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10 febbraio, 2009




 
 

Accensione Mutuo. Come fare per accendere un Mutuo? I passi fondamentali per accendere un mutuo presso una banca o presso una finanziaria, solitamente sono sempre gli stessi. Di seguito trovate le informazioni che vi interessano. Una volta svolta l’istruttoria, la banca, acquisita la documentazione inoltrata ed effettuati ulteriori accertamenti (quali l'acquisizione della "dichiarazione notarile preliminare" sul bene offerto in garanzia, nonché della "relazione tecnico-estimativa" redatta da un tecnico di sua fiducia), è in grado di deliberare il finanziamento. A delibera avvenuta la banca ne da immediata comunicazione al richiedente e fissa la data della stipula dell'atto pubblico di finanziamento (concessione formale del mutuo). continua

 

 

   
  FINANZA: Istituti di Pagamento

Attività Caratteristiche degli Istituti di Pagamento (IP). Quanto agli IP, conviene partire dalla lettura della disposizione in proposito maggiormente
significativa: l’art. 16, § 2, della direttiva dispone che “Gli istituti di pagamento
ai sensi del paragrafo 1, lettera a), possono detenere soltanto conti di pagamento
utilizzati esclusivamente per le operazioni di pagamento; i fondi che gli istituti di pagamento
ricevono da parte degli utenti di servizi di pagamento in vista della prestazione
di servizi di pagamento non costituiscono depositi o altri fondi rimborsabili ai sensi
dell’articolo 5 della direttiva 2006/48/CE, né moneta elettronica ai sensi dell’articolo 1,
paragrafo 3, della direttiva 2000/46/CE”.
Non vi è dubbio che la disposizione è funzionale a distinguere l’attività degli IP
rispetto alla più tradizionale attività bancaria, ma essa è anche funzionale a distinguere
all’interno della fattispecie conto di pagamento, della quale ho sin qui parlato, una fattispecie
più specifica di conto di pagamento di cui sia titolare un IP. La ragione della
specificità è condensata in quell’avverbio “esclusivamente” che, necessariamente, connota
i contratti di questi ultimi. Ma si proceda con ordine svolgendo dapprima alcune
considerazioni sull’attività degli IP.
Si può facilmente prevedere che l’inserimento nell’ordinamento bancario nazionale
della figura degli IP condurrà, in sede di attuazione, all’introduzione di un nuovo comma
nell’art. 11 t.u.b., del tenore di quello già previsto per gli Imel, al fine di ribadire il concetto,
espresso nella direttiva 2007/64/CE, che “non costituisce raccolta del risparmio
tra il pubblico la ricezione di fondi connessa alla prestazione di servizi di pagamento”.
Tuttavia, nell’atto stesso in cui si ribadirà una riserva piena a favore delle banche dell’attività di raccolta del risparmio, si genererà un vulnus ulteriore e notevole alla riserva
di attività delle banche che rinfocolerà il dibattito circa la “morte della banca” secondo
l’icastica espressione – da noi efficacemente ripresa nella recente monografia di Mario
Porzio. A proposito degli Imel, è bene ricordare che esigenze sistematiche hanno indotto
la dottrina maggioritaria ad escludere sia che siano vere e proprie banche sia che essi
godano di un particolare privilegio, in quanto i menzionati Istituti, al contrario delle banche,
non hanno la facoltà di fare credito, in particolare è loro vietato di utilizzare i fondi
raccolti per fare credito.
Il caso degli IP presenta elementi di confusione più accentuati sia perché, ancorché
con alcune cautele, possono concedere credito (v. art. 16, § 3, direttiva 2007/64/CE), sia
perché – in prima approssimazione – essi sembrano svolgere una funzione monetaria in
quanto il loro compito è proprio quello di effettuare la raccolta dei fondi a vista in funzione
della gestione dei mezzi di pagamento.
Gli IP sono, dunque, banche? L’ipotesi può al più esprimere una tendenza di lungo
periodo, ma allo stato essa deve essere radicalmente esclusa, oltre che per la già evidenziata
sottolineatura circa l’affermata (dal legislatore comunitario) diversità dell’attività
dei due istituti, per il fatto che la fattispecie banca, sia nell’ordinamento comunitario sia
in quello interno, è fortemente formalizzata e sta ad indicare il soggetto autorizzato come
tale a svolgere attività di raccolta di risparmio tra il pubblico in modo professionale
(tale ultimo aggettivo è aggiunto dalla direttiva comunitaria e non dalla legge nazionale).
È inutile aggiungere che le due caratteristiche summenzionate sono le due facce della
medesima medaglia: a mano a mano che la banca perde i connotati socialmente tipici, è
necessario che essa sia riconosciuta come tale in virtù di requisiti legali con un grado di
formalità più accentuato.
Il ragionamento che si va sviluppando obbliga a chiedersi se gli IP abbiano la facoltà
di svolgere l’attività bancaria – pur non essendo banche – in virtù di un privilegio loro
consentito dal legislatore comunitario. L’affermazione coglie una parte della verità ma
non tutta; ancora una volta, la volontà del legislatore comunitario è volta a ribadire che
permarrà pur sempre una riserva di attività a vantaggio delle banche e, pertanto, si impone
all’interprete la necessità di trovare una via intermedia idonea a differenziare l’attività
degli IP da quella delle banche. L’art. 16, § 4, direttiva 2007/64/CE, non ammette dubbi
in proposito; esso recita: “Gli istituti di pagamento non effettuano l’attività di raccolta di
depositi o altri fondi rimborsabili ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2006/48/CE”.
La raccolta bancaria, come è ampiamente noto, ha una peculiarità, vale a dire quella
di potere essere riutilizzata dalla banca al fine di concedere prestiti; sotto il profilo contrattuale,
tale facoltà è garantita dalla disposizione in sede di deposito bancario secondo
la quale la banca “acquista la proprietà” della “somma di danaro” depositata (art. 1834
c.c.) (tanto nei depositi a risparmio quanto in quelli in conto corrente). In quanto proprietaria
la banca è libera, fatta salva la riserva di liquidità necessaria a far fronte alle richieste
di rimborso dei clienti depositanti, di utilizzare le somme per finanziare i prenditori
netti di credito: imprese, ma anche famiglie.
Da tale intermediazione la banca trae i propri guadagni; ma in definitiva la ragione
per la quale il legislatore concede alla banca la possibilità di disporre delle somme depositate
dalla clientela sta nel fatto che l’intermediazione creditizia produce un effetto
moltiplicatore della moneta, con conseguenti ricadute benefiche per l’intera economia.
Proprio per questo l’attività della banca è intrinsecamente pericolosa e, dunque allo stesso
tempo, il legislatore (anche comunitario) la sottopone a controllo e regolazione e, specularmente, ha predisposto una garanzia collettiva dei depositanti contro il rischio di
insolvenza mediante i c.d. sistemi di garanzia dei depositi.
Il raffronto tra banche e IP può essere colto con immediata evidenza sotto tutti i
profili sinteticamente evidenziati: 1) in primo luogo, i controlli e la regolazione degli
IP sono di gran lunga più modesti rispetto a quelli delle banche, perché – come si legge
nel considerando 11 – questi ultimi “esercitano attività più specializzate e limitate, che
generano rischi molto più ristretti e più facili da monitorare e controllare di quelli derivanti
dalla più ampia attività degli enti creditizi”; 2) in secondo luogo, non sono affatto
prefigurati sistemi di garanzia a favore dei clienti che depositano somme presso gli IP,
proprio perché agli IP “dovrebbe essere vietato raccogliere depositi da utenti [sic!] e
dovrebbe essere consentito usare i fondi consegnati solo per la prestazione di servizi di
pagamento” (considerando 11).
Si tratta di una scelta politica precisa del legislatore comunitario intesa ad abbattere,
a favore degli IP, i costi diretti e indiretti inerenti alla regolazione delle banche al fine di
introdurre un grado maggiore di concorrenza nel mercato dei servizi di pagamento; si
possono leggere in tale senso tutti i primi considerando, ma in particolare il n. 10, della
direttiva 2007/64/CE. Fa da contrappeso all’abbattimento di tali costi, la rigorosa esclusione
degli IP dalla raccolta dei depositi fra il pubblico dei risparmiatori che, tuttavia, in
altro non si sostanzia se non nella funzionalizzazione assoluta delle somme depositate
al servizio di pagamento. Tali somme servono, al pari di quelle depositate presso una
banca, a garantire la funzione di pagamento, ma non possono essere utilizzate per la
funzione creditizia.
Dunque, dirimente è il riferimento al citato art. 16, § 2, che contiene l’elemento
funzionale qualificante del contratto conto di pagamento degli IP: tale conto di pagamento
può essere utilizzato esclusivamente per le operazioni di pagamento. La differenza
rispetto al conto corrente bancario sta nell’avverbio esclusivamente. Quest’ultimo
delimita la funzione in un doppio senso: da un lato perché il riferimento è solo a quei
servizi di pagamento coperti dalla direttiva bancaria, essenzialmente dunque bonifici,
addebitamenti diretti, gestione delle carte di pagamento, con l’importante esclusione
del mezzo di pagamento più tradizionale anche se in via di obsolescenza, vale a dire
l’assegno bancario, nonché delle operazioni di pagamento effettuate in contante (considerando
19). Dall’altro, delimita la funzione alle somme depositate quale provvista per
i servizi di pagamento, quali bonifici e ordini di pagamento ricorrenti. Sembra, dunque,
che le somme consegnate agli IP siano destinate a rimanere in cassa quale provvista per i
successivi pagamenti. Ho detto in precedenza che gli IP possono fare credito, ma è bene
a questo punto precisare che tra le condizioni (le cautele) poste dalla direttiva vi è quella
che il credito non sia “concesso utilizzando fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione
di un’operazione di pagamento”, art. 16, § 3, lett. c), direttiva 2007/64/CE.
Mi si consenta, a questo punto, un’osservazione incidentale ma di non scarso rilievo.
Se il ragionamento che si va svolgendo è esatto, la conseguenza sarà che gli IP non
potranno essere partecipi del processo che dà luogo al moltiplicatore del credito; orbene,
da un punto di vista dei costi-benefici delle scelte legislative avrebbe dovuto essere
accertato con maggiore cura se tale conseguenza negativa, in termini economici, sia più
che compensata dal vantaggio atteso della riduzione dei costi nell’intermediazione dei
pagamenti. Non mi risulta che tale valutazione sia stata fatta.
Il fatto che l’art. 16, § 2, direttiva 2007/64/CE, esprima in termini funzionali il
connotato tipologico differenziale del contratto “conto di pagamento dell’IP”, rispetto al contratto conto corrente bancario, quando precisa – lo si ripete ancora – che i conti
di pagamento degli IP devono essere “utilizzati esclusivamente per le operazioni di pagamento”,
deve necessariamente riverberarsi in termini contrattuali. Sicché, ai conti di
pagamento degli IP, si dovrà escludere l’applicazione della disposizione dell’art. 1834
c.c. che prevede il passaggio della proprietà delle somme dal depositante al depositario.
Un’ulteriore conseguenza, in termini di disciplina del contratto, consisterà nell’esclusione
dell’applicazione dell’art. 1853 c.c. Infatti, il forte vincolo di destinazione
delle somme all’operazione o alle operazioni specificamente richieste dal cliente, impedisce
che l’IP possa vantare l’ampia facoltà di compensazione, di cui invece si avvantaggiano
le banche ai sensi dell’art. 1853 c.c.; in altri termini viene meno la giustificazione
di una regola speciale e si ripristina la norma generale dell’art. 1246, n. 2, secondo la
quale la compensazione non si verifica a fronte di “credito per la restituzione di cose
depositate”.

 

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