Natale 1943:
un racconto di guerra


di Tommaso Bartoli

 

Nel clima natalizio di questi giorni, tra luminarie, musiche, strenne mi è sembrato fuori posto guastare l’atmosfera di festa con uno dei tanti episodi drammatici del Natale 1943. Cercherò, a distanza di anni, di rivivere le sensazioni provate in quella vigilia di Natale nell’ascoltare una canzone che fino a quella notte avevo cantato e sentito cantare senza provare alcuna emozione. Lo scorrere lento dei giorni di guerra, ritmati da privazioni di ogni genere, disagi e paure, non rendevano certo il clima gioioso della festa. Ordini perentori sull’oscuramento erano stati diramati già dal 1941 dalle autorità locali. Il “coprifuoco” (suono della campana che nel Medioevo ogni sera avvertiva i cittadini di coprire il fuoco con la cenere), ordinato dai Comandi Militari Tedeschi, aveva invece carattere di ordine pubblico, per cui era fatto divieto assoluto di circolare per il paese durante la notte. In conseguenza di ciò, dopo la Veglia e la S. Messa Natalizia, anticipata alle ore 19 della vigilia, frettolosamente ci rinserrammo in casa, per una frugale cena caratterizzata da “sagna e facioli “, “cucoccia “, pane di segala avuto dai tedeschi in cambio di uova, fichi secchi e lupini. Nella quiete assoluta della notte si percepiva il continuo lontano boato e si vedevano sinistri bagliori nel cielo, provocati dalle artiglierie contrapposte nel fronte di Cassino. A mezzanotte, quasi per incanto, tutto intorno, fu silenzio. Un reparto di giovani soldati tedeschi che dal fronte era rientrato nella retrovia per qualche giorno di riposo, mentre festeggiavano la ricorrenza del Natale, nell’unica osteria del paese requisita per l’occasione, intonarono ad una voce la canzone “Lilly Marlene”: “Tutte le sere sotto quel fanal/ presso la caserma mi stavi ad aspettar/ Addio piccina dolce amor/ ti porterò con me nel cuor/ Con te Lilly Marlene/ con te Lilly Marlene”. Quel canto marziale in lingua tedesca, eseguito lentamente da voci virili con tanto sentimento e nostalgia, risuonò quella notte, nella breve pausa della battaglia, come una preghiera, come un lamento. Ecco la storia di quella canzone: Nei primi del 1942, con i vagoni di carbone, di nafta, entrava dal Brennero anche la canzone “Lilly Marlene”. Era la storia di un lampione davanti alla caserma, dove tutte le sere si davano convegno un soldato e la sua ragazza. La tromba implacabile della “ritirata” interrompeva bruscamente il dolce colloquio; bisognava rientrare e forse il soldatino il giorno seguente doveva partire per il fronte: sarebbe ritornato? L’avrebbe rivista? La canzone fu cantata da tutti i soldati in guerra, in marcia verso il campo di battaglia: tedeschi, inglesi, italiani, americani e persino russi. “Era stata presentata da Lale Andersen, una modesta cantante, bionda, dalla voce calda e gradevole. Nel piccolo ritrovo di Berlino, canzone ed interprete avevano riscosso un modesto successo, soltanto qualche applauso. Sennonché fra il pubblico di quella sera vi era anche un ufficiale della Wehrmacht, l’unico ad apprezzare la canzone. In ogni modo egli volle conoscere di persona Lale Andersen. Un giorno, mentre la licenza stava per scadere, l’ufficiale pregò Lale di incidere per lui su un disco quella canzone. Dopo qualche tempo, quando le truppe tedesche entrarono in Belgrado, ritroviamo quell’ufficiale addetto all’organizzazione della stazione radiofonica di quella città. In quel momento non c’era gran che da mettere in onda, allora l’ufficiale si ricordò di quel disco e lo fece girare. Il successo scoppiò improvviso. Centinaia e centinaia di lettere arrivarono sulla scrivania della direzione radio di Belgrado: «suonate Lilly Marlene» Qualcosa era successo: la canzone era entrata nel cuore dei combattenti”.(1) Commosso, cullato dalle note di quel canto, il sonno mi vinse, mentre a Cassino la battaglia infuriò per altri cinque mesi.

(1) (Cfr. AA.VV. -La guerra in casa -pag.133.- Fratelli Melita Editori -Trento 1988.