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Riassunto La "decadenza" politica e militare
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L'estensione dell'impero nel II e III secolo d.C. |
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Confronta Istituzioni e mentalità prima del declino Germani, persiani e nomadi asiatici
L'impero romano si è sempre basato sulla potenza dell'esercito, sull'assimilazione dei cittadini e sullo sfruttamento schiavistico delle campagne. Da quando le casse dello Stato sono vuote per la mancanza di nuove conquiste si è verificato un aumento vertiginoso delle tasse, che sta provocando l'impoverimento delle classi medie e lo scontento delle élite.
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In tutto questo periodo l'impero romano è governato da un sovrano che non è mai di Roma e quasi mai italiano. Il mondo occidentale è unificato e la civiltà diffusa ovunque.
Come nei primi due secoli gli imperatori cercano di governare appoggiandosi esclusivamente sulla forza dell'esercito. La nobiltà di Roma aveva portato l'Urbe alla conquista del mondo, ma è in fase di decadenza proprio dalla fondazione dell'impero. I soldati non sono più soggetti al controllo diretto degli aristocratici.
Ma l'eccessivo potere affidato ai professionisti della guerra causa devastanti lotte interne e scaturisce nell'anarchia: gli imperatori vengono uccisi quasi uno all'anno. Nello stesso momento si verificano una incredibile crisi economica e assalti nemici senza sosta. Dal III secolo in poi l'impero è attaccato da germani, persiani e nomadi asiatici, lungo tutte le sue frontiere. A livello internazionale la supremazia del più grande stato del mondo viene del tutto vanificata, dopo mille anni di vittorie.
Nonostante la crisi generale – del potere politico, delle forze militari, dell'economia e dell'organizzazione sociale complessiva – nel IV secolo l'unità dell'impero verrà restaurata. La riscossa avviene grazie all'azione militare di forti governi autoritari, e al riconoscimento del tramonto delle vecchie idee. Il monoteismo sta affermandosi sul politeismo.
I governi, ora di origine balcanica, per evitare situazioni anarchiche istituiscono una burocrazia più forte e un'amministrazione più estesa. E per venire incontro alla diffusione della nuova mentalità, spartiscono la gestione del potere con i nemici dei "vecchi" romani: i cristiani che hanno sempre creduto in un solo Dio. La nuova organizzazione religiosa – la chiesa – diventa un'importante istituzione statale e sostituisce le "antiche" città autonome come garante dell'ordine sociale. La cultura greco-romana lascia spazio a quella cristiana.
La ritrovata coesione non impedisce però che le due parti dell'impero si facciano sempre più indipendenti. I pericoli esterni e i fermenti religiosi arrivano entrambi dall'oriente, e alla fine Roma dovrà cedere il posto di guida dei popoli alla pars orientis con la sua nuova capitale Costantinopoli.
Nel V secolo le irruzioni armate degli stranieri aumenteranno persino di numero. Una grande ondata di nomadi asiatici, quella degli unni, spingerà i "barbari" germani ad invadere l'Europa intera. E nel corso degli ultimi cento anni prima del 476, l'impero d'occidente cadrà in mano ai germani, un pezzo per volta.
Bassorilievo di tarda epoca imperiale che mostra un cavaliere germanico. Nel V secolo i popoli «barbari» dilagano in tutta Europa, sconfiggendo in battaglia tutti gli eserciti imperiali
Una storia di tre secoli
Ma come è successo che la più grande potenza del mondo si sia arresa agli assalti stranieri nel corso di 250 anni? Come ha potuto il "glorioso" esercito romano perdere il primato militare dopo mille anni di vittoria?
Una volta terminata la spinta aggressiva del primo e secondo secolo dopo Cristo, l'impero del terzo secolo si trova in grandi difficoltà. L'ultima grande conquista "romana", sotto l'imperatore spagnolo Traiano, è stata del 117. Poi si è avuto un periodo di pace durato più di trent'anni. Poi il rapporto fra aggressori e aggrediti si è invertito. E i germani hanno iniziato a sfondare il limes difensivo dell'impero. Roma ha cercato di rinnovare il suo esercito, ma dal 226 anche l'impero persiano, o iraniano, porta un nuovo attacco alle regioni d'oriente.
Mentre il numero dei nemici è in aumento, una dinastia di imperatori – quella del libico Septimius Severus – favorisce la carriera di militari e funzionari professionisti, a scapito della vecchia nobiltà di sangue. Da sempre la nobiltà si esprimeva nell'assemblea del senato. Il senato costituiva il governo aristocratico tipico delle antiche potenze a dimensione locale, come era stata Roma durante la conquista del mondo di allora.
L'impero è stato costituito dai militari proprio contro il potere dei senatori. E un po' alla volta, gli imperatori, nonostante dovessero essere anch'essi di classe nobiliare, hanno diminuito i vari poteri giuridici, civili e militari che i senatori ancora conservavano.
Duecento anni dopo la fondazione dell'impero, lo stesso Settimio Severo fa comunque parte dell'ordine senatoriale. Ma Severo è diventato imperatore, come tanti, tramite un colpo di stato militare e nel suo regno rafforzerà in modo sempre più evidente le posizioni dei militari di carriera contro le prerogative del senato.
All'improvviso lo stato fondato da Roma, e ora guidato da governi internazionali, viene circondato da vari nemici che lo attaccano contemporaneamente. Dal nord sono in arrivo nuove e potenti bande di pericolosi guerrieri germanici. Dalle pianure erbose della Russia avanzano le tribù di cavalieri asiatici. In medio-oriente l'impero persiano dà prova della sua rinnovata capacità militare. Tutto nello stesso momento.
E nello stesso momento avviene anche la crisi politica del terzo secolo. I nobili perdono potere, la civiltà si "democratizza", ma il rovescio della medaglia è che il potere viene concentrato nelle mani dell'esercito. Ad ogni modo il "vecchio" senato, nonostante sia in crisi dalla fondazione dell'impero stesso, non si fa certo sbattere la porta in faccia. Ai tempi di Settimio e a quelli di suo figlio Caracalla (212-217) il senato può ancora credere di essere in corsa per la poltrona di capo supremo. |
Tre secoli di storia
I capitoli. Fatti e cambiamenti generazionali
Tre secoli di storia
In allestimento
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I reggimenti eleggeranno il proprio comandante a imperatore, chiunque esso sia, anche un non-senatore, senza pensarci troppo. In questo modo viene ucciso l'ultimo discendente di Severo, Alessandro. E dopo la fine della dinastia "anti-nobiliare", gli scontri fra i nuovi ufficiali non nobili e la vecchia aristocrazia senatoriale provocheranno cinquant'anni di guerre interne. Lo scontro di potere conduce quindi a una sorta di anarchia militare. E le truppe romane si rendono responsabili di una serie di battaglie fratricide che non si vedevano da secoli. Così, per gli assalti esterni e per la crisi interna, l'esercito perderà la supremazia che aveva sempre avuto. |
193. Gli attacchi di nuove pericolose popolazioni esterne costringono l'esercito imperiale sulla difensiva. La vecchia aristocrazia viene esautorata dalla direzione del governo e lo stato affidato a un'amministrazione militare. |
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Le guerre civili pervadono tutta l'Europa e il vicino oriente. La fine del mondo aristocratico porta all'aumento delle tasse e a uno sconvoglimento nella già debole economia imperiale. E le numerose battaglie le danno un colpo mortale. I campi vengono devastati. La gente fugge come può. Le guerre portano anche epidemie e carestie. Le tasse e l'inflazione salgono sempre più. La moneta perde ogni riferimento con la realtà, la disoccupazione arriva a livelli davvero inauditi e i normali cittadini si impoveriscono totalmente. Lo stato cade in balìa delle truppe sbandate. E, in breve tempo, i nuovi imperatori diventeranno monarchi assoluti, come mai in precedenza. I normali cittadini, l'80% dei quali sono contadini, oppressi dalle infiltrazioni nemiche e stanchi delle politiche statali – meritocratiche o aristocratiche che siano – rifiutano la vita militare e si affidano ai ricchi potentanti locali o alle nuove religioni "orientali", fra cui c'è il cristianesimo. |
235. Le legioni romane si fanno battaglia l'un l'altra, favorendo gli attacchi delle potenze esterne. La sicurezza, la comunicazione e l'economia ne risultano compromesse.
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Verso il 270, dopo cent'anni di una vastissima crisi multilivello e cinquanta di lotte fra armate dell'esercito imperiale, l'impero romano viene "restaurato": evidentemente possiede ancora delle risorse a sua disposizione. Alla fine del terzo secolo gli imperatori ritrovano finalmente quella potenza ed autorità che mancava da decenni. I governi cercano di arginare i problemi, sia interni che esterni, con nuove soluzioni amministrative. In vent'anni di regno l'imperatore balcanico Diocleziano crea una burocrazia vasta e ramificata, che noi consideriamo tipica di un impero, ma che quello romano "classico" non ha mai avuto.
Sinteticamente prima del III secolo l'impero era una sorta di confederazione di città semi-autonome, con un mercato libero e una discreta mobilità sociale. Dopo il III secolo diventerà uno stato centralizzato. Le divisioni territoriali e i funzionari addetti agli uffici vengono aumentati di numero, anzi vengono più che raddoppiati. Diocleziano suddivide persino il potere supremo fra ben quattro imperatores. Il mercato locale perde importanza e il lavoro diventa ereditario.
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All'alba del quarto secolo, fra il 284 e il 305, la società viene gestita tramite nuove forme amministrative, più rigide, e lo stato viene ristrutturato, riformato. Ma questo impero romano del quarto secolo ha in realtà ben poco di romano. La cultura razionale, che i romani avevano appreso dai greci, ha già lasciato spazio a una nuova religiosità, per così dire, fondamentalista. L'imperatore non è più considerato "il migliore fra gli uomini", come volevano i senatori dei primi due secoli, ma il rappresentante e l'emanazione terrena della volontà divina, come vuole il nuovo tempo.
Nel quarto secolo l'impero sembra dunque tornato all'antica forza e splendore. La crisi multilivello è stata superata. La trasformazione è ormai avvenuta. Dal punto di vista militare, un nuovo esercito, diverso da quello legionario, riesce a bloccare le iniziative avversarie, su tutti i confini. Nonostante la ritrovata solidità, però, le tensioni sociali non accennano a diminuire. Fra molte persone l'esigenza di pace e sicurezza è ormai radicata nelle profondità dell'anima: la sicurezza delle istituzioni non basta. La difesa militare è carente. Momentanea. Le richieste di pace e sicurezza vanno oltre la razionalità, diventando assolute. La sola ristrutturazione del governo, dura e severa, non è sufficiente. Così, mentre il vecchio potere degli aristocratici delle città autonome lascia il posto a una monarchica centralizzata, anche la mentalità "antica" non regge più il confronto con quella "nuova". La visione del mondo politeista non garantisce più la tranquillità degli animi e la fiducia nello stato. Avanza il monoteismo, la monarchia, il potere supremo. |
284. La carriera militare viene nettamente separata da quella civile e la gestione dello Stato affidata a un nuovo apparato amministrativo. Per la prima volta nella storia uno stato si occupa del bilancio economico annuale.
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Nel 313 il governo di Costantino volta definitivamente pagina. La cultura classica è ormai "invecchiata": quelli che cercano di rianimarla sono sempre di meno. L'unica idea ad avanzare costantemente è quella di una realtà esterna, potente e determinante. Gli imperatori, come sempre comandanti dell'esercito, ma meno colti e più religiosi, abbandonano il politeismo e si rivolgono a divinità monoteiste. L'impero "restaurato" ha bisogno di una direzione forte e di una struttura interna inossidabile.
La crisi che sembrava prevalentemente militare si è accompagnata a un cambiamento profondo nei sentimenti e nei pensieri dell'uomo. Un cambiamento "spirituale", una lenta mutazione da una mentalità soprattutto razionale a una mentalità eccessivamente religiosa. L'uomo ha fallito nel compito improbo di controllare sé stesso. E così il monoteismo pone dei limiti al libero pensiero. Nel 325 vengono stabiliti i primi dogmi, verità assolute contro cui non è possibile esprimere alcuna opinione contraria.
Molti intellettuali antichi avevano abbandonato la religione, cioè l'idea che la divinità avesse un'influenza determinante sulla natura umana. Avevano cercato di spiegare in termini razionali la religione, come la superstizione, come le potenzialità "segrete" della mente, dell'anima e dello spirito. D'altrocanto i politeisti non avevano mai negato l'unità della sfera divina, nel suo complesso. Ma ora la religiosità torna prepotente e vigorosa, guerriera come lo era stata quella dei greci e dei romani "antichi", prima che la cultura insegnasse loro a guardare la natura con occhi diversi. E ora nella mente di molti uomini un nuovo dio sconfigge tutti gli altri dèi, o demoni, impossessandosi del trono e diventando sovrano assoluto. In base a questa logica il nuovo dio non può che essere molto più potente degli altri dèi e schiacciante sull'uomo. Il governo, quindi, abbandona la vecchia politica religiosa. Gli imperatori si associano con quelli che una volta erano i nemici dei romani, i cristiani, e accettano un nuovo punto di vista sul mondo, radicalmente diverso da quello precedente, "classico". |
312. Le esigenze religiose prendono il sopravvento sulla conduzione politica. Gli imperatori accettano che il cristianesimo sia più diffuso del vecchio politeismo.
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Nel 361 l'imperatore Giuliano mette in opera l'unico isolato tentativo di un monarca di tornare al politeismo. Ma ormai il mondo è cambiato: quasi tutti credono a un solo dio, l'impero ha già ritrovato la solidità che aveva perso nel III secolo, e inoltre i problemi arrivano prevalentemente dal di fuori. Dal punto di vista difensivo Giuliano continua l'opera di Diocleziano e Costantino. Ma la pressione del nemico e la crisi del mondo "antico" sembrano non arrestarsi mai. Quattrocento anni dopo la fondazione dell'impero e duecento dopo le prime avvisaglie del "tramonto", mentre si dibatte ovunque di questioni religiose, gli asiatici unni si affacciano sul continente europeo.
Lo stato aveva ritrovato una certa solidità, l'economia non era florida, ma le istituzioni reggevano. Il mondo, 1500 anni fa, non era ancora totalmente popolato: c'erano ampi territori vergini. E alcune popolazioni in forte espansione, demografica o territoriale. Gli unni arrivano quindi "dal nulla", e compiono numerosi e potenti attacchi. Il loro arrivo è veramente importante nel determinare la caduta di molte regioni imperiali, come quella dei Balcani. Nomadi, e aggressivi come pochi, gli unni spingono tutti i germani verso ovest, provocando l'inizio delle vere e proprie invasioni – le grandi invasioni o "migrazioni di popoli" – che continueranno in Europa per centinaia d'anni. L'impero ormai cristiano perde nuovamente il predominio militare. I popoli germanici, non più in piccoli gruppi, ma tutti insieme, passano il Reno e il Danubio stabilendosi in territorio romano. La gente, già gravata da difficoltà economiche, fugge e non vuole più difendere lo stato. Reclutare nuovi soldati diventa quasi impossibile. Gli eserciti "romani", formati anche da immigrati germanici, vengono sempre più spesso sconfitti.
Dato che i cittadini, "pacifisti" o scoraggiati, cercano di evitare l'arruolamento in tutti i modi, il governo offre uno spazio e un congruo stipendio a quelle etnie straniere che decidono di combattere dalla parte romana. Il gigantesco stato fondato da Roma, però, soffre di un pesante deficit di bilancio e, sfiancato da irruzioni di una portata mai vista, non riesce ad amministrare coerentemente tutto il suo territorio. Da tempo si sta delineando in maniera evidente la divisione dello Stato in due parti, occidentis ed orientis, sempre più autonome. E incredibilmente è quella occidentale ad essere la più povera. Romani, italici, iberici e galli hanno dilapidato i patrimoni accumulati dai loro avi. |
361. Mentre la religione diventa sempre più importante, una nuova migrazione sconvolge l'impero: arrivano gli unni. L'esercito occidentale viene affidato alla direzione dei guerrieri germanici
406. Un pezzo per volta l'impero romano d'occidente si smembra completamente sotto i colpi delle primitive aristocrazie germaniche. L'impero d'oriente resiste a tutti gli attacchi e si prepara alla riconquista.
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L'oriente invece ha una nuova capitale, vicina alle zone di frontiera, Costantinopoli, fondata da Costantino nel 330. Da questa città, sempre più fortificata, i governanti d'oriente resistono a tutti i tentativi di infiltrazione. In occidente, invece, la pressione esterna e la sfiducia nello stato assumono dimensioni talmente tragiche, che tutto l'esercito viene lasciato in gestione a uomini di origine straniera. Un esercito mercenario, sebbene leale, non può che agire in modo ambiguo e contraddittorio.
Teodosio sarà l'ultimo grande sovrano "romano" – di origine iberica – a mantenere con autorevolezza il governo di entrambe le partes. Dopo la sua morte, nel 395, la divisione sarà definitiva. E nel V secolo il "vero" imperatore sarà sempre quello d'oriente. In Italia e in occidente l'imperator perde addirittura il ruolo che l'ha sempre contraddistinto, cioè proprio quello di comandante supremo dell'esercito. L'imperatore, spesso un bambino, e quindi chiaramente in balìa di decisione esterne, si stabilisce a Ravenna. |
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Nel V secolo nessun esercito occidentale riesce più ad arrestare l'invadenza degli stranieri. Germani e asiatici passano il Reno e il Danubio con donne e bambini, occupando effettivamente il territorio imperiale. Il governo, ormai in mano ai soli generali frequentemente di origine germanica, e comunque dipendente dall'oriente, accetta tutti gli insediamenti stranieri su territorio romano. Un po' alla volta l'ex impero occidentale finisce sotto il controllo dei soldati germanici e dei loro capi.
Il potere, che una volta era controllato dalla nobiltà tradizionale, politeista, viene ora gestito da nuovi proprietari terrieri, prevalentemente militari, in associazione con la chiesa monoteista che si occupa degli ex-cittadini romani. Nel corso del tempo i nuovi padroni daranno vita a un'altra classe "nobile" come quella antica. La mentalità invece, per il contadino come per l'intellettuale, risulterà radicalmente e profondamente cambiata. |
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