Il paesaggio agrario fra Tardoantico ed Alto Medioevo
Parole
chiave: Immagini, rural landscape
history, economia dell'incolto, Alto Medioevo, insediamenti, tardoantico,
transumanza,Villa rustica, castelli, feudalesimo, villaggi, casali, chiese
rupestri, chiese, paesaggio, storia,Taranto, Puglia, Italia meridionale, Civiltà Rupestre, Edilizia
Rurale, longobardi, bizantini, Puglia, Italia Meridionale
|
|
La moderna ricerca sta recuperando alla sua giusta
dimensione storica il periodo compreso fra la grave crisi
attraversata dalla struttura amministrativa dell'Impero Romano nel corso
del III secolo e la prima
metà del VI d.C..
Superato finalmente il precedente giudizio di Età della Decadenza, acriticamente
informato in
senso negativo, si riconosce oggigiorno ai secoli della tarda antichità lo strenuo tentativo di fissare
nuovi modelli urbanistici, sociali ed economici, per molti versi
precorritori delle forme più mature
del Medio Evo.
Il tutto ebbe luogo in un panorama dominato dalla lenta ma ormai
irreversibile disgregazione della costruzione statale romana.
Il cosiddetto sistema agrario o stile economico
tardo-antico si presenta tendenzialmente autarchico e grossolano, ma capace
di fronteggiare situazioni di mercato meno sfacciatamente favorevoli rispetto a
quelle che vigevano all'epoca dell'agricoltura capitalista
di età repubblicana. Il paesaggio agrario da esso disegnato si presenta
più semplificato, più legato alle caratteristiche ambientali rispetto a quello dell’Italia centuriata e della villa schiavistica.
Da un punto di vista politico-amministrativo le iniziative che più incisero
sulla vita delle campagne furono l'istituzione (per opera di
Diocleziano) di una tassa che per la prima volta colpiva i patrimoni
fondiari italici, sino ad allora quasi del tutto fiscalmente immuni, e, soprattutto, del colonato,
struttura portante della società agricola tardo-antica.
La
pars urbana della villa di Saturo, uno
degli esempi più eclatanti di prestigiosa architettura rurale tardoantica
|
Di fronte al progressivo declino del ruolo direttivo
della civitas la ristrutturazione tardoantica si accompagnò ad una
diffusa e persistente occupazione del territorio in forme residenziali
ed economiche, produttive
e vitali, comprese per lo più all'interno del sistema delle villae
e dei vici.
Il ricco e sempre più potente latifondista trasferì nei suoi latifundia
il
fulcro
della propria attività, surrogandosi nei fatti alla istituzione pubblica e
ponendo così le basi della signoria agraria.
Si superava così, riequilibrandola, quella artificiosa rete di rapporti
di dipendenza imposta prima dalla polis quindi
dalla civitas al territorio da essa dipendente.
|
Pur non essendo stata affatto trascurata all'interno delle
aziende schiavistiche
di età repubblicana e primoimperiale, fu tuttavia nel corso del Tardoantico che la cerealicoltura
divenne la coltura leader del Tarantino. Ciò poté
accadere grazie ad una particolare
congiuntura (la perdita delle tradizionali aree fornitrici di grano per l'Annona
di Roma, come l'Africa del Nord e l'Egitto) ed a precise scelte di politica
economica.
Il Tardoantico inoltre fu caratterizzato dal mutato atteggiamento mentale nei
confronti delle aree incolte, acquisite
stabilmente all'interno della sfera economica. Tra l'altro uno spazio
certamente considerevole mantenne la pastorizia transumante,
sebbene manchino le preziose informazioni disponibili per le epoche precedenti; le
poche pervenuteci parlano quasi sempre di forme degenerate,
risultato dello stravolgimento dei delicati
equilibri stabilitisi in precedenza fra contadini e pastori, che
compaiono
organizzati in temibili bande a cavallo,dediti a soprusi, scorrerie e furti.
|
Le campagne tardoantiche videro il considerevole ridimensionamento del patrimonio demaniale pubblico
e l'ampliamento dei latifundia privati, sempre più nelle mani di una
ristretta aristocrazia agraria.
E'
opinione diffusa che la maggior parte della toponomastica in -ano
faccia riferimento alla proprietà terriera antica.
Talvolta il praedium romano sede di una villa
rustica, sorge su un preesistente insediamento ellenico
e diviene sede, in
successione, di un vicus
tardoantico, di un casale
medievale ed infine di una masseria
moderna.
Nell'immagine Masseria Lucignano (Taranto), sorta su un
sito occupato da un importante fattoria (oikos)
di età magnogreca. |
Il patrimonio accumulato da questa ultrapotente categoria
sociale si estendeva anche oltre il bacino del
Mediterraneo, comprendendo anche le regioni
centroeuropee, ormai diffusamente romanizzate.
Non trascurabile, almeno a livello locale, fu anche la dotazione fondiaria dei
membri più intraprendenti della aristocrazia cittadina e quella dei funzionari
della complessa macchina amministrativa imperiale, diffusamente militarizzata.
Al radicamento di una proprietà ormai stabilmente
insediata nella campagna si deve la
toponomastica in -ano, molto ricca di esempi nel Tarantino centro-settentrionale
e orientale.
|
|
La grande
proprietà tardoantica consisteva in un complesso di villulae, vici
e fundi
dipendenti, sparsi a macchia di leopardo in aree geografiche anche
molto estese; ciascuno di questi era condotta da coloni, lavoratori salariati stagionali e da schiavi
insediati. Così articolato, quindi, il latifundium non
rappresenta affatto un modulo organizzativo del lavoro agricolo
veramente contrapposto a quello rappresentato dal microfondo contadino, che torna
quindi ad essere il
vero fulcro dell'economia.
Scarsa rilevanza mantiene, invece, la parte di terre che resta alle dirette
dipendenze del dominus, condotta ancora secondo il modo
di produzione schiavistico.
|
|
L'Alto Medioevo
si pone in netta discontinuità con il sistema economico-sociale tardoantico,
in quanto la ricorrenza di guerre (dalla terribile guerra
greco-gotica alla defatigante opera di conquista da parte dei Longobardi), pestilenze, mutamenti
climatici e crollo demografico esaurirono lo slancio che aveva
ispirato il sistema
agrario tardoantico.
Anche la nuova organizzazione amministrativa del territorio in gastaldati
stravolse, dopo secoli di stabilità, la tradizione romana, già minata peraltro
negli ultimi secoli dell'Impero.
|
|
L'occupazione longobarda,
che nel Tarantino si protrasse dal 670 circa alla prima metà del IX
secolo, costituì un
evento
catastrofico per l’organizzazione territoriale tardoantica, centrata sulla
rete delle villae.
Non mancano, comunque i tentativi di costruzione di un nuovo modello
insediativo, dominato dal popolamento sparso e da abitati rurali
organizzati per nuclei familiari casati, ciascuno con il proprio piccolo
podere indirizzato prevalentemente all’autarchia.
Talvolta i raggruppamenti
familiari si strutturavano in villaggi (vici, loci, casalia).
Una circostanza, forse la più importante, in grado di favorire
l'aggregazione della popolazione sparsa era rappresentata dalla
erezione di una chiesa rurale.
Alla presenza longobarda si deve, inoltre, una rete di stanziamenti rurali
finalizzati insieme ad esigenze di difesa ed economiche. Di questi restano alcune
reminiscenze toponomastiche, come quella relativa a Scorcola
e Sala: il primo, riferentesi a tre masserie del Tarantino, deriva dal germanico skulca,
cioè fortificazione; il secondo indicava invece un
insediamento agricolo e denominava l'attuale grotta di
Pilano (Crispiano), nota invece nel Medioevo come di Sant'Angelo
de Sala. Questo attributo è particolarmente suggestivo in quanto, come noto, l'Arcangelo era il santo
nazionale dei Longobardi.
In questa nuova intelaiatura insediativa, del tutto spontanea, si iscrive anche
la gran parte degli insediamenti
rupestri. In alcuni di questi, in particolare in quello di Triglie, presso
Statte, sembra accertata la presenza di riferimenti sociali e culturali all’elemento dominante longobardo.
|
Le chiese
rurali, in genere appartenenti a
membri eminenti delle élite locali,
costituirono per tutto il Medioevo un importantissimo riferimento
per una popolazione rurale che, nonostante gli sforzi delle autorità,
era dedita ad un perenne nomadismo. Nelle immagini due di queste
chiese, che sulla base della struttura icnografica si fanno risalire ad epoca
altomedievale: la Santissima Annunziata (Lizzano, in alto) e la
Chiesa Anonima I nella Lama di Belvedere (Taranto).
|
|
Il Tarantino fu a lungo al
centro di interminabili
guerre fra Bizantini e Longobardi; la mobilità del confine conduceva inesorabilmente
ad un continuo avvicendamento proprietario, che colpiva in
particolare il grande e medio possesso.
Tutti questi passaggi si ponevano, tuttavia, all’interno di una medesima struttura
di potere economico, basato sullo sfruttamento dei lavoratori agricoli.
Il più importante proprietario fondiario era il duca (poi Principe) di
Benevento, che incamerò il patrimonio imperiale; dopo di lui venivano i
funzionari periferici, che costituivano un nucleo di oligarchia locale di stampo
signorile che si trasmetteva ereditariamente le rispettive cariche;
seguiva l’aristocrazia
di palazzo, per lo più residente a Benevento o a Salerno.
Per la prima volta, infine, troviamo le istituzioni religiose, grandemente
avvantaggiate dai signori longobardi, che utilizzarono il consenso veicolato
con la religione come un' arma nella eterna lotta contro i Bizantini.
Interessate da questo fenomeno furono sia le grandi abbazie
benedettine (Montecassino e San Vincenzo al Volturno), sia le
chiese palatine, cioè dipendenti dal palazzo,
in particolare quella di Santa Sofia di Benevento.
|
|
La maggior parte dei grandi patrimoni
noti consistevano in un insieme di fondi sparsi per tutto il territorio del ducato di
Benevento.
Mancano nel Tarantino attestazioni relative alla classica curtis,
che invece connota la grande proprietà del Centro e Nord Italia.
Costante la presenza di personale servile dipendente,
per lo più accasato in fondi dati in concessione dietro l'obbligo di
corrispondere canoni in denaro o in natura e di prestare una certa quantità
(fissata in apposito libellum) di servizi personali (corvée)
all'interno delle terre rimaste
nella disponibilità del dominus (la pars dominica).
L'insediamento
rupestre di Triglie, presso Statte (a sinistra un
gruppo
di grotte, a destra
la necropoli),ha restituito
importantissime tracce dell'organizzazione sociale ivi
vigente nei secoli VII-IX. |
|
|
Le poche informazioni in nostro possesso lasciano
intendere che almeno
nelle immediate vicinanze di Taranto si sia conservata anche nei secoli più bui
dell'Alto Medioevo la tradizione classica
degli orti e dei vigneti
suburbani; si nota, tuttavia, la diffusa penetrazione
della campagna all’interno della città.
Nel complesso, comunque si registra il generale arretramento delle
principali colture (del grano e dell'olivo
in primo luogo, meno della vite) e dello strumentario tecnico,
nonchè il ridimensionamento dell’impiego
della forza-lavoro animale.
Si impone il modello policolturale, funzionale alla dominante ideologia dell'autosufficienza,
dove ogni unità produttiva (dalla piccola famiglia contadina al grande signore
della terra) si dedicava contemporaneamente alla coltivazione dei cereali,
dei
prodotti dell'orto e faceva largo ricorso all'economia della selva.
|
|
Oltre alla fine traumatica del mondo antico alla base della generale involuzione e del ripiegamento
dell'agricoltura furono anche condizionamenti di natura
ecologica.
Il
diradamento della popolazione ed i mutamenti climatici favorirono, infatti, sin dal
Tardoantico, e per gran parte dell’Alto Medioevo, la cosiddetta reazione
selvosa.
Un nuovo paesaggio dominato da boschi
e da paludi, regno incontrastato di pecore,
capre e maiali allevati allo stato semibrado e di altre attività connesse con l’economia
dell’incolto, finì con il pervadere ed a
integrarsi funzionalmente con le aree abitate, interponendosi fra campi,
seminativi, vigneti ed orti.
Fra gli aspetti della generale involuzione dei
sistemi di allevamento segnaliamo anche la scomparsa della sistematica transumanza
su larga scala, dovuta soprattutto alla rottura della unità politica
all'interno delle aree tradizionalmente interessate dal fenomeno.
|
|
I due secoli della
seconda dominazione bizantina
(880-1080) furono contraddistinti da una nuova ristrutturazione
giuridico-amministrativo- istituzionale; prendeva nel contempo le
mosse un periodo
di crescita e di sviluppo
urbanistico, civile ed economico che si protrasse fino a tutto il XII secolo. A
questi si accompagnò anche l'esplodere di un inedito
movimento autonomista che vide protagoniste per la prima volta le città, in
particolare quelle all'interno delle quali avevano maggior peso le nuove classi imprenditoriali.
|
|
Date le tristi condizioni in cui versava tutto il Salento, appena liberato
dai Saraceni e dai Longobardi, lo Stato incentivò i flussi immigratori provenienti dalle regioni balcaniche e dal
Medio Oriente.
L’ ellenizzazione nelle campagne del Tarantino fu tuttavia un
fatto culturale più che demografico, per cui è da escludersi che abbia avuto
luogo, negli anni delle persecuzioni iconoclaste, una diffusa colonizzazione di tipo religioso da parte
di fantomatici
monaci basiliani iconoduli.
|
|
La ristrutturazione insediativa
partì dalla ricostruzione di un sistema
difensivo territoriale che faceva perno su una rete di abitati fortificati (kastra o kastellia)
dotati di funzioni amministrative e giurisdizionali. Si segnalarono così i centri di Taranto (rifondata,
dopo l'ennesima scorreria saracena del 924, nel 965-969), di Mottola,
di Massafra e di Palagianello.
Con
il loro ritorno i Bizantini avviarono un esteso processo di
ristrutturazione urbanistica che
interessò l'intero territorio. Molti di questi assunsero la veste
di nuclei fortificati eretti a difesa del territorio. Di questi
resta una traccia nel ricco elenco di toponimi Castello, come il Monte Castello
(Taranto-Montemesola). |
Fortificazioni vennero erette anche in prossimità di villaggi
rurali, ed erano
destinati ad accogliere la popolazione in caso di aggressione.
Questa politica urbanistica, ispirata e posta sotto uno stretto controllo statale,
si inseriva nel più generale piano di ristrutturazione
amministrativa, che individuava nella città, e nella sua rinata
economia, l'unità coordinatrice dei destini di un territorio
assegnato.
|
|
L'incastellamento costituì
il primo momento del lungo processo di concentrazione
insediativa che nel Tarantino perdurò per diversi secoli, con
alterne fasi di abbandono e di ricostruzione dei centri abitati.
Il popolamento rurale, ma anche il sistema fiscale bizantino, aveva la sua
base
nei comuni rurali (choria), sorti su precedenti
insediamenti, spesso intorno a chiese rurali.
In questo modello si
inseriscono anche i molti villaggi rupestri dislocati
nel territorio.
|
|
Il ritorno dei Bizantini fu occasione di un
nuovo radicale processo di
ridistribuzione della proprietà fondiaria.
Non abbiamo notizia di grandi proprietari, nonostante
il clima generale fosse particolarmente favorevole ad una loro rimonta; al
contrario il paesaggio agrario del Tarantino appare dominato dalla piccola e media
proprietà, la protagonista della Rivoluzione
Agricola medievale.
Riferimenti
bibliografici
(per il Tardoantico:)
Cagiano de Azevedo M.: Note su
Taranto paleocristiana , in Puglia Paleocristiana III, Bari,
1975, pp. 59-68.
D’Andra F. - Mastronuzzi G.: L’isola
di San Pietro in età tardoromana. Dati preliminari, in
Mastronuzzi G. - Marzo P. ( a cura di): Le isole Cheradi fra natura,
leggenda e storia, Taranto, 1999, pp. 87-112.
De Martino F.: Il colonato fra
economia e diritto, in Storia di Roma, 3: L’età tardoantica. I. Crisi e
trasformaioni, Torino, 1993, pp. 789-821.
De Robertis F.M. : Prosperità e
banditismo nelle Puglie e nell’Italia meridionale durante il Basso
Impero, in Studi
di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli,
I, Galatina, 1978, pp. 197-231.
Folcando E: Il patronato di
comunità in Apulia et Calabria, in (a cura di) M Pani: Epigrafia e
territorio Politica e società.
Temi di antichità romane, III, Bari, 1994, pp 51-135.
Gasperini L.: Taranto
tardo-imperiale e la sua cristianizzazione, in Settima miscellanea
greco-romana, Roma, 1980, pp. 565-580.
Grelle F.-Volpe G.: La geografia
amministrativa ed economica della Puglia tardoantica, in Atti del
convegno Internazionale Culto e insediamenti micaelici nell’Italia
meridionale fra tarda antichità e medioevo, Bari, 1994, pp. 22-81.
Modzelewski K: La transizione dall’antichità
al feudalesimo, in Storia d’Italia Annali I: Dal Feudalesimo al
Capitalismo, Torino, 1978., pp 8-132.
Sereni E.: Agricoltura e mondo
rurale, in Storia d’Italia I: I caratteri originali,
Torino 1972, pp. 136-255.
Sirago V. A.: La Puglia nelle Variae
di Cassiodoro, in Studi storici meridionali, VI (1986), pp.
131-157.
Vera D.: Forme
e funzioni della rendita fondiaria nella tarda antichità, in Società
romana e Impero tardoantico : I: Istituzioni, ceti, economie,
Roma-Bari 1986, pp. 367-444.
Vera D.: Proprietà terriera e società
rurale nell’Italia gotica, in Teoderico il Grande e i Goti in
Italia, Spoleto, 1993, pp. 133-166.
Volpe G.: Contadini, pastori e
mercanti nell’ Apulia tardoantica, Bari 1996.
Volpe G.: Sulle condizioni
economiche della Puglia dal IV al VII secolo d.C.: alcune note
quarant’anni dopo, in Archivio Storico Pugliese, XLV (1992),
pp. 65-135.
(per l' Alto Medioevo longobardo e bizantino:)
Burgarella F.: Bisanzio in Sicilia e nell’Italia meridionale, in Storia
d'Italia, III: Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, pp. 129-249
Burgarella
F.: Gli assetti politico-amministrativi ed ecclesiastici tra Bizantini
e Normanni, in (a cura di) C.D. Fonseca: La Chiesa di Castellaneta
tra Medioevo ed Età Moderna, Galatina, 1993, pp.
Burgarella
F.: Le terre bizantine, in Storia del Mezzogiorno, II: Il
Medioevo, Roma, 1994, pp. 413-517.
Corsi P.: Il Mezzogiorno d’Italia tra Roma e Bisanzio, in Storia
del Mezzogiorno, I: Il Mezzogiorno antico, Roma, 1994, pp. 323-359.
Dopsch A.: Istituzioni agrarie dei regno romano.germanici dal V al IX
secolo, in Storia Economica Cambridge: L'agricoltura e la società
rurale nel Medioevo, I, Torino, 1976, pp. 223-253.
Falkenhauser (von) V.: Taranto in età bizantina, in Studi
medievali IX (1968), pp. 134-166
Falkenhauser (von) V.: La dominazione bizantina nell’Italia
meridionale dal IX all’XI secolo, Bari. 1978.
Falkenhauser (von) V.: Il popolamento: etnie, fedi, insediamenti,
in Atti delle settime giornate normanno-sveve: Terra e uomini nel
Mezzogiorno normanno-svevo, Bari, 1987, pp. 39-74.
Falkenhauser (von) V: I Longobardi meridionali, in Storia
d'Italia, III: Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino,
1983, pp. 251-365.
Guillou A.: La seconda colonizzazione bizantina nell’Italia
meridionale, in La civiltà rupestre medievale nel Mezzogiorno
d’Italia. Ricerche e problemi, Genova, 1975, pp. 27-44.
Guillou A.: Longobardi, Bizantini e Normanni nell’Italia meridionale:
continuità o frattura?, in Il passaggio dal dominio bizantino allo
Stato normanno nell'Italia Meridionale, Taranto, 1977, pp. 23-61.
Guillou A.: Città e campagna nell’Italia meridionale bizantina,
in C. D. Fonseca ( a cura di): Habitat-Strutture-Territorio,
Galatina, 1978, pp. 27-40.
Guillou A.: La Puglia e Bisanzio, in La Puglia fra Bisanzio e
l'Occidente, Milano, 1980, pp. 5-36
Jones P. J.: L’ Italia agraria nell’ Alto Medio Evo: problemi di
cronologia e di continuità, in Uomini e terra nell’Alto Medioevo,
Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, XIII,
Spoleto, 1966, pp. 57-92.
Martin J. M.: La Pouille du VI au XII siècle, Roma, 1993.
Ostrogorsky G.: Condizioni agrarie dell’Impero bizantino nel Medio
Evo, in Storia Economica Cambridge: L'agricoltura e la società
rurale nel Medioevo, I, Torino, 1976, pp. 254-287.
Palmieri S.: Le componenti etniche: contrasti e fusioni, in Storia
del Mezzogiorno, III: L'Alto Medioevo, Roma, 1994, pp. 43-71.
Santini G.: Il castrum callipolitanum e la geografia
amministrativa dell’Italia bizantina (secc. VI-IX), in Archivio
Storico Pugliese, XXXVIII (1985), pp. 3-20.
Tagliaferri A.: I Longobardi, Milano, 1969.
Toubert P.: Il sistema curtense, in Storia d'Italia, Annali 6:
Economia naturale, economia monetaria, Torino, 1983, pp. 5-63.
|
17 dicembre 2001 00:07
|