terzo secolo
193 - 284 |
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L'agonia del vecchio potere e la crisi del terzo secolo A partire dal 193 Settimio Severo, un ex generale dell'esercito di origine nord-africana, inizia a togliere il comando di reggimenti e distretti amministrativi – ossia di legioni e province – ai senatori. La vecchia aristocrazia, con la politica e la cultura latina classica, inizia a scricchiolare sotto il peso delle nuove forze. Il "primo impero" e il "mondo antico" entrano apertamente in una fase critica di trasformazione irreversibile. Innanzi tutto le frontiere sono in ebollizione da almeno vent'anni; l'esercito, finanziato dai pochi capitalisti («cavalieri») di allora assume un'importanza mai avuta nella gestione del potere. E sul fronte culturale-spirituale le nuove religioni del vicino e medio oriente, mistiche o irrazionali, conquistano sempre più adepti. Dopo "l'epoca d'oro" (il secondo secolo), in cui si è avuto un lungo periodo di pace e sicurezza, i germani sono riusciti a sfondare, con pericolosi assalti, la frontiera del limes. Le vecchie torri di pietra e i muri di legno, lungo tutto il corso del Reno e del Danubio, non sono più sufficienti. I vecchi dèi e la fiducia nelle possibilità dell'uomo sono fortemente in bilico. |
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Durante tutto il terzo secolo le minacce esterne si intensificano ulteriormente, e l'unità dello stato viene seriamente minacciata dagli assalti in arrivo da nord, da sud e da est. Le bande germaniche sono più bellicose, più grandi e meglio organizzate che in precedenza. Sulla frontiera orientale, Armenia-Mesopotamia-Siria, continua l'eterna pressione dell'antagonista impero persiano, il quale sta attraversando un periodo di duro rinnovamento militare. Per fronteggiare la situazione il nuovo corso della politica imperiale concede dunque poteri straordinari all'esercito. Le truppe romane, però, si dimostrano inefficaci. Anzi, ora che grazie alle leggi hanno ricevuto diritti e privilegi prima negati, si fanno battaglia l'un l'altra cercando di eleggere il proprio comandante. I generali aristocratici come quelli venuti su nell'esercito non riescono più ad imporre la tipica disciplina romana. Tutta la popolazione viene travolta da cruente lotte per il potere. Gli imperatori vengono assassinati e uccisi con una frequenza mai vista, quasi uno all'anno, facilitando inaspettatamente le razzie del nemico. L'impero viene travolto da guerre di vasta portata: le città e le campagne risultano depredate, la povertà dilaga, le comunicazioni si interrompono e il commercio si arresta. Per pagare i soldati, sempre più necessari ma anche esigenti, i governi non trovano altro rimedio che alzare le tasse, gravando su tutte le classi sociali. L'inflazione e la disoccupazione sono ormai lanciate verso una crescita esponenziale. La cultura ufficiale subisce una profonda rottura e ci ha lasciato meno resoconti scritti, sia rispetto al secolo precedente, che a quello sucessivo. |
Approfondimenti Germani e romani ai ferri corti
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Fra città e campagne devastate, fra guerre e morti, fra povertà e indigenza, si sviluppano anche violente epidemie di colera o di peste. La popolazione, inoltre, rischia la vita anche a causa delle frequenti carestie. Come "ciliegina sulla torta", i terreni vengono abbandonati e diventano malsani, innescando un fenomeno di reazione a catena che conduce a un declino inarrestabile dell'economia. Tale declino, facilitato da guerre che inferiscono sui campi, si protrarrà addirittura per cinquecento anni. Nei secoli precedenti i romani avevano diboscato e bonficato. Ora la selva e le paludi riguadagnano posizioni sui campi coltivati. E tutte le misure di rilancio economico falliranno miseramente, e non faranno altro che confermare la situazione senza riuscire a migliorarla, fino appunto al nono secolo. L'impero tocca il vertice della crisi a metà del terzo secolo, 45 anni dopo la morte di Severo. L'imperatore Valeriano viene catturato in battaglia dai persiani, cosa mai successa in precedenza, e come conseguenza i generali dell'esercito, da più parti, si inventano imperatores o duces. Il loro potere è tale che riescono ad amministrare i vari territori in modo autonomo da Roma. Nello stesso momento si verifica un crack monetario e lo stato riscuote le tasse in beni naturali. In breve tutto l'esercito e tutto l'impero finiscono nelle mani del primo soldato che riesca a mantenere un po' d'ordine fra le truppe sbandate, e nel contempo arginare le incursioni nemiche. Valeriano è stato l'ultimo baluardo del Senato. Per i due secoli successivi alla fondazione dell'impero, la vecchia aristocrazia era riuscita a mantenere il ruolo di prestigio che aveva nella Roma antica, quando il potere era gestito in modo collegiale. E toccherà proprio al figlio di Valeriano sancire la fine ufficiale del periodo antico. Nonostante l'origine nobile è infatti Gallieno a destituire totalmente i senatori da ogni comando militare. Il loro potere era in crisi da almeno un secolo, e ora l'imperatore rimane l'unico onnipotente capo di stato. |
Approfondimenti
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Nel III secolo, dunque, i senatori perdono qualsiasi ruolo militare. E anche le tradizioni belliche più tipicamente latine sono totalmente in crisi: la politica militare diventa difensiva, lo stato, le istituzioni e i valori subiscono una profonda trasformazione. Non ci sono più i romani bellicosi della repubblica (509-31 a.C.): molta gente comune rifugge dall'arruolamento e si affida sempre più volentieri a protettori locali o a nuove forme di religiosità. Fra guerre, soprusi e violenze senza fine, il pensiero dell'uomo si sofferma sulla possibile permanenza del proprio spirito individuale nell'al-di-là, piuttosto che sull'indagine razionale della realtà attuale. E anche fra i credenti non cristiani si diffonde la fiducia nella sostanziale unità della sfera divina.
Dopo la cattura di Valeriano nel 260, l'impero di Gallieno si era diviso per 14 anni in tre sotto-imperi. Dopo il culmine della crisi politico-economica, alla fine del terzo secolo, i territori «romanizzati» vengono riunificati solo grazie alle capacità militari di imperatori originari dei Balcani, nella regione che i romani chiamano Illyria, una delle più colpite dagli assalti dei germanici goti e dei cavalieri asiatici. Gli imperatori illirici come Claudio II e Aureliano sono esattamente l'opposto di quelli "classici". Questi sovrani provenengono dai più bassi ranghi dell'esercito, addirittura reclutati fra semplici contadini. A differenza dei "classici" non sono italici o iberici, sono poco istruiti, per niente "nobili" e spesso attratti da culti monoteisti. Non "antichi", quindi, ma "tardo antichi", dotati di ottime capacità militari, spirito d'iniziativa e una salda fiducia nelle potenzialità dello stato, sono gli unici che riescano a impedire il collasso dell'impero. |
Prima del declino: l'impero "classico"
193. Gli attacchi di nuove pericolose popolazioni esterne costringono l'esercito imperiale sulla difensiva. La vecchia aristocrazia viene esautorata dalla direzione del governo, e lo stato viene affidato a un'amministrazione militare. 235. Le legioni romane si fanno battaglia l'un l'altra, favorendo gli attacchi delle potenze esterne. La sicurezza, la comunicazione e l'economia ne risultano compromesse. L'impero rischia di diversi in tre. Ma alla fine viene "restituito" a nuova vita. Cronologia (in questa finestra) |
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