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I generosi prodotti dell’agricoltura sorrentina, dalle
noci alle arance, passando per i
limoni ed il famoso olio d’oliva,
hanno da tempo raggiunto una notorietà che supera i confini nazionali.
Uguale sorte non è toccata ai vini della penisola, che pure hanno rivestito un
ruolo fondamentale nel panorama agricolo sorrentino, almeno fino agli anni
Cinquanta del secolo scorso.
Ciò è in parte dovuto alla bassa gradazione alcolica del vino della costiera e a
tecniche di produzione non sempre rispettose dei processi di fermentazione e di
stagionatura.
Eppure
il vino in
Penisola Sorrentina ha una storia
antichissima, se si pensa che già Plinio e Marziale nei loro scritti ricordano
la fabbricazione di speciali anfore costruite per contenere il nettare di Bacco.
In particolare,due sono i vitigni che hanno caratterizzato nei secoli la
produzione vinicola della Penisola Sorrentina: il San Nicola che lega il suo
nome a un vino dal gusto amabile e dal bouquet molto delicato, riscontrabile
solo sul territorio delle coste sorrentine e amalfitane; l’altro tipo di uva
è la, sanginella riconoscibile da acini duri, grandi e ovali dal gusto
particolarmente gradevole. Questi due vitigni originari, nell’ottica della
trasformazione delle colture, stanno scomparendo per dare luogo a nuove vigne
impiantate col sistema delle barbatelle già innestate che garantiscono una
produzione migliore rispetto ai tipici "maglioni" innestati col
tralcio di San Nicola o Sanguinella.
Tuttavia un vitigno autoctono, coltivato nelle zone collinari di
Vico Equense, ha le potenzialità giuste per essere
annoverato tra i migliori vini campani: si tratta del vino “di sabato” (“e sapt”
nel dialetto locale). I casali di Seiano, Montechiaro ed Arola, rappresentano il
centro di produzione delle uve da cui si ricava questo prezioso nettare molto
simile, per sentore e corposità, al più noto Aglianico.
Il vino di sabato ha origini antichissime. Con molta probabilità, questo vitigno
fu introdotto nella penisola sorrentina dai Greci, a cui si farebbero risalire
l’edificazione di alcuni terrazzamenti presenti tra i comuni di
Meta e Vico Equense, presso
la località di Alberi.
Più tardi i Romani si servirono delle uve di sabato nel processo di produzione
del Falerno, il vino campano celebrato dai poeti dell’antichità classica,
presente tanto ai banchetti degli imperatori, quanto nelle provviste che
seguivano gli eserciti ed i generali durante le grandi imprese espansionistiche
dell’Impero.
Nei tempi a noi più
vicini, e fino a qualche decennio fa, quest’uva veniva adoperata per trasformare
i vini bianchi, prodotti nelle campagne di Sorrento e
Massa Lubrense in rossi, secondo una prassi
molto discutibile. Solo negli ultimi anni il vitigno di sabato, coltivato su
pochi ettari, sta gradualmente assumendo la dignità che merita nel panorama
vinicolo campano.
Esso ha una resa massima per ettaro di 10 quintali. I grappoli presentano una
grandezza media, più o meno compatti, con acino sferoide, buccia spessa e polpa
succosa.
La raccolta avviene tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre. Il
processo di vinificazione è ancora, in gran parte, quello tradizionale.
L’uva viene pigiata in un locale (palmento), con la pavimentazione lasciata
grezza ed in leggera discesa.
In questo modo si favorisce il deflusso dell’uva pigiata verso un tubo,
costituito spesso da un tronco di castagno, che immette in un vano sottostante (cellaio),
dove si trovano le botti di vino.
Il prodotto che si ottiene è un vino secco, robusto, dal sentore intenso, che si
accompagna ai piatti a base di carne ed ai formaggi locali, come il
Provolone del Monaco, realizzati nei numerosi
caseifici delle colline vicane e dei Monti Lattari.
Tra i bianchi della Costiera Sorrentina un posto di rilievo meritano
l’Episcopio Ravello, di colore paglierino chiaro, dal profumo delicato,sapore
fresco e retrogusto amarognolo, il Tramonti di Apicella, prodotto con uve
biancolella e falanghina, dal profumo particolarmente delicato, e il Furore,
accompagnato da un profumo di ginestra e dal sapore asciutto. Tra i rossi
l’Episcopio Ravello, dal colore rosso rubino intenso, si presta in modo
particolare per accompagnare arrosti, mentre il Furore, molto simile nel colore,
lega molto bene con carni bianche ed insaccati.
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