AMICI DI BERTRAND RUSSELL


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SOCIETA'

articolo del 12 gennaio 2014

POESIOLA ANTI-CONSUMISTICA di ROBERTO VACCA

L'eccessiva pubblicità che ci ha invaso nel periodo delle feste - ancor
peggio che di solito - mi ha richiamato alla mente una poesiola di Ogden
Nash [cercatelo: era considerato un poeta umoristico - scriveva sul New
Yorker - ma alcuni pezzi suoi sono profondi, divertenti, illuminanti] degli
anni Quaranta. Ho cominciato a tradurla liberamente e alcuni benevoli amici
hanno detto che non era male. Così ho continuato e ve la allego.

Esprime in certa misura uno stato d'animo un po' misantropico e, ovviamente,
non è affatto vero che io rifiuti Google ed e-mail.
È vero, invece, che apprezzo poco tante raffinatezze (gastronomiche,
cosmetiche, etc.) di cui altri parlano parecchio. [quando avevo 25 anni
scoprii che, invece delle creme e schiume da barba, si ottiene lo stesso
risultato con la schiuma di una buona saponetta. Lo dissi al mio maestro, il
matematico Wolf Gross, e lui minimizzò: "Lo so da anni. Ho anche scoperto
che mi posso lavare i calzini tenendoli addosso quando faccio la doccia."
Ci ascoltò il programmatore Ceccarini - un amico - e commentò: "Senti questi
cervelloni di che cavolate parlano!"].

Forse ci vuole ogni tanto un pezzo più leggero

Tenetevi forte per il 2014

Best
Roberto


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articolo del 29 ottobre 2013


LA LEGGE DEL PIU’ FORTE

Franco De Rossi

Alcuni anni fa ho letto un interessante opuscolo riletto in questi giorni. Il titolo di questo breve saggio è “La legge del più forte”, sottotitolo “E’ la legge che impone il ricco, affinché lui possa vincere e il povero sia sempre perdente”. Gli autori sono: Carlo Govoni e Luigi Bergami.

La tesi di questo saggio è che il popolo subisce da secoli ogni tipo di angherie e ingiustizie dai ceti dominanti. Tesi che non si può certo smentire. Purtroppo, a mio giudizio, il libro non approfondisce a sufficienza un problema fondamentale: l’arretratezza politica, culturale e psicologica di una parte considerevole del popolo. Basti un solo esempio. Sondaggi recenti ci dicono che l’85% delle donne pensionate e casalinghe sopra i 50 anni voterebbe ancora per il partito di Berlusconi.

Bertrand Russell ha scritto su “Il potere” (cito a memoria) che la più grande rivoluzione per arrivare alla vera uguaglianza si farà sui banchi di scuola. Perciò una svolta epocale si farà soltanto quando non si cambieranno solo le cose, ma anche le teste per capirle. E’ quindi inevitabile che se non si eleveranno politicamente e culturalmente le masse il mondo sarà sempre governato dai poteri forti e dai demagoghi. Questo è il problema dei problemi. Se non verrà risolto il popolo sarà sempre dominato da chi ha molti soldi per comprare mercenari poveri da mettere contro altri poveri. Questa storia si ripete da millenni. E quando non bastano i soldi arrivano i demagoghi che fanno leva sui peggiori impulsi degli esseri umani (vedi il razzismo) o sulle illusioni infantili delle masse.

Scrive Matteo Nucci su “Il Venerdì” di Repubblica del 04/10/2013 pag. 40: “Oggi i nazisti greci volano nei sondaggi su percentuali attorno al 15 per cento, terza forza indiscussa del Paese, calamita di ogni malcontento verso i politici, la democrazia, l’immigrazione, l’Europa e addirittura la Germania, originaria ispiratrice del credo nazista, prima di essere estromessa dall’immaginario con l’astuzia dei propagandisti che non rischiano certo sul dilagante odio verso i tedeschi”.
Moltissimi militanti nazisti greci (e italiani e di altri paesi europei) non appartengono certo alla ricca borghesia ma provengono dal proletariato.

Chi desidera approfondire l’argomento consiglio il recente libro del giornalista greco Dimitri Deliolanes “ALBADORATA” - Fandango Editore 2013.



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articolo del 03 marzo 2013

LA SCUOLA CATTOLICA NON E’ NE’ PRIVATA NE’ LIBERA
Mario Alighiero Manacorda

le parole hanno tradito il vero significato come nel caso della polemica sulla scuola confessionale, che non è né libera né privata.linguaggio comune alla scuola statale si oppone la scuola privata o libera il cui motto, non per niente, è già dall’ottocento “libertà della scuola”. Dalle statistiche e dalla battaglia politica risulta che questa scuola è di fatto la scuola cattolica. C’è forse bisogno di dire che questa scuola tutto è meno che privata e libera? ? E’ una scuola affiliata alla “Federazione Istituti Dipendenti dalla Autorità Ecclesiastica”, dipende cioè, dalla Santa Sede, un potere che per la Costituzione italiana è sul territorio stesso della nostra Repubblica, “indipendente e sovrano” (si ricordi che, in base ai Patti Lateranensi del 1929, la Santa Sede ha una duplice natura: di Stato col quale si è firmato un trattato, e di Chiesa, con la quale si è firmato un Concordato. scuola “privata” cattolica è in realtà la scuola statale di un altro Stato. Libera? E’ sottoposta alle norme del nuovo Codice di diritto Canonico del 1903, il quale stabilisce che deve fondarsi sui principi della dottrina cattolica (Can. 809), e che i suoi docenti, qualora non “eccellono” per integrità di dottrina, siano rimossi dall’incarico” (Can. 810), come di fatto è accaduto a molti, ultimo dei quali il prof. Vallauri., lungi dall’essere libera, questa scuola è tenuta a una dottrina ed è tale che, sul territorio della nostra Repubblica Italiana dichiarare “pari” alla propria scuola, fondata sulla libertà di insegnamento, una scuola dogmatica che nega questa libertà? può, sebbene la Costituzione all’articolo 33,3 riconosca a enti e privati, il diritto di istituire una loro scuola, purchè “senza oneri per lo Stato”, sovvenzionare la scuola di un altro Stato? Come può consentire che sul suo territorio vigano due diverse legislazioni? Misteri della politica, e ancora più grave se pensiamo che tutto ciò è stato fatto da un governo di centro-sinistra, e tollerato dalla Corte Costituzionale.ò forse consolare il fatto che un governo di centro-sinistra avrebbe fatto (o tentato di fare) peggio?

Scritto dal Prof. Mario Alighiero Manacorda per la Guida alla Giornata per la rifondazione della LIAC, Lega Italiana per l’Abolizione del Concordato.
Treviso, 13.10.2001



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articolo del 09 aprile 2012


Abolire province o prefetture? Di Roberto Vacca, 6 Aprile 2012

Il Governo riduce il bilancio delle prefetture di mezzo miliardo. Ridurrà un po’ il deficit. Nessuno dice, però, quanto costino all’anno i prefetti. Si può risparmiare ben di più. Si è parlato di abolire le province che hanno funzioni concrete: istruzione, cultura, turismo, trasporti, viabilità, territorio, protezione dell’ambiente, sviluppo economico. Se le aboliamo, altri vicarieranno le loro funzioni. Il risparmio sarà illusorio: consisterà in controllo di qualità e innalzamento dell’efficienza. di cui c’è sempre bisogno. Indago in rete sul costo annuo di province e prefetture. [l’Annuario ISTAT non lo cita].. I numeri non sono univoci: ci sono: spese impegnate, di competenza, residui. Grosso modo le prefetture costano circa 9 miliardi, ma fanno cose utili. Le prefetture costano 6 miliardi, ma non hanno funzioni utili. A parte sprechi lussuosi, i prefetti servono solo a frenare ed estendere in periferia il potere centrale. Hanno anche effetti peggiori: 68 anni fa li descrisse duramente Luigi Einaudi. Fu il più rivoluzionario Presidente che abbia avuto la nostra Repubblica. Non teneva tanto nemmeno alle province. Scrisse queste parole – in Svizzera, quando l’Italia era sotto i tedeschi:

Via il prefetto! di Luigi Einaudi, Gazzetta ticinese 17/7/1944, (firmato Junius)
Proporre, in Italia ed in qualche altro paese di Europa, di abolire il "prefetto" sembra stravaganza degna di manicomio. Istituzione veneranda, venuta a noi dalla notte dei tempi, il prefetto è quasi sinonimo di governo e, lui scomparso, sembra non esistere più nulla. Chi comanda e chi esegue fuor dalla capitale? Come opera l'amministrazione pubblica? In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. Gli antichi governi erano, prima della rivoluzione francese, assoluti solo di nome, e di fatto vincolati d'ogni parte, dai senati e dalle camere dei conti o magistrati camerali, gelosissimi del loro potere di rifiutare la registrazione degli editti regii, che, se non registrati, non contavano nulla, dai corpi locali privilegiati, auto-eletti per cooptazione dei membri in carica, dai patti antichi di infeudazione, di dedizione e di annessione, dalle consuetudini immemorabili. Gli stati italiani governavano entro i limiti posti dalle "libertà" locali, territoriali e professionali. Spesso "le libertà" municipali e regionali erano "privilegi" di ceti, di nobili, di corporazioni artigiane ed erano dannose all'universale. Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse, continuando l'opera iniziata dai Borboni, le libertà locali; e Napoleone, dittatore all'interno, amante dell'ordine, sospettoso, come tutti i tiranni, di ogni forza indipendente, spirituale o temporale, perfezionò l'opera. I governi restaurati trovarono comodo di non restaurare, se non di nome, gli antichi corpi limitatori e conservarono il prefetto napoleonico. L'Italia nuova, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi ex-stati in un corpo unico, immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema prefettizio anche a quelle parti d'Italia, come le province ex-austriache, nelle quali la lue erasi infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si foggiò lo strumento della dittatura.
Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in Italia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finche esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto.
Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei paesi a governo accentrato del tipo napoleonico. Gli uomini di stato anglo-sassoni, i quali invitano i popoli europei a scegliersi la forma di governo da essi preferita, trasportano inconsciamente parole e pensieri propri dei loro paesi a paesi nei quali le medesime parole hanno un significato del tutto diverso. Forse i soli europei del continente, i quali sentendo quelle parole le intendono nel loro significato vero sono, insieme con gli scandinavi, gli svizzeri; e questi non hanno nulla da imparare, perché quelle parole sentono profondamente da sette secoli. Essi sanno che la democrazia comincia dal comune, che è cosa dei cittadini, i quali non solo eleggono i loro consiglieri e sindaci o presidenti o borgomastri, ma da se, senza intervento e tutela e comando di gente posta fuori del comune od a questo sovrapposta, se lo amministrano, se lo mandano in malora o lo fanno prosperare. L'auto-governo continua nel cantone, il quale è un vero stato, il quale da sè si fa le sue leggi, se le vota nel suo parlamento e le applica. Il governo federale, a sua volta, per le cose di sua competenza, ha un parlamento per deliberare le leggi sue proprie ed un consiglio federale per applicarle ed amministrarle. E tutti questi consessi ed i 25 cantoni e mezzi cantoni e la confederazione hanno così numerosissimi legislatori e centinaia di ministri, grossi e piccoli, tutti eletti, ognuno dei quali attende alle cose proprie, senza vedersi mai tra i piedi il prefetto, ossia la longa manus del ministro o governo più grosso, il quale insegni od ordini il modo di sbrigare le faccende proprie dei ministri più piccoli. Cosi pure si usa governare in Inghilterra, con altre formule di parrocchie, borghi, città, contee, regni e principati; cosi si fa negli Stati Uniti, nelle federazioni canadese, sudafricana, australiana e nella Nuova Zelanda. Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la gente sbriga da se le proprie faccende locali (che negli Stati Uniti si dicono anche statali), senza attendere il la od il permesso dal governo centrale. Cosi si forma una classe politica numerosa, scelta per via di vagli ripetuti. Non è certo che il vaglio funzioni sempre a perfezione; ma prima di arrivare ad essere consigliere federale o nazionale in Svizzera, o di essere senatore o rappresentante nel congresso nord americano, bisogna essersi fatto conoscere per cariche coperte nei cantoni o negli stati; ed essersi guadagnato una qualche fama di esperto ed onesto amministratore. La classe politica non si forma da sé, ne è creata dal fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso; per scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali delega la amministrazione delle cose locali piccole; e poi via via quelle delle cose nazionali od inter-statali più grosse. La classe politica non si forma tuttavia se l'eletto ad amministrare le cose municipali o provinciali o regionali non è pienamente responsabile per l'opera propria. Se qualcuno ha il potere di dare a lui ordini o di annullare il suo operato, l'eletto non è responsabile e non impara ad amministrare. Impara ad ubbidire, ad intrigare, a raccomandare, a cercare appoggio. Dove non esiste il governo di se stessi e delle cose proprie, in che consiste la democrazia?
Finche esisterà in Italia il prefetto, la deliberazione e l'attuazione non spetteranno al consiglio municipale ed al sindaco, al consiglio provinciale ed al presidente; ma sempre e soltanto al governo centrale, a Roma; o, per parlar più concretamente, al ministro dell'interno. Costui è il vero padrone della vita amministrativa e politica dell'intero stato. Attraverso i suoi organi distaccati, le prefetture, il governo centrale approva o non approva i bilanci comunali e provinciali, ordina l'iscrizione di spese di cui i cittadini farebbero a meno, cancella altre spese, ritarda l'approvazione ed intralcia il funzionamento dei corpi locali. Chi governa localmente di fatto non è né il sindaco né il consiglio comunale o provinciale; ma il segretario municipale o provinciale. Non a caso egli è stato oramai attruppato tra i funzionari statali. Parve un sopruso della dittatura ed era la logica necessaria deduzione del sistema centralistico. Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i moduli i quali quotidianamente, attraverso le prefetture, arrivano a fasci da Roma per ordinare il modo di governare ogni più piccola faccenda locale? Se talun cittadino si informa del modo di sbrigare una pratica dipendente da una legge nuova, la risposta è: non sono ancora arrivate le istruzioni, non è ancora compilato il regolamento; lo si aspetta di giorno in giorno. A nessuno viene in mente del ministero, l'idea semplice che l'eletto locale ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge, salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data? Che cosa fu e che cosa tornerà ad essere l'eletto del popolo in uno stato burocratico accentrato? Non un legislatore, non un amministratore; ma un tale, il cui merito principale e di essere bene introdotto nei capoluoghi di provincia presso prefetti, consiglieri e segretari di prefettura, provveditori agli studi, intendenti di finanza, ed a Roma, presso i ministri, sotto-segretari di stato e, meglio e più, perché di fatto più potenti, presso direttori generali, capi-divisione, segretari, vice-segretari ed uscieri dei ministeri. Il malvezzo di non muovere la " pratica " senza una spinta, una raccomandazione non è recente né ha origine dal fascismo. E' antico ed è proprio del sistema. Come quel ministro francese, guardando l'orologio, diceva: a quest'ora, nella terza classe di tutti i licei di Francia, i professori spiegano la tal pagina di Cicerone; così si può dire di tutti gli ordini di scuole italiane. Pubbliche o private, elementari o medie od universitarie, tutto dipende da Roma: ordinamento, orari, tasse, nomine degli insegnanti, degli impiegati di segreteria, dei portieri e dei bidelli, ammissioni degli studenti, libri di testo, ordine degli esami, materie insegnate. I fascisti concessero per scherno l'autonomia alle università; ma era logico che nel sistema accentrato le università fossero, come subito ridiventarono, una branca ordinaria dell'amministrazione pubblica; ed era logico che prima del 1922 i deputati elevassero querele contro quelle che essi imprudentemente chiamarono le camorre dei professori di università, i quali erano riusciti, in mezzo secolo di sforzi perseveranti e di costumi anti-accentratori a poco a poco originati dal loro spirito di corpo, a togliere ai ministri ogni potere di scegliere e di trasferire gli insegnanti universitari e quindi ogni possibilità ai deputati di raccomandare e promuovere intriganti politici a cattedre. Agli occhi di un deputato uscito dal suffragio universale ed investito di una frazione della sovranità popolare, ogni resistenza di corpi autonomi, di enti locali, di sindaci decisi a far valere la volontà dei loro amministrati appariva camorra, sopruso o privilegio. La tirannia del centro, la onnipotenza del ministero, attraverso ai prefetti, si converte nella tirannia degli eletti al parlamento. Essi sanno di essere i ministri del domani, sanno che chi di loro diventerà ministro dell'interno, disporrà della leva di comando del paese; sanno che nessun presidente del consiglio può rinunciare ad essere ministro dell'interno se non vuol correre il pericolo di vedere "farsi" le elezioni contro di lui dal collega al quale egli abbia avuto la dabbenaggine di abbandonare quel ministero, il quale dispone delle prefetture, delle questure e dei carabinieri; il quale comanda a centinaia di migliaia di funzionari piccoli e grossi, ed attraverso concessioni di sussidi, autorizzazioni di spese, favori di ogni specie adesca e minaccia sindaci, consiglieri, presidenti di opere pie e di enti morali. A volta a volta servo e tiranno dei funzionari che egli ha contribuito a far nominare con le sue raccomandazioni e dalla cui condiscendenza dipende l'esito delle pratiche dei suoi elettori, il deputato diventa un galoppino, il cui tempo più che dai lavori parlamentari è assorbito dalle corse per i ministeri e dallo scrivere lettere di raccomandazione per il sollecito disbrigo delle pratiche dei suoi elettori.
Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è: Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. Il prefetto napoleonico se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde. Per fortuna, di fatto oggi in Italia l'amministrazione centralizzata è scomparsa. Ha dimostrato di essere il nulla; uno strumento privo di vita propria, del quale il primo avventuriero capitato a buon tiro poteva impadronirsi per manovrarlo a suo piacimento. Non accadrà alcun male, se non ricostruiremo la macchina oramai guasta e marcia. L'unita del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane. L'unita del paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani, i quali imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. La vera costituente non si ha in una elezione plebiscitaria, a fin di guerra. Così si creano o si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata e faccia da questa e dai comitati eleggere a costituente. Chi vuole che gli italiani governino se stessi, faccia invece subito eleggere i consigli municipali, unico corpo rimasto in vita, almeno come aspirazione profondamente sentita da tutti i cittadini; e dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare. Non si tema che i malversatori del denaro pubblico non paghino il fio, quando non possano scaricare su altri, sulla autorità tutoria, sul governo la colpa delle proprie malefatte. La classe politica si forma cosi: col provare e riprovare, attraverso a fallimenti ed a successi. Sia che si conservi la provincia; sia che invece la si abolisca, perché ente artificioso, antistorico ed anti-economico e la si costituisca da parte con il distretto o collegio o vicinanza, unita più piccola, raggruppata attorno alla cittadina, al grosso borgo di mercato, dove convengono naturalmente per i loro interessi ed affari gli abitanti dei comuni dei dintorni, e dall'altra con la grande regione storica: Piemonte, Liguria, Lombardia, ecc.; sempre, alla pari del comune, il collegio regione dovranno amministrarsi da se, formarsi i propri governanti elettivi, liberi di gestire le faccende proprie del comune, del collegio e della provincia, liberi di scegliere i propri funzionari e dipendenti, nel modo e con le garanzie che essi medesimi, legislatori sovrani nel loro campo, vorranno stabilire. Si potrà discutere sui compiti da attribuire a questo o quell'altro ente sovrano; ed adopero a bella posta la parola sovranità e non autonomia, ad indicare che non solo nel campo internazionale, con la creazione di vincoli federativi, ma anche nel campo nazionale, con la creazione di corpi locali vivi di vita propria originaria non derivata dall'alto, urge distruggere l'idea funesta della sovranità assoluta dello stato. Non temasi dalla distruzione alcun danno per l'unità nazionale. L'accentramento napoleonico ha fatto le sue prove e queste sono state negative: una burocrazia pronta a ubbidire a ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo, se il voto poteva giovare ad accaparrare il favore della burocrazia poliziesca e a premere sulle autorità locali nel giorno delle elezioni generali; una polizia, non collegata, come dovrebbe, esclusivamente con la magistratura inquirente e giudicante e con i carabinieri, ma divenuta strumento di inquisizione politica e di giustizia "economica", ossia arbitraria. L'arbitrio poliziesco erasi affievolito all'inizio del secolo; ma lo strumento era pronto; e, come già con Napoleone, ricominciarono a giungere al dittatore i rapporti quotidiani della polizia sugli atti e sui propositi di ogni cittadino sospetto; e si potranno di nuovo comporre, con quei fogli, se non li hanno bruciati prima, volumi di piccola e di grande storia di interesse appassionante. E quello strumento, pur guasto, e pronto, se non lo faremo diventare mero organo della giustizia per la prevenzione dei reati e la scoperta dei loro autori, a servire nuovi tiranni e nuovi comitati di salute pubblica. Che cosa ha dato all'unità d'Italia quella armatura dello stato di polizia, preesistente, ricordiamolo bene, al 1922? Nulla. Nel momento del pericolo è svanita e sono rimasti i cittadini inermi e soli. Oggi essi si attruppano in bande di amici, di conoscenti, di borghigiani; e li chiamano partigiani. È lo stato il quale si rifà spontaneamente. Lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura, nessuna unita e salda, se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo e amiamo: la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Cosi possederemo finalmente uno stato vero e vivente.


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articolo del 10 dicembre 2011


GLI ANALFABETI DIGITALI E GLI ANALFABETI SPIRITUALI

di Mario Ferro

In Italia il 50% degli adulti non possiede un computer, titolava un noto quotidiano alcuni giorni fa. Dai 65 anni ai 74, rivela il giornale, soltanto il 12% sa usare il computer per funzioni base: invia mail e fa ricerche semplici su internet. E’ vero, viviamo in un mondo ultra tecnologico, ma non sempre, chi sa usare bene il computer e ha un profilo su Facebook e frequenta i social network, possiede una cultura in grado di rispondere ai problemi del nostro tempo: crescita demografica, crescita della fame nel mondo, crescita del razzismo, crescita della disoccupazione, crescita delle disuguaglianze, distruzione ambientale, distruzione del patrimonio artistico e culturale, ingiusta distribuzione della ricchezza nelle nazioni e nel mondo, impegno politico e civile senza scopi di carriera. Ho conosciuto molte persone che usano alla perfezione il computer, ma sono insensibili a tutti i problemi non personali. Ho conosciuto invece decine di persone che non usano il computer, ma sono impegnate in associazioni che portano il loro piccolo contributo per migliorare la società, e il loro ideale è un mondo di pace senza razzismi e senza persone con immense ricchezze e altre, più numerose, che vivono al limite della sopravvivenza.



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articolo del 29 settembre 2011


News: futuro radioso o degradato? Di Roberto Vacca, Il Caffè, 15/9/11

“Abbonati per avere tutte le ultime notizie dal mondo”. Ricevo tante offerte come questa, ma non mi abbono. Non voglio notizie banali, anche se di fatti appena successi, né che mi inseguano sul cellulare con messaggi carichi di immagini, interviste e grafici. Sono utili le informazioni non stantie su economia, politica, scienza, cultura. Non lo sono le novità su cucina, moda, salute e pettegolezzi. A parte i gusti personali, la qualità delle news offerte dai media degrada ancora se sono seguite da commenti improvvisati. Questi sono redatti spesso da giovani inesperti e poco colti: cercano facili effetti e usano etichette drammatiche ingiustificate: “la peste del secolo”, “una vera minaccia planetaria”, “una catastrofe inimmaginabile”. Anche commentatori più esperti ripetono come giaculatorie moniti a prendere misure drastiche per evitare pericoli inesistenti (come il riscaldamento globale antropogenico).
La qualità delle notizie scelte e la pertinenza delle analisi dipendono dalla cultura e dal gusto di redattori e opinionisti, oltre che dal tempo dedicato a ogni item valutato e dalla possibilità di editare, cioè rivedere i testi nella sostanza e nella forma. L’ossessione di riferire subito quel che succede ovunque (documentato e rilevante o no), limita il tempo disponibile e degrada la qualità del reporting. Questa tendenza si sta rafforzando. Dunque possiamo prevedere che in avvenire riceveremo ancora notizie scelte a caso, espresse con parole inadeguate e spiegate da immagini di bassa qualità media.
Cronisti e opinionisti, poi, non seguono le buone regole. Troppo spesso eccedono nell’uso di astratti così che non si capisce di che cosa parlino e usano formulette verbali standard (“come dire?” – “in qualche modo”) o similitudini trite (“in una manciata di secondi” – “costretti da lacci e lacciuoli”) rendendo la prosa irritante e sfocata. Anche l’uso di termini tecnici, in realtà noti a pochi rende le news comprensibili a pochi e fuorvianti per molti.
Molti riconoscono termini come: PIL Prodotto Interno Lordo - GDP Gross Domestic Product - PVS Paesi in Via di Sviluppo - LDC Less Developed Countries – ma non hanno idea di che significhino davvero.
Le news specializzate sono, talora, ottime. La rassegna Slashdot.com segnala ogni giorno da 10 a 20 notizie di interesse tecnologico, informatico, scientifico. A ciascuna dedica poche righe, ma riporta link con pubblicazioni originali disponibili in rete. È un servizio (gratuito) di alta qualità: lo consiglio e spero che venga duplicato in altri campi. Diffido invece dei servizi a pagamento che propongono notizie aggiornatissime in ogni campo – commentate da grandi esperti.
Infine ci sono i blog e le notizie diffuse PTP (Peer.To-Peer) da privati non addestrati. La qualità è modesta anche quando forniscono immagini e filmati (come Youreporter). Non c’è da sperare che ci aiutino molto - guardiamocene

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articolo del 03 marzo 2011

IL RUBYGATE E LE INTERCETTAZIONI

Il Rubygate ci ha insegnato che molti elettori, per difendere il loro idolo politico, possono rovesciare le convinzioni più incrollabili. Gli stessi che prima del caso Ruby erano intransigenti difensori della morale cristiana e della sana famiglia cattolica, oggi sono in trincea a difendere la libertà sessuale in nome della privacy. E la famiglia ? Nessuna indulgenza per i comuni mortali che la tradiscono, solo ai capi supremi tutto è permesso. Questa è la loro logica. I difensori della privacy dimenticano inoltre un particolare importante: quando c’è un’accusa di reato, il diritto alla privacy è annullato. Chi commette un reato in casa propria non può invocare il diritto alla privacy. Può solo dimostrare che il reato non c’è stato. Anche sulle intercettazioni telefoniche ci sono molte contraddizioni e disinformazione. Quelli che vogliono che il “Palazzo della politica” sia di cristallo, poi rifiutano le intercettazioni se viene indagata la loro parte politica. Come è possibile conoscere i politici onesti se non riusciamo a scoprire i politici corrotti ? Nessun politico disonesto sbandiera in pubblico la sue colpe quando viola la legge. Chi si propone come politico deve accettare di perdere la sua privacy. Solo le persone comuni hanno diritto alla privacy (se non commettono reati), non i politici quando ci sono sospetti di illegalità. Invece ci dovremmo chiedere: quante corruzioni di politici sarebbero state scoperte se le intercettazioni fossero state illegali ?

Gianfranco Dugo



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articolo del 26 febbraio 2011

IL RISPETTO DELLA LEGGE
Di Franco De Rossi

Nel 150° anno dell’Unità d’Italia viviamo in un momento difficile. Una democrazia sana ha bisogno che i tre fondamentali poteri dello Stato (legislativo esecutivo giudiziario) siano separati e si controllino a vicenda. Purtroppo oggi assistiamo a un conflitto tra poteri che rischia di degenerare. Sentiamo cosa dice un filosofo sulla necessità di rispettare la legge: “Chiunque, nel nome della libertà, indebolisca il rispetto della legge e di chi la amministra, incorre in una grave responsabilità. Non ci può essere una libertà diffusa eccetto che nell’ambito del diritto (il patto sociale che tiene unito un Paese o una comunità), perché quando gli uomini sono privi della legge solo i più forti sono liberi, e lo sono fin quando non incontrino qualcuno che sia più forte di loro”. Bertrand Russell – “Dizionario di Logica Fisica e Morale”. – Newton & Compton -



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articolo del 02 settembre 2010


E' POSSIBILE ESSERE CRISTIANI E RAZZISTI ?

di Eripac

La maggioranza degli italiani frequenta a scuola l'ora di religione cattolica. E' dimostrato però che molti non conoscono la loro religione.
Non sorprende quindi il razzismo più o meno consapevole di molti cristiani-cattolici. Quando leggo sui muri delle città frasi razziste, mi chiedo: è possibile essere cristiani difensori della cultura cristiana e razzisti ? Un razzista che si ritiene cristiano dovrebbe essere condannato a leggere ogni giorno la parabola del buon Samaritano. Ma come si riconosce un razzista ? Il razzista è uno che ritiene di appartenere a una razza superiore e detesta i neri, i musulmani, gli omosessuali, gli ebrei e tutti i popoli che considera inferiori.
Se i "razzisti cristiani" avessero letto il Vangelo avrebbero saputo cosa rispose Gesù quando gli chiesero qual è il più grande comandamento: "Ama Dio e il prossimo tuo come te stesso". "Chi è il nostro prossimo ?". Gesù rispose con la parabola del buon Samaritano. Ricordiamo che Gesù era ebreo e parlava agli ebrei. I samaritani in quel tempo erano disprezzati perché erano diversi per etnia e religione. E' come se oggi Gesù ci raccontasse che i due "buoni cristiani" scapparono quando videro il ferito, mentre il "cattivo" musulmano lo salvò. Come reagirebbero gli attuali razzisti cristiani ?


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articolo del 16 aprile 2010


ESISTE ANCHE L' ITALIA LAICA
(e dei liberi pensatori)

di Mario Ferro

La vicenda umana di Piergiorgio Welby ha dimostrato che esiste anche un'altra Italia laica di chi crede che la convivenza si fondi sullo spirito critico di ciascun cittadino, di chi condanna ogni integralismo ideologico e religioso, di chi è determinato a rispettare e difendere le regole della tolleranza e del dialogo, di chi soprattutto trova ripugnante volere imporre agli altri, soprattutto alle nuove generazioni, valori unici e verità rivelate. Il tutto con i soldi pubblici.


QUESTI GLI OBIETTIVI DEL MANIFESTO LAICO

1) Sì all'autonomia e al pluralismo dello Stato.
2) No alle ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche.
3) Sì alla rigenerazione della scuola pubblica.
4) No al finanziamento statale diretto o indiretto delle scuole confessionali.
5) Sì alla libertà d' insegnamento.
6) No a trucchi per aggirare il dettato costituzionale "senza oneri per lo Stato".
7) Sì alla libertà di espressione di tutte le religioni.
8) No ai privilegi della Chiesa cattolica.
9) Sì alla libertà delle scelte morali e culturali di ciascun individuo.
10) No a una legislazione che provoca disuguaglianza tra i cittadini.
11) No all'insegnamento di religione cattolica nelle scuole pubbliche.
12) Sì all'insegnamento della storia delle religioni negli istituti scolastici statali.
13) Sì al testamento biologico di chi sceglie di morire invece di soffrire senza speranza.
14) Sì alla proposta di inserire l'8 per mille per la ricerca scientifica in concorrenza con le religioni.
15) Sì all'abolizione del Concordato fra Stato italiano e la Chiesa cattolica.


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articolo pubblicato l'11 agosto 2009

In Italia ormai si rovescia tutto: i buoni sono cattivi e i cattivi sono buoni. I magistrati che condannano i politici colpevoli sono diventati dei persecutori, invece i politici che si sottraggono alla giustizia sono super votati e, se sono defunti, gli dedicano persino monumenti e strade.

Purtroppo non risulta (ma spero di sbagliare) che abbiano dedicato monumenti e strade a Giorgio Ambrosoli assassinato 30 anni fa perché indagava sul fallimento della Banca Privata Italiana del bancarottiere Michele Sindona il quale voleva far pagare agli italiani i suoi debiti. Sindona era protetto da alcuni alti esponenti dello stato italiano dell’epoca. Ambrosoli vinse ma perse la vita. Risulta invece che abbiano recentemente dedicato un francobollo a Filippo Tommaso Marinetti ideatore del manifesto futurista nel quale si legge: " Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna". Marinetti è fra i molti che hanno fatto fare una passo indietro al difficile percorso della pace e della civiltà e, come D’Annunzio, ebbe una influenza notevole sui giovani i quali finirono nel carnaio della prima guerra mondiale che ne fece morire 600 mila.


Mario Ferro


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articolo pubblicato il 25/06/2009

Il filosofo Bertrand Russell diceva che ogni persona può liberarsi dal proprio razzismo soltanto attraverso uno sforzo intellettuale. Quasi tutte le persone generalizzano ogni piccola esperienza. Tempo fa ho conosciuto un individuo che odiava i veneti perché era stato imbrogliato da un veneto. Cambiò idea quando mi frequentò. Ricordiamoci che Hitler andò al potere perché fu votato da tante brave persone che condividevano il suo razzismo sugli ebrei e sulle razze inferiori. Persino la Chiesa cattolica, sempre molto attenta a condannare i libri pornografici, non si accorse che il Mein Kampf di Hitler era un libro che predicava l’odio razziale. Invece di combattere il nazismo quando era ancora debole perché aveva pochi anni di vita (da tener presente che il Mein Kampf fu pubblicato nel 1926 e ne furono vendute moltissime copie), il Vaticano nel 1933 fece un Concordato da cui ricavò benefici anche economici.
Perciò quando sentiamo una frase anche leggermente razzista, ci dobbiamo assumere il compito di rimproverare (naturalmente con solide argomentazioni) chi la dice. Altrimenti diventimo complici e il pregiudizio razzista si moltiplica.
P.S. - Esattamente 70 anni fa Mussolini promulgò le leggi razziali. La condanna del Vaticano fu molto debole. Il suo giornale dovrebbe pubblicare almeno una sintesi delle leggi razziali fasciste.

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