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Il diario di Renée 10 febbraio 2003
La protagonista de "Il diario di Bridget Jones", in Italia per "Chicago", ci svela che cosa è il successo per lei e cosa ne pensa della guerra
Sarà che il musical ce l'hanno nel sangue. E sarà anche che nel sangue hanno molto talento. Fatto sta che i due protagonisti di "Chicago", Richard Gere e Renée Zellweger, nel loro ultimo film ballano, si divertono, e fanno divertire. La pellicola di Rob Marshall, che ha ricevuto 13 nomination all'Oscar, è tratta da un musical satirico scritto nel '26 e fra lustrini e tip tap, dietro un humor definito da qualcuno "avvelenato", ci illustra un mondo cinico, dove tutto funziona come in un grande circo, un grande show. Renée Zellweger, indimenticabile protagonista pasticciona del film "Il diario di Bridget Jones" conferma il suo talento: non solo come attrice ma anche come star.

Vestita di un bianco birichino, voce suadente e sguardo finto ingenuo, si è presentata ai giornalisti insieme a Richard Gere. Quando se ne sono andati, alla fine dell'incontro, in molti si sono chiesti chi tra le due volpi fosse la più vecchia. Pasticciona sullo schermo, non tanto nella vita: dopo aver partecipato al suo primo corso di recitazione solo qualche anno fa (prima di laurearsi), ha iniziato un'ascesa rapida e inaspettata. Per lei però il successo è essere felici, prendersi cura di se stessi, non tanto essere conosciuti dal grande pubblico. Ama l'arte e il film, anche se confessa di non essersi ispirata a nessuno di particolare per intepretare questo ruolo in "Chicago".

Miss Reéne, cosa significa per lei il successo?
Quando ero al college e lavoravo per mantenermi gli studi, pagavo da sola l'affitto, curavo i miei cani e i miei gatti, il mio appartamento e le mie passioni, ero povera, ma in realtà ero ricchissima. Mi occupavo di me stessa. Per me oggi non è cambiato niente, la penso sempre allo stesso modo: il successo non è determinato dalla gente, dalla ricchezza. Quello che conta è avere una vita bilanciata, una vita felice. Mi piacciono le sfide, fare nuove amicizie, essere gioiosa nella vita quotidiana. Questo per me è il successo.

Le sue origini sono europee sebbene sia nata in Texas.Qualcuno a Hollywood le voleva far cambiare cognome, è vero?
Si, è vero. Ma io ho mantenuto il mio. Sono figlia di una norvegese e di uno svizzero e il mio cognome perché è parte di me: io sono quello che sono. Non vorrei essere famosa per niente di diverso da questo.

Mezza Europea e mezza americana. Qual è la sua posizione nei confronti della guerra in Iraq?
Sono molto fortunata per il lavoro che faccio: mi permette di avere una visione più ampia del mondo, sopratutto quando viaggio e tocco con mano ciò che vedo scritto sui giornali. Ho imparato ad esempio molte cose sull'Onu e sugli Usa stando in Romania: un cronista tedesco ha descritto una manifestazione pacifista che si è svolta negli Usa come la più grande dal dopoguerra. Sono tornata in America e la cosa è stata liquidata con poche righe. In questo momento mi sento come un bambino frustrato: un po' come quando devi risolvere un problema ma non hai tutti gli elementi per farlo. Mi chiedo: perché dobbiamo andare in guerra? Non capisco neppure perché ci facciamo questa domanda. Non dimentichiamo che ci sono in gioco un sacco di vite umane...

Cosa le è piaciuto di più in questo film?
Forse che tutte le persone coinvolte hanno partecipato con la voglia di lavorare bene. Tutti insieme, come una vera compagnia teatrale. Forse a questo spirito di gruppo hanno influito le sei settimane di rpove che abbiamo condotto tutti insieme Il successo della pellicola è un plus, niente di più...

Si è ispirata a qualche musical in particolare per il suo ruolo in Chicago?
A dir la verità non ne ho mai visto uno...

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