"Norme in materia di procreazione medicalmente assistita"
Vogliono imporre la morale cattolica a tutti
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1. La valutazione del
rischio deve sempre essere contestuale: ogni azione implica un rischio
(camminare, mangiare, guidare, etc), e la decisione di compiere o non compiere
un atto avviene in base alla valutazione delle conseguenze dell’azione e
dell’omissione – va da sé che il rispetto della precauzione porterebbe alla
totale inattività (che, però, ha sgradevoli e rischiose conseguenze). Non
bisogna illudersi che l’astensione non abbia conseguenze, spesso ben più gravi
dell’azione che si vuole scoraggiare o vietare in nome della prudenza.
2. La pretesa di arrivare al rischio ‘zero’ per procedere è ingenua e spesso
frutto di mala fede
Embrione, anima e fede. Non si emargini la ragione
Il no alla definizione religiosa dell’uomo e all'affermazione secondo cui l’embrione ha un’anima. Il motivo? San Tommaso e una dottrina millenaria che stabilisce il confine dell’eresia
di GIOVANNI SARTORI*
Forse eccitato da tanta autorevole fonte, il professor Francesco D’Agostino, membro dell’Accademia pontificia Pro vita e presidente dei giuristi cattolici, si è spericolato nell’asserire che la diagnosi preimpianto non si poteva fare perché violava la privacy dell’embrione. Così prendendo in contropiede lo stesso Rodotà, il garante della materia, che ha dovuto precisare che «nessuno mai in Europa ha parlato di privacy dell’embrione». In consimile slancio il primate della Chiesa cattolica inglese, cardinale Cormac Murphy- O’Connor, ha accostato l’interruzione della gravidanza agli «esperimenti di genetica dei nazisti». E se queste non sono esagerazioni, sono peggio. Riprendiamo il discorso dall’inizio: quale è la differenza tra vita in generale (anche di una rosa, anche di un moscerino) e vita umana. Io ho già risposto su queste colonne che l’uomo è caratterizzato da autocoscienza, dal sapere di sé. Questa risposta laica (o filosofica) ha molte varianti, sulle quali non mi voglio dilungare. Debbo però ribattere alla obiezione che in tal caso un ritardato mentale o anche un neonato non sarebbero mai, o ancora, un essere umano.
Obiezione pretestuosa, perché le definizioni precisano categorie e sono contenitori concettuali. Non sono strumenti contabili e non occorre che acchiappino tutto e tutti; basta che identifichino e, appunto, caratterizzino. In ogni caso, la definizione religiosa è e deve essere diversa: è che l’uomo è tale perché caratterizzato dalla presenza dell’anima. Questa è una definizione che io rispetto. Emi fa specie che sia io a doverla ricordare e difendere mentre la Chiesa di papa Wojtyla— scrivevo — dà mostra di essersene dimenticata. Questa asserzione ha suscitato l’ira di molti lettori che ribattono: lei è proprio un ignorantone (o peggio), è ovvio che l’anima arriva con l’embrione. Ovvio? Ovvio proprio no. Questa non è mai stata la dottrina della Chiesa (né preciserò, di nessuna Chiesa). Sul punto ho già citato San Tommaso. Ma l’ha fatto ancor meglio e più estesamente di me Umberto Eco (su «L’Espresso» del 17 marzo) che è un profondo conoscitore dell’Aquinate, che ne cita ben sei passi, e che riassumecosì: Dio introduce l’anima razionale solo quando il feto è un corpo già formato; dal che consegue che dopo il Giudizio Universale, quando i corpi dei morti risorgeranno, «a quella resurrezione gli embrioni non partecipano: in loro non era stata ancora infusa l’anima razionale e pertanto non sono essere umani».
Ignorantoni a parte, un filosofo cattolico che invece sa di queste cose mi risponde che San Tommaso «è vecchio » e che «non è necessario tornare indietro di sette secoli». Se così, povera Chiesa. Se San Tommaso è vecchio, lo sono ancora più Sant’Agostino e la Patristica. E altrettanto vecchi sono gli straordinari dibattiti che hanno stabilito quale sia la vera fede e quale l’eresia. La Chiesa cattolica dura da duemila anni poggiando su questo imponente bagaglio teologico. Se lo si dichiara vecchio e lo si ritiene sorpassato, allora cosa le resta? Passo a precisare, come promesso, che la tesi dell’«embrione eguale persona » non è sottoscritta, che io sappia, da nessuna altra religione. Non è condivisa dalla Chiesa Anglicana e dalla maggior parte delle Chiese protestanti. Ancor più significativo, non è condivisa dalle altre religioni monoteistiche. In riferimento al Talmud, il libro sacro dell’ebraismo, la dottrina è che l’embrione diventa gradualmente persona nel secondo mese di gravidanza, e cioè quando il feto dà inizio alla formazione degli organi. Analogamente nella religione islamica l’anima entra nel corpo quaranta giorni dopo la procreazione, dal che discende che oggi viene ammessa senza problemi la sperimentazione sull’embrione. La crociata del cardinal Ruini è dunque una crociata solitaria. Può benissimo darsi che in Italia la vinca. Ma sarebbe una vittoria di Pirro votata, altrove e alla lunga, a una pesante sconfitta. Tanto più che se la vince dovrà poi ripartire in crociata contro l’aborto. Altrimenti avremmo un embrione (che fino a 18 giorni dall’ovulazione ha ancora una dimensione inferiore al millimetro e non contiene organi o tessuti differenziati) tutelato, e un feto non tutelato, comunque meno tutelato. Un evidente assurdo.
A prescindere da questo assurdo, il fatto è che oramai la società cristiana dell’Occidente tiene alla vita, non accetta di morire soffrendo inutilmente, e quindi si affida alla medicina per le malattie che ci fanno soffrire e morire. La legge 40, scrive Veronesi, «è inumana e ingiusta». In Italia 30 mila bambini nascono ogni anno con gravi malformazioni. È giusto, è umano, farli nascere così? La gente teme di morire afflitta dal morbo di Parkinson o dall’Alzheimer, e la sperimentazione sull’embrione promette (forse a torto, ma questo non lo sa neanche la Chiesa) di curare malattie che ci terrorizzano. Il cardinal Ruini crede davvero che su queste questioni, su queste angosce, la gente voterà contro la medicina? Fermo restando — anch’io ho fermissime convinzioni bioetiche — che l’eugenetica deve essere soltanto curativa e che non deve mai imboccare la pericolosissima china di una umanità geneticamente manipolata. Allora, quando è che la vita diventa propriamente umana? La risposta che non crea problemi è la risposta ovvia, e cioè che la persona umana, l’individuo- persona, è tale quando esce dall’utero della madre, quando comincia a esistere in indipendenza, da solo. Questa era l’ottica del diritto (fino alla legge 40) che stabiliva al momento della nascita l’acquisto della capacità giuridica. E questa potrebbe essere l’unica discontinuità riconosciuta dalla biologia, che deve altrimenti essere «continuista».
Ma, attenzione, non è che la biologia possa sostenere la tesi dell’embrione- persona. Anzi, la biologia ci mette di fronte al fatto (evoluzionista?) che la specie umana condivide con i primati, con gli animali superiori, più del 95 per cento del patrimonio genico; che il cuore (il primo organo che diventa funzionalmente attivo nella organogenesi) comincia a battere solo nella quarta settimana dopo la fecondazione; e che un altissimo numero di embrioni si perdono, e cioè che il più delle volte l’embrione non diventa un bambino. Oggi la Chiesa chiede ai giuristi cattolici e ai biologi cattolici di sottoscrivere la tesi che l’embrione è già un essere umano. Ma chi la sottoscrive lo fa come credente, non certo come giurista o uomo di scienza. Questa tesi è razionalmente insostenibile. E comunque non ci siamo lo stesso. La religione non esiste per far nascere quante più persone possibili (soffriamo già, globalmente, di sovrappopolazione), e ancor meno per prolungare artificialmente la vita (per decenni) di una vita puramente vegetale. La religione esiste per sconfiggere la morte, per promettere all’uomo la immortalità. E a questo fine occorre l’anima. Senza l’anima non c’è resurrezione dei corpi né vita eterna. E dunque la Chiesa ci deve saper dire quando arriva. Sennò rischia di non arrivare mai. La Chiesa di papa Wojtyla non ha osato smentire tutta la sua teologia (che ha sempre escluso che l’«anima razionale» arrivi all’istante del concepimento) e quindi tace, o comunque sorvola, su quando l’anima cominci ad «animare l’uomo».
Ne sta risultando una religione che si appiattisce su una concezione biologica della vita, che accusa di omicidio chi lascia morire una «vita vegetativa» che mentalmente è già morta, e che fa prevalere la potenzialità di vita di un embrione sulla «vita spirituale» (autocosciente) di chi è attualmente in vita e chiede ai progressi della medicina di essere curato. Il lascito di San Tommaso è di una ratio confortata fide. Ma oggi mi imbatto sempre più in una fede fanatizzata che emargina la ragione e la ragionevolezza. Sbaglierò, ma in tutto questo c’è qualcosa di profondamente sbagliato.
*professore emerito alle università di New York e Firenze
31 maggio 2005
(Corriere della sera)
Relazione della commissione di studio sull'utilizzo di cellule staminali per finalita' terapeutiche -
28 Dicembre 2000
Questa relazione è il risultato dei lavori della Commissione ministeriale
sull’utilizzazione delle cellule staminali, al fine di esaminare le
problematiche relative all’uso di cellule staminali a scopi terapeutici e di
chiarire il reale potenziale di sviluppo e di applicabilità di questo
settore della ricerca in Italia.
La Commissione si è insediata il 20 settembre 2000, alla presenza del Ministro, professor Umberto Veronesi, come da Decreto Ministeriale del 6 settembre 2000. La Commissione si è successivamente riunita nelle date del 13 ottobre e del 14 e 19 dicembre, sotto la direzione del Presidente, professor Renato Dulbecco, per rispondere in modo articolato alle domande presentate sul tema dal Ministro della Sanità. L’atto conclusivo dei lavori della Commissione avrà luogo il 28 dicembre 2000 con la presentazione del documento finale in un incontro tra la Commissione riunita ed il Ministro.
Il presente documento è diviso in tre parti che rispecchiano il lavoro svolto dalla commissione stessa:
Cap. 1 - Relazione della sottocommissione tecnica, che ha affrontato gli aspetti scientifici del tema
1a - Prefazione
1b - Definizioni ed elementi tecnici
1c - Diversi tipi di cellule staminali
1d - Trasferimento nucleare per produrre cellule staminali autologhe (TNSA)
1e - Applicazioni terapeutiche attuali delle cellule staminali
1f - Prospettive terapeutiche potenziali
1g - Conclusioni sugli aspetti scientifici
Cap. 2 – I quesiti etici emersi dal lavoro della sottocommissione tecnica
Cap. 3 – Dibattito sugli aspetti etici
Cap. 4 – Raccomandazioni
Nel suo insieme la relazione è organizzata per dare risposte concrete alle domande poste dal Ministro della Sanità sul tema. Va sottolineato che tutte le tematiche hanno avuto un’ampia discussione collettiva e che il lavoro delle sottocommissioni è stato sistematicamente rivisto dalla Commissione nel suo insieme.
Capitolo 1
RELAZIONE DELLA SOTTOCOMMISSIONE TECNICA
Questa relazione viene stilata su richiesta del Ministro della Sanità, professor Umberto Veronesi, al fine di esaminare le problematiche relative all’utilizzo di cellule staminali ai fini terapeutici e di chiarire il reale potenziale di sviluppo e di applicabilità di questo settore della ricerca in Italia.
1A PREFAZIONE
La distruzione dell’architettura tissutale di un organo, legata alla morte delle cellule che lo costituiscono, è alla base della maggioranza delle patologie che affliggono la popolazione dei paesi industrializzati. Un approccio terapeutico risolutivo mira alla ricostruzione del tessuto alterato tramite trapianto di nuove cellule che possano sostituire quelle distrutte o alterate dalla malattia. A livello clinico questa strategia terapeutica si fonda nella maggior parte dei casi sul trapianto di organi da donatore cadaverico, o più raramente da donatore vivente. Purtroppo, questa tecnologia salvavita ha due limiti fondamentali che ne precludono l’estensione alla maggior parte dei pazienti che potrebbero beneficiarne. Questi limiti sono rappresentati dalla scarsità di organi da trapiantare e dalla necessità di immunosoppressione cronica per prevenire il rigetto dell’organo.
Le cellule staminali, siano esse embrionali, fetali, da cordone ombelicale o adulte rappresentano un’importante prospettiva per la rigenerazione di organi danneggiati. Infatti, la possibilità di espandere in vitro queste cellule fino a quantità elevatissime, se non proprio illimitate, risolverebbe il problema legato alla disponibilità di materiale biologico da utilizzare in fase di trapianto. Quanto al problema della compatibilità con il sistema immune del ricevente, soltanto cellule staminali derivate dal paziente stesso risolverebbero completamente anche questo problema.
Mentre questo é possibile nel caso degli epiteli, in altri casi l’organo affetto potrebbe contenere cellule staminali già compromesse dalla patologia in atto o addirittura non possedere alcuna cellula staminale (ad esempio, non esistono, al momento, solide evidenze che il tessuto cardiaco e quello pancreatico contengano cellule staminali).
In questi casi si rende necessario esplorare tutte le possibili alternative sperimentali teoricamente e praticamente perseguibili quali la trans-determinazione di cellule staminali di diversi tessuti - grazie alla quale cellule di un tessuto possono venire "riconvertite" in cellule di un altro tessuto, anche di diversa origine embriologica - o l’uso di cellule totipotenti staminali embrionali, a partire dal nucleo di cellule somatiche del paziente trasferite in una cellula uovo enucleata.
La notizia riguardante la liberalizzazione dell’utilizzo di cellule staminali embrionali umane per finalità sperimentali e terapeutiche da parte dei governi inglese ed americano ha attratto l’attenzione dei media e ha generato numerose discussioni e polemiche che hanno portato a confondere il concetto di clonazione, anche terapeutica, con quello di cellula staminale in generale. Questi concetti sono quindi chiariti in modo sintetico qui di seguito.
1B DEFINIZIONI ED ELEMENTI TECNICI
Al fine di chiarire la sostanziale differenza tra clonazione, clonazione terapeutica e cellule staminali é necessario introdurre alcun concetti fondamentali.
Clone (cellulare): una popolazione di cellule che derivano da una singola cellula per duplicazione cellulare.
Clonazione cellulare: é la produzione di un clone cellulare.
Clonazione di un organismo: produzione di un nuovo organismo, geneticamente identico all’organismo donatore della cellula impiegata per la clonazione, in assenza della fusione dei gameti. Nel caso delle piante questo avviene spesso spontaneamente. Negli organismi superiori che utilizzano la riproduzione sessuale (come nei mammiferi) questo avviene spontaneamente solo nel caso di una divisione embrionale spontanea, che porta alla formazione di gemelli monozigoti (geneticamente identici).
Clonazione sperimentale di un organismo superiore: la clonazione di un organismo superiore si può ottenere separando l’una dall’altra singole cellule derivate da un embrione a stadi di sviluppo precoci (e cioé fino a 8 cellule) le quali, da sole, sono poi in grado di formare un intero nuovo organismo. Da notare che non è necessario "avviare una vita e poi terminarla" per perseguire questo approccio, dal momento che tali cellule potrebbero, in principio, essere prelevate dall’embrione senza, di fatto, danneggiarlo.
La tecnica attualmente più in uso per la clonazione di mammiferi si basa sul trasferimento del nucleo da cellule somatiche in un oocita enucleato. Questa tecnica può essere applicata sia per scopi riproduttivi (generazione di un organismo adulto clonato), sia per ottenere cellule staminali embrionali autologhe attraverso la generazione di un organismo clonato allo stadio embrionale. E’ però anche possibile ottenere, con un approccio simile, cellule totipotenti senza passare attraverso lo stadio embrionale. Nonostante l’impropria definizione di "clonazione terapeutica" utilizzata in questo contesto nel rapporto Donaldson, questo procedimento ha come fine la produzione di
cellule e tessuti somatici con un genoma nucleare identico a quello del donatore, ma non corrisponde automaticamente alla formazione dell’embrione, potendosi interrompere molto prima, per la sola riderivazione di linee cellulari. Per una trattazione più dettagliata si veda il paragrafo 1D: "Trasferimento nucleare per la produzione di cellule staminali autologhe (TNSA)".
Cellula staminale: le cellule staminali sono cellule non specializzate in grado di dividersi dando origine contemporaneamente ad una cellula staminale (uguale alla cellula madre) ed una cellula precursore di una progenie cellulare che alla fine darà a sua volta origine a cellule terminalmente differenziate (mature). Si definiscono totipotenti le
cellule staminali che possono dar luogo a tutti i tessuti, multi (o pluri) potenti quelle che possono dar luogo ad alcuni tipi cellulari o tessuti ed unipotenti, quelle che
possono dar luogo soltanto ad un tipo cellulare.
1C DIVERSI TIPI DI CELLULE STAMINALI
Cellule staminali fetali
Le cellule staminali fetali sono derivate da aborti. Si tratta pertanto di materiale cadaverico ed il suo utilizzo equivale all’utilizzo di organi da cadaveri. Dal punto di vista biologico, le cellule staminali fetali possiedono caratteristiche intermedie tra quelle embrionali e quelle adulte. Sono generalmente pluripotenti e deputate all’accrescimento peri-natale dei tessuti. I pochi studi finora disponibili non permettono di trarre conclusioni definitive sulle loro capacità di crescita, differenziamento ed integrazione funzionale nei vari tessuti. Si rendono pertanto necessari studi addizionali finalizzati a chiarire le potenzialità proliferative e differenziative di queste cellule.
Cellule staminali embrionali eterologhe
Le cellule staminali embrionali (ES) derivano dalla regione interna dell'embrione (embrioblasto o inner cell mass) prima del suo impianto nella parete dell'utero. Dotate di elevata capacità proliferativa, le cellule ES sono in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari presenti nell’organismo e per questo potenzialmente utili per la terapia delle patologie umane. Queste cellule possono essere isolate da blastocisti e cresciute in vitro con particolari e costose metodiche che ne mantengono inalterate le proprietà di plasticità e totipotenza per periodi di alcuni anni (Evans e Kaufman, Nature 292: 154-6, 1981).
Ciò consente, a partire da poche decine di cellule, di ottenerne centinaia di milioni con le stesse caratteristiche e potenzialità iniziali. Quando aggregate con un embrione precoce possono integrarsi nell’embrione e successivamente crescere e differenziarsi in tutti i tipi cellulari del nuovo organismo senza causare nessun disturbo alla crescita e sviluppo di quest’ultimo. In più, sono stati messi a punto particolari metodiche "in vitro" che guidano il differenziamento delle cellule ES in specifici tipi cellulari per generare, ad esempio, una grande quantità di neuroni (Okabe et al., Mech Dev 59:1 89-102, 1996), cellule della glia (Brustle et al., Science 285: 754-756, 1999), cardiomiciti e progenitori ematopoietici (Keller e Snodgrass, Nat Med 2 151-2, 1999 ).
Recentemente, sono state isolate cellule staminali umane a partire da precocissimi embrioni (non più necessari per gli scopi terapeutici prefissati) ottenuti con tecniche di IVF e donati da individui informati e consenzienti (Thomson et al., Science 282 1145-7, 1998). Dai primi risultati pubblicati nella letteratura scientifica internazionale, possiamo arguire che queste cellule embrionali staminali (ES) umane dovrebbero comportarsi "in vitro e in vivo" come quelle murine, possedendo una elevatissima plasticità e flessibilità nel generare qualsiasi tipo di cellula matura (Schuldiner et al., Pnas 97, 11307-11312, 2000).
Cellule staminali embrionali possono quindi essere prodotte con questa finalità da embrioni congelati, prodotti in eccesso rispetto alle necessità della fecondazione in vitro. In Gran Bretagna il loro numero è di varie decine di migliaia. In Italia non esiste un registro di questi embrioni e di conseguenza se ne ignora il numero esatto ma è plausibile che il numero sia comunque elevato. In pratica esiste una enorme sproporzione tra l’abbondanza di embrioni prodotti e l’assenza di soggetti interessati ad impiantarli nel proprio utero.
Esiste poi un problema biologico importantissimo e totalmente inesplorato: la durata di vitalità di questi embrioni. Nei roditori il congelamento di cellule e di embrioni ne riduce, col tempo la vitalità. Il che significa che dopo un certo numero d’anni, solo una piccola percentuale di embrioni congelati riprende lo sviluppo embrionale con un rischio elevato di aborti e malformazioni. Nell’uomo queste informazioni mancano ma è presumibile che il fenomeno sia generale per i mammiferi.
In ogni caso, cellule ES, così ottenibili in grande numero potrebbero essere particolarmente utili per poter studiare i meccanismi che ne regolano proliferazione e differenziamento in vari tessuti, permettendo quindi di ottenere una conoscenza preziosa. Infine, va considerato un loro diretto impiego terapeutico in quelle forme di terapia in utero o peri-natale dove il sistema immunitario del paziente "imparerebbe" a riconoscere come proprie le cellule trapiantate (tolleranza).
In alternativa all’utilizzo di embrioni sovrannumerari, esiste la possibilità eventuale di isolare cellule embrionali in modo da non provocare la soppressione dell'embrione. Questo sarebbe ottenibile mediante un prelievo selettivo di un numero limitato di cellule ES a stadi precoci di sviluppo quali quello di morula e di blastocisti che, quindi, non implicherebbe la distruzione dell’embrione medesimo. Sebbene ciò sia tecnicamente fattibile, grazie a metodiche di prelievo standardizzate, mutuate dalla diagnostica preimpianto in tecniche IVF, alcune considerzioni di natura tecnica sono d’obbligo. Mentre non si può escludere che in un numero limitato di casi la morula-blastocisti potrebbe non mantenere intatto il proprio potenziale di sviluppo post-prelievo, il problema saliente é rappresentato dalla difficoltà di espandere in coltura il numero limitato di cellule ottenibili dal prelievo, in modo da ottenere la quantità di cellule necessaria per applicazioni terapeutiche. Questa difficoltà sembrerebbe attualmente superata dai risultati ottenuti da Michael Amit e coll. (Dev.Biol. 327, 271-278) che hanno recentemente dimostrato la stabilità fenotipica e genotipica di cellule ES umane clonate in vitro per un periodo di otto mesi di coltura. Queste linee ottenute da singole cellule mantengono la capacità replicativa e la pluripotenza a lungo termine, senza modificazioni del cariotipo e dei telomeri.
Quest’ultimo é un punto critico poiché, mentre la stabilità funzionale e fenotipica é prerogativa assoluta della cellula staminale "bona fide" (Potten and Loeffler, Development 1990, 110, pp 1001-1020.), non é altrettanto certo che il prelievo permetta di isolare "vere" cellule ES ad ogni tentativo. Infatti, l’organismo nel suo complesso deriva da sole 3-4 delle circa 100 cellule che compongono la blastocisti (vedi: "Clonal expression in allophenic mice". Symp. Int. Soc. Cell Biol. 9:15, 1970 e C.L. Markert e R.M Petters Science, 1978, 202:56,) e non é chiaro se questa minoranza di cellule è pre-costituita o se tutte le cellule della blastocisti posseggono un uguale potenziale.
Infine, va ricordato che linee stabili di cellule ES si sviluppano solo dall’epiblasto delle blastocisti (F.A. Brook e R.L. Gardner, Pnas, 94:5709-5712, 1997) e che il corredo cromosomico delle cellule prelevate non è necessariamente sempre identico a quello della rimanente morula-blastocisti. Va sottolineato che le colture di cellule ES umane finora prodotte sono state ottenute a partire da cellule isolate mediante immunomicrochirurgia dalla massa cellulare interna della blastocisti umana (rappresentante lo stadio dell’embrione umano corrispondente a circa il 5° giorno di sviluppo): tale tecnica di prelievo ha finora comportato la distruzione della blastocisti (Reubinoff et al, Nature Biotechnology 18:399-404, 2000). Risulta quindi evidente come questo approccio rappresenti una linea di ricerca che lascia impregiudicato l’aspetto etico relativo all’impiego di morule-blastocisti criopreservate.
Esiste infine, un tipo particolare di cellule staminali embrionali, le cellule germinali primordiali, ottenute dalle gonadi di feti abortivi, e fatte trasformare "in vitro" in cellule EG (Shamblott et al, Proc Natl Acad Sci USA .95:13726-31, 1998). Al momento le cellule EG sembrano essere meno adatte delle cellule ES per un uso clinico, per problemi di imprinting genetico (Tada et al, Dev Genes Evol 207: 551-61, 1998). Va tenuto presente, su questo punto specifico, che le cellule ES, nel loro stato indifferenziato, se iniettate per sé o come contaminante di cellule preventivamente sottoposte a procedure di differenziamento, possono dare origine a teratocarcinomi in vivo. Si rende quindi necessario uno studio approfondito degli elementi di sicurezza associati alla procedura di trapianto di cellule staminali differenziate in vitro ed all’identificazione di una, anche minima, residua presenza di cellule ES indifferenziate.
Cellule staminali da cordone ombelicale
Le cellule staminali del cordone ombelicale hanno suscitato grande interesse, soprattutto negli USA, data la possibilità di creare una banca di cellule autologhe per ogni neonato all’atto della nascita (Fasouliotis & Schenker Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2000, 90:13-25, 2000). Queste cellule potrebbero in seguito essere utilizzate, anche dopo decenni, per curare patologie insorte nella vita adulta. Si tratta al momento di un’applicazione meramente commerciale, dato il grande sforzo organizzativo ed economico che tale iniziativa comporterebbe, a fronte di ricadute modeste sulla popolazione nel suo complesso.
Sebbene cellule di varia natura, ma tutte derivate da cordone ombelicale, possano venire impiegate per il trattamento di numerose patologie umane, ad oggi le cellule staminali ombelicali "bona fide" sono state considerate capaci di dare origine soltanto a cellule del sangue. Questo ne fa un importante elemento di trattamento di patologie ematologiche nel contesto del trapianto allogenico. La loro potenziale capacità di dare origine ad altri tessuti è fino ad oggi, in gran parte, inesplorata.
Cellule staminali adulte
Le cellule staminali adulte provvedono al mantenimento dei tessuti in condizioni fisiologiche ed alla loro riparazione in seguito a un danno; questa capacità riparativa non è illimitata a giudicare dalle patologie che compromettono la funzione degli organi, nonostante il tentativo di rigenerazione. Tali cellule erano fino a pochi anni fa considerate tessuto-specifiche poiché si riteneva che fossero specializzate nel generare cellule mature tipiche del tessuto in cui risiedono. In realtà studi recenti hanno mostrato un’inattesa plasticità di delle cellule staminali adulte. Il caso più emblematico è rappresentato dal transdifferenziamentto di cellule staminali neurali adulte in cellule mesodermiche ematopoietiche (Bjornson CR et al, Science 283:534-7, 1999). Tale "salto" differenziativo tra cellule di foglietti embrionali diversi si osserva con cellule staminali di adulto sia inserite in tessuti embrionali, sia in tessuti adulti (Taylor G et al, Cell 102:451-61, 2000, Clarke DL et al, Science 288:1660-3, 2000, Galli et al., Nat. Neurosci, 3, 986-91, 2000) e riguarda anche le cellule del midollo osseo che possono dare origine a muscolo (Ferrari et al., Science, 1998) ed a cellule epatiche (Petersen et al., 1999, 2000), e cellule muscolari che possono colonizzare il sistema ematopoietico (Gussoni et al., Nature 1999). Sulla base di quanto appena descritto, si possono trarre alcune considerazioni essenziali sul possibile utilizzo di cellule staminali adulte tessuto specifiche nell’ ambito terapeutico.
Primo, tali cellule esistono anche in organismi adulti, ma il loro isolamento e la loro coltivazione estensiva, eccezion fatta per le cellule staminali cutanee e mesenchimali, sono al momento limitati ai roditori. Si rendono quindi necessari forti investimenti nel campo delle cellule umane ematopoietiche, neurali, muscolari, e mesodermiche in generale.
Secondo, il problema dell’utilizzo clinico di tali cellule è strettamente legato alla possibilità pratica di espanderle "in vitro" in modo efficiente. Ad oggi questo e’ estremamente difficile ed, in concomitanza con possibili fenomeni di senescenza ipotizzabili in queste cellule, potrebbe rappresentare un limite all’effettiva fattibilità di questo approccio. Infatti, tentativi terapeutici con cellule staminali adulte hanno in alcuni casi (es: trapianto di midollo osseo in topi affetti da distrofia muscolare) ottenuto risultati modesti dal punto di vista dell’efficacia clinica (Gussoni et al., Nature 1999).
Terzo, ma non ultimo, è possibile che la specificità delle cellule staminali adulte per il proprio tessuto di appartenenza non sia così stringente, ma che sia immaginabile un approccio terapeutico tramite il quale cellule di un tessuto, per esempio la cute, possano venire coltivate ed istruite a produrre cellule di un altro organo, per esempio il cervello, al fine di rendere possibile la ricostruzione tissutale cellulo-mediata di tipo autologo.
1D TRASFERIMENTO NUCLEARE (TNSA)
In questo caso le cellule ES sono isolate da cellule dell’embrioblasto derivato dal trasferimento del nucleo di una cellula somatica adulta del paziente in una cellula uovo enucleata. Queste cellule ES posseggono quindi lo stesso genoma nucleare dell’individuo donatore della cellula somatica il quale, quindi, non le rigetterebbe qualora queste cellule ES clonate venissero trapiantate, dopo differenziamento, in un suo organo. Da queste considerazioni emerge come questo procedimento avrebbe l’enorme vantaggio di stabilire cellule ES immunologicamente compatibili per autotrapianto. Nel caso di malattie genetiche, queste cellule potrebbero essere geneticamente ‘curate’ in vitro prima del trapianto. Nell’esaminare le tecniche di derivazione di cellule ES autologhe assumiamo quale scopo finale esclusivo quello di sviluppare metodologie per l’ottenimento di cellule per il trattamento di pazienti. In breve, si tratta di riprogrammare il nucleo di cellule somatiche prelevate dal paziente, tramite il contatto con il citoplasma di un oocita.
Nella pubblicistica contemporanea questa procedura è stata chiamata clonazione terapeutica, un termine, di fatto, chiaramente opinabile. Infatti, un oocita ricostituito con il nucleo di una cellula somatica adulta non può considerarsi uno zigote in senso classico, in quanto non deriva dall’unione di due gameti. A riprova di ciò sta il fatto che l’oocita così ricostituito non dà spontaneamente luogo allo sviluppo embrionale, poiché ciò può avvenire solo grazie a stimolazioni artificiali che lo forzano a svilupparsi in blastocisti. Solo poche tra queste blastocisti hanno l’effettiva capacità di formare un embrione e quindi un feto se trasferite in utero.
Si noti, che l’oocita ricostituito può, invece, essere indotto a proliferare ed incanalarsi verso la formazione delle sfere embrioidi (non di blastocisti) la cui differenziazione può essere indirizzata verso specifici stipiti cellulari.
Quindi, in ultima analisi, l’oocita ricostituito con il nucleo di una cellula somatica del paziente è assai più simile ad una potenziale forma di espansione cellulare (per via asessuata) del paziente stesso, analoga a quella già oggi praticata quando prelievi bioptici di derma vengono amplificati per la produzione di ‘cute artificiale’, tecnica preziosa nella terapia dei grandi ustionati.
Infatti, il processo per cui il nucleo di una cellula somatica, trovandosi nel citoplasma dell’oocita, riacquista le capacità di cellula staminale non è molto dissimile da quelli che si attuano quando cellule normalmente quiescienti prelevate dal corpo di un paziente adulto vengono indotte a proliferare "in vitro" stimolandole con ‘fattori di crescita’.
E’ perciò prevedibile ed auspicabile che la attuale dipendenza dagli oociti di donna possa venire rimpiazzata da tecniche che prevedono l’impiego di estratti citoplasmatici di altre specie animali, o citoplasti prodotti artificialmente, così da poter effettuare in provetta la riprogrammazione genetica dei nuclei delle cellule somatiche. Prevenendo possibili pressioni sulla salute della donna (come ricordato dal recente documento europeo Ethical aspects of human stem cell research and use), tale approccio risulta particolarmente interessante.
1E APPLICAZIONI ATTUALI DELLE CELLULE STAMINALI
Una analisi critica della letteratura scientifica internazionale sulle cellule staminali porta a definire alcuni criteri utili alla nostra riflessione da cui emerge la grande potenzialità di sviluppo di terapie utili al trattamento di tutto un ampio ventaglio di patologie.
Trapianto di cellule ematopoietiche (trapianto di midollo)
Applicazioni terapeutiche del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche.
Il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche consente la ripresa dell’emopoiesi dopo la somministrazione di dosi mieloablative di chemioterapia e radioterapia. Di seguito si riportano, in tabella, le indicazioni cliniche tra i tumori solidi e le neoplasie ematologiche per le quali è riconosciuta un’indicazione a chemioterapia ad alte dosi con autotrapianto di cellule staminali ematopoietiche, accanto ad una proiezione dell’attività prevista per l’anno 2001 in Italia.
Tabella 1 |
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Carcinoma mammario |
130 |
Neuroblastoma |
20 |
Tumori germinali |
15 |
Sarcoma di Ewing |
10 |
Microcitoma |
10 |
Carcinoma ovarico |
10 |
Altri tumori solidi |
20 |
Linfoma di Hodgkin |
190 |
Leucemia linfatica cronica |
30 |
Leucemia linfatica acuta |
70 |
Leucemia mieloide cronica |
40 |
Leucemia mieloide acuta |
300 |
Sindromi mielodisplastiche |
20 |
Mieloma multiplo |
500 |
Linfoma non Hodgkin |
650 |
La somministrazione di alte dosi di chemioterapia ad azione immunosoppressiva con successivo trapianto autologo di cellule staminali, è stata di recente valutata in pazienti affetti da malattie autoimmuni severe, con risultati favorevoli in malattie non responsive ai trattamenti con dosi convenzionali di farmaci immunosoppressori. In un recente Consensus Meeting Europeo (Basel, ottobre 2000), sulla base delle risposte favorevoli ottenute negli studi di fase I-II in più di 250 pazienti, sono stati definiti criteri clinici di arruolamento a protocolli internazionali randomizzati di fase III per pazienti con lupus eritematoso sistemico, sclerosi sistemica, sclerosi multipla, artrite reumatoide, vasculiti sistemiche, citopenia autoimmuni; in tali studi verrà confrontato l’impatto curativo di una profonda immunosoppressione rispetto a trattamenti convenzionali in queste malattie a rilevante incidenza nella popolazione giovane.
Applicazioni terapeutiche del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche
In aggiunta all’azione antitumorale della chemioterapia e radioterapia somministrate nel regime di condizionamento al trapianto, l’infusione di cellule staminali allogeniche offre il potenziale curativo dell’effetto immuno-mediato del sistema immunitario del donatore nei confronti della neoplasia del paziente (effetto del trapianto verso la leucemia, Graft versus Leukemia effect). Numerose osservazioni cliniche e sperimentali hanno consentito di attribuire il potenziale curativo del trapianto di cellule staminali allogeniche proprio all’azione antitumorale del sistema immune del donatore trapiantato nel paziente. Il riconoscimento del ruolo centrale esercitato dalla componente immunologica nel contesto del trapianto allogenico, ha di recente consentito lo sviluppo di protocolli di radiochemioterapia a bassa intensità di dose, al fine di estendere a pazienti anziani, a pazienti con malattia avanzata e con tumori solidi, una procedura con un potenziale di cura significativamente superiore a terapie standard.
Di seguito, in tabella, si riportano le indicazioni cliniche tra le neoplasie ematologiche e i tumori solidi per le quali è riconosciuta un’indicazione a chemioterapia ad alte dosi con trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, accanto ad una proiezione dell’attività prevista per l’anno 2001 in Italia.
Tabella 2 |
|
Carcinoma renale |
25 |
Carcinoma mammario |
20 |
Altri tumori solidi |
30 |
Linfoma di Hodgkin |
10 |
Leucemia linfatica cronica |
10 |
Leucemia linfatica acuta |
200 |
Leucemia mieloide cronica |
150 |
Leucemia mieloide acuta |
400 |
Sindromi mielodisplastiche |
50 |
Mieloma multiplo |
50 |
Anemia aplastica |
20 |
Talassemie |
110 |
Linfoma non Hodgkin |
70 |
Altre neoplasie ematologiche |
30 |
Applicazioni terapeutiche del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche prelevate da sangue di cordone ombelicale.
In alternativa al midollo osseo e alle cellule staminali da sangue periferico, il sangue da cordone ombelicale prelevato alla nascita è attualmente utilizzato quale sorgente allogenica di cellule staminali ematopoietiche. Le cellule da cordone ombelicale offrono alcuni vantaggi teorici rispetto alle cellule da sangue midollare e periferico di adulto, in ragione della loro immaturità immunologica e dell’elevato potenziale di ripopolamento midollare e immunologico. Principale limitazione è la quantità limitata di cellule staminali presenti in un’unità di cordone, che condiziona l’estensione ad una popolazione adulta di alto peso corporeo. Il trapianto allogenico di cellule da cordone ombelicale ha conosciuto notevole espansione nel corso degli ultimi anni, raggiungendo una quota complessiva di circa 2.000 trapianti nel mondo. Le indicazioni cliniche sono sovrapponibili a quelle previste per il trapianto di cellule staminali da altre sorgenti.
2 . Trapianto di cellule staminali cutanee (trapianto di epidermide)
Cellule staminali di epitelio autologo possono essere coltivate ed espanse "in vitro" (Jones and Watt, Cell, 73: 713-724) ed utilizzate per coprire permanentemente lesioni estese della cute e della mucosa (Pellegrini et al., Transplantation, 68: 868-79, 1999). Sebbene tale approccio venga oggi applicato a lesioni da bruciatura, da fistole diabetiche, o da epidermolisi bollosa (Dellambra et al., Hum. Gen. Ther. 9, 1359-70, 1998), l’utilizzo di questa tecnica è prevedibile in altri tipi di patologie cutanee quali terapia genica nelle neoplasie ed infezioni cutanee (Garlick and Fenjves, Crit. Rev. Oral. Biol. Med. 7, 204-21, 1996) ed in mosaicismi somatici e funzionali.
Infatti, questa strategia terapeutica potrà essere utilizzata per trattare pazienti affetti da nevo epidermico con quadro istologico di ipercheratosi epidermolitica (OMIM 600648), che rappresenta la variante a mosaico dell'eritrodermia ittiosiforme congenita bollosa. Analogamente lo stesso protocollo si potrà applicare a pazienti affetti da piebaldismo (OMIM 172800), una malattia autosomica dominante che si manifesta con lesioni acromiche localizzate e presenti alla nascita, in cui non sono presenti melanociti.
1F PROSPETTIVE TERAPEUTICHE POTENZIALI
Oltre a questi tipi di trapianto, esistono numerose patologie che potranno venire curate utilizzando cellule staminali ES e/o tessuto specifiche. Alcuni esempi vengono discussi di seguito.
A - Rigenerazione di cellule e tessuti.
Come già discusso, la maggiore applicazione delle cellule staminali è quella di sostituire cellule o tessuti danneggiati o non funzionanti e quindi di essere potenzialmente efficaci in un contesto di terapia cellulare/tissutale sostituendo cosi’ il trapianto di organo da cadavere.
B - Terapia cellulare per:
la ricostruzione del midollo spinale danneggiato da traumi fisici mirato a dare quindi una speranza ai tanti paraplegici. Per esempio, questa possibilità è già sperimentata nel ratto, dove è stata sfruttata la trasformazione dei precursori degli oligodendrociti in cellule che producono mielina nel midollo spinale);
malattie degenerative del sistema nervoso (Alzheimer, morbo di Parkinson, malattia di Huntington, sclerosi laterale amiotrofica, malattie ecotossicologiche, post-traumatiche, da abuso farmacologico, da danno ischemico, ecc.);
malattie muscolo-scheletriche (displasia ossea, malattie progressive delle giunzioni ossee, osteogenesis imperfecta, miopatie primitive);
malattie infiammatorie di natura sistemica (sindrome di Sjögren), attraverso la sostituzione delle cellule delle ghiandole salivari atrofiche dei malati;
malattie degenerative della retina, della cornea e dell’apparato uditivo, i cui tessuti sono stati danneggiati per cause genetiche o traumatiche:
ricostituzione del tessuto cardiaco dopo un infarto acuto del miocardio e riparazione dei vasi sanguigni da processi patologici progressivi come l’arteriosclerosi e l’ipertensione;
malattie metaboliche tipo lisosomiali, causate dal blocco di specifici sistemi catabolici e dal conseguente accumulo nei lisosomi delle sostanze non degradate.
C - Terapia genica
Le cellule staminali sono in grado di accettare e tollerare, molto meglio di cellule mature, geni introdotti dall’esterno con tecniche d'ingegneria genetica, mirate a correggere l’effetto patologico di geni difettosi o mutati mediante trasferimento genico; proprio per la loro capacità di trattenere stabilmente tali geni esogeni nel tempo, costituirebbero il substrato ideale per fungere da vettori cellulari per la terapia genica, consentendo quindi il superamento di alcune difficoltà tecniche, attualmente insormontabili, dovute alla perdita progressiva di espressione di geni esogeni inseriti a scopo terapeutico in tessuti di cellule adulte mature.
Un singolo trasferimento di gene in una cellula staminale renderebbe infatti disponibili cellule del sangue, della pelle, del fegato, e perfino del cervello "corrette". Quindi, le cellule staminali, embrionali o adulte, potrebbero rappresentare la soluzione ottimale in terapia genica proprio perché in grado di generare le cellule necessarie in quantità molto rilevanti.
1 G CONCLUSIONI SUGLI ASPETTI SCIENTIFICI
L’impatto
E’ possibile stimare, sebbene in via del tutto preliminare che, su un numero totale di soggetti affetti da patologie croniche di circa 30 milioni nel nostro Paese, l’utilizzo delle cellule staminali di varia origine possa portare a sviluppare metodiche cliniche per il trattamento di un numero di pazienti che, comprendendo le patologie di origine cardiovascolare, si avvicina ai 10 milioni di individui.
Le problematiche relative all’uso dei diversi tipi di cellule staminali (e le possibili differenze nella loro efficacia terapeutica), le ovvie conseguenze sulla qualità della vita sono talmente forti da influenzare pesantemente le attuali scelte strategiche di finanziamento pubblico della ricerca nella maggior parte dei paesi industrializzati. E’ chiaro che queste scelte potrebbero modificare sensibilmente la politica sanitaria dei prossimi decenni, ed è pertanto auspicabile un cospicuo investimento di risorse sia economiche che umane nel settore della biologia delle cellule staminali.
La possibilità di operare scelte strategiche in questo campo, anche in considerazione della preminenza culturale che la ricerca italiana ha fin qui occupato, ma che potrebbe scemare in assenza di iniziative istituzionali di ampio respiro strategico, porterebbe il nostro Paese in una posizione di avanguardia nel settore biomedico.
I quesiti scientifici
La grande quantità di dati disponibili sulle cellule staminali ha finora prodotto molte risposte a quesiti importanti ed ha aperto nuove prospettive terapeutiche inimmaginabili fino a pochi anni orsono. In realtà, questo ha generato molte più domande che risposte, indicando l’opportunità, se non la necessità, di ampliare i programmi di lavoro sull’argomento, considerando anche i risvolti scientifici di potenziale applicabilità nel contesto sanitario. Come discusso esaustivamente, l’utilizzo delle cellule staminali apre orizzonti terapeutici di notevole portata, per esempio malattie neurodegenerative su base genetica, traumatica, ischemica, o conseguente all’esposizione a farmaci o sostanze tossiche, oltre all’utilizzo delle medesime come vettori cellulari per terapia genica di malattie metaboliche e di tumori.
Allo stato attuale delle conoscenze, non ci sono evidenze conclusive che definiscano quale dei due tipi di cellule staminali considerati in questa relazione – cellule ES e cellule staminali tessuto specifiche – possa essere considerato il più adatto per utilizzi sia sperimentali che clinici (Snyder EY, Vescovi AL, Nat. Biotech., 18: 827-8, 2000). Da quanto emerge da questa relazione, il bivio che si presenta al ricercatore come al legislatore, riguardo all’utilizzo di cellule staminali ES invece di staminali adulte tessuto specifiche non riflette i termini reali del problema.
E’ di fatto necessario effettuare ricerche per conoscere se solo una delle due sorgenti, o, come è più probabile, entrambe, possano dare risposta alle esigenze di terapia per le svariate patologie umane di origine e natura spesso incredibilmente diversa, fermo restando il quesito etico che esiste per alcune delle modalità di ottenimento delle cellule staminali embrionali umane.
E’ auspicabile che tali problematiche possano venire superate con il progredire delle scoperte e con la messa a punto di tecnologie avanzatissime in questo settore di ricerca, che vede impegnato un numero consistente di gruppi italiani di elevatissima qualità, in grado di contribuire in modo significativo all’avanzamento delle conoscenze nel settore. Esistono inoltre in Italia numerosi gruppi, finora non direttamente coinvolti nel campo specifico, forniti di competenze in grado di dare ulteriori contributi alla ricerca.
E’ pertanto fortemente auspicabile la costituzione di un programma nazionale finalizzato alla ricerca sulle cellule staminali. Le aree di ricerca su cui basare, almeno inizialmente, il programma in oggetto dovrebbero essere selezionate basandosi sia su una solida evidenza scientifica sia su un consenso unanime da parte della comunità scientifica riguardo l’opportunità/utilità/fattività del lavoro in quel determinato campo.
Le scelte della ricerca
Sulla base di questi presupposti, sarebbe possibile individuare tre ambiti privilegiati su cui concentrare, almeno inizialmente, il lavoro:
cellule staminali somatiche tessuto-specifiche adulte, fetali abortive ed embrionali (ES) di origine umana ed animale;
riprogrammazione genetica del nucleo di cellule somatiche per trasferimento nucleare in citoplasti artificiali di origine animale ed umani;
modelli animali, anche transgenici, di patologie umane per lo studio in vitro e in vivo delle cellule staminali di varia natura.
Vale la pena di sottolineare che ci troviamo di fronte a scelte critiche che, di fatto, decideranno il futuro non solo della ricerca italiana ma anche della medicina d’avanguardia nel nostro Paese. E’ auspicabile che si trovino finalmente le risorse per investire in maniera decisiva in questo settore, sfuttando quelle che sono in questo momento competenze esclusive del nostro Paese che, ad oggi, sono emerse grazie alla creatività ed impegno, spesso non finanziato, dei nostri ricercatori. Il rischio che l’Italia oggi all’avanguardia nel settore delle cellule staminali, ne resti di fatto esclusa è, purtroppo, concreto.
Capitolo 2
QUESITI ETICI EMERSI DAGLI ASPETTI TECNICI
2.1 – La Commissione ha riconosciuto esenti da problemi etici irrisolvibili:
l’uso delle cellule staminali adulte e da cordone ombelicale, fatto salvo che sia stato ottenuto il consenso informato del donatore e che la sua salute non ne venga compromessa.
l’uso di cellule staminali da materiale abortivo.
l’uso di cellule staminali da trasferimento nucleare. Queste cellule staminali vengono ottenute mediante riprogrammazione genetica per trasferimento di nuclei di cellule somatiche in citoplasti artificiali umani e/o animali, purchè non comporti lo sviluppo di embrioni umani (TNSA). Nel caso di citoplasti umani, viene previsto esclusivamente lo sviluppo di stipiti cellulari tessuto specifici.
2.2 – La Commissione ha lasciato aperto al dibattito etico i seguenti punti:
L’uso di materiale da embrioni sovrannumerari. Andrà considerato il problema degli embrioni congelati, di quelli non congelati ma che eccedono il numero impiantabile, di quelli che non vengono valutati "idonei per l’impianto" per motivi morfologi o di integrità.
L’uso di singole cellule ottenute dalla blastocisti, durante la fase diagnostica preimpianto della fecondazione assistita, senza alterarne il potenziale di sviluppo embriogenetico.
L’uso di embrioni prodotti specificamente per scopi terapeutici.
Capitolo 3
DIBATTITO SUGLI ASPETTI ETICI
Questa parte della relazione della Commissione è organizzata per rispondere in modo puntuale ai quesiti posti dal Ministro, professor Umberto Veronesi, alla Commissione. Sono così emersi undici punti di riflessione.
1 - Efficacia scientifica
Dalla parte scientifica di questo documento emerge la conferma di un dato già affermato in precedenti documenti di altre istituzioni nazionali e internazionali: il potenziale di applicazione terapeutica della ricerca sulle cellule staminali è effettivamente di notevole interesse e potrebbe condurre a una vera e propria rivoluzione in medicina, superiore persino, nei suoi effetti sulla salute della gente, a quella rappresentata dalla scoperta degli antibiotici.
La risposta alla prima parte della prima domanda rivolta a questa Commissione dal Ministro della Sanità è dunque positiva: c'è ormai una sufficiente mole di dati (e altri se ne stanno accumulando) per sostenere che, grazie a tali ricerche, i sistemi sanitari potranno offrire ai cittadini nuovi ed efficaci trattamenti per una notevole serie di patologie degenerative, che in molti casi potranno restaurare la salute, in altri migliorare sensibilmente la qualità della vita.
A fronte del carattere "fondamentale" che il diritto alla salute riveste nel nostro ordinamento costituzionale, favorire le ricerche dirette a realizzare tali trattamenti, diventa un obbligo morale.
2 – Cautela
Quanto alla seconda parte della domanda (sui tempi e le probabilità), la Commissione non è in grado di fare una previsione sufficientemente certa, anche perché il tempo in cui questi trattamenti potranno essere disponibili per l'uso clinico dipende anche dalle decisioni che oggi vengono assunte circa l'ammontare di risorse intellettuali e finanziarie che verranno destinate allo scopo.
Nei documenti nazionali e internazionali in materia ci si attiene comunque al criterio della massima cautela nel fare previsioni circa il tempo in cui questi trattamenti potranno entrare a far parte della pratica clinica. La Commissione fa suo questo criterio e ne sottolinea la rilevanza al fine di non suscitare attese o speranze ancora non realistiche.
3 – Il problema trapianti
Se l'utilizzazione terapeutica per scopi di trapianto sarà la conseguenza più diretta della ricerca sulle cellule staminali, conviene anche sottolineare che tale ricerca può comportare altri benefici per la salute della gente, benefici conseguenti a:
la possibilità di utilizzare linee cellulari per testare l'efficacia e la tossicità dei farmaci;
la possibilità di studiare i meccanismi biologici di base che presiedono allo sviluppo di certe patologie;
la possibilità di utilizzare le cellule staminali per risolvere alcuni dei problemi che oggi rendono ancora non adeguatamente diffusa l'applicazione della terapia genica.
Resta comunque fermo che - dopo la necessaria sperimentazione sull’animale - l’utilizzazione più diretta e importante è quella per scopi di trapianto. In questo senso, all'inizio della parte scientifica del documento, si afferma che le cellule staminali, di qualunque origine, potranno risolvere i due limiti fondamentali dell'attuale tecnologia dei trapianti: la scarsità di organi e la necessità dell'immunosoppressione cronica. Da ciò derivano due importanti condizioni per l'uso clinico routinario delle cellule staminali: la quantità e la compatibilità col ricevente.
4 – I dati scientifici
La seconda domanda rivolta dal Ministro Veronesi a questa Commissione riguarda quale tra le cinque sorgenti classiche di cellule staminali può avere più possibilità di successo in termini di ricerca terapeutica. Il quadro dello "stato dell'arte" elaborato nella parte scientifica non offre una risposta univoca a questa domanda.
Si tratta del resto di un quadro in rapidissima evoluzione, sia nel settore delle cellule staminali di origine embrionale e germinale, sia nel settore delle cellule staminali di origine adulta.
Rispetto ai dati scientifici attualmente disponibili, tuttavia, si può sostenere che la prima condizione (la quantità) è certamente soddisfatta dalle linee cellulari di provenienza embrionale, di cui si è ormai dimostrata, nei modelli animali già a partire dal 1981 e recentemente anche nell'uomo, la pressoché illimitata capacità di autorigenerazione, tanto che qualcuno ha avanzato l'ipotesi che le poche linee cellulari già derivate potrebbero in teoria costituire una fonte inesauribile di nuove linee cellulari. Questo stesso tipo di linee cellulari soddisferebbe la seconda condizione (la compatibilità) a patto di utilizzare per la loro produzione la tecnica del trapianto nucleare da cellula somatica del ricevente, come precisato nella parte scientifica.
5 – Il sostegno alla ricerca
Sempre restando ai dati oggi disponibili, le cellule staminali di origine adulta non soddisfano la prima condizione, non, almeno, nella misura in cui già la soddisfano le cellule embrionali. Soddisfano invece la seconda condizione, ovviamente qualora le cellule da coltivare vengano isolate dal paziente stesso che riceverà il trapianto.
C'è tuttavia da aggiungere che, in relazione a certe patologie degenerative a rapido decorso e, soprattutto, alla localizzazione di certi organi, la procedura di isolamento e trattamento ai fini della transdifferenziazione (che è cosa ben diversa dalla semplice utilizzazione, che, ad esempio, già avviene con la procedura di autotrasfusione di cellule staminali ematopoietiche) delle cellule staminali adulte presenta problemi di tempo che la rendono una procedura difficilmente perseguibile sul piano clinico per tutte le patologie.
E' sperabile che il proseguimento della ricerca possa permettere di superare tali problemi, come pure possa permettere, in una prospettiva più lontana, di determinare i meccanismi biologici che presiedono alla riprogrammazione del nucleo delle cellule adulte già differenziate. Per l'uso clinico, infatti, non è sufficiente sapere che tale riprogrammazione di fatto avviene (come è ormai dimostrato dagli esperimenti di clonazione animale); è necessario sapere come avviene, al fine di padroneggiare in modo riproducibile i meccanismi biologici di riprogrammazione. Attualmente, l'unico modo per studiare tali meccanismi è la tecnica del trasferimento nucleare somatico.
Emerge quindi, come è ben chiarito anche alla fine della parte scientifica del documento, la necessità - che trova un vasto (anche se non unanime) riscontro nella comunità scientifica internazionale - di non escludere pregiudizialmente nessun settore di ricerca.
La stessa possibilità di operare scientificamente un confronto, in termini di futura efficacia terapeutica, tra le varie fonti di linee cellulari, richiede che la ricerca venga portata avanti senza pregiudiziali esclusioni, né dirette, né indirette (ad es., attraverso la politica dei finanziamenti). Questa richiesta, che nella parte scientifica del documento emerge come dato di fatto, deve essere tuttavia valutata - sempre per seguire la traccia delle domande formulate dal Ministro - nei suoi aspetti etici.
6 – Le finalità terapeutiche
Nel sottoporre a valutazione etica la ricerca sulle cellule staminali, questa Commissione desidera sottolineare che ciò non può in nessun modo essere interpretato come un mettere in discussione il principio generale della libertà della ricerca scientifica, che in Italia è un principio costituzionalmente protetto. La valutazione etica che si intende intraprendere riguarda le finalità e le metodologie di un tipo specifico di ricerca, in ragione del fatto che tale ricerca avviene in un contesto su cui grava un serio disaccordo morale.
Nel nostro caso, tale disaccordo non riguarda, in verità, la finalità, poiché, come s'è già osservato, c'è un vasto consenso sul carattere benefico degli scopi della ricerca sulle cellule staminali, scopi che coincidono con uno dei fini fondamentali della medicina: guarire gli esseri umani nel modo più efficace possibile. Il disaccordo riguarda la provenzienza embrionale di alcune linee cellulari e certi aspetti delle metodologie di derivazione, ma il tema della finalità di questo tipo di ricerca andava ricordato perché la consapevolezza della notevole importanza dei benefici attesi può costituire il terreno più idoneo per ridurre l'ampiezza del disaccordo morale.
7 – Liceità della sperimentazione
La ricerca sulle cellule staminali prelevate da tessuti adulti o dal cordone ombelicale o da feti abortiti in modo spontaneo o volontario (in quest'ultimo caso, sulla base di una regolamentazione atta ad escludere ogni rapporto di causalità tra prelievo di cellule o tessuti e aborto) non solleva problemi morali insormontabili.
Su questo punto c'è un consenso unanime all'interno della Commissione. Il punto cruciale del disaccordo che grava sulla ricerca sulle cellule staminali ruota attorno alla liceità della sperimentazione sugli embrioni umani. Ancor prima che in relazione alle future applicazioni terapeutiche, il punto emerge già in relazione alla richiesta, sopra ricordata e ben delineata nelle sue ragioni scientifiche, di sostenere attivamente la ricerca sulle cellule staminali sia di origine embrionale, sia di origine adulta.
E' bene, infatti, precisare che qui si sta parlando della fase preliminare della ricerca, quella diretta a studiare le proprietà delle cellule staminali e a dimostrare la possibilità di indirizzarle verso la produzione delle varie linee cellulari o tessuti utilizzabili per trapianti. Molti sperano che quando si arriverà alla fase della vera e propria sperimentazione clinica, non sarà più necessario ricorrere alla derivazione di cellule dalla blastocisti dell'embrione umano. Anche se non è facile prevedere se e quando questa speranza si tradurrà in realtà, resta comunque fermo che oggi un programma di ricerca che contempli la sperimentazione sulle cellule staminali derivate da embrioni umani appare a molti necessario.
8 – Le diverse interpretazioni
E' noto che sulla liceita’ morale della sperimentazione sugli embrioni umani
esiste una radicale controversia, che trova il suo fondamento in differenti
concezioni etiche, filosoficamente e/o religiosamente fondate, ad ognuna
delle quali questa Commissione riconosce piena legittimita’. Qui non e’
neppure possibile tentare di sintetizzare la sostanza del dibattito in
materia.
Ma, almeno per chiarirne i termini, conviene rilevare che la controversia
non e’ riducibile nei termini di una contrapposizione tra pensiero secolare
e pensiero religioso. E' probabile che gli argomenti utilizzati siano
differenti, ma i favorevoli e i contrari sono presenti in ambedue questi
schieramenti.
Ad esempio, le testimonianze rese presso la National Bioethics Advisory
Commission da rappresentanti delle religioni piu’ diffuse negli Stati Uniti
hanno evidenziato un vasto ventaglio di posizioni. Si va dalla posizione
contraria espressa dalla chiesa cattolica e dalla chiesa ortodossa (il cui
rappresentante si e’ tuttavia dichiarato favorevole alla sperimentazione
sugli embrioni "soprannumerari") alla posizione favorevole espressa, con
alcuni distinguo, da rappresentanti delle confessioni protestanti, delle due
principali tradizioni islamiche e dell'ebraismo, i cui rappresentanti hanno
anzi sottolineato il carattere "doveroso" della ricerca sulle cellule
embrionali a fronte del beneficio terapeutico atteso. E' possibile che
questo stesso ventaglio di posizioni si evidenzierebbe esaminando le etiche
secolari.
9 – Il rispetto della vita umana
La soluzione della controversia sulla sperimentazione degli embrioni umani
varia a seconda della posizione assunta sulla questione dell’embrione.
Alcuni, infatti, affermano che l’embrione umano e’ un essere umano a partire
dal momento della fecondazione; altri osservano, invece, che negativa e’ la
risposta al problema centrale se nelle prime fasi del suo sviluppo
l’embrione sia o no persona; altri ancora, infine, che non e’ possibile
decidere la controversia in materia ma ritengono che l’embrione umano non
sia una mera "cosa" utilizzabile a piacimento e che meriti una tutela
crescente proporzionale al suo sviluppo. Di fronte all'ampiezza e alla
radicalita’ di tale controversia, e’ chiaro che questa Commissione (o
qualunque altra Commissione) non puo’ certo assumersi il compito di dirimere
un disaccordo che ha la sua radice in convinzioni antropologiche
filosoficamente e/o religiosamente fondate. Ciascuna posizione raccoglie
consensi, e la Commissione e’ ben consapevole che il mero fatto che una data
soluzione raccolga un vasto consenso, non la rende "piu’ giusta" rispetto
alle altre, ne’ equivale ad una delegittimazione delle altre posizioni.
La Commissione, infatti, prende atto che esiste un valore unanimemente
condiviso da tutte le posizioni sopra accennate: il rispetto dovuto alla
vita umana. Non vi e’ chi non accetti questo principio, anche se poi ci puo’
dividere sui modi concreti di manifestare tale rispetto nelle circostanze
reali della vita.
10 – Risoluzione minoritaria
Alcuni membri della Commissione (Card. Ersilio Tonini, Adriano Bompiani,
Bruno Dallapiccola, Domenico Di Virgilio, Enrico Garaci, Luigi Lorenzetti,
Girolamo Sirchia) senza entrare nel dibattito filosofico e scientifico circa
l'embrione, ritengono che due affermazioni sono determinanti per il
comportamento etico: l'embrione e’ un essere umano con potenzialita’ di
sviluppo (e non un essere umano potenziale); l'embrione, come ogni essere
umano, ha diritto alla vita. Per un'adeguata comprensione, non si tratta di
proiettare nell'embrione l'idea di persona fatta e finita, ma nemmeno di
coltivare un'idea di persona che possa prescindere da quest'inizio. Il
legame tra embrione e persona va considerato come un processo unitario,
dinamico e continuo.
L'espressione che meglio rappresenta l'intrinseca tensione tra i due poli
(embrione e persona) e’ "l'embrione va rispettato come persona". In altre
parole, il rispetto che si deve alla persona e’ rispetto alla persona nelle
sue diverse fasi, a cominciare da quella dell'inizio. La vita umana, la sua
dignita’, non e’ piu’ in alcune fasi e meno in altre. In questa prospettiva,
quindi, le argomentazioni a favore della sperimentazione degli embrioni
sovrannumerari (il sacrificio di questi embrioni e’ proporzionato ai
vantaggi sperati; un male minore rispetto a quello maggiore della loro
distruzione; una giusta soluzione del conflitto tra diritto alla vita di
questo embrione e il diritto del malato a essere curato) si fondano su una
visione strumentale dell'embrione umano, al quale non si riconosce ancora il
titolo di soggetto e, quindi, eliminabile a vantaggio di un soggetto che e’
gia’ tale, come si pretende.
Inoltre, si osserva che, a partire dal dilemma "l'embrione o viene usato o
viene distrutto", significa accettare, in etica, l'insostenibile
equiparazione tra "uccidere" e "lasciar morire". In breve, le argomentazioni
che proibiscono moralmente di creare embrioni per la sperimentazione,
valgono anche per la proibizione dell'utilizzo di quelli gia’ esistenti.
Nell'un caso come nell'altro, infatti, compare il mancato riconoscimento
dell'embrione come soggetto umano e, quindi, la sua possibile
strumentalizzazione, almeno nella prima fase della sua esistenza.
11 – Risoluzione maggioritaria
Gli altri diciotto membri della Commissione hanno invece fissato
l’attenzione sul fatto che anche in Italia, in vari laboratori che attuano
programmi di fecondazione in vitro, esiste un elevato numero di embrioni
soprannumerari, formati nel contesto di un progetto procreativo, ma che, per
varie ragioni, non sono piu’ destinati all'impianto.
La scelta di destinare una parte di questi embrioni a ricerche dalle quali
possono derivare notevoli benefici per l'umanita’ non comporta una
concezione strumentale dell’embrione, ne’ costituisce un atto di mancanza di
rispetto nei confronti della vita umana, in specie se si considera che
l'alternativa e’ di lasciare che questi embrioni, per i quali non e’ piu’
possibile la destinazione per cui sono stati formati, periscano. Quando ci
si trova di fronte a situazioni dilemmatiche, il meglio che si possa fare -
se si esclude l'inazione, che comunque e’ una scelta - e’ di bilanciare i
valori in gioco.
Nel nostro caso, a fronte dell'inevitabile destino riservato a una parte
degli embrioni crioconservati e non piu’ impiantabili, la Commissione
ritiene che la bilancia penda a favore della destinazione di tali embrioni
agli scopi di una ricerca suscettibile di salvare la vita di milioni di
esseri umani e ritiene che tale destinazione manifesti, nella situazione
sopra descritta, un rispetto per la vita umana ben superiore al mero
"lasciar perire". La soluzione sopra delineata e’ quella che raccoglie i
maggiori consensi sul piano delle valutazioni espresse da numerose
istituzioni e comitati nazionali ed internazionali.
Essa e’ ispirata da una logica dell'espansione del raggio della ricerca e
puo’ quindi consentire, in un tempo piu’ breve rispetto alle logiche
restrittive, di pervenire alle conoscenze scientifiche di base che
permetteranno il passaggio alla fase della sperimentazione clinica. Sul
piano dei principi, tale soluzione trova sostegno nel principio di
beneficialita’, il quale, sia pure con differenti accentuazioni, e’ un
tratto comune alle principali dottrine morali, ispira l'etica della ricerca
biomedica, ed e’ fonte dei doveri di responsabilita’ che noi abbiamo verso
le persone che soffrono.
In forza di cio’, tale soluzione da’ corpo alla nostra responsabilita’ verso
le prossime generazioni, alle quali indubbiamente ridonderanno i benefici
degli sforzi che oggi facciamo nella lotta contro le malattie e la
sofferenza. Non va dimenticato infine che questa posizione e’ ispirata ad un
atteggiamento collaborativo e prudente, proteso ad evitare il piu’ possibile
i contrasti ed attento a rispettare al massimo le diverse convinzioni in
campo.
Capitolo 4
RACCOMANDAZIONI
In considerazione dei notevoli benefici attesi dalla ricerca sulle cellule
staminali, una parte della Commissione ritiene che sia un dovere della
nostra societa’ favorire e sostenere, nei modi piu’ opportuni, la ricerca su
tutte le fonti di cellule staminali ricordate nelle Considerazioni
conclusive della parte scientifica del presente documento. Resta ferma la
liberta’ dei ricercatori o dei gruppi di ricerca di indirizzare le proprie
indagini verso la fonte che riterranno piu’ consona alle proprie valutazioni
scientifiche e/o etiche, senza pregiudizio alcuno per l'accesso ai
finanziamenti.
La nuova tecnica del trasferimento nucleare per la produzione di cellule
staminali autologhe (TNSA) viene raccomandata perche’ offre la prospettiva
di risolvere le esigenze quantitative cosi’ come di superare i problemi di
compatibilita’ immunologica. La Commissione ha riconosciuto che questa
tecnica, essendo in grado di evitare l’avvio della formazione dell’embrione,
appare esente da problemi etici.
In ogni caso, per quanto riguarda la derivazione di cellule staminali da
embrioni, la Commissione raccomanda che tale derivazione sia consentita
esclusivamente da embrioni soprannumerari.
La parte della Commissione, favorevole all'utilizzo degli embrioni
sovrannumerari, raccomanda che sia al piu’ presto esperita una indagine sul
numero e la localizzazione degli embrioni soprannumerari non piu’ destinati
all'impianto. Sara’ anche necessario elaborare procedure per ottenere il
consenso informato delle coppie che hanno acconsentito alla
crioconservazione, ma non intendono piu’ far ricorso a procedimenti di
trasferimento embrionale. Tali procedure devono esplicitamente escludere
ogni forma di compenso per la donazione e ogni forma di riserva sulla
destinazione delle linee cellulari che eventualmente verranno prodotte. Per
il futuro, la richiesta di donazione per fini di ricerca dovra’ essere
rivolta, previa adeguata informazione, alla coppia solo dopo l'esplicita
rinuncia ad utilizzare gli embrioni per scopi riproduttivi.
Al fine di garantire il controllo pubblico della ricerca sulle cellule
staminali - e in adesione all'invito formulato al punto 2.6 del Parere dell'European
Group on Ethics in Science and New Technologies - la Commissione raccomanda
di esplorare la possibilita’ di istituire un Progetto nazionale di ricerca
sulle cellule staminali, dotato di un organismo tecnico di coordinamento
centrale coi compiti:
di elaborare apposite Linee guida per la redazione dei protocolli di
ricerca, sia sotto l'aspetto scientifico, sia sotto l'aspetto etico, anche
in riferimento alle normative nazionali ed internazionali che governano la
ricerca biomedica, laddove applicabili;
di monitorare l'andamento della ricerca, anche sulla base del confronto coi
risultati acquisiti sul piano internazionale, al fine di stabilire tempi e
modalita’ del passaggio alla fase della sperimentazione clinica;
di ricercare, a tempo debito, le opportune forme di coordinamento con gli
organismi deputati a valutare ed approvare i protocolli di sperimentazione
clinica.
Nelle more della ratifica della Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina del Consiglio d'Europa, gia’ firmata dall'Italia, la Commissione
raccomanda al Ministro della Sanita’, professor Umberto Veronesi, di
predisporre gli atti normativi idonei a consentire la ricerca cosi’ come
indicata alla Racc. 1 e, al tempo stesso, a soddisfare quanto previsto
dall'art. 18 della suddetta Convenzione, che obbliga gli Stati membri che
decidano di autorizzare la sperimentazione sugli embrioni ad adottare misure
legislative atte ad assicurare una adeguata protezione dell'embrione.
Roma, 28 dicembre 2000
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Ultimo aggiornamento: 29-01-06