caso, di derivazione monofilare, nel secondo di derivazione bifilare);
- gli amplificatori, che amplificano appunto le differenze di potenziale raccolte dagli elettrodi;
- due oscillografi catodici, sorta di "sismografi" nei quali viene immesso il segnale amplificato e che consentono la scopia, cioè la visualizzazione immediata delle variazioni di potenziale e la registrazione (fotografica o digitale) del segnale;
- un altoparlante, attraverso il quale esce una segnalazione acustica delle variazioni di potenziale.

Come si esegue l'EMG
L'esame elettromiografico non è standardizzato e la condotta di esso varia inizialmente a seconda del sospetto diagnostico fondato sull'esame clinico e sui dati neurologici, oltre che - successivamente - nel corso della stessa EMG, a seconda dei dati che si vanno via via raccogliendo.
La posizione migliore per l'esame è quella che consente al paziente il maggior rilassamento e al medico la maggior libertà di azione possibili: ciò si ottiene con il paziente seduto o semisdraiato su una poltrona a schienale regolabile, fornita di comodi braccioli e sufficientemente lunga da consentire l'estensione completa degli arti inferiori. Questa distensione condiziona la facilità e la rapidità dell'esame, che solitamente dura fra i 30 e i 60 minuti.
Per l'esame di rivelazione viene applicato un elettrodo nei muscoli che devono essere analizzati, scelti in base all'esame clinico. Il paziente deve collaborare, di volta in volta contraendo o rilassando il muscolo analizzato.
L'elettrodo è collegato a una speciale macchina che registra i potenziali muscolari a riposo o durante la contrazione e li visualizza attraverso gli oscillografi, che delineano un tracciato. In un secondo tempo, lo studio della conduzione nervosa motoria o sensitiva viene fatto stimolando il nervo attraverso dei deboli impulsi elettrici e registrandone il segnale.
Si tratta certo di un esame poco piacevole, ma facilmente tollerabile. Alcune persone sopportano con difficoltà le stimolazioni elettriche, altri le punture per l'applicazione degli elettrodi.

Piuttosto dolorose sono alcune indagini come la stimolazione tetanica (forte contrattura provocata artificialmente) del muscolo, talora utilizzata per rilevare una miastenia; in altri casi si esegue a tal fine l'analisi della singola fibra (jitter) che richiede un agoelettrodo particolare.

 

Diversi elementi, che però non devono necessariamente coesistere, possono suggerire o indirizzare la diagnosi. Tra quelli clinici vi sono l'intolleranza allo sforzo (con un accumulo di acido lattico a riposo o in seguito a uno sforzo), l'ereditarietà materna e la patologia multisistemica. Dal punto di vista morfologico, la presenza di alterazioni mitocondriali rilevabili dall'analisi della biopsia muscolare è indicativa della malattia. Un indicatore biochimico è il deficit di uno o più enzimi mitocondriali, anche questo riscontrabile dalla biopsia muscolare.
A rendere possibile la diagnosi definitiva è comunque il riscontro di una mutazione del DNA mitocondriale. Mentre le delezioni devono essere accertate sul DNA mitocondriale estratto dal muscolo, le mutazioni puntiformi sono presenti in elevata percentuale in tutti gli organi, e sono quindi facilmente identificabili in tutti i tessuti. In genere c'è una relazione tra la percentuale di mutazione quantificata nel muscolo e la gravità del fenotipo clinico.

 

" Articolo tratto da DM, periodico dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. http://www.uildm.org "

 


Dal notiziario dell'AISLA n°3 2001

C'è da puntualizzare che la Malattia del Motoneurone (MND), non coincide con la SLA, in quanto quest'ultima è compresa nel più ampio gruppo delle MND, che annovera anche la Sclerosi Laterale Primaria (Primary Lateral Sclerosis, PLS), L'Atrofia Muscolare Spinale Progressiva (Progressive Spinal Muscular Atrophy, PSMA), le Atrofie Muscolari Spinali segmentali, focali e distali, la Neuropatia Motoria Multifocale (Multifocal Motor Neuropathy, MMN), l'Atrofia Muscolare Bulbospinale Progressiva o Malattia di Kennedy (Progressive ulbospinal Muscular Atrophy, PBSMA),  la Sindrome di Brown-Vialetto-Van Laere (Paralisi pontobulbare con sordità sensoriale), l'Atrofia Muscolare Spinale (Spinal Muscolar Atrophy, SMA) correlata con mutazioni del gene smn e la SMA familiare progressiva a esordio tardivo, la Paraplegia Spastica Ereditaria o Malattia di Strùmpel-Lorrain (Hereditary Spastic Paraplegia, HSP), la Sindrome di Fazio-Londe(Paralisi infantile bulbare progressiva), e altre forme patologiche e eziopatogenesi  tossica, attinica o infettiva - come la Sindrome PostPolio, che si verifica in soggetti con pregressa poliomielite - : clinicamente, peraltro, i termini SLA e MND vengono considerati sinonimi, a indicare una patologia rapidamente progressiva caratterizzata da paralisi, ipertrofia, atrofia muscolare, fascicolazioni e crampi.

 


approfondimenti :  http://www.drbensi.it/persapernedipiu.htm

 

Il deficit neurologico
Una condizione che implica uno stato di sofferenza delle vie nervose motorie o sensitive.
La via nervosa motoria percorre il Sistema Nervoso Centrale rappresentato dall'asse cerebrospinale e il Sistema Nervoso Periferico rappresentato dai nervi e loro terminazioni.
Il Sistema Nervoso comprende il Sistema Nervoso Autonomo che innerva gli organi vitali, cuore polmoni e ghiandole e controlla i muscoli involontari.


MOTILITA'
L'origine del movimento
Esiste una rappresentazione corticale della motilità nell'area 4 o area motoria primaria della circonvoluzione precentrale a livello dello strato delle cellule piramidali. Inoltre un altro fascio di fibre deriva dai motoneuroni dell'area 6 (posta anteriormente all'area motoria primaria) e dalle aree della corteccia retrorolandica (3,1,2).
Tutte queste fibre che originano dai neuroni motori corticali confluiscono a formare la via piramidale o via motoria primaria. Il neurone motorio è detto primo motoneurone.


LA VIA MOTORIA PRIMARIA
Cenni
E' una via neuronale semplice, incrociata, con due sole stazioni (sinapsi), una a livello delle corna anteriori del midollo spinale e l'altra periferica, a livello della giunzione neuromuscolare.

Come si propaga l'impulso nervoso dal centro alla periferia
Mentre la trasmissione di un impulso lungo una fibra nervosa è un fenomeno elettrico, il passaggio dell'impulso da un motoneurone superiore all'alfa-motoneurone, oppure da una alfa-motoneurone al muscolo (nella giunzione neuromuscolare), è mediato chimicamente.
A livello delle sinapsi, quando tutto funziona a perfezione, si ha la trasformazione di un fenomeno elettrico in un fenomeno chimico e nuovamente in fenomeno elettrico con le stesse caratteristiche di segnale del primo.


Il controllo del movimento
Vi fanno parte oltre al sistema piramidale altre strutture neuronali, che regolano la motilità, garantendone nell'insieme la plasticità, cioè tutto quell'insieme di proprietà che consente al movimento di essere raffinato, graduato, selettivo, finalistico etc.


I meccanismi sovraspinali di controllo del movimento
Vi sono dei sistemi di controllo sovraspinali che comprendono:

1) Il Sistema reticolare (via reticolo spinale) che nasce dalla sostanza reticolare e che opera con un meccanismo di regolazione a feed-back negativo, bloccando cioè una ulteriore contrazione muscolare quando questa è elevata.

2) Il Sistema di controllo extrapiramidale ha i suoi nuclei di origine nei gangli della base.
E' un sistema a doppio controllo, pertanto sia con funzione eccitatoria (mediatore: dopamina) che inibitoria, con percorso finale di uscita in parte sulla via reticolo-spinale e in parte sulla via cortico-spinale. Le patologie che interessano questo sistema sono responsabile di Sindromi Parkinsoniane.

3) L'ultimo sistema di controllo sovraspinale della motricità è quello del cervelletto. E' un sistema assai complesso e molto importante nel garantire raffinatezza e precisione del movimento, oltre che fondamentale nel regolare la statica, l'equilibrio e i rapporti spaziali del corpo.

I meccanismi spinali di controllo del movimento

A livello spinale un primo controllo è attuato dalla cellula di Renshaw, che è un interneurone inibitorio di connessione tra la sinapsi del motoneurone piramidale e il motoneurone alfa. Il mediatore chimico è il GABA. Si dice inibitorio perché serve a diminuire la frequenza di scarica delle cellule corticali, allorché sia necessario regolarla in funzione dello sforzo da compiere: devono essere attivati solo gli alfa motoneuroni utili a far compiere al muscolo una contrazione efficace ma misurata.
Un altro sistema di controllo è il riflesso miotatico, che serve per la regolazione del tono posturale.
Il tono posturale cambia a seconda della posizione del nostro corpo e si annulla se si è sdraiati.
E' un riflesso dipendente dai fusi neuromuscolari contenuti nel muscolo, le cui fibre si attivano automaticamente. Rapportandosi sempre con gli alfa motoneuroni ne regolano la scarica, che modifica la contrazione di quel muscolo al fine di mantenere costante il tono posturale.

 


PATOLOGIA DELLA VIA MOTORIA PRIMARIA
Cenni
Aspetti clinici delle diverse forme di lesioni a livello della via piramidale.
Le lesioni a livello della via piramidale Provocano vari gradi di riduzione della forza muscolare o paresi, fino alla paralisi completa (o plegia).


Emiparesi ed emiplegia
Ad una lesione cerebrale, al di sopra dell'incrocio delle fibre piramidali, segue dunque emiparesi o emiplegia della parte controlaterale del corpo.
Solo a seguito di lesioni che interessano il fascio genicolato, seguono paresi o plegie omolaterali (dallo stesso lato) limitate alla faccia.


Tipica delle lesioni piramidali è la spasticità

Come si manifesta la spasticità?
Con un aumento del tono (ipertonia) dei muscoli antigravitari, flessori degli arti superiori ed estensori degli arti inferiori. Si accompagna ad una esagerata risposta al colpo del martelletto dell'esaminatore, nell'evocare un riflesso propriocettivo, ad esempio colpendo il tendine rotuleo al ginocchio (iperriflessia).
Non esiste un solo tipo di risposta patologica a questa manovra, ma è possibile una variabilità di risposte graduate che si pongono alla valutazione dell'occhio esperto dello specialista esaminatore (riflessi policinetici, clono esauribile o non esauribile etc.).
Si instaura allorché viene meno il controllo sovraspinale della motricità

I riflessi patologici: il BABINSKY

Si tratta di un riflesso patologico esterocettivo, normalmente assente nel soggetto sano.
Nei pazienti con sindrome piramidale, compare strisciando con un oggetto a punta stondata la pianta del piede in direzione calcagno-dita e si manifesta, al contrario di quanto avviene nel normale, con l'estensione dell'alluce.
Le dita possono seguire o meno l'alluce in una apertura a ventaglio.
A volte una reazione in estensione dell'alluce si ottiene anche con una pressione più o meno forte, limitata alla pianta del piede. Non sempre le risposte sono chiare, anche quando viene aumentata progressivamente la forza strisciando sul piede. L'incerto significato patologico non deve, tuttavia, far trascurare la possibilità di trovarci di fronte ad una malattia del sistema nervoso centrale.

Il Babinsky è costantemente presente nelle sindromi piramidali midollari?
No. Il segno di Babinsky può mancare anche quando l'accentuazione dei riflessi è molto marcata, tuttavia allorché è presente è sempre indicativo di una lesione piramidale.



LESIONI DEL SECONDO MOTONEURONE
L'interruzione della via motoria a livello delle corna anteriori del midollo, provoca paresi o paralisi omolaterale.
Dal secondo motoneurone dipende il contributo trofico per il muscolo.
Quando questo viene a mancare, il muscolo si indebolisce, perde tono, diminuisce di volume, si atrofizza.
Questo processo si instaura nel tempo, per cui inizialmente il deficit del trofismo è sfumato e così pure una diminuzione dei riflessi propriocettivi.

I segni di denervazione
Vi sono fenomeni positivi messi in atto dal muscolo nel tentativo di sopperire ad un danno nervoso, come le fibrillazioni (valutabili solo con esame elettromiografico) e le fascicolazioni, visibili, come piccoli scatti o vibrazioni della pelle: sono segni peculiari di sofferenza dell'alfa motoneurone. Questi segni, detti di denervazione, cessano allorché si stabilizza una atrofia neurogena totale.
Poiché ogni fibra muscolare è innervata da più motoneuroni alfa appartenenti a 2, 3 radici spinali, per avere un muscolo totalmente paretico, la lesione deve necessariamente essere pluriradicolare.

Le radici spinali confluiscono a formare i plessi nervosi come il plesso brachiale e il plesso lombo-sacrale e quindi il nervo periferico.

Funzione dei plessi nervosi
I plessi nervosi hanno una funzione specifica, simile a quella esplicata dalla diramazione fascicolare del nervo anatomico, vale a dire quella di proteggere da un eventuale denervazione dovuta a lesione di una singola porzione del plesso; attraverso la complicata struttura del plesso le fibre nervose passano da un determinato segmento di midollo spinale a numerosi e differenti muscoli. L'innervazione di un singolo muscolo proviene normalmente da più di un segmento di midollo spinale.

Dermatomeri e miomeri
L'area di pelle innervata da un singolo elemento di midollo spinale viene denominata dermatoro; allo stesso modo i muscoli riforniti da un singolo segmento di midollo spinale sono denominati miomeri.
La conoscenza di queste rappresentazioni segmentarie, dei muscoli e delle aree di pelle innervate da determinati nervi, sarà determinante per porre una diagnosi di compromissione di un nervo periferico o di una radice.
Il medico esperto riconoscerà immediatamente che la debolezza dei tricipiti e degli estensori del polso e delle dita non può essere imputata alla lesione di C7-C8, bensì ad una paralisi del nervo radiale, dal momento che è interessato anche il brachioradiale.


LESIONI DELLA GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE

Vi è un blocco a livello della placca motrice dell'impulso nervoso che pertanto non può raggiungere il muscolo. I sintomi sono la faticabilità e la mancanza di forza che si accentuano col movimento.
Non c'è né diminuizione del tono, né diminuizione di volume del muscolo.
Sono dovute a patologia della giunzione sia la miastenia gravis che le sindromi miasteniche paraneoplastiche. Nella miastenia il mediatore chimico, acetilcolina, trova i recettori deputati al contatto già occupati da autoanticorpi anti acetilcolina. Ne consegue un blocco della trasmissione.

 

LESIONI MUSCOLARI

Miositi e Distrofie muscolari sono caratterizzate da una perdita di forza muscolare, ipotrofia e ipotonia muscolare, risultato di una distruzione delle fibre muscolari e nervose ad esse interposte ed essenziali per il funzionamento dei fusi muscolari.

 

 

 


 

 

ALCUNI CENTRI DIAGNOSTICI
 

 


Università Cattolica Policlinico Gemelli Istituto di Neurologia
06.30154435
06.35501909
ptonali@rm.unicatt.it
Largo Gemelli, 8, 00168, ROMA

http://www.rm.unicatt.it/



 

Azienda Policlinico Umberto 1°

V.le del Policlinico, 155

V.le dell'Università, 39

V.le Regina Elena, 324

Via Lancisi

00161, ROMA

per informazioni telefoniche rivolgersi al numero 06.49970900  dalle ore 8.00 alle ore 18.00

policlinico@tuopoliclinico.roma.it
http://www.policlinicoumberto1.it/


 


Istituto Nazionale Neurologico "C. Besta" prof. Zeviani
02.2394388
02.2664236
zeviani@tin.it
Via Celoria 11, 20136, MILANO

http://www.mitopedia.org/home.htm

http://www.istituto-besta.it/#


 


Università degli Studi di Pisa Dipartimento di Neuroscienze Centro Miopatie
050.993046
050.554808
gsicilia@med.unipi.it
Via Roma 67, 56126, Pisa

http://www.med.unipi.it/neuroscienze/

 

 


Universita' di Pavia - Policlinico S. Matteo - Dip. Patologia Umana ed Ereditaria
Via Forlanini 14 - 27100 - PAVIA
Tel. 0382.503429
Fax 0382.525866

http://www.saninlinea.net/site/924-0-0.htm


 


Universita' degli Studi di Verona Policlinico Borgo Roma - Dip. Scienze Neurologiche e della Visione -
Tel.045.8071111
Piazzale L.A. Scuro, 10 - 37134 Verona

http://www.ospedaliverona.it/portale/default_fla.asp

 

 

 

Universita' degli Studi di Siena
Policlinico Le Scotte - Ist. Scienze Neurologiche - Lab. Genetica Molecolare per le Malattie Neuromuscolari
Viale Bracci - 53100 - SIENA

Tel. 0577/585760-3
Fax 0577/40327

http://www.ao-siena.toscana.it/

 

 

 

Università degli Studi di Milano Istituto di Clinica Neurologica
Te.0255033817
Tel.0255190392

gpcomi@mailserver.unimi.it

Giacomo.Comi@unimi.it

Nereo.Bresolin@unimi.it
Via F. Sforza, 35, 20122, MILANO
http://www.centrodinoferrari.com/

 


 

 


Associazioni :

UILDM Unione Italiana Lotta Distrofia Muscolare
0498021001
049757033
direzionenazionale@uildm.it,  Via Vergerio, 19/2,  35126,  PADOVA
http://www.uildm.org

 

 

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Ultimo aggiornamento: 05-08-07