ECONOMIA POLITICA: La
teoria Dell'informazione
Vari sviluppi specifici
nella teoria economica (fra cui la teoria dell'agenzia e la teoria
dell'azione collettiva) sono stati riuniti e sistematizzati nella
nuova teoria dei problemi di informazione. A livello macroeconomico si
richiede che l'equilibrio sia anche un'equilibrio informativo, ossia
in cui non vi siano errori sistematici e dunque prevedibili (teoria
delle aspettative razionali). A livello microeconomico si abbandona
invece l'ipotesi (dell'analisi neoclassica marginalista) che gli
operatori economici abbiano informazioni perfette per studiare le
conseguenza delle informazioni non solo limitate ma "asimmetriche"
(ossia una parte contraente sa cose che l'altra non sa).
Da questa premessa
scaturisce l'analisi dei costi di transazione, ossia i costi
che si incorrono nel negoziare i contratti e nel verificarne
l'esecuzione; questi costi variano ovviamente a seconda del bene da
trasferire (omogeneo/eterogeneo, semplice/complesso), e degli
incentivi creati dalla struttura stesso del contratto. Si nota che le
transazioni possono spesso avvenire con strutture contrattuali
diverse, e che verranno usate le forme meno costose. Ad esempio, si
può lavorare la terra con salariati, o affittarla a chi la coltiva; i
costi di negoziato sono minori per la prima forma (non c'è bisogno di
un inventario), quelli di verifica minori per la seconda (non c'è
bisogno di controllare l'esecuzione del lavoro, in quanto
l'affittuario, a differenza del salariato, è incentivato a lavorare
dallo stesso contratto di affitto, che lascia a lui tutto il prodotto
ottenuto con uno sforzo aggiuntivo); essendo poi i costi di negoziato
costi iniziali, e i costi di verifica costi correnti, è chiaro che si
affitterà il lavoro per periodi brevi e la terra per periodi lunghi.
Questa analisi è stata
portata avanti (come quella simile della teoria positiva dell'azione
pubblica) da economisti prevalentemente di destra, che ne hanno
ricavato il messaggio che lo stato deve lasciar correre non solo in
materia di prezzi, ma anche in materia di istituzioni. L'idea è che vi
è concorrenza tra le istituzioni (forme contrattuali, mercati) come
tra le imprese, e che tale concorrenza porta all'efficienza; quello
che sopravvive sopravvive proprio perchè efficiente, per cui lo stato
non deve intervenire (ad esempio come quello italiano, che ha bandito
la mezzadria). Vicina a questa analisi vi è quella dei sistemi legali,
che tende a vedere anche le leggi come strumenti di efficienza
economica.
Allo stesso tempo, però,
la teoria dei costi di informazione è fortemente corrosiva della base
stessa della posizione di destra, ossia la fede nella mano invisibile.
L'idea che basti la concorrenza a far coincidere interessi pubblici e
privati assume infatti che le informazioni siano perfette, e solo su
questo assunto si può giustificare l'affermazione di M. Friedman
(economista di destra di grande talento) che le imprese hanno come
unico dovere quello di massimizzare i profitti, senza comportarsi in
modo "responsabile". Se l'impresa ad esempio sa che le automobili che
produce hanno freni difettosi, e i clienti non lo sanno, ecco che
l'equilibrio desiderabile si ottiene con la responsabilità, l'onestà,
ecc.., o con l'intervento statale.
Con la teoria
dell'informazione, dunque, la teoria economica liberal-borghese si
riavvicina alla posizione cattolica/popolare/socialista, che teme la
ricerca del vantaggio
privato e diffida dunque
dei mercati. Si riconosce cioè che il buon funzionamento "dei mercati"
richiede un supporto etico, che riduca i costi di transazione:
supporto etico che è forse la caratteristica specifica dei paesi
sviluppati, e che manca a quelli sottosviluppati che proprio per
questo rimangono tali (Russia post-comunista; "familismo amorale" nel
meridione italiano). Da qui si configura un ulteriore ruolo dello
stato lato sensu allocatore, ossia quello dello stato
educatore.
Un'ultima osservazione:
la libertà dei singoli di contrattare a piacimento, senza intervento
pubblico, può naturalmente essere difesa, e da una certa destra lo è,
direttamente come principio etico: si può cioè affermare che il
diritto alla libertà di contrattazione fa parte del diritto naturale
alla libertà. Su questo si può concordare o meno; ma è una posizione
assolutamente diversa da quella liberal-democratica dai fisiocrati e
Smith in poi, che giustifica la libertà di contrattazione come modo
migliore di raggiungere obiettivi sociali ("la ricchezza delle
nazioni"), ossia come strumento e non come fine a se stessa.
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