Signori della terra, schiavi e contadini
Parole
chiave: Immagini, rural landscape
history, storia paesaggio agrario, schiavitù, colonato, coloni, Medioevo,
proprietà terriera ecclesiastica, clero, monasteri, conventi, Capitolo,Villa rustica, feudalesimo, demani,
villaggi, casali, chiese, Taranto, Puglia, Italia Meridionale, masserie,
edilizia rurale, signoria agraria, galantuomini, borghesia agraria
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L'economia della chora coloniale magnogreca ricorreva, in misura
e con modalità ignote, all'impiego di schiavi, catturati per lo più
con le periodiche razzie compiute in
territorio messapico e peuceta.
La vittoria di Roma nelle guerre annibaliche favorì, sia con la
diffusione della pastorizia transumante, sia con l'impianto
delle villae rusticae, una economia altamente mercantilizzata che aveva il suo
motore proprio
nel massiccio
impiego
di mano d’opera schiavile.
La dipendenza dal mutevole mercato
degli schiavi e la intrinseca scarsa efficienza del sistema
conferì al modo di produzione schiavistico caratteristiche di
rigidità, specie in rapporto ad una proprietà che
dimensionalmente, per tutta l'età
imperiale, crebbe in maniera spropositata.
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Uno spaccato
molto interessante dei rapporti sociali vigenti nelle campagne
tarantine nell'Antichità ci viene restituito dalle epigrafi funerarie, molte delle quali
recano i nomi di schiavi, la loro attività ed i relativi proprietari.
Particolarmente importanti sono quelle rinvenute nei terreni
di Masseria Lupoli (Crispiano), attualmente conservate nel
locale museo storico
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Sommario:
Schiavi,
coloni, villani e braccianti
Il modo di produzione schiavistico
Il colonato
La servitù rurale
Il lavoro salariato
La signoria agraria
L'origine
Lo sviluppo, la
confluenza nel feudalesimo
Signori,
commercianti e nobili
Il galantuomo
La signoria ecclesiastica
Le origini
Il clero secolare
Il clero regolare
I conventi
Riferimenti
bibliografici
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A seguito della crisi del sistema schiavistico
si fece strada nel corso dell'Età Tardoantica
una nuova figura di lavoratore agricolo cui le leggi dell'epoca
attribuirono la denominazione di .
Questi lavorava su terre avute in concessione da un proprietario
terriero, il dominus,ormai non più interessato alla conduzione
diretta del suo patrimonio fondiario. La sua condizione non era molto dissimile da quella
dei veri e propri schiavi,che, sebbene in numero sempre più esiguo
(ma senza mai scomparire del tutto) continuavano a far parte integrante dei
latifundia, per lo
più anch'essi titolari di quote di terre assegnate. Più
di rado gli schiavi venivano addetti alla coltivazione dei pochi fundi
che
il dominus riteneva di dover (e poter) continuare a
gestire in proprio, secondo i criteri del modo di produzione
schiavistico.
La Masseria Casabianca (Taranto)
rappresenta una traccia toponomastica delle antiche casae,
cioè di quel complesso di terre e di edifici date in concessione
da un signore ad un colono od a uno schiavo. Con nome di Casabianca,
come con l'analogo Casarossa, sono note diverse masserie del
Tarantino. Alcune (come la Casarossa presso San Marzano di San
Giuseppe) hanno rivelato anche evidenti tracce archeologiche di
insediamenti tardoantichi (una villa rustica) ed
altomedievali (una necropoli), confermando quanto suggerito dal
toponimo.
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Le forme di limitazione
della libertà personale vigenti nel primo Medioevo
si pongono in diretta continuità con quelle originatesi nel corso del
Tardoantico. La figura più rappresentativa è quella del servus casatus,
lavoratore della terra reso schiavo per motivi bellici o giuridici e
titolare di una casa, cioè di un complesso di terre e di edifici avuti in
concessione dal dominus in cambio di canoni (corrisposti per lo più in
natura) e di prestazioni personali (angariae) all'interno
della pars dominica. Con questo termine si indicavano le terre rimaste nella
disponibilità diretta del grande
proprietario altomedievale, contrapposte alla pars massaricia, che era quella, suddivisa fra coloni
e servi, gestita in maniera indiretta.
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Lavoratori salariati
si trovavano anche all'interno delle
aziende a conduzione schiavistica, in genere nei momenti di maggior richiesta di
mano d'opera.
L'importanza del lavoro salariato divenne tuttavia importante soprattutto nel
corso dei primi secoli successivi all'anno Mille, nel
in parallelo con la progressiva estinzione delle residue forme di limitazione della libertà
personale e con il ritorno della proprietà terriera alla conduzione
diretta delle proprie
terre (il cosiddetto ritorno alla terra
tardomedievale) .
Molto rilevante già
all'interno delle aziende statali svevo-angioine, come le masserie
regie, fu
soprattutto a seguito dello sviluppo di una economia agricola fortemente
mercantilizzata, cioè a partire dal XVI secolo, che il
lavoro
salariato raggiunse il suo sviluppo massimo, innescando, con le relative
dinamiche salariali, una ulteriore variabile dipendente all'interno di un'
economia avviata ormai alla transizione protocapitalistica.
Il sistema territoriale che faceva capo al porto
di Taranto aveva una intrinseca vocazione mercantile; la sua specializzazione colturale originava inoltre elevati picchi
di domanda di mano d'opera, distribuiti lungo tutto l'arco dell'anno:fine
maggio-luglio per la mietitura e la trebbiatura,
settembre-ottobre per la
vendemmia, ottobre-febbraio per la raccolta delle olive.
Tale situazione ne faceva un terminale di flussi immigratori
stagionali, provenienti dalle province contermini: dalla Murgia Alta e
Bassa (regioni cerealicole e pastorali, che nei mesi
invernali avevano un surplus di
mano d'opera disponibile) e dal Capo di Lecce (che essendo area
oleicola liberava preferenzialmente mano d'opera
estiva, impiegabili per le operazioni di mietitura). |
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La signoria
agraria, una delle istituzioni più antiche delle
campagne meridionali, prese le mosse in Età
Tardoantica, quando il ricco e
potente latifondista abbandonò l' abituale residenza cittadina in favore di
quella rurale. Questa, ed i latifundia dipendenti, divennero cellule
autarchiche sganciate dal contesto giurisdizionale, amministrativo e
fiscale che faceva ancora riferimento alla ormai decadente città, alla
quale sottrasse anche
diverse funzioni tipiche. Il dominus si vestì, con il trascorrere
del tempo,
di incarichi di natura pubblica (come quelli della difesa territoriale e della
protezione personale), istituì eserciti e carceri privati, legò al suo
carisma individuale, economicamente e attraverso legami di solidarietà
extraeconomica, la vastissima schiera di persone che a vario titolo
gravitavano o dipendevano dal suo potere personale.
La moderna sensibilità rende difficilmente comprensibili simili relazioni
solidalistiche, la cui piena comprensione rende tuttavia meglio leggibili molte pagine,
altrimenti oscure, della storia del Mezzogiorno.
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Quando i Normanni conquistarono Taranto ed il suo territorio
(alle fine XI secolo)
fecero proprie le prerogative economiche e sociali acquisite dai
preesistenti signori
locali (longobardi o bizantini), inserendole all'interno della istituzione
feudale da essi introdotta.
Il nuovo potere territoriale si configurò come distretto giurisdizionale di stampo
signorile, sostitutivo dell'autorità pubblica ed esteso universalmente
a tutte le potenzialità produttive del
territorio dipendentel Lo strumento attuativo era l'imposizione di espliciti diritti di bando,come
quelli che concernevano le prerogative
di accesso all'incolto, il dominio superiore sulla terra (estrinsecato
nel prelievo di una quota della produzione
agricola, la decima) e il possesso degli strumenti necessari alla trasformazione dei principali prodotti (uva, grano e olive),
come, rispettivamente, i palmenti, i mulini,
le aie ed i trappeti.
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La signoria agraria continuò ad essere la protagonista incontrastata
della storia delle campagne anche quando (nel corso del XVI
secolo) la
feudalità perse definitivamente la sua guerra personale contro lo Stato
centrale. Lo sviluppo di una economia capitalistica (più
correttamente mercantilistica) conferì al
feudatario (ed alla stessa istituzione feudale) caratteristiche ancora più marcatamente
commerciali.
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Stemmi
nobiliari: da sinistra quello dei Protontino, da Masseria
Badia (Taranto), dei Muscettola, da Masseria Tremola (Torricella)
e degli Albertini, nella Masseria della Baronia (San
Giorgio Jonico). |
I feudatari non furono, tuttavia, i soli protagonisti della
nuova economia: ad essi si affiancava infatti l'antica nobiltà
storica (il nerbo del patriziato cittadino) e la folta schiera di
ai primi assimilati per privilegio regio. Una particolare
categoria sociale era quella dei militari, che faceva riferimento sia alla
antica nobiltà d'armi, sia a homines novi che nel corso delle
continue campagne d'armi intraprese dagli Spagnoli si guadagnavano con il proprio valore
onori, blasoni e ricchezze considerevoli.
E' questa l'epoca dei condottieri albanesi come i Basta, i Matthes ed
i Castriota, che grazie alla
generosità dell'Imperatore poterono fondare vaste e più o meno
durature (nel caso dei Basta) signorie feudali nel Tarantino
orientale.
Le molte opportunità fornite da una realtà in perenne movimento e certamente
più aperta che in passato, spalancava, inoltre, le porte di fronte
all'avanzata di successive
generazioni di intraprendenti uomini d’affari che affollavano l'emporio
tarantino.
Seguendo un cliché consolidato questi, dopo essersi arricchiti
grazie alle speculazioni finanziarie, alla gestione dei patrimoni
ecclesiastici ed alla compravendita di grano e olio, ad un certo punto mutavano strategia di
intervento e, delineando uno stile di vita
distintivo, ponevano le precondizioni per essere accolti all'interno della élite nobiliare cittadina.
In questa maniera nel '700 la nobiltà cittadina venne rinnovata quasi
completamente, mediante la cooptazione dei nuovi ricchi (i Calò, i
Boffoluto, i De Cesare, i Lo Jucco, gli Acclavio, i Beaumont), molti dei
quali furono i protagonisti della vita politica ed
amministrativa della città fra '700 ed '800.
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Masseria Casavola
(Massafra) |
Nonostante le analogie, l’istituzione feudale e quella signorile costituivano
ben distinte fenomenologie, cui la Storia ha assegnato ruoli e
destini
affatto diversi: dipendente da fattori politici, il feudalesimo poté, anche se
a fatica, essere superato con la legge del 2 agosto del 1806; più intimamente connesso invece
con la generale struttura sociale ed economica del territorio, la signoria
agraria, che l'aveva preceduto, gli fece seguito per molto tempo ancora.
L'adesione
della galantomia meridionale alle istanze liberali ed
unitarie trova talvolta
riscontro in alcune testimonianze monumentali, come in questa
iscrizione all'interno di Masseria Maviglia (Maruggio) |
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L'ultima espressione della signoria terriera è stata quella dei galantuomini, nata
nel passaggio fra '700 e '800 dalle ceneri della nobiltà d'ancient régime,
di cui ripropose, con gli opportuni aggiustamenti, le
nostalgie del passato, anche perché in essa confluirono i membri più
attenti della vecchia compagine nobiliare. Oltre a volgere a proprio favore le ragioni del declino di questa, i galantuomini seppero anche superare con prepotenza e cinismo
il definitivo scioglimento delle promiscuità
gravanti sulle terre demaniali e raccogliere a
piene mani quella inattesa manna che fu la liquidazione del patrimonio
ecclesiastico. Il coronamento di questa brillante ed inarrestabile
ascesa fu certamente
la conquista del monopolio politico ed amministrativo, per ottenere il
quale non esitò ad abbracciare in massa il progetto unitario
offerto da Garibaldi.
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Nel segno di preghiere in cambio di terra, la
Chiesa iniziò ad accumulare sin da Età Tardoantica un patrimonio destinato a
divenire immenso. All'interno di questo essa esercitò forme di potere
territoriale parallele e per molti versi analoghe a quelle dei laici, con
l'aggiunta del costante possesso di ben più ampi privilegi.
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L'arcivescovo di Taranto acquisì
connotati signorili grazie
alla munificenza dei Normanni e dei primi Svevi.
Furono questi a conferirgli un
vasto patrimonio fondiario (parte in feudo, parte in piena proprietà), la
decima
sulle entrate pubbliche del territorio di Taranto, moltissime esenzioni e diritti giurisdizionali,
compreso quello che gli consentiva di accogliere persone sulle proprie terre (il prestigioso jus
affidandi).
Fregio del portale di accesso al
giardino dell'arcivescovo Caracciolo, a Grottaglie. |
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Il Clero secolare tarantino, raccolto nel Capitolo della Chiesa Cattedrale, non acquisì
connotati feudali, ma ricevette dall'Arcivescovo molte delle gratificazioni economiche
da questi godute. Divenne successivamente
il principale collettore delle offerte devozionali dei Tarantini. Alla
fine del '700, a causa della inalienabilità del patrimonio sacro, gran parte
del territorio cittadino risultava in qualche maniera vincolato economicamente
al Capitolo.
A partire dal '400 anche i più importanti centri abitati (Grottaglie, Martina,
Pulsano) del territorio si dotarono di un proprio Capitolo, raccolto intorno
alle chiese collegiate. Anche questi a loro volta divennero destinatari
privilegiati della pietas devozionale, promuovendoli ai primi posti
nella proprietà terriera nei rispettivi centri abitati.
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I Normanni si dimostrarono particolarmente
generosi nei confronti dei più importanti monasteri benedettini, come
San Benedetto di Montecassino e la Santissima
Trinità di Cava dei Tirreni, cui donarono gran parte delle
chiese e degli altri possedimenti ecclesiastici pervenuti in loro potere
all'indomani della conquista.
Anche le importanti abbazie italo-greche di San Vito del Pizzo, di
San
Pietro de insula e dei Santi Pietro e Andrea de insula parva
furono dotate di vastissimi patrimoni fondiari e di veri e propri feudi.
Ai regnanti svevi si deve, invece, l'introduzione dei Cistercensi,
insediatisi nell'abbazia di Santa Maria del Galeso.
La natura di questi possessi non sempre risulta chiara, e diede origine a
diversi problemi interpretativi al momento della eversione
feudale.Nel pieno
del proprio sviluppo, tuttavia, e sino al XIII secolo, essi definirono distinte
signorie terriere monastiche.
Entrate in crisi fra XIV e XV secolo, queste istituzioni vennero
affidate a
cardinali commendatari, selezionati all'interno dell'entourage
papale; i relativi patrimoni vennero o alienati o dati in
concessione,
divenendo per lo più preda di feudatari e signori locali. Dalla loro
frammentazione sorsero gran parte delle masserie del Tarantino.
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Il territorio di
Comiteo (Crispiano), antico possesso dell'abbazia italo-greca di
San Vito del Pizzo, nel cuore della Foresta
di Taranto |
Il
sito anticamente occupato dal casale di Cigliano (Crispiano), feudo dell'abbazia
cistercense di Santa Maria del Galeso |
La
gravina di Triglie (Statte-Crispiano) sede di un insediamento
rupestre dipendente dall'abbazia di Santa Maria di Crispiano |
Masseria
Accetta
(Statte), una delle più vaste e prestigiose aziende del
Tarantino, dal '500 agli inizi dell'800 costituì il nerbo del
patrimonio degli Olivetani in Taranto.
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Masseria Cicora, la più importante delle
pertinenze del convento di San Francesco di Paola di
Taranto.
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La decadenza dei grandi monasteri si accompagnò, fra tardo
Medioevo e Età Moderna, alla progressiva
penetrazione dei conventi dei Francescani (Conventuali, Osservanti, Minimi),
dei Domenicani, degli Agostiniani, dei Carmelitani,
dei Carmelitani Scalzi e degli Olivetani. Anche la
Compagnia di Gesù fu
significativamente rappresentata nella geografia dominicale del Tarantino. Il peso economico dei conventi crebbe soprattutto nel corso della crisi
seicentesca, quando si sostituirono ad un'intera generazione di nobili nella
proprietà dei rispettivi patrimoni.
Oltre che momento molto importante della storia della signoria
agraria, i conventi svolsero ruoli molto complessi e diversificati in seno
alla società civile, che andavano dal servizio finanziario alle funzioni
caritatevoli.
Posizione di particolare prestigio ebbero i monasteri femminili (le
Clarisse e le Benedettine di San Giovanni in Taranto, le Clarisse di San
Geronimo in Grottaglie, le Agostiniane a Martina Franca), all'interno dei quali le famiglie più in vista
collocavano le donne non destinate a matrimoni prestigiosi.
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