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In questa pagina Galerio, il feroce persecutore 4. Persecuzione e guerra di succesione
Riassunto
L' impero burocratico e religioso 284-360 Dopo la crisi del terzo secolo, la gestione dello stato cambia radicalmente, perdendo molte delle sue caratteristiche "antiche".
Le quattro parti dell'impero
Mappa della frontiera danubiana
Mappa delle province secessioniste (260-274)
Impero unito, impero diviso Dopo Diocleziano (284-305) e fino al 395 l'impero avrà o uno o due governanti. Il potere sarà riunificato da Costantino (313-337), poi dal 350 al 364 e infine per qualche anno, da Teodosio durante gli ultimi tre anni del suo lungo regno (379-395). Prosegui con Costantino e il cambio di rotta
Mappa dell'Illiria e della Dalmazia
Riassunto |
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La riforma dello stato 284 - 312 Dopo cinquant'anni di crisi e secessioni, l'impero viene riunificato e riorganizzato. La gestione del territorio viene affidata a un'amministrazione vasta e ramificata. Per la prima volta nella storia lo stato si occupa del bilancio economico annuale. E intanto la corte imperiale abbandona l'etichetta tradizionale in favore di un cerimoniale di tipo orientale.
La cultura e l'organizzazione più tipicamente romane stanno svanendo: la società non è più divisa nelle tre classi di senatori, cavalieri e plebei. Ora i nobili decaduti, cioè i senatori, assieme ai militari «cavalieri», formano un'unica classe privilegiata, chiamati dalla legge honestiores. Artigiani e piccoli commercianti che si appoggiavano agli scomparsi grandi cavalieri "imprenditori" stanno invece perdendo ogni prerogativa, libertà e tutela giuridica, confluendo nella seconda, bassissima, categoria giuridica, quella degli sfruttati humiliores. Alcune categorie vengono organizzate in corporazioni statali.
Nonostante la dittatura imperiale, nei primi due secoli (27 a.C. - 193 d.C.) l'esercito divideva il potere col senato rappresentante la tradizione romana. L'imperatore era un militare e un senatore. Invece durante i quarant'anni della dinastia di Severo (193-235) e nei successivi cinquanta di "anarchia militare" (235-284) il senato ha perso totalmente qualsiasi diritto e privilegio, diventando una pura formalità. Negli ultimi quindici anni prima del 284 i senatori, discendenti del glorioso senato repubblicano (509-31 a.C.), sono stati esclusi dal comando delle legioni. E gli imperatori, come Claudio II e Aureliano, sono stati eletti esclusivamente fra i generali dell'esercito, acclamati dai soldati, dopo aver eliminato comandanti rivali pretendenti al trono. Nessuno è di classe senatoriale.
Come prima, gli imperatori sono i comandanti supremi dell'esercito. Adesso però non hanno alle spalle famiglie aristocratiche, colte ed educate alla politica che ne garantiscano la preparazione, anche "umanitaria". Ora la carriera dei sovrani è quella dei soldati semplici: spesso provengono da famiglie contadine, hanno fatto solo la scuola elementare e sono aperti a nuovi culti, non romani. |
I "tetrarchi", i quattro imperatori Diocleziano, Galerio, Massimiano e Costanzo (padre di Costantino). Scultura in porfido, fra III e IV secolo d.C. Rappresentazione simbolica di un potere unico suddiviso fra quattro figure identiche e legate fra loro. Attualmente a S.Marco, Venezia. |
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Il peso delle incursioni dei «barbari» è ricaduto sugli imperatori provenienti dall'Illyria, la regione dei Balcani, una delle zone più colpite. Per necessità difensive, al tempo di Gallieno (260-268) l'impero è rimasto momentaneamente suddiviso in tre "sotto-imperi" politicamente autonomi, finché il poderoso imperatore Aureliano, di famiglia humiliores, nato nei Balcani, ex generale e comandante di cavalleria, ha riportato sotto dominio romano tutti i territori secessionisti. In soli cinque anni di regno (270-275) Aureliano ha sconfitto gli abili cavalieri corazzati della Siria, e in Europa gli eserciti separatisti di Gallia e Spagna.
Pochi anni dopo, in un clima di solidificazione e riunificazione, un alto ufficiale dell'esercito, Diocleziano, si fa eleggere imperatore, come i suoi predecessori, dalle truppe danubiane. Pur essendo di umile origine sociale, oltre che buon soldato si dimostrerà anche un abile politico: riuscirà a mantenere il potere per venti anni e metterà in opera una vasta riforma dello Stato, a tutti i livelli, con l'obiettivo di ridare lustro all'impero romano. Da una parte tenta di organizzare più razionalmente lo stato, dividendolo in più distretti amministrativi e controllandolo con un'attenta burocrazia, dall'altra modifica l'etichetta di corte, abbandonando la "semplicità" romana e adottando il lusso orientale, dirigendo sempre più evidentemente il sistema verso una forma di governo teocratico.
In tal modo Diocleziano riuscirà a mantenere unita la struttura imperiale ancora per un secolo. Fra le sue riforme i tentativi di ristabilire le vecchie tradizioni romane, come l'ultima repressione anti-cristiana, otterrano solo fallimenti, invece il nuovo sistema amministrativo burocratico e la nuova politica teocratica resteranno ben saldi nella struttura dei secoli a venire. |
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4. Persecuzione e guerra di succesione Prosegui con |
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1. Il governo a quattro Diocleziano non ha difficoltà a ignorare il fantasma del senato: con decisione unilaterale toglie da Roma, per sempre, la residenza e la corte imperiale. Lo spostamento della capitale, in un mondo senza treni e senza aerei, era abbastanza frequente negli imperi dell'antichità. A Roma invece la classe politica senatoriale aveva conservato una straordinaria coerenza per secoli. Adesso le cose stanno cambiando. L'imperatore si trasferisce a Nicomedia (284-305), vicino a Bisanzio, in Asia Minore, appresso alle zone di guerra. Il senato romano, in parte italico e in parte sovranazionale, è in crisi almeno dai tempi dei Severi (193-235): l'amministrazione dello stato viene ora affidata all'ordine dei «cavalieri», che già stava imponendosi nella prima fase dell'impero. Ora i cavalieri – che prima erano una classe giuridica di secondo livello – sono riusciti a conquistare gli stessi diritti della tradizionale classe aristocratica, in particolar modo quello di comandare gli eserciti, di cui avevano sempre costituito i quadri ufficiali. Prima non gli era permesso di diventare generali e fino al 235 nessuno di loro divenne mai imperatore. Dopo il 235 ci sono stati 25 anni, caratterizzati da frequenti irruzioni germaniche, in cui senatori e cavalieri hanno dato vita a continui ribaltamenti di governo: i soldati si sono schierati per i propri comandanti, gli uni contro gli altri. Infine nel 260 i senatori sono stati del tutto esclusi dalla direzione dei reggimenti e così i cavalieri hanno confermato di essere la nuova classe dominante. Osservatore diretto dell'anarchia militare e delle secessioni, Diocleziano ritiene che un uomo da solo non basti a controllare l'intero territorio romano. Per evitare ulteriori spinte secessioniste e ribellioni interne il comandante danubiano nomina come "co-imperatore" un fidato generale, Massimiano, con competenza sulla parte occidentale. La corte imperiale dell'occidente, per esigenze militari, viene posta a Milano, che fino al 402 sarà una delle varie sedi di governo in prossimità del limes. La difesa e la gestione del territorio vengono ulteriormente ampliate e spartite con l'istituzione della tetrarchia: tutto l'impero viene diviso in quattro grandi parti – le tetrarchie – e ai due imperatori col titolo di augustus, vengono associati due "imperatori giovani", chiamati cesari. Tutta questa divisione avviene esclusivamente per esigenze amministrative: l'unità politica dell'impero non viene messa in dubbio. Nonostante la propaganda, che idealizza l'uguaglianza ideale delle quattro figure sovrane, Diocleziano si riserva il titolo di augustus maximus, resta il vero leader e l'unico tetrarca col potere legislativo. Teoricamente la sua politica si rifà alla legge tradizionale romana: infatti gli imperatori non hanno rapporti di parentela. E per dare ulteriore stabilità allo stato, nel tentativo di evitare guerre dinastiche, il sovrano illirico propone una particolare versione della successione adottiva, tipica dell'impero romano: i due "imperatori giovani" (cesari) si imparentano ai due reggenti anziani sposandone le figlie, e subentreranno ai loro superiori dopo un periodo fisso di venti anni. Divenuti augusti eleggeranno a loro volta due nuovi cesari che saranno loro futuri successori. |
2. Economia e amministrazione controllate Nel 284 il declino della potenza politica ed economica dell'Italia è fin troppo evidente: il senato ha già perso il suo peso politico e Roma non sarà mai più la capitale reale dell'Impero Romano. Gli studiosi hanno dimostrato che la crisi demografica ed economica del III secolo fu reale. Non si è trattato di una interpretazione deformata dal senso di "decadenza": la società romana sta assistendo, inerme, all'impoverimento generale, allo scivolamento delle classi sociali verso il basso, alla diminuzione della forza lavoro. Le riserve di argento non hanno più valore, l'oro circolante è pochissimo. Gli strati più umili della popolazione trovano conforto solo nell'organizzazione ecclesiastica, che fra tolleranza e persecuzioni, si è solidificatta nel secolo della crisi. La classe media, sia di mercanti sia di agricoltori, non ha più rappresentanti politici e sta diluendosi progressivamente. La ricchezza, considerata come proprietà delle terre, è nelle mani degli honestiores ("benestanti"), una delle due classi censitaria, cui appartengono sia i nuovi «cavalieri» arrichiti, sia i vecchi senatori, ormai privi di potere politico, ostili allo Stato e restii a pagare le tasse. Diocleziano cerca di rimediare alla mancanza di fondi statali riorganizzando la raccolta delle imposte. Vengono calcolati i reali fabbisogni dell'esercito e la reale distribuzione della "ricchezza". Dato il crollo monetario del terzo secolo, la "ricchezza" viene calcolata principalmente sulle risorse fisiche a disposizione dei grossi contribuenti: viene eseguita la somma di tutte le terre e di tutti i lavoratori dislocati nelle province imperiali. Inoltre i compiti amministrativi vengono spartiti fra più funzionari e divisi completamente da quelli militari. Auemnta, anzi raddoppia il numero di governatori di provincia, e di funzionari internmedi. Per dirigere il sistema Diocleziano potenzia anche l'apparato burocratico centralizzato, cui aveva fatto ricorso la dinastia di Severo (193-235). Per tradizione l'impero romano era stato diretto da un'unica classe politica – quella senatoriale – i cui esponenti erano contemporaneamente generali dell'esercito e giudici civili. Militari e civili assieme. Nel primo e secondo secolo il potere è stato diviso fra senatori e militari-cavalieri. Ma gli imperatori del terzo secolo hanno estromesso del tutto i senatori dalle fonti di potere, basandosi esclusivamente sull'esercito. Ciò ha comportato un'enorme squilibrio, portando lo Stato sull'orlo del disfacimento. Ora Diocleziano fa un passo indietro. Non nel senso che ridà potere ai senatori, ma che lo divide fra militari e civili. Ad esempio toglie ai soldati il diritto di raccogliere le tasse direttamente dai terreni dei possidenti, diritto affidato loro dai Severi (193-235), ma che era stato imposto con troppa violenza durante i passati cinquant'anni. Un tempo, i nobili – sia quelli del Senato romano, sia quelli dei consigli locali – si occupavano della gestione e dell'abbellimento delle varie città, che praticamente erano in loro potere. Ma ora, come detto, il potere politico è nelle mani dei militari e dell'imperatore, che vuol far pagare le tasse anche ai ricchi senatori, che prima non le pagavano. La riscossione però viene affidata alle stesse aristocrazie locali. Un po' come succedeva prima. Solo che ora i senatori non hanno più poteri di polizia. Anzi, la legge prescrive che, se i consigli cittadini locali – in cui si riuniscono i senatori – non riescono a recuperare nella propria regione quello che lo Stato ha calcolato, devono metterlo di tasca propria. Tale compito è obbligatorio e non remunerato, come se non ci fossero stati quei cambiamenti che hanno portato alla "decadenza" della vecchia aristocrazia e all'accentramento dei poteri nelle mani dell'imperatore. Durante la sua costruzione, l'impero di Roma aveva lasciato la direzione locale praticamente in mano alle aristocrazie del posto. Ma ora la situazione è ben diversa. Molte famiglie di nobili, un tempo ricche, sono totalmente decadute. Per di più lo Stato ha un bilancio dettagliatissimo e fa delle richieste precise ed esigenti. Con la sua politica di attento controllo fiscale, l'attivo riformatore dalmata riesce, probabilmente, a ottenere una raccolta delle tasse più uniforme, ma contribuisce alla crescita dell'ostilità all'azione dello Stato, e al conseguente abbandono dei doveri civici da parte dei potentanti economici in favore di un rifugio in campagna. Il progetto economico di Diocleziano
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Da quando sono cessate le conquiste si è verificato un aumento vertiginoso delle tasse, che ha provocato l'impoverimento della popolazione e lo scontento delle élite.
La chiesa incontra lo stato (260-360) Nei periodi di tolleranza fra gli episodi di persecuzione, la chiesa ha raccolto le adesioni della popolazione e degli intellettuali. Ora la nuova religione è diffusa anche negli ambienti dirigenziali e nelle fila dell'esercito. Lo scontro finale è alle porte.
Mappa dell'Illiria e della Dalmazia
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3. L'incarnazione del divino Già da tempo le religioni orientali, fra cui è compreso il cristianesimo, stanno conquistando la popolazione imperiale. I senatori di Roma restano politeisti, ma anche gli imperatori, provenienti da tutto il mondo fuorché dall'Italia, sono senpre più attratti dall'oriente. Dopo la parentesi di Eliogabalo (218-222), decisamente in anticipo sui tempi, l'imperatore Aureliano (270-275) è riuscito a ufficializzare un culto monoteistico orientale. Si trattava del culto militare di Mitra, un eroe persiano identificato col dio Sole, e incarnato sulla Terra dalla stessa figura dell'imperatore. In un ambiente sconvolto da continue guerre, che perde fiducia nei valori di una volta, in cui i governanti sono espressione della mutevole volontà delle soldatesche, anche Diocleziano cerca di coniugare le tradizioni di Roma con quelle orientali. Incrementa il ruolo della sua figura come agente del divino. Come detto nel capitolo precedente, la ricerca della pax deorum è in questo secolo spasmodica e totale. Tutte le divinità in cui ha creduto il mondo antico – dai plurimillenari regni medio-orientali ai più "recenti" stati occidentali – sono ora interpretate come coerenti fra loro. Al di là delle differenze fra i singoli dèi, l'unità generale della sfera divina, mai negata, viene sempre più considerata come l'unica cosa importante. Quindi, sebbene effettivamente politeista, e nonostante i riferimenti a Ercole e Giove, il sovrano balcanico diventa ciò che i greco-romani "classici" hanno sempre visto con disprezzo: un vero e proprio monarca assoluto, all'orientale, una persona lontana, misteriosa, circondata dalla corte e inavvicinabile, se non attraverso un deferente inchino. Infatti ormai, anche se in generale viene rinnovata l'importanza della tradizione giuridica, tipicamente latina, gli antichi valori civili di un rappresentante politico super-partes vengono accantonati per sempre. È finita ufficialmente l'epoca in cui il princeps rappresentava e armonizzava le parti politiche. Quella di Augusto (27 a.C-14 d.C.) era una formula di compromesso ipocrita, ma basata sulla realtà dei fatti: il princeps, al governo del mondo romano, veniva considerato un uomo in mezzo agli uomini, dotato di quel genio o di quella fortuna che lo facevano "migliore" rispetto agli altri. Il culto dell'imperatore svolgeva un ruolo "politico". Si trattava di un culto di tipo classico: nonostante le pretese di alcuni imperatores che si ritenevano in grado di rivaleggiare con le divinità, il princeps romano poteva essere considerato divino (divus) solamente dopo la morte. Veniva "divinizzato" e non adorato: l'adesione al culto era una specie di giuramento, un atto simbolico di sottomissione al governo imperiale. Anzi, lo stesso culto imperiale, "poco romano", era stato adottato proprio perché la pratica di "divinizzazione" era molto diffusa, da secoli, in Egitto, in Siria e nell'oriente in generale. Dopo aver raggiunto una pace duratura tramite la guerra, ed essersi imposto come un luogo di "benessere", l'impero del III secolo va incontro a numerose altre guerre, sia interne che esterne. Ma i tempi sono cambiati. I romani non sono più bellicosi come una volta. L'esercito diventa internazionale, professionale e mercenario; l'economia si sfalda; la gente si impoverisce; l'alienazione, l'angoscia e la paura aumentano. Non trovando più pace e sicurezza grazie allo Stato e non trovandola nemmeno in sé stesso, il cittadino della tarda romanità si rivolge sempre più spesso all'al di là, a una "sicurezza" che vada oltre la ragione umana. Dato che la realtà attuale "dimostra" che la vita porta solo violenza, guerre, repressioni e che quando c'è pace, poi ci saranno ancora repressioni, guerre e violenza, l'uomo spera che, almeno dopo la morte, ci sia quella giustizia che non c'è sulla terra. Per rispondere a queste esigenze di salvezza religiosa Diocleziano pretende di essere considerato un vero e proprio essere superiore, un dominus, signore e padrone del mondo. E per questo adotta lo stile sfarzoso delle corti orientali. Se gli uomini "migliori" a Roma si vestivano con un abito semplice e comodo che mostrava la loro appartenenza a questa realtà, da secoli i sovrani orientali ostentano la loro "superiore divinità" attraverso i vestiti più eleganti e le decorazioni più lussuose. |
Confronta Cambio di mentalità: religione e cultura alla fine dell'antichità
Il tentativo di salvare l'impero
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I due più grandi imperatori balcanici, Diocleziano e Costantino (313-337), si trovano lungo un percorso storico che porterà a concepire l'autorità del sovrano come ispirata e garantita esclusivamente da un principio di natura spirituale, esterno e ineffabile, infinitamente superiore alla natura umana. In questi due uomini, però, in un'epoca di trapasso, è ancora forte la componente di cultura "antica", una cultura in cui la "divinità" non era poi così lontana dall'umanità e, una volta arrivati al vertice del potere, essi iniziano a mostrarsi non dei servitori di una potenza superiore, ma come "divini" essi stessi. Diocleziano si considera il rappresentante di una generica tendenza divina il cui aspetto preminente, come insegna la cultura greca, è soprattutto la razionalità. Costantino invece si troverà un passo oltre, verso l'assoluto: indeciso fra vecchi e nuovi dèi, ma tendente al monoteismo, apparirà come una sorta di nuovo messia, divulgatore e servitore di una divinità suprema non bene identificata. Cambiamenti di cultura e religione
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La religione al governo Dopo Diocleziano (284-305) Costantino (313-337) farà ulteriori passi verso la teocrazia.Teodosio (379-395), sottomettendo il suo potere terreno a quello spirituale dei vescovi, sancirà la vittoria dell'assolutismo celeste. Prosegui con Costantino e il cambio di rotta
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4. La persecuzione e il fallimento della successione Dopo i pericoli del terzo secolo, gli eserciti imperiali dell'anno 1043 ab urbe condita (300 d.C.), guidati dai vice-imperatori Costanzo e Galerio, riescono a riguadagnare qualche posizione sulle due frontiere calde, in Britannia e Mesopotamia. Nel 305 avviene un fatto assai inconsueto in tutta la storia dell'umanità: come predisposto dalla pratica tetrarchica Diocleziano decreta la sua abdicazione e quella del suo collega reggente, elevando al rango di augusti gli ex-cesari Costanzo (305-306) e Galerio (305-311). Ben presto però il sistema di successione elaborato dal grande riformatore illirico si rivelerà troppo artificioso. Diocleziano stesso aveva scelto i suoi colleghi ed era stato in grado anche di controllarli. Tre anni dopo il suo ritiro scoppierà, invece, la guerra civile fra i vari "colleghi" imperiali. Gli scontri fra i nuovi pretendenti al trono, divenuti sei anziché quattro, dureranno sette anni e sfoceranno nella nuova dinastia ereditaria inaugurata da Costantino (312-337), il figlio dell'ex-cesare ed ex-augusto Costanzo (305-306). Costanzo era stato scelto da Diocleziano stesso. Costantino no. Il fatto è che la guerra si intreccia fin da subito con una grande persecuzione di cristiani, che i tradizionalisti Diocleziano e Galerio hanno promosso due anni prima di abdicare. Ma la popolazione romana non osteggia più come un tempo gli adepti, ormai diffusissimi, della nuova religione: semmai, al contrario, si cerca assieme di aiutare e nascondere amici e parenti cristiani. Inoltre l'organizzazione sacerdotale cristiana, la Chiesa, ha avuto a disposizione un quarantennio in cui si è potuta sviluppare liberamente e la sua dottrina ha raggiunto ogni strato della società, compresi i militari. Costanzo e Costantino simpatizzano da anni per i cristiani, per la forte organizzazione di cui dispongono e per il loro potente Dio unico, tanto simile alla divinità solare adorata nell'esercito. Così i civili cristiani appoggiano il nuovo pretendente e si arruolano anche nelle sue truppe. E quando Costantino vincerà la guerra, nel 312, porterà alla vittoria anche la nuova religione. |
Galerio (305-311). Feroce persecutore di cristiani, ha emesso un editto di tolleranza poco prima di morire.
La chiesa incontra lo stato (260-360)
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L'impero in pericolo |