Mutazione di potere 193-476


Prima del declino


Istituzioni e mentalità

dalla res pubblica all'imperium

 

Glossario

Cronologia

Atlante

In questa pagina

La conquista dell'impero

Nobili cittadini dell'impero

"L'epoca d'oro"

Il rapporto col senato

Fra dèi e guerre

 

La conquista dell'impero 

Roma ha costruito strade, ponti, acquedotti e città scintillanti dove prima c'erano solo "miseri villaggi". Le sue conquiste militari hanno portato secoli di strazianti guerre non solo per le popolazioni "barbare" del nord, ma anche per le civiltà orientali, di nascita e cultura ancora più antiche. Poi, attorno all'anno zero, la creazione dell'impero ha assicurato un po' di calma fra le popolazioni esauste per i continui spargimenti di sangue. Da quel momento, in nome di Roma intesa come civiltà, si è verificato un fenomeno di fusione culturale fra le varie etnie, soprattutto per gli abitanti delle civitas, i veri e propri cittadini romani, mentre le popolazioni contadine sono rimaste più legate alle loro vecchie tradizioni.

 

Passati i turbolenti secoli delle conquiste repubblicane, le città del mondo antico, controllate - ma neanche troppo - dalla polizia militare (cohortes urbane), hanno goduto di un lungo periodo di pace e sviluppo che ha portato al proliferare dei commerci, della cultura e di un generale senso di "benessere" (almeno per i primi cives). Nel I e II secolo finalmente i contingenti dell'esercito sono stati diminuiti dagli imperatori e dislocati nelle zone più pericolose, in prossimità dei confini. Per 150 anni le città lontane dalle frontiere sono rimaste demilitarizzate. Nuovi quartieri sono sorti fuori dalle vecchie e inutili mura cittadine. 

 

Nobili «cittadini» dell'impero 

 

I popoli del Mediterraneo e dell'Europa, caduti dapprima sotto il giogo di Roma, si sono poi goduti duecento anni di sviluppo continuo. Grosso modo l'impero ha perpetrato la tradizione greco-romana, assegnando alla politica, cittadina e aristocratica, il compito di unificare le diverse tradizioni dei popoli e mediare fra le diverse esigenze dei potenti. Nei primi tempi essere "cittadini romani" significava essere ricchi proprietari terrieri con residenza in città, cioè essere "nobili per nascita", amanti dell'educazione o cultura, proprietari della "cosa pubblica", amministrata nelle città, luogo di scambio commerciale, politico e culturale.

 

La cultura delle classi aristocratiche era quella di privilegiare i "migliori": i più "meritevoli" perciò ottenevano la «cittadinanza romana». Col passare del tempo, molto schematicamente, i "migliori nobili" delle province entravano a far parte della classe senatoriale romana, le altre classi nobili locali e i grandi commercianti entravano nell'ordo equestris («cavalieri»). Oltre ai grandi ricchi anche le persone comuni potevano essere premiate col riconoscimento di diritti più vasti rispetto a quelli dei contadini. Ad esempio quei sudditi che si arruolavano per vent'anni nell'esercito, alle dipendenze di Roma, diventavano semplici «cittadini romani», ottennendo comunque graditi privilegi giuridici.   

 

Roma ha lasciato il potere in mano alle aristocratizie urbane, proprietarie dei terreni, e ha trascurato le attività "industriali" ed economiche, che dagli "arcaici" senatori romani erano considerate espressioni di "classi moralmente subalterne". Durante i primi due secoli dell'impero regnò una generale pace interna. Ma il "progresso" e il "benessere" non furono generalizzati. I contadini rappresentanti il 70-80% della popolazione non fecero alcun passo in avanti nello status sociale, anzi sempre più spesso venivano espropriati dei propri terreni e costretti a vivere di sussidi statali (diventando "proletari" o "plebe urbana"). Ottennero però un beneficio contingente, dato che non furono più soggetti a violente e improvvise guerre, che andavano avanti da secoli, e che portavano frequentemente carestie ed epidemie. Inoltre l'istituzione e la presenza di un'unica struttura sociale hanno diffuso la formidabile cultura greca in tutte le terre abitate. 

Confronta

L'economia trascurata

La militarizzazione

La crisi della città

La mutazione di potere

Cambiamenti di cultura e religione

I nemici dell'impero

 

 

Dopo la formazione dell'impero, la struttura di potere restò quella "antica", delle città-stato, considerate autonome e indipendenti. Roma spediva un governatore (legatus), ma i gruppi aristocratici locali mantenevano, più o meno, il potere nelle loro regioni, raccoglievano le tasse e le trasferivano a Roma. In ogni città si formava una curia locale, un piccolo senato. E i curiales erano i ricchi del posto. Il governo romano, soprattutto per quanto riguarda il senato, si sforzava di intervenire militarmente solo in casi "di necessità". In seguito all'assunzione del potere militare da parte di Roma, però, le altre città furono private della possibilità di muovere guerra alle loro vicine, cioè di uno dei principali motivi per cui tutti i cittadini si interessavano di politica. Così l'impero, pur volendo essere una sorta di "confederazione" fra città, provocò invece, per la sua stessa formazione, l'indebolimento delle singole città aristocratiche e dell'interesse politico della popolazione urbana. 

 

"L'epoca d'oro"

Nei primi due secoli dopo Cristo, man mano che l'impero si estende e si consolida, in numero sempre più alto gli uomini vengono considerati giuridicamente cittadini liberi, invece che sudditi stranieri (peregrini). Man mano che vengono estesi i diritti giuridici, la nobiltà dei paesi sottomessi (province) entra a far parte della classe dirigente "romana". Inizialmente gli imperatori erano ovviamente italici. Poi anche iberici e un po' alla volta tutte le regioni del Vecchio Mondo parteciperanno alla conduzione politica. Come abbiamo visto, le singole città perdono importanza a favore del potere centrale. Ma la classe dirigente, come la popolazione nel complesso, tende ad unificarsi.

 

Nonostante la presenza di rigide distinzioni di ceto sociale (ordines) e della stessa schiavitù, a livello etico-morale si sviluppa l'idea che ogni persona sia di pari dignità e valore (humanitas). Non è raro che gli schiavi, sempre più spesso affrancati, facciano carriera come funzionari, banchieri, insegnanti o vescovi. Nell'epoca "d'oro" dell'impero il 10-20% della popolazione era composta da schiavi, e vi era sicuramente una forte repressione del dissenso, ma d'altraparte era possibile e ricercato lo scambio di merci ed idee, fino in estremo oriente, in una situazione di generale assenza di guerre, prolificazione e sviluppo culturale. 

 

L'impero era nato dalle rivolte degli eserciti contro la vecchia classe dirigente senatoriale, la quale alla fine era riuscita a mantenere la sua autorità, tramite il riconoscimento della sua più alta assemblea, il senato della res pubblica. Gli imperatori romani hanno sempre faticato a mantenere il ruolo che il senato aristocratico più avrebbe gradito, cioè quello di "primo cittadino", teoricamente al di sopra delle parti politiche. Ma nel corso del II secolo il ruolo di "buon imperatore" è stato degnamente coperto soprattutto da tre sovrani "umanisti": Adriano (117-138), Antonino detto il Pio (138-161) e Marco Aurelio (161-180). Questi uomini erano i comandanti supremi dell'esercito mondiale, e contemporaneamente erano anche filosofi, attenti alle esigenze culturali e spirituali della popolazione. 

I nemici dell'impero

La mutazione di potere

Cambiamenti di cultura e religione

L'economia trascurata

L'inizio della crisi (193-235)

 

La militarizzazione

La crisi della città

 

 

Il rapporto col senato 

Durante il "primo impero", cioè nei primi due secoli di vita del gigantesco status sovranazionale, l'elezione del sovrano, spesso solamente indicato dal suo predecessore, doveva essere gradita sia al senato sia alla guardia imperiale (formata dai 5000 pretorianes). Prima della fondazione dell'impero il senato, per secoli, era riuscito a tenere i «cavalieri» – colonnelli, consiglieri cittadini, mercanti, ecc. in una posizione giuridica subalterna. L'impero è stato fondato proprio in seguito alla rivolta di questi cittadini ricchi, spesso considerati come i "borghesi" dell'Ottocento, che sostenevano i diritti della "seconda classe", contro il "vecchio" potere del senato. Giulio Cesare (100-44 a.C.) fu assassinato prima di poter realizzare una nuova forma di governo, probabilmente uno stato "rivoluzionario" monarchico, e così Ottaviano detto Augusto (63 a.C.-14 d.C.) ideò un compromesso con la nobiltà, creando uno stato simile a una monarchia parlamentare. Dal punto di vista dei senatori il dominio imperium di Roma restava una res pubblica. Imperator, poi, era il nome del "generale supremo" dell'esercito, ed essendo i senatori fieri oppositori secolari di rex e monarchie, il capo del nuovo stato venne chiamato princeps cioè "presidente" (del senato) o "primo cittadino".  

 

I nuovi imperatori potevano essere scelti dal predecessore, ma dovevano appartenere all'ordine senatoriale. Augusto aveva dato vita a un "doppio potere" (diarchia) fra imperatore e senato: questi due "poli" si spartivano la scelta dei governatori di provincia e dei comandanti dell'esercito, che dovevano essere, in teoria, aristocratici. Al sovrano però era concesso di nominare alcuni uomini di fiducia, in genere appartenenti comunque a famiglie ricche, anche se non nobili, ovvero a famiglie di «cavalieri» e non di senatori. In ogni caso l'imperator, sia che fosse un senatore di nobile famiglia, sia che fosse un «cavaliere» recentemente "promosso" a senatore, restava l'unico e indiscusso "capo supremo" dell'esercito. La sua potenza effettiva si basava, più che sui senatori latifondisti, sui soldati, che erano professionisti alle sue dirette dipendenze. Così, da sempre, per i compiti più importanti o più delicati gli imperatori hanno scelto prevalentemente militari di mestiere o uomini di fiducia. Lentamente, e a fasi alterne, i poteri del senato sono stati "limati" a favore dei «cavalieri». Marco Aurelio (161-180) ha lasciato il trono a suo figlio Commodo (180-192) e non si sa se il senato avesse gradito o meno. Subito dopo, sotto i Severi (193-235), si abbandona definitivamente la fase del principato o diarchia fra imperatore e senato.

Fra dèi e guerre

Nei primi due secoli dopo Cristo l'impero aveva tentato di condurre una "politica razionale". D'altro canto anche la ricerca di qualche "super-uomo" non era mancata. Il culto della personalità e la ricerca di idoli, ideologie e santi-protettori è una costante in tutta la storia della civiltà. Agli occhi della popolazione, per le loro grandi imprese militari, già Giulio Cesare (100-44 a.C.) e suo figlio adottivo, il fondatore dell'impero Ottaviano detto Augusto (27 a.C.-14 d.C.), erano sembrati delle specie di dèi in Terra. A quei tempi il concetto di dio era, per così dire, più terra-terra, più "primitivo" rispetto all'elevato concetto monoteista. Non era così strano come lo sarebbe per noi se i più grandi personaggi politici si ritenevano simili alle divinità.

 

Alcuni imperatori, nel primo secolo, si erano fatti adorare (lo stesso Ottaviano aveva imposto il culto dell'imperatore), oppure si erano comportati da sovrani assoluti o dominatori spietati. Ma, tutto sommato, l'impero di Roma è riuscito a portare avanti la tradizione occidentale mediterrannea, costruendo - sull'esempio dei Greci - una sorta di confederazione di città indipendenti, con governo aristocratico locale, piuttosto che un dominio personale, "feudale" o monarchico, considerato come una degenerazione del potere, "all'orientale". 

 

Sebbene alcuni critici, scontenti, o sottomessi dalla politica imperiale ci fossero e ne criticassero l'esistenza o i metodi, la maggior parte della popolazione credeva - e voleva credere - che Roma sarebbe rimasta eterna. In tutta la storia conosciuta non si era mai visto uno stato così grande e forte. Ma a partire dal 166, quasi all'improvviso, una serie di attacchi esterni ha minato severamente l'ottimismo imperiale. Nuove tribù germaniche, agguerrite e meglio organizzate rispetto al passato, stanno mettendo seriamente in allarme i vertici, e le popolazioni, dell'impero. 

 

Negli anni e nei decenni successivi le incursioni nemiche non accennano a diminuire e le difficoltà dell'esercito - ora sulla difensiva - vengono messe palesemente in rilievo. Le esigenze dei soldati e dei loro comandanti finiscono al centro dell'attenzione generale: gli imperatori convogliano tutte le risorse economiche nell'organizzazione e nella gestione della difesa. Il sistema romano nel suo complesso mostrerà un'enorme fragilità: la crisi sarà generale, travolgerà tutto e tutti, trasformando le istituzioni politiche e religiose per i secoli dei secoli.

 

I nemici dell'impero

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L'economia trascurata

Cambiamenti di cultura e religione

L'inizio della crisi (193-235)

 

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