Oltre se stessi
Il martirio è quel donarsi senza riserve in soccorso dei bisognosi, oltre le proprie forze.
Ha messoo la propria esistenza a disposizione di Cristo e dei fratelli.
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Martirio
San Vincenzo insegnava che accanto al martirio della fede, in odio ad essa, e a causa di Cristo e del suo Vangelo, emerge chiaramente l'idea del "martirio della carità", associato a chi si consuma e offre la vita per l'evangelizzazione o per il servizio dei poveri e dei malati.
L'accettazione del martirio è gesto sublime di "perfezione della carità".
L'essenza del martirio è la sequela di Cristo vissuta fino all'apice, donando a lui la vita, come anch'egli ha fatto.
Pertanto, mettere la propria vita a disposizione di Cristo e dei fratelli nel servizio gratuito e totalmente disponibile in una carità senza riserve è un donare la vita per i poveri e per Cristo, accettando di consumarsi pienamente e in maniera testimoniante.
È un martirio nascosto e sublime.
In diverse occasioni sottolinea l'idea del martirio della carità, come quando, parlando di una Figlia della Carità, suor Maria Giuseppina, morta a Etampes servendo i malati, pur essendo lei stessa malata, la definisce «martire della carità».
In un'altra occasione il santo, a proposito di padre Luigi Robiche, morto trentenne, esprime la convinzione che non abbia bisogno di suffragi perché «la voce del popolo lo chiama beato, e perché è morto in qualche modo martire, avendo esposto la propria vita ed avendola perduta lavorando per amore di Gesù Cristo, per la salute corporale e spirituale dei poveri malati» (SV II, p.444).
Le stesse considerazioni san Vincenzo ebbe nei confronti dei missionari di Genova che si erano offerti per la cura dei malati di peste e che avevano ceduto la loro casa per ricoverare gli appestati.
San Vincenzo così descrive la situazione: «Le fatiche del trasloco sono state pesanti, non avendo avuto che sette giorni di tempo per farlo.
Eppure, grazie a Dio, stanno soffrendo nel modo giusto, anzi beati loro che soffrono per il bene pubblico! Il loro è un soffrire per il bene di tutti: per Dio prima di tutto e poi per gli altri.
Vedete, fratelli miei, dobbiamo essere disposti, anzi desiderare di soffrire per Dio e per il prossimo, di consumarci per questo.
Quanto sono fortunati coloro a cui Dio concede tali disposizioni e tale desiderio! Sì, fratelli, dobbiamo essere tutti di Dio e al servizio di tutti; dobbiamo darci a Dio per questo, consumarci per questo, dare la nostra vita per questo, spogliarci, per modo di dire, per rivestirci di questo; almeno desiderare di essere in tale disposizione, se non vi siamo già; essere disposti ad andare e venire dove a Dio piacerà, sia nelle Indie che altrove; insomma mettere volentieri a repentaglio se stessi per il servizio del prossimo e dilatare il regno di Gesù Cristo nelle anime.
Ed anch'io, vecchio come sono, devo avere la medesima disposizione in me, persino di partire per le Indie, per conquistarvi anime a Dio, anche se dovessi morire per via o sulla nave.
Che cosa credete che Dio esiga da noi? Il corpo? Eh! Niente affatto.
E che cosa dunque? Dio chiede la nostra buona volontà, una buona e autentica disposizione di approfittare di tutte le occasioni per servirlo anche con il pericolo della vita; di avere e conservare in noi questo desiderio del martirio che qualche volta Dio gradisce come se lo avessimo effettivamente sofferto»
(SV X, pp. 319-320).
Con accenti commossi Vincenzo ricorderà i missionari partiti, a più riprese, per il Madagascar e la Barberia, che si erano spesi fino in fondo: «Dio voglia, cari padri e fratelli miei, ché tutti coloro che chiedono di essere ammessi nella Compagnia vengano con il pensiero del martirio, con il desiderio di soffrire il martirio e di consacrarsi interamente al servizio di Dio, sia nei paesi lontani, sia qui, in qualunque luogo piacerà a Dio i servi della nostra povera Compagnia!» (SV X, p. 296).