FINANZA: Capitale Garantito
"Capitale garantito”, due parole la cui melodia è sempre stata
apprezzata dai “Bot people”. La logica di base di questi prodotti è
tanto semplice quanto allettante: guadagnare senza rischiare di
perdere il capitale. In una fase di crescita economica tremolante,
mercati in discesa e inflazione al galoppo, le banche sono state
pronte a cogliere l’esigenza di sicurezza del risparmiatore con
l’emissione di numerosi strumenti dotati di protezione del capitale.
Tuttavia la semplice formula illustrata poco sopra appare troppo
bella per essere vera. E’ tutto oro quel che luccica?
Non sempre, anche perché l’inondazione di prodotti di protezione
arriva, come spesso è accaduto,
dopo che i proverbiali buoi sono già scappati dal recinto e rischia
di servire solo a proteggere le perdite
finora realizzate su altri mercati proprio nel momento in cui, con
prudenza, si potrebbe cominciare a osare di più.
Fondi comuni a capitale garantito o protetto. Della fuga del
risparmiatore dai fondi comuni di investimento si è letto
abbondantemente. I dati diffusi da Assogestioni lasciano poco spazio
alle interpretazioni. Diverse le cause, da performance
insoddisfacenti a concorrenza di nuovi prodotti. Per cercare di
arginare la fuoriuscita anche nel mondo del risparmio gestito è
tornato di moda il termine “capitale protetto” o “garantito”. Nel
primo caso non c’è in realtà alcuna garanzia di restituzione del
capitale ma solo l’attuazione da parte del gestore di tecniche volte
a limitare il rischio.
Sostanzialmente vengono privilegiati obbligazionario e liquidità
a scapito dell’azionario, il che, se da un lato riduce il rischio,
dall’altro si traduce in performance opache, facilmente
cannibalizzabili dalle commissioni e difficilmente in grado di
tenere il passo dell’inflazione. Nel secondo caso viene promessa
alla scadenza la restituzione del capitale investito o di una sua
frazione solitamente non inferiore al 70-75%. Si tratta, notazione
che vale per qualsiasi prodotto a capitale garantito, del capitale
nominale. In altre parole se si compra un’ipotetica quota del valore
di 100 euro a scadenza verrà restituito, in caso di copertura totale
e andamento negativo dei mercati, lo stesso valore. Se si considera
l’orizzonte temporale pluriennale di tali strumenti e un tasso di
inflazione che le ultime rilevazioni danno al 3,8% in Italia, il
risultato finale sarà una svalutazione in termini reali del capitale
iniziale. Senza contare commissioni di sottoscrizione, di gestione e
diritti vari, tradizionali palle al piede dei fondi comuni. Per
offrire la protezione del capitale è infatti necessario trovare una
copertura i cui costi saranno scaricati sul risparmiatore: una parte
dal capitale investito sarà dedicata a tale scopo, a danno della
quota di investimento destinata a generare rendimento e ciò frenerà
le performance del fondo nel momento in cui i mercati guadagnano
valore, effetto particolarmente evidente nel corso della vita del
fondo. La protezione del capitale vale solo alla scadenza. Durante
la sua vita è possibile disinvestire a prezzi di mercato e il
rischio di incorrere in una perdita di capitale è ben presente.
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