NonoBepi - agosto 2000

Nonobepi, su gentile concessione dell'autore, amico Osvaldo Noro.
Rende omaggio al poeta, cultore del nostro dialetto, al solo scopo
di divulgare quanto fatto e senza nessun scopo di lucro.


FEDRO - osvaldo noro
40 favole liberamente elaborate
nel dialetto dell'Alpago

INTRODUZIONE
Della vita di Fedro, favolista latino vissuto nel I secolo dopo Cristo, conosciamo quel poco che egli stesso ci dice nella sua opera. Di origine servile, greco probabilmente della Macedonia, giunse a Roma come schiavo di Augusto, venne educato nelle lettere greche e latine e quindi afrrancato (il favolista, infatti, è detto "libertus Augusti). Governando Tiberio, subì le persecuzioni di Seiano, potente ministro dell’imperatore, che gli intentò un processo per presunte allusioni presenti nelle sue favole, giudicate critiche all’operare del ministro ed irriguardose nei suoi confronti. Nel prologo del suo terzo libro di favole, Fedro così scrive all’amico Eutico: ". . . ho amato cose che mi rovinarono. Ma se fossero altri i miei accusatori e non Seiano, Se altri fossero il teste ed altri il giudice accetterei il mio male di buon grado . . .. . ma chi, sospettoso, equivocasse ed attribuisse a sé quelli che sono i valori comuni, universali, stoltamente metterà a nudo il suo animo . . . ". Primo favolista della letteratura latina, Fedro risale alle favole greche allora correnti sotto il nome di Esèpo, trasponendole in versi giambici ed in un latino corretto, secondo le linee letterarie dell’età augustea, ma già con alcuni caratteri che preludevano all’età successiva. I racconti delle sue favole, nelle quali operano nella maggior parte dei casi animali in vesti di facili allegorie, nascono generalmente da una reazione popolare in cui vengono rivendicati i diritti dei poveri, degli umili e dei deboli nei confronti dei potenti. Nello stesso prologo al terzo libro, così Fedro dà ragione della sua opera: " . . . ti dirò pure (Eutico) come questo genere di poesia, l'apologo, ebbe origine. La schiavitù, che è suddita da sempre, aveva da parlare ma non osava, e riversè tutta la sua anima in brevi favole, scherzando su un sottile equivoco: il sentiero indicato da Esòpo . . . " ln questo senso, l'opera di Fedro appare anche fortemente autobiografica, pervista da una carica di personale sofferenza per i torti e per le umiliazioni subite, ma anche forte mente espressiva di una sua fiera reazione a giustificare ilsuo lavoro. Aggiunge, infatti: " . . . in ogni caso non voglio scagionarmi: non è mia intenzione prendermela con le persone singole, ma svelare i caratteri, la vita. Si potrà dire che l'impegno è serio. Ma se hanno potuto Esòpo che era frigio, o lo scita Anacarsi, diventare etemi con il loro ingegno, dovrò io, che nacqui in Grecia, madre delle lettere, oziare nelle mollezze ed invidiare alla mia patria una gloria? . . . Invidia, lontana da me. Vano il tuo compianto. Ecco, una gloria unica mi attende . . . Be', intanto tu mi leggi. Giudica, allora con cuore schietto . . . ". Nell'antichità circolavano cinque libri delle favole di Fedro. Ad esse, attorno al XVIIl secolo, vennero aggiunte altre trenta storie scoperte dall'umanista Niccolò Perotto (Appendix Perottina). A completare l'opera del favolista, in edizioni recenti è stata aggiunta un'altra trentina di storie, generalmente riconosciute come Parafrasi Medioevali. In tutte, umano ed animalesco si fondono. Gli attori appaiono, più che animali, ombre deformate di uomini reali ed attivi, con tutte le loro debolezze e gelosie, cattiverie e malizie, modestia, umiltâ ed arrivismo, in un insieme di immagini semplici ed incisive, specchio fedele della realtà di vita di quei tempi. Nel prologo al suo primo libro, cosi Fedro scrive: ". . Responsabile è Esòpo: è roba sua. Io l'ho imitata con i miei senari. Una doppia virtù possiede questo libretto, che fa ridere, e che è sapiente, utile alla vita. Se poi qualcuno volesse cavillare perché qui parlano ed agiscono alberi e non solo animali e bestie feroci, si ricordi che questo mio è un semplice gioco di fantasia, di poesia . . . ". E nel prologo al secondo libro aggiunge’:. . . L’arte di Esòpo è tutta negli esempi. Questi leggeri apologhi vogliono solo guarire l’errore degli uomini e farlo diventare acume, metodo operoso . . . Qualunque, poi, sia il tipo di scrittura, purché interessi e sia fedele allo scopo prefisso, esso vale per sé e non certo per la firma . . . Se vi farà degli intarsi qua e là, anche perché la varietà è gustosa, vorrei che tu, lettore, lo prendessi così com’è e che potessi godere e mi fossi grato per la scorrevolezza di questi versi . . .". Infine, per poter gustare appieno la forma espressiva e lo spirito delle sue favole, sempre rivolto ad Eutico, così l’autore scrive nel prologo al terzo libro: " . . . Poiché desideri leggere i libretti di Fedro, Eutico, devi riposarti dagli affari; che la tua mente, la tua anima siano libere dai pensieri e dalle preoccupazioni per poter capire l’essenza dei versi . . . ". E nel libro quarto aggiunge: . . . I miei sembrano svaghi. Si, giochi lievi fin che non ho di più che questa penna. Ma osserva attentamente le mie "favole" e . . . quante cose utili troverai in esse. Non sempre la realtà è come appare. L’esteriorità inganna molti. E' raro saper penetrare, cogliere quanto è stato nascosto nell’angolo segreto . . . ". Fedro visse, presumibilmente, fino al regno di Claudio. Fra tutte le favole dei cinque libri attribuiti a Fedro, le Parafrasi Medioevali e le varie imitazioni operate nel corso dei secoli, ne ho scelto quaranta, sicuramente fra le più note, e le ho rielaborate nel vernacolo locale (il dialetto usato è quello dell’Alpago, anche se per taluni termini sussistono differenziazioni talvolta notevoli fra paese e paese). Mi sono concesso un "libero" sfogo alla fantasia espositiva, pur cefcando di non intaccare lo spirito delle favole originarie e quella morale che, se anche ai nostri tempi può non piacere, è tuttavia pervasa da un certo attuale realismo. Principale motivazione per la scelta della parlata (e scrittura) dialettale è stato il desiderio di "recuperare" termini, espressioni, modi di dire tipici della vallata, anche se ormai molti di essi sono in disuso od addirittura scomparsi, adattandoli nella gfaûa alla vocalizzazione originale. Ho cercato, poi, di "verificare" quale ricchezza lessicale e quanta duttilità possa avere la parlata in vernacolo. Ho "goduto" infine, in prima persona, con la speranza di far provare ad altri le mie stesse emozioni quella musicalità che il versificare in vernacolo, sulla scia di tempi e di usi ormai lontani, sa offrire ancor oggi a chi, pur vivendo in un contesto sociale assai diverso, non intende rinunciare alle radici culturali di questa terra.

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