Presentato a Roma nel teatro Sala Umberto
Sei persoaggi in cerca d’autore
la recitazione, secondo Pirandello, e la verosimiglianza


di Federica Turriziani Colonna (*)

 

Manca il sipario. Non c’è frattura alcuna tra lo spettatore e la scena: il teatro non è finzione, quello che c’è sulla scena è la realtà autentica. Incomunicabilità: ecco il dramma. Gli attori stanno provando “Il giuoco delle parti”; una valigia enorme si apre, scoppia: irrompono i sei personaggi. È una comparsa surreale, frutto del genio di Carlo Cecchi che, pur non aderendo al testo pirandelliano, catapulta con violenza i personaggi sulla scena, come se questi venissero da un’altra dimensione, dalla mente di un autore che li ha ideati, li ha inseriti in una vicenda, e li ha rigettati. Esistono solo in potenza, giacché sono stati abortiti da un autore che non ha saputo crearli. Ognuno di loro è una faccia della realtà poliedrica che rappresenta; ma la realtà, il fatto, non può essere presentata se non filtrata dal giudizio personalissimo di chi ne parla. E così i sei personaggi si concretizzano in modo irrazionale, come fossero i materiali di una visione onirica, ispirazione di un autore che sia disposto a raccontare la loro storia. Abbiamo appena visto un’ apparizione simile nel film “Scoop”, in cui sempre su un palco, durante un gioco di prestigio, compare ad una giornalista un fantasma che le rivela un fatto clamoroso, con cui ella potrà esordire. I sei personaggi sono mossi dalla necessità improrogabile di vedere la loro vicenda sulla scena: il Padre ha bisogno di raccontare la verità, che è però soltanto la sua verità, per cui il rapporto quasi incestuoso avuto con la Figliastra sarebbe stato incidentale perché inconsapevole, giacché egli non aveva riconosciuto in quella ragazza, costretta dalla miseria a prostituirsi, la figlia della sua ex-moglie, la bambina che lui stesso spiava anni prima all’uscita di scuola. Egli sa di essere per la Figliastra quell’uno squallido che l’ha sedotta, e desidera perciò espiare le sue colpe presentando sulla scena la sua verità; lei ne soffre, e non vorrebbe rivivere la propria storia, ma un desiderio di vendetta e di umiliazione tutto femminile la spinge a superare il proprio dolore e a cercare un autore. I personaggi, esseri in potenza, che non sono ancora, sono omologati, indossano tutti indumenti grigi, di un grigio che tende al nero, ma pur sempre grigio, indefinito, come d’altro canto indefiniti sono loro. Gli attori, che stanno a guardare le vicende rappresentate dagli stessi personaggi, sono vestiti di indumenti colorati, <<normali>>, che marcano il contrasto con quelli scuri dei personaggi. L’esistenza è per Pirandello nient’altro che recitazione di situazioni che sono solo verosimili, e chi recita è <<normale>>, indossa vestiti <<normali>>, mentre chi vive giace nel grigiore. Tutti devono recitare, però: gli stessi personaggi diventano infatti attori della propria vita, recitando davanti ad altri attori. Loro non hanno nomi, sono semplicemente il Padre, la Madre, la Figliastra, il Ragazzo, il Giovinetto e la Bambina. Il singolo personaggio porta dentro una verità già di per sé conclusa; nella commedia, che a mio avviso ha più il sapore di una tragedia esistenziale, le vicende raccontate e recitate sono già definite e concluse, ma in una dimensione potenziale, per cui si perpetuano per l’ eternità. La Bambina è presentata da Cecchi con un manichino, di cui la Figliastra si serve per mostrare quanto accaduto, e per far accadere ciò che sempre accade: il manichino ha grande valore sulla scena, poiché esplica una concezione del tempo tutta novecentesca, riconducibile anche alla filosofia nietzcheiana dell’ “eterno ritorno”, ritorno del fatto già in sé compiuto Così la storia non è presentata, ma vissuta. Manca l’ azione: il tempo presente è tutto incentrato sulla speculazione; i fatti si svuotano del loro valore, per caricarsi di connotati soggettivi ed emotivi: Pirandello conferisce alla Figliastra un linguaggio semplice, ella infatti è la voce degli eventi; il Padre, al contrario, ha un linguaggio più intellettuale, delle espressioni più complesse, che esprimono la speculazione sugli eventi stessi. Il capocomico, interpretato proprio da Cecchi, accetta di essere l’ autore che i personaggi vanno cercando, così gli attori provano ad interpretare i ruoli. Ne deriva una inevitabile incongruenza tra personaggi ed attori, che non si riconoscono in quelle interpretazioni, volutamente esagerate e comiche. Sta proprio qui il dramma pirandelliano, nell’ incomunicabilità. Lo stesso capocomico racchiude la personalità della Figliastra in una riduttiva pronuncia che ella ha, tipicamente meridionale, della parola “giovinetto”: egli infatti , durante le prove, chiamando il Giovinetto, imita la Figliastra, dicendo più volte”cciovinetto”.Ecco cos’è la figliastra per il capocomico, una pronuncia sbagliata, una, niente di più. Con ironia è additata la decadenza del teatro al tempo di Pirandello, il teatro dell’ entertainment. Il Ragazzo, che non aveva voluto collaborare a rappresentare la tragedia familiare, infine accetta, ma si trova a dover recitare su una scena adibita a giardino, nonostante lui in quel momento si trovasse in casa: il capocomico spiega la necessità di compattezza scenica: forse Pirandello ha voluto mostrare qui la sua fiducia nell’ arte neonata del cinema. E proprio nel giardino si consuma la morte della Bambina, accidentale, ed il Giovinetto, che è presente, si punta una pistola alla tempia, uccidendosi. Se Pirandello si è voluto raffigurare in questa commedia, credo che egli sia proprio nel Giovinetto, che sa tutto, ha visto tutto, e dinanzi all’incomprensibilità della realtà se ne va, con un boato sconvolgente, senza aver mai proferito parola. La <<stanza della tortura>> (così venne definito il teatro pirandelliano, ed in particolar modo quel cervellotico esperimento del metateatro, ovvero il teatro nel teatro, di cui è parte ”Sei personaggi in cerca d’ autore”) si chiude con la Madre, che pure era rimasta quasi silente, che si strugge in un grido sordo e disperato alla morte dei due figli, grido che interrompe, che crea una frattura, improvvisa, irrazionale, come irrazionale è ogni altra cosa.

(*) 3^cl. Liceo Classico - Frosinone