L'avvio della crisi | ||
L'impero in pericolo 235 - 284
Le legioni romane si fanno battaglia l'un l'altra, favorendo le incursioni di una moltitudine di popoli guerrieri. La sicurezza, la comunicazione e l'economia ne risultano compromesse. L'impero è sull'orlo dell'anarchia. Le province di frontiera, per risolvere la drammatica situazione, cercano di governarsi in modo autonomo.
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In questa pagina Gallieno, sovrano intellettuale 3. La riscossa dei nuovi imperatori
Riassunto |
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Per premunirsi dagli attacchi esterni gli imperatori hanno dato nuovo vigore all'esercito imperiale, concedendo importanti diritti ai soldati e facendo in modo che la vecchia classe sociale dei «cavalieri», dalla quale dipendevano i finanziamenti, raggiungesse i privilegi dei senatori. Sia le associazioni di cittadini che i senatori stanno perdendo il loro tradizionale peso politico, l'impero è in balia del potere militare. Per la conquista del trono le due classi discendenti degli antichi ordini di cavalieri e senatori - ormai esistenti solo sulla carta - si producono in cinquant'anni di guerre, colpi di stato e assassini. Gli antichi avversari, nel frattempo, si sono fatti più energici e meglio organizzati. I popoli germanici attaccano in forze dal nord. I persiani riconquistano violentemente i territori attorno al Tigri e all'Eufrate. Una volta elusa la linea difensiva delle guarnigioni di frontiera, gli invasori hanno tutto il tempo per saccheggiare le città demilitarizzate e poi tornare nelle loro terre, prima che l'esercito imperiale riesca ad organizzarsi per inviare nuovi reggimenti. Così, dal 260 l'impero viene scosso da parziali secessioni politiche, dovute soprattutto alle esigenze difensive. Nello stesso momento si sviluppano epidemie e carestie che fiaccano gli eserciti e la popolazione. Il commercio si arresta e la moneta perde tanto valore che lo Stato non accetta più le sue stesse coniazioni, preferendo la riscossione tributaria in natura. «Cavalieri» e senatori formano un'unica classe privilegiata, mentre il ceto medio di artigiani e piccoli commercianti sta perdendo ogni prerogativa, libertà e tutela giuridica. Con la mancanza di scambio commerciale e culturale, e la diminuzione dell'attività mercantile indipendente, i cittadini a diritti intermedi sono ormai scomparsi. Con la crisi dei senatori che svolgevano attività politica in città, e con la crisi della moneta d'argento utilizzata per gli scambi quotidiani, la vita urbana "classica" va incontro all'oblio. |
I tentativi secessionisti (260-274). Fra assalti nemici e lotte intestine, l'imperatore Gallieno (253-267) non riuscì ad evitare la secessione delle province esterne. Ma in breve tempo l'impero venne riunificato dall'ex-comandante di cavalleria Aureliano (270-275)
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Mentre le vecchie aristocrazie urbane si indeboliscono, la richiesta di opere d'arte cala vertiginosamente. Le guerre infuriano, l'edilizia civile si arresta, la cultura si "provincializza" e si diffonde nei vasti territori imperiali, accogliendo nuovi stimoli che arrivano dall'oriente e anche dalla «Germania». Le istituzioni tradizionali vacillano, l'ostilità all'impero cresce, ma l'estensione della cittadinanza romana a tutti i popoli dell'impero (212) testimonia l'unità raggiunta dalla civiltà "antica" subito prima della "decadenza". Quasi tutti gli intellettuali e gli imperatori nascono e vivono in zone distanti dall'Italia e alcuni di essi non metteranno mai piede a Roma. Il clima "decadente e apocalittico" del III secolo è il terreno ideale per la penetrazione in tutti gli strati sociali di religioni irrazionali che predicano la salvezza dell'anima individuale dopo la morte fisica. Gli imperatori più filo-romani cercano la repressione dei movimenti cristiani antagonisti allo stato. Ma i «cavalieri» che gestiscono il potere al posto dei senatori, meno colti e tradizionalisti, sono più pronti a sperimentare le nuove religioni. Dal 268 in poi gli imperatori non saranno più di "sangue nobile" e neanche esponenti di ricche famiglie "imprenditoriali", ma arriveranno al comando direttamente dagli strati più bassi della popolazione. Paradossalmente questi soldati-imperatori, di «umile» famiglia e derisi dai senatori tradizionalisti, saranno i soli in grado di infliggere gravi sconfitte agli eserciti nemici e a quelli secessionisti. Provenienti dai Balcani, una delle zone più colpite, gli "imperatori illirici" riporteranno l'ordine nell'impero e, presi da uno spirito quasi di tipo missionario, guideranno la struttura statale all'incontro col potere religioso. |
Anarchia Gli anni dal 235 al 284 vengono spesso indicati come quel periodo di anarchia militare in cui molti cambiamenti preludono al tardo impero e addirittura al medioevo. Il periodo sfocerà nel rigido e ventennale governo di Diocleziano (284-305). Da quando sono cessate le conquiste si è verificato un aumento vertiginoso delle tasse, che ha provocato l'impoverimento delle classi medie e lo scontento delle élite.
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1. Il potere in bilico |
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L'organizzazione finanziaria e l'insistenza sulle esigenze dell'esercito volute dalla dinastia orientale di Severo (193-235) sembrano aver posto un tampone alle crescenti preoccupazioni nei confronti di attacchi nemici e di crisi interne. Ma le tasse aumentano, la società si impoverisce, lo scontento è generale. Dopo l'uccisione dell'ultimo Severo, Alessandro (223-235), i militari, divenuti gli unici responsabili dell'elezione al trono, innescano una serie di lotte fratricide all'interno dell'esercito che portano a continui avvicendamenti nella carica imperiale: nei successivi cinquant'anni la durata media del governo sarà di circa tre anni. E tutte le successioni avvengono con la morte violenta del sovrano. Il potere dei senatori è stato definitivamente "limato" dagli imperatori fino all'altezza dell'ordo equestris. Non ci sono più le vecchie barriere di casta e si assiste a una sorta di "democrazia" o meritocrazia militare: dal 212 ogni persona è considerata come un cittadino romano – un'importante vittoria da un generico punto di vista politico e culturale – e ha le stesse identiche possibilltà di far carriera e arrivare alle soglie del potere, attraverso l'esercito. Così tutti gli imperatori del terzo secolo, e anche i successivi, si faranno strada soprattutto dall'ordine dei «cavalieri» e alcuni fra i più grandi partiranno addirittura da famiglie di contadini braccianti, una cosa del tutto impensabile, e mai successa, dalla fondazione di Roma per i successivi dieci secoli, anche sotto la dinastia degli "orientali" Severi e quasi fino al 248, l'anno 1000 ab urbe condita. |
La frontiera europea
Vedi Riassunto |
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L'esercito assorbe le scarse risorse economiche dello Stato e i militari assumono una tale importanza da diventare gli unici arbitri del gioco politico: comandanti venuti dal nulla sono acclamati imperatori dalle legioni e assassinati in men che non si dica dalla fazione avversaria. Le guerre, le carestie e la peste aggravano una situazione già critica, innescando un circolo vizioso di svalutazione irrimediabile. Nel frattempo avvengono numerose incursioni nemiche sul Danubio e in oriente. I nemici dell'impero non si fanno sfuggire l'occasione. I goti compiono vari attacchi nei territori balcanici, devastando soprattuto le campagne e le città prive di mura. Non sono più "germani primitivi", come quelli di una volta, e nell'attuale Ucraina stanno istituendo un vero e proprio Stato governato da un'aristocrazia guerriera. L'esercito dei «barbari» goti, poi, fornisce ai romani un numeroso contingente di mercenari per le spedizioni contro l'impero persiano. Dall'Iran, infatti, i persiani stanno pericolosamente guadagnando terreno in Mesopotamia, Siria e Asia Minore.
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La crisi economica | |||
2. Lo stato si frantuma Dal 235 gli esponenti della vecchia "casta" senatoriale comandano a fatica alcune legioni nel disperato tentativo di riportare Roma, l'Italia e la nobiltà tradizionale alla situazione gloriosa del passato. Ma i senatori hanno perso il prestigio che erano riusciti a conservare nella prima fase imperiale, cioè nel primo e secondo secolo. Lo stato e la cultura antica sono irrimediabilmente destinate alla decadenza. Così la vecchia classe dirigente è sempre più spesso costretta ad accettare i nuovi candidati al trono che, originari delle province di frontiera, sono visti solo come rozzi militari degni discendenti dei loro progenitori "barbari". In cinquant'anni si alternano più di venti imperatori, tutti uccisi in seguito a complotti nati nell'esercito. Fra gli imperatori militari di questi cinquant'anni di "anarchia" (235-284) Valeriano e suo figlio Gallieno occupano un posto del tutto anomalo: innanzi tutto sono di origine senatoriale e poi governano per un lasso di tempo piuttosto lungo. Valeriano (253-260), uno dei pochi senatori romani ancora potenti, dopo aver brigato per anni alle spalle dei militari che ritiene di rango inferiore, ottiene la corona imperiale alla guida delle legioni europee ed elegge il figlio co-imperatore. Ma, dopo sette anni di regno congiunto, impegnati contro attacchi nemici su tutti i fronti, Gallieno (253-268) deve affrontare un avvenimento senza eguali nella storia romana: Valeriano viene catturato in battaglia dai persiani, nel tentativo di rioccupare le città d'Asia Minore, Siria e Mesopotamia che hanno ceduto agli attacchi nemici. Un disonore tremendo per un imperatore romano, e per di più di classe senatoriale. Il momento è così travagliato che le fonti non sono abbastanza chiare per costruire con certezza la cronologia degli avvenimenti. Sembra che la notizia della cattura dell'imperatore, diffondendosi di regione in regione, abbia provocato lo scoppio di varie ribellioni da parte dei governatori provinciali e dei comandanti dell'esercito. Gallieno è costretto a spostarsi da una parte all'altra dell'impero, sedando alcuni tentativi di usurpazione, ma non riuscendo a evitare l'autonomia di governi secessionisti molto importanti. D'altronde la pressione, sia esterna che interna, appare effettivamente insostenibile. Così, il regno siriaco della città di Palmira, alleato con Roma, scaccerà i persiani e cercherà di estendere la sua autorità, oltre che sulla Siria, anche su Asia Minore ed Egitto. Per 14 anni Spagna, Gallia e Britannia avranno un imperatore indipendente. Da poco è stato festeggiato il millesimo anno dalla fondazione di Roma (248) e ora più che mai (dal 260) l'impero appare sull'orlo della disfatta totale. In questo periodo anche la crisi economica, oltre a quella politica, raggiunge il suo picco: i rifornimenti di materie prime sono bloccati, il commercio latita, le banche falliscono, le monete emesse dalle zecche di stato sono di così scarso valore che gli esattori delle tasse non le accettano più come pagamento. Nonostante l'origine nobiliare, l'imperatore – intellettuale e amico di filosofi – considera la stessa classe senatoriale una delle maggiori responsabili del malfunzionamento dello stato. Come pochi nella storia, Gallieno emana leggi contro l'uso del potere militare da parte della classe sociale cui appartiene per nascita. L'imperatore è stato per questo motivo aspramente criticato dagli scrittori tradizionalisti, ma ha dimostrato di riconoscere la realtà dei fatti, frutto di cambiamenti di portata storica. |
Si stima che il volume di attività artistica prodotto nel III secolo si sia più che dimezzato rispetto al secolo precedente. In un periodo di arte "sintetizzante" questo busto di Gallieno (253-268) testimonia il suo anomalo interesse per la scultura "tradizionale" e l'idealizzazione del soggetto.
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Il sovrano istituisce una nuova forza di cavalleria, comandata esclusivamente da militari di mestiere, e non da senatori, con sede unificata a Milano. Sotto Costantino (313-337) i reggimenti di questo tipo costituiranno la riserva strategica, in grado di spostarsi velocemente e colpire il nemico con la forza d'urto dei migliori cavalieri, che, su modello asiatico, saranno protetti da armature pesanti e dotati di lunghe lance. Gallieno, ostile ai senatori, si dimostra tollerante verso tutte le religioni, compreso il cristianesimo. Suo padre, come altri imperatori tradizionalisti, aveva fatto compiere diverse azioni di intensa persecuzione religiosa, col fine di stroncare la crescente potenza della chiesa. Ora l'imperatore, imbevuto di cultura greca, tollerante con tutti, nel periodo di massima crisi economica, inaugura un quarantennio in cui la nuova religione sarà libera di svilupparsi in ogni settore.
L'intellettuale Gallieno mantiene a lungo il trono, considerando lo stato di "anarchia", ma non è in grado di arginare le trame che gli ufficali danubiani e il senato probabilmente tramano alle sue spalle. Dopo la sua uccisione, in effetti, una serie di imperatori cresciuti nei ranghi dell'esercito riesce efficacemente a riconquistare i territori secessionisti e a contenere la pressione dei popoli germanici, dimostrando quanto fosse "debole", ovvero troppo tollerante la politica militare di Gallieno.
La svalutazione della moneta e la depressione economica (193-284) |
SPECIALE
Una delle fonti più controverse. Gallieno (260-268) è visto come debosciato ed effemminato. Invece il suo successore Claudio II (268-270) viene esaltato come Vincitore dei Goti nonché antenato, in realtà poco probabile, di Costantino il Grande (313-337). |
3. La riscossa dei nuovi imperatori Nel III secolo i germani hanno formato dei grandi gruppi, di comune ascendenza, ma dagli interessi separati, fra cui spiccano i goti dell'Europa orientale e le nuove "confederazioni" di franchi e alamanni, che hanno compiuto pericolose incursioni nel territorio romano, saccheggiando città e villaggi, in buona parte privi di mura. Un po' alla volta, però, il pericolo viene ridimensionato e tutti i germani sono obbligati a stilare e soprattutto rispettare i trattati di pace. I "barbari" vengono fermati sia dagli imperatori della Gallia secessionista sia da quelli riconosciuti da Roma, come Claudio II (268-270). Questo imperatore, sebbene abbia governato solo due anni, è rimasto famoso proprio per la sua impresa. È conosciuto con il soprannome di «Gotico» non perché fosse di origine germanica, ma per il titolo che i romani davano spesso in onore delle vittorie militari. Questi gruppi germanici del terzo secolo sono veramente "nuovi" e potenti. Le vecchie tribù di germani, con cui i romani si erano scontrati ai tempi della repubblica, nei primi due secoli a.C, erano piccole, dell'ordine di poche centinaia, o qualche migliaio di persone. I romani infatti le paragonavano a civitas, cioè una quantità di persone adatte a vivere in una città. Così i galli, e i germani sulla sponda ovest del Reno, erano stati insediati da Cesare (100-44 a.C.) in città di tipo romano. Ora queste piccole tribù hanno proliferato e si sono unite, formando grosse popolazioni, con alla guida potenti capi guerrieri. È questa la principale differenza, a livello politico-militare, fra i germani del tardo impero e quelli di Cesare. Durante i tempi del primo impero le tribù "barbare", in Europa e in Africa, si sono moltiplicate e, di conseguenza, i loro soldati sono effettivamente aumentati di numero.
L'esercito romano, in un paese sempre più formato da "tranquilli cittadini", è invece rimasto, in termini quantitativi, grosso modo simile a sé stesso, composto da circa 500.000 unità. A parte il fattore numerico, anche l'esercito romano del terzo secolo ha ben poco a che fare con le legioni "classiche", quelle dei film, composte da legionari armati di gladius, scutum e corazza a fasce metalliche. L'armamento cambia, la spada si fa lunga, lo scudo ovale, la corazza di maglia metallica. Il senso dell'onore e la disciplina militare, tipici degli agguerriti cittadini romani di un tempo, sono un lontano ricordo: romani ed italici hanno esaurito il loro spirito conquistatore "nazionalista" da secoli e non si arruolano più. La tradizione arretra, e i soldati combattono per difendere i propri territori, non per conquistarli.
La quasi totalità degli imperatori proviene da una delle regioni di frontiera più colpite, l'Illyria, situata fra il mar Adriatico e il Danubio, caratterizzata dalla catena montuosa dei Balcani (Haemus in latino). Questi sovrani sono tutti militari professionisti: nessuno è di estrazione senatoriale, alcuni sono entrati solo recentemente nel privilegiato ordine dei «cavalieri», pur essendo la loro famiglia, con orrore degli storici senatoriali, di «origine oscura», cioè non nobile e nemmeno "borghese". Nel frattempo, le città interne si sono apprestate alla costruzione di mura più ampie che comprendano i sobborghi sviluppatisi nei due secoli precedenti, durante la pax romana. |
Mappe Le province illiriche e il Danubio La frontiera orientale (Mesopotamia) Confronta con Il cambiamento religioso e culturale Germani e romani ai ferri corti Riassunto L'agonia del vecchio potere 193-284
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Nel 271 il nuovo sovrano, Aureliano (270-275), un uomo comune, di origine contadina, dà inizio alla costruzione di una nuova e più larga cinta muraria anche a Roma. Anch'egli proveniente dai ranghi militari, Aureliano impone agli eserciti una ferrea disciplina, forse troppo rude, o considerata "d'altri tempi", ma utilissima, insieme all'ennesimo pesante inasprimento della politica fiscale, per riunificare l'impero. L'imperatore porta dunque a termine il difficile compito di arginare le irruzioni germaniche e contemporaneamente sconfiggere i due grossi eserciti "romani" separatisti, meritandosi la riconoscenza delle generazioni future e l'appellativo di «Restauratore del Mondo». Le province che si erano separate sotto il regno di Gallieno (260-268) - esclusa la Britannia - cioè Spagna e Gallia da una parte, la Siria e i suoi dintorni dall'altra, vengono restituite alla giurisdizione romana. Nel decennio successivo gli altri imperatori illirici riescono a mantenere con una certa efficacia l'equilibrio raggiunto, sia rispetto ai propri eserciti, sia rispetto agli stranieri invasori. I territori oltre il Danubio, in Germania e Romania, risultano comunque indifendibili e vengono lasciati ai guerrieri del nord. |
Speciale La battaglia di Aureliano contro Zenobia, la principessa di Palmira che ha tentato di estendere il suo controllo in Siria, Asia Minore ed Egitto. |
In medioriente i popoli greco-romani e quelli arabo-iranici si contendono da secoli la Mesopotamia, la Siria e l'Armenia, finendo per compiere più rapine che prelievi fiscali, e radendo al suolo fisicamente intere città. In quest'epoca di assalti esterni, di repressione governativa, di paura e di insicurezza si stanno diffondendo a tutti i livelli sociali movimenti religiosi e spirituali che si accentrano sulla "salvezza" personale. Anche i culti non cristiani tendono a considerare la divinità in modo univoco. La ricerca della pax deorum è spasmodica e totale. Tutte le divinità in cui ha creduto il mondo antico – dai plurimillenari regni medio-orientali ai "recenti" stati occidentali – sono state interpretate, dall'avanzato tardo politeismo, come coerenti fra loro. Al di là delle differenze fra gli dèi, nei culti si ritrovano i miti antichi e ancestrali degli uomini, che descrivono in termini astratti le potenzialità dell'intelletto. Si sviluppa una sorta di pan-teismo, o "unione di tutti gli dèi" che sono visti come propaggini di un unico retaggio spirituale, comune all'umanità intera. L'unità generale della sfera divina, mai negata, è sempre più spesso considerata "l'unica cosa" realmente importante. Nell'esercito domina il culto del Sole, spesso sotto forma dell'eroico dio persiano Mitra. E Aureliano, devoto della divinità solare, in onore dei successi avuti, cerca di farlo diventare oggetto di culto istituzionale.
"Storia Nuova" di Zosimo. Aureliano contro Zenobia (270-275) Cambio di mentalità. Culti e cultura alla fine dell'antichità |
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