La vite
Parole
chiave:
immagini, rural landscape history, Magna
Grecia, commercio, palmenti, Medioevo, Villa rustica, feudalesimo, trulli,
giardini, casali, vite, vino, paesaggio, storia,Taranto, Puglia, Italia
meridonale, Masserie, Edilizia Rurale
|
|
Uno
dei capisaldi della triade mediterranea, con il grano
e l'olivo, la vite ha sin
dall'antichità rappresento per il Tarantino una delle colture più diffuse,
ispiratrice della sua precipua vocazione mercantile.
I motivi di
questo successo sono da riportare al duplice valore alimentare
e culturale del suo principale prodotto.
Se il vino ha, da una parte, sempre garantito, su ogni tavola, una significativa
quota calorica,rientrando anche nel vitto da fornire ai lavoratori, ha, nel contempo, sempre avuto un ampio
spazio all'interno delle manifestazioni della religiosità,
indipendentemente dal contesto culturale: basti pensare al culto di Dioniso in
età antica (nella Taranto magnogreca in particolare) ed al riguardo concessogli
dal rituale cristiano.
|
Sommario:
I motivi
di un successo
La
vite nell'Antichità
La vite
nel Medioevo
La
vite e le masserie in Età Moderna
Vite
e neocolonizzazione
Le attività
Riferimenti
bibliografici
|
L'introduzione delle
pratiche viticolturali nel Tarantino si
deve, probabilmente, ai coloni spartani
che fondarono la città greca.
Della
viticoltura di epoca coloniale sappiamo molto poco, ma è molto probabile che
essa rivestisse un ruolo molto importante all'interno delle aziende medio-piccole
proliferate all'interno della chora nei secoli
V-III a.C..
La localizzazione
di uno dei topoi letterari più noti dell'antichità
tarantina, il colle Aulone, ha suscitato moltissime ipotesi.
Una delle più accreditate l'identifica con il Monte sul quale oggi sorgono i centri abitati di
San
Giorgio, Roccaforzata e Faggiano (in alto);un'altra l'individua nella forra di
Luogovivo (a destra). |
Grande, nel consesso della Taranto greca, la rilevanza sociale del vino, che era
il protagonista indiscusso delle feste dionisiache, celebrate in autunno fra fiumi di
vino e concludentisi con l'ubriacatura delle folle
richiamate in città dai quattro angoli del suo territorio.La bontà del vino prodotto lungo il Galeso e sul colle Aulone era, ancora nei
primi secoli dell'Impero, rinomata; in epoca romana, tuttavia,la viticoltura era
profondamente mutata, rientrando all'interno del programma produttivo delle villae rusticae,sorte nel frattempo nel territorio
tarantino.
Riguardo alle tecniche adoperate Varrone parla di un particolare sistema
di
sostegno dei vitigni mediante corde messo a punto nel Salento, in maniera simile quindi a quello
in voga tutt'ora.
|
|
La grave crisi agricola che caratterizza gli ultimi secoli dell'Impero
determinò un drastico ridimensionamento della viticoltura tarantina, protrattasi, con tutta probabilità,
per gran parte dell'Alto Medioevo.
Essa rimase, tuttavia, a caratterizzare il paesaggio
agrario urbano e periurbano
di Taranto anche
nei periodi più bui. A promuoverla furono soprattutto gli
enti ecclesiastici, ed i monasteri in particolare; fra le clausole
da questi imposte nella concessione delle loro terre
troviamo frequentemente, infatti,l'impegno a impiantarvi (pastinare) un certo numero di
viti.
Oltre a motivazioni religiose concorreva a questa
determinazione anche un mero calcolo economico, costituendo la vite
una sorta di cultura-rifugio, di rendita certa.
Sulla scia di queste sollecitazioni la diffusione della viticoltura
proseguì, specialmente dopo il passaggio di millennio, in correlazione con un
trend
demografico che per i due secoli successivi si mantenne costantemente in
positivo.La viticoltura accompagnò costantemente i moti di neocolonizzazione e
fu uno dei simboli della Rivoluzione Agricola
Medievale.
Sempre nel corso del Medioevo anche i feudatari ed i
signori laici
dedicarono alla viticoltura una crescente attenzione, chiamando vassalli e
contadini a impiantare vigneti sulle loro terre.
Nel corso di questi secoli la vite andò ad occupare
aree poste ben al di là dell'immediato suburbio, non sempre rispondenti
appieno alle esigenza della pianta.
Il caratteristico paesaggio delle chiusure vineate
interessò così parte consistente del territorio tarantino, sia quello
occupato dalla rete dei casali (ad Est della città),
sia il vasto comprensorio paludoso ad Ovest.
|
|
La
crisi tardomedievale ebbe come conseguenza la drastica contrazione
delle aree viticole e l'avanzata del latifondo
cerealicolo-pastorale centrato sulle masserie.
Il rapporto che si instaurò fra
il sistema della masseria, personificazione della grande proprietà (feudale,
laica o ecclesiastica) e quello della vite, espressione invece del piccolo
possesso contadino, fu, sino alla prima metà del '700, dinamico ed
interdipendente: nelle fasi
critiche del mercato del grano i proprietari della
aziende masserizie cedevano parte delle proprie terre
(più
raramente le dismettevano in toto) a contadini con l'impegno
ad impiantarvi vite entro tre anni; per converso il
crollo dei prezzi del vino, l'impossibilità di gestire adeguatamente il vigneto
o il loro danneggiamento a seguito di avversità climatiche riportava invece queste terre all'interno del
dominio della masseria.
Vite e masseria rappresentano, in effetti, due visioni contrapposte
dell'agricoltura, per lo meno di quella correntemente praticata all'interno del
regime signorile di conduzione delle terre che dominò a lungo la geografia
economica mediterranea.
Non è un caso,quindi, che ben di rado il peso economico del vigneto all'interno della
masseria fu consistente, nonostante il suo pur articolato corredo di
funzioni produttive.
A partire dalla metà del '700 l'espansione della viticoltura divenne un fatto
progressivo ed irreversibile. Iniziò così il ridimensionamento
del
ruolo della masseria all'interno del sistema economico-territoriale del
Tarantino, accelerato nel corso dell'800 dalla comparsa di nuovi momenti
critici nel mercato cerealicolo. |
|
La necessità di
cure assidue ha sempre conferito ai territori
interessati dalla viticoltura un aspetto manifestamente vissuto,accompagnato
anche a diffuse espressioni della pietas contadina, vestita delle forme di
chiesette, cappelle o semplici edicole votive
sparse, talvolta immagini sacre dipinte sul
frontespizio o all'interno degli ambienti ove avveniva la trasformazione, i palmenti.
|
La cappella
annessa al casino De Bellis, a San Donato. |
L'espansione settecentesca della viticoltura nelle contrade di
San Donato, Talsano, Santa Vergine,
Campofreddo e Lama cadde, peraltro, in un nuovo clima culturale. Per la
prima volta la società dei galantuomini guardava alla campagna non solo in termini
economici, ma anche come sede di attività ricreativa; anche questa novità
assurse alla dignità di elemento distintivo, molto
alla moda, capace di innescare diffusi fenomeni di emulazione.
Nacque una nuova forma insediativa, che prese le mosse dalla trasformazione delle strutture
produttive deputate alla vite (i
palmenti, con gli ambienti che ospitavano il custode
del vigneto) in casini di campagna. Quivi
antiche funzioni convivevano con le nuove, residenziali
e di rappresentanza insieme; vi si aggiungevano anche giardini e cappelle,
attività connesse in ogni caso con la prolungata presenza della famiglia del padrone.
Analogo processo evolutivo attraversavano anche molti giardini
periurbani .
Oltre alle élite borghesi e nobiliari il fenomeno interessò, in
forme naturalmente molto diverse, anche la
popolazione contadina,che divenuta viticultrice si trovava a risiedere in
campagna per periodi prolungati
Nacquero così veri villaggi rurali, come Talsano e,in misura minore,
San Donato e
Lama.
|
La stagione delle
bonifiche, intrapresa a cavallo fra '800 e '900 ha condotto alla
colonizzazione di vaste plaghe sino ad allora abbandonate ad un
amaro destino di emarginazione, come la palude Mascia fra Lizzano
e Torricella, all'interno della quale sorsero una miriade di
piccole aziende viticole, presiedute dalla severa guardia dei trulli. |
La corsa alla vite,innescata a fine Ottocento sulla scia della
distruzione, ad opera della Filossera, dei
vigneti francesi,si accompagnò alla dismissione di numerose masserie dei territori litoranei e
paralitoranei dei comuni di Lizzano, Torricella, Monacizzo, Maruggio,
Manduria ed Avetrana, sino ad allora flagellati dalla malaria e
abbandonati ad un destino di emarginazione.
Sorse così una miriade di microaziende viticole che
giunsero a colonizzare finanche la duna costiera, mentre i
moltissimi trulli
eretti nelle campagne divennero un inequivocabile segno di nuovo, seppure
stagionale, modello di popolamento rurale.
|
|
Il binomio
vite-vino, sebbene racchiuda gran parte della storia
della viticoltura tarantina, non lo esaurisce, tuttavia, del tutto.
|
Colonnati per pergola nel giardino di
Masseria Torre Bianca (Taranto, in alto) e in una cava nei
prerssi di Grottaglie (in basso)
|
Alcune varietà di vite (come il moscatellone e la duraca) erano
considerate di
elevato pregio, per cui si preferiva allevarle all'interno dei giardini. Mentre la vite destinata alla produzione di vino era allevata senza sostegni
(ad
alberello), le pregiate varietà di uva da tavola necessitavano di
irrigazioni e
di sostegni. Tale funzione avevano, all'interno dei giardini, gli
scenografici pergolati, costituiti da colonnati, gli antesignani dei
moderni tendoni.
Nelle aree orticole (come le Paludi del Tara), dalla abbondante
disponibilità idrica, veniva coltivata, invece, l'uva in
impalata: si trattava
in genere di una varietà da tavola (l'uva lunga o cornola) allevata con sostegni
fatti di canna,
onde la denominazione di inganno.
|
|
La viticoltura ha sempre rappresentato la pratica agricola più redditizia e,
al tempo
stesso,più onerosa.
Il ciclo lavorativo annuale prevedeva due o tre zappature (o conce:autunnale,
primaverile e estiva), la mondatura e la probaginatura (con la
quale si sostituivano, con il sistema delle propaggini,cioè della margotta, le
piante venute meno per varie cause).
|
Torre con annesso
palmento
|
La tipica azienda viticola medio-grande includeva
anche gli edifici deputati alla trasformazione delle uve in mosti.
Tipicamente essi consistevano in una
casa di custodia
che ospitava il conduttore della vigna (il vignaiolo,abitata in genere per il periodo della
vendemmia e delle lavorazioni),
in una rimessa, in alcuni pozzi per la fornitura della
molta acqua necessaria, nelle vasche (pile)
e nell'impianto di trasformazione vero e proprio,comprendente il palmento
e le strutture annesse
(caricaturi, palaci e palmentelli).
Verso i palmenti venivano indirizzate anche le uve dei
piccoli viticoltori circostanti, che in genere non avevano sui propri terreni tali strutture.Per le lavorazioni veniva
pagato una cifra che era in relazione ai giorni di
occupazione.
Il mosto che si ricavava dalla pigiatura e dalla torchiatura
veniva caricato su carri adeguatamente attrezzati per il trasporto
di liquidi (le carrizze)
e trasferito nelle cantine in città o in paese, ove veniva imbottato per
essere poi sottoposto ai successivi travasi.
|
|
Al pari dell'olio, che inseriva il Tarantino in un circuito
commerciale prestigioso di respiro internazionale, e del grano,
creatore di
intime relazioni economiche e finanziarie con la capitale Napoli, anche quello
vinicolo costituiva, pur con molti distinguo, un'importante voce dell'economia
mercantile jonica.
Le linee commerciali toccate dal vino avevano, per la maggior parte, una
portata
più limitata, e questo sia per il grande consumo interno (tutelato anche da un regime
daziario molto sbilanciato in favore dei produttori locali), sia per la facile
deperibilità di un prodotto che, di non eccellente
qualità, limitava la possibilità di spostamenti lunghi.
Segnaliamo, infine, la peculiare organizzazione sociale della produzione
viticola, che non trova eguali al di fuori del contesto tarantino.
La gran parte della superficie a
vigneto ricadeva, infatti, nelle mani degli ecclesiastici
secolari. Queste terre, infatti, erano più facilmente collocabili sul
mercato delle locazioni e garantivano una quota di reddito costante.
Per questo stesso motivo costituivano la parte più consistente del patrimonio sacro
che, esentato da
contribuzioni fiscali, la famiglia destinava al sostentamento di quei membri della famiglia
avviati alla carriera ecclesiastica.
La stessa commercializzazione vedeva ancora una volta gli ecclesiastici
impegnati in prima persona con una diffusa rete di vendita
domestica.
La gran parte dei contadini che viveva in città preferiva invece dedicarsi alla conduzione delle terre per ortalizi delle Paludi del Tara.
Il quadro suddelineato differisce sensibilmente rispetto a quanto
accadeva nei casali del territorio (ma anche
nel resto della regione), ove il vigneto
costituiva il nucleo della pur grama proprietà contadina,fermo restando la
condizione di esigua produzione commercializzabile.
Le cose iniziarono a mutare nel corso del '700, con una decisa svolta impressa dai grossi
proprietari terrieri (spesso anche commercianti al tempo stesso): grazie a finalmente
importanti investimenti furono impiantati, infatti,
estesi vigneti la cui produzione poteva finalmente essere destinata ad un mercato più
ampio.Nacque anche una distinta figura di intermediario, che affiancò quelle,
di molto più antica presenza, specializzate nelle compravendite di olio e di
grano.
Il trend fu ancora più evidente nel corso dell'800, e raggiunse un
andamento parossistico verso la fine del secolo, quando fecero per la prima
volta la loro comparsa i grandi imprenditori vinari del Nord.
Iniziava così
una pratica, l'impiego del vino pugliese per migliorare le prestazioni delle più
celebrate produzioni Centro- e Nord-italiane, che ha a lungo mortificato la
locale cultura della vinificazione.
|
Le notizie fornite sono tratte da:
F. Ghinatti:
Aspetti dell’economia agraria della Magna Grecia agli inizi dell’impero, in
Critica Storica III(1973), p.p. 369-396.
F. Ghinatti:
Economia agraria della chora di Taranto, in Quaderni di Storia I (1975), pp
83-126.
Pini
A.: Vite e olivo nell’Alto Medioevo, in Settimane
di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XXXVII:
L’ambiente vegetale nell’Alto Medioevo, Spoleto 1990, pp.
329-370.
Montanari
M.: Vegetazione e alimentazione, in Settimane
di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XXXVII:
L’ambiente vegetale nell’Alto Medioevo, Spoleto 1990, pp.
281-327.
G. Cherubini: I prodotti della terra: olio e vino, in
Atti delle settime giornate normanno-sveve: Terra e uomini nel Mezzogiorno
normanno-svevo, Bari 1987, pp 187-233.
R. Licinio: Uomini e terre nella Puglia medievale,
Bari 1983
B. Salvemini:
Prima della Puglia. Terra di Bari e il sistema regionale in età moderna, in
Storia d’Italia.Le regioni dall’Unità ad oggi: La Puglia, Torino,
1989
A. V. Greco:
Orti e giardini nel Paesaggio Agrario del Tarantino , in Umanesimo della Pietra Verde 10 (1995) pp. 45-82.
17 dicembre 2001 00:07
|