L'addomesticamento degli animali
selvatici ha
costituito una innovazione epocale nella storia dell'Uomo; senza
di essi, ed il contributo da questi dato allo sviluppo dell'agricoltura, la
Rivoluzione Neolitica
non avrebbe avuto gli stessi effetti dirompenti: basti
pensare al ben più limitato contributo economico dato dall'agricoltura
americana precolombiana,condotta in gran parte senza l'impiego di forza motrice
animale.
Gli animali infatti hanno costituito, fino alla realizzazione dei motori a
scoppio, la più importante fonte di energia e di forza
lavoro, nonché gli
unici (o quasi) produttori di concime organico, necessarie le prime per
dissodare e per arare i terreni, il secondo per rinnovarne la
fertilità.
La stessa forza lavoro animale era inoltre l'unica utilizzabile
su larga scala anche al di fuori dell'agricoltura, per trasportare
merci e persone, consentendo all'Uomo più celeri spostamenti.
Gli animali allevati garantivano, inoltre, una maggiore disponibilità di
alimenti proteici, sia con le carni (ma, per i bovini e gli equini, la
macellazione giungeva solo al termine della loro attività lavorativa),
sia con i prodotti latteo- caseari.
Gli animali erano anche importanti
fornitori di materie prime per attività industriali ed
artigianali, come la lana e le pelli (con le quali si confezionavano
abiti, scarpe ed altri articoli di pelletteria).
Ricordiamo infine l'importanza degli animali nella storia della
cultura,
con il loro diffuso impiego nella medicina prescientifica e nella
formazione dell'immaginario collettivo, nei sue differenti espressività,
sia magico-fantastiche sia rituali, mitiche e religiose.
L'intensificazione della
zootecnia ha sempre trovato un limite severo
nelle caratteristiche del clima e dell'ambiente mediterraneo.
La prolungata siccità estivalimita considerevolmente,
infatti, la disponibilità di pascolo naturale per parte dell'anno, né, per lo stesso motivo, vi era la possibilità di un più ampio ricorso al
maggese vestito (foraggiere) o di mantenere prati perenni; le basse rese agricole non consentivano, inoltre, di sopperire a
tale carenza con le granaglie (le cosiddette biade, cioè
l'orzo e l' avena).
Come foraggio veniva adoperato anche il sottoprodotto della trebbiatura del grano,
la paglia, cioè l'insieme dei culmi. Per ricavare quanta
più paglia possibile si chiedeva perciò ai mietitori di effettuare
tagli bassi sullo stelo che recava le spighe, il che comportava il pagamento di un sovrapprezzo.
Diverso il discorso per gli animali piccoli (cioè ovini e
caprini) che, grazie alle loro più limitate esigenze nutrizionali,
erano più organicamente integrati nell'agricoltura cerealicola mediterrena.
Il quadro complessivo era comunque di una cronica limitata disponibilità di
bestiame. Particolare limitante fu l' impossibilità di utilizzare il cavallo
(più efficiente ma molto più esigente da un punto di
vista alimentare rispetto ai buoi) nei lavori di aratura, ciò che ha costituito
forse il più grosso limite dell'agricoltura mediterranea, responsabile (a
partire dal Medioevo) del crescente divario economico rispetto
alle più evolute agricolture del Nord di Italia e del Centro Europa.
L'integrazione dell'allevamento con l'agricoltura era, quindi,
sottoposta a vincoli quantitativi, mentre la realizzazione di una
industria zootecnica specializzata rendeva
necessario trasferire periodicamente il bestiame da un pascolo
all'altro, compresa la necessità di condurlo (nella stagione secca)
nei pascoli montani, seguendo i percorsi e la pratica della transumanza.
Questa caratteristica ha a lungo impedito che fra agricoltori ed allevatori
si stabilissero duraturi e pacifici equilibri, anzi l'accesa litigiosità
fra contadini e pastori, ed i relativi ancestrali echi biblici, erano lo specchio
di un ben radicato atteggiamento mentale. Per mettere ordine in
una materia che innescava di continuo tensioni sociali, nel
Medioevo lo Stato organizzò un corpo di ufficiali addetti alla vigilanza (bagliva) delle campagne ,
con l'incarico cioè di rilevare cioè i danni inferti dal bestiame
alle colture e di
fissare le relative pene, da suddividere in parte in favore del
danneggiato, in parte dell'autorità pubblica stessa.
I problemi non finivano affatto, a causa dei
diffusi
episodi di corruzione e dei soprusi perpetrati dagli ufficiali addetti a
tale compito; la situazione divenne addirittura paradossale quando
la bagliva divenne appannaggio del feudatario locale,
che in genere era al tempo stesso il più importante allevatore.
Per limitare i possibili conflitti di interesse nel corso del '400 vennero
compilate, fra Università e baroni, convenzioni, contenute nei Capitoli
della Bagliva. Naturalmente questi costituivano uno dei più importanti
momenti che regolava la vita quotidiana di una comunità,
unitamente ai privilegi da essa posseduti (riuniti nel Libro rosso.)
Fatta eccezione per cavalli e
pecore, molto poco sappiamo
sulla zootecnia tarantina sino al Medioevo
avanzato. In Età Antica, tuttavia, essa raggiunse certamente
uno sviluppo molto avanzato, parallelo a quello dell'agricoltura.
Una fase di regressione, anche a carico delle forme più celebrate di
allevamento ovino, caratterizzò l'età romana, a causa delle speculazioni
messe in atto sull'ager publicustarantino da parte dei vincitori.
L'unica forma diffusamente praticata fu probabilmente la pastorizia ovina,
condotta con la formula della
transumanza.
Ad iniziare dal Tardo Antico e per tutto l'Alto Medioevo
l'allevamento tornò in secondo piano, assumendo probabilmente forme
semibrade, in un paesaggio dominato dalla economia di radura:
sparutifazzoletti di terra coltivata circondati da ampie zone
incolte.
Strutture per l'allevamento ...
delle api (San Vito-MOttola), delle capre (Jazzo Basile-Martina Franca), vacche (Lizzano) e colombi (Masseria Lucignano-Talsano)
Successivamente all'anno Mille, invece, il bestiame non solo fu un
fattore determinante per la realizzazione della Rivoluzione Agricola Medievale, ma
crebbe nel contempo anche la sua funzione sociale, rientrando sostanzialmente alla definizione della ricchezza individuale; esso divenne
frequentemente oggetto di donazione, compravendita e di permuta (con terre,
altri immobili o ancora animali); era anche il primo bene sottoposto
a sequestro in caso di obblighi non rispettati.
L'importanza strategica del bestiame per l'economia di tutto il
Mezzogiorno, in specie di quello grosso (cioè bovini ed equini),
era tale che lo Stato (con Federico II) emanò diversi provvedimenti a sua
tutela, come il divieto all'esportazione e (relativamente ai buoi aratori)
di
pignoramento.
Lo Stato stesso, inoltre, fu a lungo il più importante allevatore,
impiantando proprie aziende zootecniche specializzate.
Nel corso dell'Età Moderna la grande industria
armentizia passò in mano ai privati, ma lo Stato impose, con
l'istituzione della Dogana
della mena delle pecore di Puglia (1447), una sorta di monopolio sullo sfruttamento
dei pascoli.
Le esigenze di una economia ormai diffusamente mercantilizzata,
che privilegiava sempre più le produzioni agricole (grano, olio
e
vino), la crescita demografica, con la
conseguente messa a coltura di nuove terre già incolte,
determinarono il graduale ridimensionamento
dell'allevamento.
Il primo a scomparire dal Tarantino fu quello equino (già
sul finire del Medioevo), seguito da quello bovino
(all'inizio del '700): ambedue finirono invece con il caratterizzare
la vita ( e la ricchezza) delle aziende masserizie
della Murgia.
Il solo allevamento ovino resistette più a lungo,
grazie alla sua complementarietà con la cerealicoltura.
Negli Statuti della bagliva ...
definiti fra l'Università di Monacizzo ed il feudatario nel 1656 era previsto che il proprietario di maiali responsabili di danni alle colture pagasse una multa pari a due grana (metà nel caso di terreni
non appartenenti al barone). In caso di oliveti o campi di zafferano (zafaranali)
era, tuttavia, lecito ammazzare gli animali: la testa della bestia
andava al capitano (cioè
il responsabile della amministrazione della giustizia), il corpo
ai dannificati
L'avvento della meccanizzazione, alla fine dell'800,
la crisi del sistema-masseria, le bonifiche
di fine '800-inizi'900 e la messa a coltura di vaste aree già
incolte hanno dato il definitivo colpo di grazia
all'allevamento animale a valenza storica.
La zootecnia moderna ha acquisito una propria fisionomia aziendale,
sganciata dall'agricoltura. Con questa condivide molte
esigenze e problemi, come la necessità di grandi investimenti, la pesante
dipendenza dall'industria (per la fornitura di mangimi e di energia) e
l'urgenza di innovazione tecnologica permanente.
L'ambiente, ed i vecchi condizionamenti ecologici,rientrano in
questo inedito quadro di industria globalizzata, solo sotto forma di
diseconomia esterna.