il gruppo esisteva a Roma già nel 1600. Poi questa tradizione s’è persa nei secoli...
Proviamo a rifondare “l’accademia degli umoristi”
barzellettieri di Ciociaria unitevi, a formare l’uditorio giusto ci pensiamo noi


di Claudio Mancini

Allegria! Quel saluto d’un celebre presentatore che l’ha adottato, forse, per non iniziare il suo show dicendo buongiorno, è certo la migliore apertura che si possa dare a una trasmissione, a un discorso. Ché il mettere di buon umore è una dote preziosa, secondo me, e che molti vorrebbero possedere e taluni, per fortuna, effettivamente hanno. Forse innata. Oggi mi va di parlare proprio dei barzellettieri e della funzione importantissima che volontariamente svolgono “in hac lacrimarum valle”. Io li direi benemeriti dell’AVIS sempre che, poi, chi li ha ascoltati si disobblighi recandosi all’autoemoteche di quell’associazione per donare il sangue. Tra i tanti amici capaci di suscitare gaiezza con le loro freddure, ecc., qui ne ricorderò due che nell’arte di render ilari, anche grazie al loro modo di porgere, si sono sempre aggiudicata la palma del migliore. Il primo oggi è un otorino assai noto a Roma (cura l’udito degli altri forse anche possano sempre sentire e apprezzare le “cosine” che racconta); egli si segnalava, già negli anni del liceo, per lo zelo col quale raccoglieva, in apposite agende tascabili, le barzellette che sentiva in piacevoli congreghe di amici e, all’occorrenza, le riproponeva in bello stile. Questo dell’appuntarsi le battute, le freddure ecc. che vengono raccontate dagli altri è a mio avviso importantissimo, in tema di umorismo. Perché se le barzellette hanno la gran dote di far ridere o almeno sorridere hanno, purtroppo, il difetto di essere facilmente dimenticate. Cosa, questa, della quale ci si accorge, in genere, proprio quando dopo aver sentito quelle degli altri si viene chiamati a ricambiare recitandone qualcuna. L’altro amico, ancor più grande, in materia, vive e ci delizia sotto il nostro cielo fabraterno. Pur lavorando almeno dieci ore al giorno epperò continuativamente rallegrato, a sua volta, dall’avvenenza delle sue “pazienti” ceccanesi e non, di barzellette d’ogni tipo ne racconta, disinvolto, “no stop” e ne sa così tante da far ritenere che trascorra le sue ore libere consumando manuali “ad hoc”, anche stranieri, o addirittura sia in grado d’inventarsele, magari in ore notturne appositamente insonni…. Orbene va detto, finalmente, che la vasta casistica barzellettiera evidenzi sostanzialmente tre categorie che definirei “primarie” rispetto ad altre, quindi secondarie, come quelle sui carabinieri e sul temibile“Pierino”. Alla prima, delle c.d. primarie appartengono le cosiddette “pulite”, seguono quelle “spinte” ma non troppo e che definiremmo, quindi “così” e “così”; infine quelle che una volta necessitavano di sondaggi e autorizzazioni da parte dell’uditorio, ossia le cosiddette “sporche”. Una volta, dicevo, perché oggi come oggi poco manca che il “permesso” degli ascoltatori necessiti per raccontarne una di quelle “pulite”… non di rado attese, queste, con aria di sufficienza e sopportazione…. Orbene circa l’uditorio, maschile, femminile o misto che sia va detto che anche per esso evidenzierei l’esistenza di distinte categorie facilmente individuabili tra i presenti. Alla prima appartengono coloro che afferrano subito i sottintesi, le battute e le freddure d’ogni genere e che con risate fragorose trascinano ad associarsi alle medesime anche gli ascoltatori meno pronti o poco smaliziati (i quali, non di rado, si aprono al riso per compiacenza o per non fare la figura di chi non ha capito). V’è poi la categoria dei “ritardatari”, costoro, spesso, per problemi di udito, abbisognano di farsi ripetere dal vicino almeno il finale della barzelletta; né manca chi, per intrinseco bisogno di riflessione, “afferra” quando gli altri hanno già smesso di ridere. Come fu per uno studente che scoppiò a ridere da solo, apparentemente senza motivo, quando erano trascorsi già cinque minuti dal racconto di una barzelletta da parte del professore e la lezione, dopo la pausa d’alleggerimento, era stata ripresa. Risultato: il “ritardatario” finì fuori della porta con tanto di nota sul registro: “l’alunno A.D. viene espulso al 25° per scorrettezze”. Ma occorrerebbe adesso che io cercassi di riproporvi almeno le migliori tra le barzellette che ho sentito nel corso dei miei non pochi lustri, o riferire almeno qualcosa di appartenente alla categoria “pulite”. Che poi, a ben guardare, non di rado sono quelle di maggior pregio. Ricorderete, ad esempio, l’incontro in diretta tv tra un rinomato cantante sudamericano e un simpatico presentatore nostrano: i due si presentano “Piacere El Puma” e l’altro “Piacere El Grillo”. Ce ne sarebbero a decine. L’attendo però a questo punto l’ovvia domanda: “Ma di tuo che ci racconti?” soprattutto da parte di qualche amico che ha scoperto l’esistenza, in Roma, nel lontato 1600, di un’ “accademia degli umoristi” fondata da un tal Paolo Mancini e mi riteneva, bontà sua, discendente dal predetto. Spiacentissimo! Ma ho appurato (salvo nuovi reperti d’archivio) l’inesistenza di legami, ancorché ancestrali, col nominato “fondatore”. Tuttavia quell’accademia, o cosa simile, potremmo farla rivivere noi, almeno a Ceccano rifondarla, insomma…..Ci chiamerei i non pochi amici di ogni età, fabraterno e non, capaci di facezie o battute talora “al fulmicotone”. Ad es. un fustigatore della superstizione che concludeva la sua filippica, in vernacolo, lui fratello di sacerdote, scrivendo “sì, ma se m’attraversa qualcosa di nero, o prete o jattu, je mu grattu” oppure quegli che, vox populi felicemente sposato, mentre accompagnavamo il funerale della moglie d’un comune amico, mi sussurrò, indicando il coniuge superstite, “le fortune capitano tutte agli altri”. E l’invito a partecipare alla congrega è ovviamente rivolto a tutti coloro che ritengono di poter suscitare il buonumore. Quanto a me?.....Non c’è spazio, stavolta, per riproporvi ciò che apparve il secolo scorso…. Sul “Picchio” ceccanese e altri fogli locali, compreso Il Fabraterno ma, dato il lieto periodo che ci attende dopo le feste mi va almeno di ricordarvi che c’era costì come presidente della Pro-loco, un noto amico di nome Pio. Per cui circa il carnevale che organizzò io scrissi “In Brasil c’è quel di Rio, a Ceccano quello di Pio”. Ora ve ne dirò una che mi venne in una gita scolastica ai laghi lombardi. Vidi un’indicazione stradale per Varese, e indicandola ai ragazzi chiesi loro: “Qual è il colmo per uno di Varese che mangia al ristorante?” Tacevano e per loro risposi io “fare la scarpetta”, e per restare in tema direi culinario: una volta eravamo in macchina con un tale che si riteneva un grande della barzelletta (questa ve la riferisco anche come esempio di ascoltatori che ridono per compiacenza). Guidava lui; ci fa “qual è il colmo per un pasticciere”. Tacevano e quegli “avere i piedi piatti”. Si ridacchiò o sorrise per non passare per persona che non aveva capito. Dopo qualche chilometro “il narratore” ferma di botto la macchina e dandosi una menata sulla fronte ci dice: “piedi dolci! avere i piedi dolci, questo è il colmo per un pasticciere!”. Stavolta si rise davvero. Ma non troppo.

Claudio Mancini