I principi della religione nata alla Mecca nel lontano VII secolo dopo Cristo
L’islam, se lo conosci non lo odi /2
i primi cinque principi, e il discusso sesto pilastro con la Jihad che ordina l’espansione


 di Gabriella Cavicchini

 

Abbiamo cominciato ad avvicinarci all’Islam, nel precedente numero, con la stesura di un succinto glossario che potesse permetterci di conoscere i termini che ricorrono più frequentemente, parlando di questa religione. Cerchiamo ora di capirne l’essenza, analizzandone i principi fondamentali, anche se questo potrà essere fatto solo in maniera piuttosto limitata, data la vastità dell’argomento. L’Islàm è una religione monoteista, sorta alla Mecca, in Arabia Saudita, nel VII sec. d.C, in seguito alla predicazione di Maometto, considerato l’ultimo e definitivo profeta inviato da Dio (Allah), al genere umano. I modelli ispiratori, secondo storici e critici, sarebbero stati il Giudaismo, il Cristianesimo orientale e i culti monoteistici sud-arabici, esistenti prima della predicazione di Maometto in quelle regioni.

I cinque pilastri dell’Islàm
L’Islam si fonda sia sulla fede che sulla pratica, espresse in quelli che vengono comunemente chiamati “I cinque pilastri dell’Islàm”, con i quali si indicano i cinque obblighi fondamentali che ogni mussulmano è tenuto ad osservare. Essi sono:

-La testimonianza di fede.
-Le preghiere rituali da tenersi 5 volte al giorno.
Il mussulmano può pregare ovunque, anche sul lavoro e a scuola, purché sia in stato di purità ”wudu”, cioè si sia lavato, con acqua o con sabbia, dai peccati commessi; questo può avvenire anche tra una preghiera e l’altra.
-L’elemosina.
E’ uno dei principi fondamentali dell’Islam e si fonda sul credo che tutte le cose appartengono a Dio e che il benessere appartiene solo agli uomini meritevoli. Ogni mussulmano calcola individualmente la sua elemosina, che corrisponde in linea generale al 2,5 per cento del capitale in eccesso a quello necessario per i bisogni primari, devoluto a istituzioni caritatevoli. Egli può anche donare somme o beni in più, nella speranza di una maggiore ricompensa divina.
-Il digiuno durante il mese del Ramadan.
Questo è ordinato dal Corano, che impone anche, per questo mese, la preghiera, la recitazione e l’ascolto ogni giorno di una parte del testo sacro. La pratica del digiuno, dal mattino al tramonto, mira alla formazione di una autodisciplina, fondata sulla pazienza e sull’autocontrollo, che si formano sperimentando su di sé le difficoltà che provano coloro che non hanno da mangiare. Questi sono tutti atti penitenziali dedicati a Dio.
-L’ultimo pilastro dell’Islàm è il pellegrinaggio alla Mecca, eseguito durante il mese lunare di Dhu I-Hijja. Esso è obbligatorio, almeno una volta nella vita, per tutti coloro che siano in grado di affrontarlo, economicamente e fisicamente. Esso prevede una serie di rituali,compresa la circumdeambulazione antioraria intorno alla Ka’ba, il più antico santuario islamico.

Il discusso sesto pilastro: il Jihad
Oltre a questi obblighi, il mussulmano ha il diritto-dovere di assolvere al Jihad, cioè l’impegno sulla strada di Dio, che si esprime, nella sua forma principale (detta maggiore), nella lotta contro le pulsioni negative del proprio corpo e dello spirito. Come “Jihad minore”,invece, si intende la continua ricerca di espandere i confini fisici e spirituali della comunità islamica. Combattere contro chi vi si oppone può assumere forme violente. Tra i seguaci dei movimenti liberali interni all’Islam, i versi del Corano (9:5,29) che trattano questo argomento non sono da considerare vincolanti per il credente e tendono a promuovere una comprensione della Jihad (il termine viene usato al femminile quando ci si intende riferire alla guerra santa) che rigetti l’identificazione di essa con la lotta armata, scegliendo invece di porre in risalto principi di non violenza, mettendo in evidenza che i passaggi del Corano in questione, sottolineavano soltanto, all’epoca della fondazione della comunità islamica, l’importanza della sua difesa. Sia per i non mussulmani che per i mussulmani gli attacchi dei militanti sotto l’egida della Jihad sono percepiti come atti di terrorismo. I mussulmani credono che un posto in paradiso sia assicurato a colui che muore in lotta contro l’oppressore, in qualità di martire (il Corano condanna il suicidio, per cui gli uominibomba, si autodefiniscono martiri). Il paradiso islamico è ritratto, sicuramente metaforicamente, con visioni di carattere terreno, fatte di paesaggi ideali, ricchi di frutti e di acque che scorrono. Per molti studiosi islamici e per la maggioranza dei mussulmani, né le missioni suicide, né gli attacchi ai civili sono considerate legittime conseguenze della Jihad, da loro considerata legale solo in caso di legittima difesa, come d’altra parte per tutte le nazioni occidentali. Resta il fatto, comunque, che la tradizione islamica antica proibisce di attaccare donne, bambini, anziani ed edifici civili nel corso di una campagna militare. Il Corano, l’indiscutibile fonte di autorità dell’Islam, denunzia con veemenza l’uccisione di innocenti: ”chiunque uccida una persona -a meno che essa non stia per uccidere una persona o per creare disordine sulla terra- sarà come uccidesse l’intera umanità; e chiunque salvi una vita, sarà come se avrà salvato la vita dell’intera umanità”.(5:32). Per la maggior parte dei mussulmani, questo verso è abbastanza chiaro, tale da togliere ogni dubbio o ambiguità sul rango morale degli attacchi contro civili. Il Corano usa il termine Jihad solo 4 volte, nessuna delle quali fa riferimento alla lotta armata. Come tale essa fu una invenzione posteriore dei teorici mussulmani. Dal testo coranico, infatti, non emerge chiaramente se la Jihad sia finalizzata alla conversione dei non-credenti oppure a garantire la libertà di culto per i mussulmani. Ecco qualche esempio: “Combatti, per la causa di Dio, chi ti combatte, ma non superare i limiti; poiché Dio non ama coloro che eccedono”.( 2:190). “Uccideteli dovunque li incontriate e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio. Ma non attaccateli vicino alla Santa Moschea, fino a che essi non vi abbiano aggredito. Se vi assalgono, uccideteli. Questa è la ricompensa dei miscredenti”.(2:191).

Ma per capire ancora meglio lo spirito dell’Islam è necessario dare un cenno sul Corano e la Sunna, cosa che sarà fatta nel prossimo numero de “Il Fabraterno”.

Gabriella Cavicchini

(continua)

s.g.