AMICI DI BERTRAND RUSSELL


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filosofia

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FILOSOFIA

articolo del 4 settembre 2013


UNA STORIA ORIGINALE DELLA SCIENZA E DELLA FILOSOFIA

di Franco Vicentini

In libreria da alcuni mesi c’è un libro che spiega in modo originale, documentato e divertente la storia della scienza dalle sue origini al mondo greco-romano. Tutte le meraviglie della scienza, che oggi usiamo, non ci sarebbero se non fossero esistiti i primi grandi filosofi, pensatori e inventori del periodo storico (VIII-VII secolo a.C. - V secolo d.C.) che oggi chiamiamo “ellenismo”.
L’autore si chiama Flavio Oreglio e il titolo del volume è “Storia curiosa della scienza” – Salani Editore. Spesso la scienza viene disprezzata e la filosofia è considerata da molti una materia per studiosi perditempo che analizzano temi astratti di nessuno interesse pratico. Non è così. In origine i filosofi erano anche scienziati, e le prime grandi scoperte scientifiche sono state fatte da filosofi. In quell’epoca la filosofia non era separata dalla scienza. Oggi la scienza permette agli esseri umani di vivere meglio e di più: gli operai dei paesi industrializzati hanno case più confortevoli, viaggiano più rapidamente, hanno maggiori divertimenti, possono istruirsi meglio, hanno medici, chirurghi, farmaci e ospedali migliori di un re o di un ricco nobile dei secoli precedenti. Ovviamente, come tutte le scoperte dell’uomo, anche le scoperte scientifico-tecnologiche possono essere distruttive (vedi le armi nucleari, le armi convenzionali, le armi chimiche, la distruzione ambientale, l’inquinamento del pianeta ecc.). E’ evidente che tutto ciò che è negativo non dipende dalla scienza, ma dall’uomo.
Nell’introduzione Flavio Oreglio fa una importante distinzione che domina tutto il libro: ci ricorda che solo alla filosofia intesa come pensiero razionale che elimina dogmi e idee metafisiche e religiose, va il merito delle più importanti intuizioni poi sperimentate scientificamente.


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articolo 30 ottobre 2012

IL BUDDHISMO E LA REINCARNAZIONE

di Eripac

Sappiamo che l’immortalità dell’anima e quindi una possibile vita dopo la morte sono argomenti che affascinano tutti gli esseri umani: credenti e non credenti. Anche le persone che nella loro vita non si sono mai interessate di problemi religiosi, quando subiscono un grave lutto sperano di trovare i propri cari nell’aldilà. Quasi tutti gli esseri umani nei momenti di disperazione hanno bisogno di conforto e di speranza, e chi amministra una fede religiosa lo sa da migliaia di anni.

Esiste però una religione che assomiglia a una filosofia perché non propone una immortalità dell’anima individuale. Il Buddhismo, per esempio, considera la reincarnazione come una forma di purificazione, non un premio o una punizione. Secondo il buddhismo l’individuo ha la sua punizione nella vita terrena materiale. Soltanto attraverso i meriti accumulati in infinite incarnazioni anteriori l’individuo rientrerà nel nirvana (stato beatifico, conseguito mediante la liberazione del samsàra, proposto quale fine ultimo dal buddhismo e dalla maggior parte delle religioni indiane. Il samsàra è la serie indefinita delle nascite e delle morti, il ciclo delle esistenze condizionato dal karman (sequenza delle azioni buone o cattive compiute durante la permanenza nei corpi); soltanto quando il karman sarà esaurito, l’anima si libererà dalla prigione del samsàra, cesserà il suo dolore ed essa ritornerà nell’assoluto, dal quale uscì, trovandovi pace (nirvana).

Oggi alcuni filosofi trovano un punto d’incontro tra l’evoluzionismo darwiniano e la reincarnazione buddhista ed induista. Però si dimenticano di un particolare importante: noi ereditiamo i geni di migliaia di individui (e animali) che ci hanno preceduto, ma non ereditiamo la cultura acquisita durante la loro vita. Ad esempio se una persona durante la sua vita ha letto centinaia di libri, per via genetica non trasmetterà ai suoi figli nemmeno una parola. Perciò ogni cultura acquisita dipende dall’educazione che un individuo riceve in famiglia, dalla scuola che frequenta, dall’ambiente in cui vive e dai libri che legge (se legge). Nessuna cultura o morale si trasmette geneticamente.

E’ necessario sottolineare che il buddhismo non è incentrato su un Dio, ma è una dottrina che insegna a superare la sofferenza attraverso la rinuncia dei desideri materiali e di vanità: successo, soldi e potere. Disse il Buddha: “Vengo a porre fine al dolore, alla malattia e alla morte”. Che cos’è la sofferenza? Il Buddha risponde: “E’ nascere, invecchiare, ammalarsi, trovarsi con quanto si odia, non trovarsi con quanto si ama, desiderare e anelare senza ottenere”. Secondo il buddhismo Dio non può avere fatto il mondo, perché non abbisogna di nulla; né per bontà giacchè nel mondo c’è sofferenza; dunque un Dio personale che premia o punisce nel buddhismo non esiste.

Il Buddha ha detto: “Non fatevi guidare da dicerie, da tradizioni o dal sentito dire; non fatevi guidare dall’autorità dei testi religiosi, oggetti spesso di manipolazioni; non fatevi guidare dalle apparenze, né dalle verosimiglianze, né dall’autorità dei maestri e dei superiori. Imparate da voi stessi a riconoscere quello che è utile, meritevole e buono e, dopo averlo osservato e investigato, avendo compreso che porta beneficio e felicità, accettatelo e seguitelo”.
ANGUTTARA NIKAYA, ed. Devamitta Thera, Colombo 1929, p. 115



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LA FILOSOFIA, LA METAFISICA E LA SCIENZA
SECONDO BERTRAND RUSSELL


“La filosofia – scrive Russell – va studiata non per amore delle precise risposte alle domande che essa pone, poiché nessuna risposta precisa si può, di regola conoscere per vera, ma piuttosto per amore delle domande stesse; perché queste domande allargano la nostra la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’arroganza dogmatica che preclude la mente alla riflessione; ma soprattutto perché grazie alla grandezza dell’universo, che la filosofia contempla, anche la mente diviene grande, ed è resa capace di quella unione con l’universo che costituisce il suo massimo bene”. B. Russell “I problemi della filosofia”, Tea edizioni

In “Perché non sono cristiano” Bertrand Russell scrive: “ Perché non ammettere francamente che la metafisica, come scienza, trova giustificazione soltanto nella curiosità intellettuale, e solo da quella dovrebbe essere guidata ? Il desiderio di trovare conforto nella metafisica ha, bisogna ammetterlo, determinato molte disonestà intellettuali e sofismi a non finire. Ce ne libereremo nella misura in cui ci allontaneremo dalla religione”.
Nei “Principia mathematica”, un monumento della logica scritto insieme a Whitehead, Russell scrive: “La matematica non è altro che una scienza delle relazioni e pertanto perfettamente assimilabile alla logica: che ne garantisce il fondamento e la congruità”.
Ma Russell fa anche di più. La sua fondazione della logica mette a disposizione del pensiero in generale un “principio di verificazione” destinato a tagliare non poche teste presunte, e quelle dei metafisici in modo particolare.
La logica, spiega Russell, desume dall’esperienza le “proposizioni”, le mette in relazione con gli assiomi prefissati, e costruisce il nostro sapere. Nasce così il neopositivismo. E la metafisica, per 2500 anni frontiera estrema del pensiero umano, viene sfrattata dalla casa della filosofia.
Ci resta comunque la libertà liberata dallo spirito di sistema. L’etica non contiene per Russell assersioni vere o false, ma desideri. La sfera dei valori è fuori dalla scienza. La scienza può discutere le cause dei desideri, ma in quanto si riferisce solo a ciò che può essere o vero o falso, proprio per questo non contiene alcun giudizio etico. In questo senso non è pericolosa la scienza, ma l’uso della scienza come strumento di potere.
Quanto alle regole morali, la loro funzione è realizzare i fini che desideriamo. Questo significa che non c’è colpa, non c’è peccato: tutta l’opera etica di Russell è una guerra al dogmatismo e alla sua conseguenza diretta, l’oppressione liberticida.

Le suddette opere di Bertrand Russell sono state pubblicate dalla Longanesi-Tea edizioni


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articolo del 14 maggio 2012

UNA CHIESA RICCA E PRIVILEGIATA SOSTENUTA ANCHE DAGLI ATEI DEVOTI

di Franco Vicentini

Nel 1870, quando il papato fu costretto a rinunciare al potere temporale, molti integralisti cattolici pensarono che la chiesa sarebbe stata distrutta. Invece non fu così, anzi ci fu un rinnovamento morale e il clero fu più rispettato dai fedeli. Oggi, se il Concordato fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano fosse abolito, ci sarebbe lo stesso rinnovamento vantaggioso anche per la fede e i fedeli. Gesù Cristo voleva discepoli poveri e di conseguenza anche una chiesa povera. Nel Vangelo, su questo punto, si leggono frasi che non si prestano a diverse interpretazioni: “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (luca 14, 25-33). Un tale chiese a Gesù: “Maestro, che devo fare per diventare tuo discepolo?”. Gesù gli disse: “Va’, vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri; poi vieni e seguimi” (Marco, 10, 17-30).
I privilegi, soprattutto economici, hanno fatto più male che bene alla chiesa. Non vi può essere pace dove c’è estrema povertà ed estrema ricchezza. Le immense ricchezze del vaticano, delle curie e degli istituti religiosi (banche, cliniche, alberghi, mobili e immobili, partecipazioni azionarie ecc.) devono ritornare ai legittimi proprietari: i poveri. Come chiedeva Gesù.
Ogni credente dovrebbe pagare di tasca sua per mantenere la sua chiesa e il suo clero. Non ci dovrebbero essere privilegiati (come recitano gli articoli 3 e 19 della Costituzione) pagati direttamente o indirettamente dallo Stato laico, il quale deve essere imparziale nei confronti di tutte le religioni. Perciò massima libertà di culto, ma nessun privilegio alla religione cattolica né ad altre religioni. Queste ultime frasi, a molti integralisti cattolici, potrebbero sembrare le solite assurdità di neo illuministi anticlericali. Leggiamo cosa dice Vittorio Messori, un intellettuale cattolico che molti definirebbero integralista, al giornalista Giacomo Galeazzi in una intervista su “ La Stampa” del 9 marzo 2006: “Altro che insegnare l’Islam, fosse per me cancellerei pure un vecchio relitto concordatario come l’attuale ora di religione. In una prospettiva cattolica la formazione religiosa può solo essere una catechesi e nelle scuole statali, che sono pagate da tutti, non si può e non si deve insegnare il catechismo. Lo facciano le parrocchie a spese dei fedeli”.
Un altro noto intellettuale cattolico, Arturo Carlo Jemolo, l’ l1 febbraio 1969, scriveva su “La Stampa” : “Io sono tra quelli che non hanno creduto nel ’29, e non credono oggi, che il Concordato abbia recato e rechi beneficio vuoi alla Chiesa, vuoi all’Italia: resto fedele all’ideale dei vescovi che non domandano mai aiuto al braccio secolare, dei cattolici che obbediscono propter amorem, che si fanno vanto ed un onore di sopperire con i loro mezzi economici i bisogni della Chiesa (ciò che i cattolici di altri paesi realizzano talora anche generosamente).

Chi trasforma le religioni umanitarie e i movimenti ugualitari in apparati di potere, sono le gerarchie che vengono dopo i fondatori. Certo, i tempi cambiano, però ci si dimentica che il potere della chiesa è sempre stato in mano a una gerarchia scelta dall’alto che ha sempre ostacolato ogni progresso sociale, democratico e scientifico. Bravi sacerdoti ne conosciamo molti, ma sono sempre stati emarginati e il loro potere era ed è meno di zero.
Alcuni anni fa ad Assisi Giovanni Paolo XXIII disse che non ci può essere pace senza giustizia. Sappiamo che nel mondo, ogni anno, muoiono milioni di persone di fame e a causa di malattie che potrebbero essere curate. Il Vaticano potrebbe mettere a disposizione una parte del suo immenso patrimonio, cioè dovrebbe restituire ai poveri quello che ha accumulato nei secoli attraverso le donazioni dei ricchi che cercavano e cercano il paradiso in cielo dopo aver goduto quello in terra. Non basta gridare Pace! Pace!, bisogna dimostrare con i fatti la buona volontà. Se il Vaticano darà l’esempio, molti miliardari cristiani, musulmani, ebrei, induisti, buddhisti potrebbero imitarlo.

Su “L’Espresso del primo settembre 2011, a pagina 39, si legge: “Un patrimonio immobiliare sterminato. E tutto senza tasse. Più sovvenzioni, sconti, esenzioni. Così lo Stato privilegia il tesoro del Vaticano. E rinuncia a entrate milionarie”. Segue un elenco di migliaia di immobili in Roma e provincia di proprietà degli enti religiosi cattolici. L’ articolo, firmato da Stefano Livadiotti, che riporta anche una norma concordataria assurda, ma gravosa per le entrate dello Stato. Soltanto il 40% dei contribuenti italiani sceglie una confessione religiosa cui versare il proprio 8X1000. Però l’enorme cifra di chi non indica a chi lasciare i soldi (quasi un miliardo di euro) verrà spartita dalle varie religioni firmatarie dell’intesa con lo Stato. E’ noto a tutti che l’ 85% dell’enorme cifra andrà alla chiesa cattolica la quale riceve più preferenze. Nella cattolicissima Spagna, i soldi di coloro che non hanno scelto, restano allo Stato.
Il 16 febbraio 2012 il quotidiano “la Repubblica”, a pagina 4, pubblica un lungo elenco di scuole, musei, biblioteche, università (8.779), cliniche, ospedali, alberghi (4.712) e strutture ecclesiastiche soggette all’Ici. L’articolo è firmato da Valentina Cortese, la quale scrive: “Bastava avere una cappellina in clinica, in albergo o nelle scuole e l’Ici, ora Imu, non era dovuta. Un’elusione, quella della Chiesa italiana sugli immobili di sua proprietà usati per attività commerciali, da almeno 700 milioni di euro all’anno secondo calcoli prudenziali dei Comuni”. Il governo Monti vorrebbe far
pagare l’Imu sugli edifici strettamente commerciali del clero cattolico, ma dubito che ci riuscirà. La chiesa cattolica non si tocca!
L’Italia ha ricevuto anche un richiamo dall’Unione Europea: “Privilegiando fiscalmente la Chiesa cattolica – dice il comunicato della UE – lo Stato italiano non fa rispettare la libera concorrenza nel mercato”. Richiamo caduto nel vuoto.
E’ innegabile che la vera colpevole è la nostra classe politica, di destra e di sinistra, la quale non riesce a rifiutare nulla al Vaticano. Nessuno Stato europeo possiede un clero a cui sono stati concessi tanti privilegi economici e di potere come quelli concessi dallo Stato italiano al Vaticano. Anche i laici non credenti italiani sono diversi da quelli di altri paesi cattolici. La nostra è una cultura di sottomissione che delega i problemi al potere più forte. Purtroppo sono pochi e disprezzati i laici italiani disposti a battersi contro lo strapotere delle gerarchie cattoliche. Dopo le grandi conquiste degli anni Settanta sul divorzio e l’aborto, l’Italia si è arresa. Oggi tutte le scelte etiche e alcune persino politiche devono sottostare all’approvazione delle gerarchie vaticane. Il concetto di separazione tra Stato e Chiesa nelle sfere etiche e politiche, molto sentito dai nostri padri del Risorgimento (vedi l’affermazione: “libera chiesa in libero Stato” di Cavour), nell’ Italia di oggi è quasi sconosciuto. Ad esempio soltanto nel nostro Paese esistono i cosiddetti atei devoti difensori dei dogmi e della cultura cattolica baluardo, dicono, della grande civiltà occidentale cristiana. Recentemente gli atei devoti hanno ripreso la polemica antilluministica e antiscientifica (Massimo Teodori “Laici, l’imbroglio italiano”, Marsilio Editori, Venezia 2006 , pag. 142). Gli atei devoti sono lontani anni luce dal pensiero laico. In Italia sono più laici i credenti come quelli citati, Jemolo e Testori, o De Gasperi che seppe dire no a Pio XII, dei laici non credenti.


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articolo del 16 luglio 2011

LA VISIONE LAICA DELLA VITA E DELLO STATO

di Franco Vicentini

La visione laica della vita e della politica è una grande conquista dell’umanità. Teoricamente nasce con l’illuminismo, concretamente con la Rivoluzione francese e la proclamazione dei “diritti dell’uomo”. Gli Stati che non hanno ereditato le idee del pensiero illuminista (libertà, giustizia, eguaglianza) subiscono forti condizionamenti teocratici. Oggi, in una vera democrazia liberale, è inconcepibile che un uomo venga emarginato o perseguitato per le sue idee religiose o politiche. Ad esempio gli eretici e gli atei non sono più messi al rogo, ma la Chiesa cattolica ha ancora un grande potere sulla politica italiana. Anche nella nostra epoca molti filo-clericali non riescono a comprendere che le loro credenze e i loro dogmi devono valere soltanto per loro, non per chi ha un’altra religione o un’altra filosofia. Basti un solo esempio: perché c’è una legge che vieta di praticare l’eutanasia a chi la vuole ? Perché questo governo è contro il testamento biologico proposto dai laici non credenti ? Ho l’impressione che molti politici non abbiano ancora capito il significato di due parole semplici: “Stato laico”.




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articolo del 01/07/2010

LA MORALE E' INNATA ?

di Bruno Ferrari

L'uomo ha sempre trovato scappatoie ideologiche e metafisiche per giustificare la sua aggressività, la sua crudeltà e il suo egoismo. Per secoli anche i teologi cristiani del cosiddetto mondo civilizzato occidentale hanno accettato l'imperialismo, la schiavitù, la tortura e le guerre al fine di sottomettere un popolo considerato inferiore; tutto questo era perfettamente "morale" nel passato. Se ci fosse dentro l'uomo un sentimento morale anche debole, tali assurde atrocità non sarebbero accadute. Purtroppo tutto ci induce a credere che dentro la psiche della quasi totalità degli uomini ci siano molti impulsi razzisti, odio per i diversi e un desiderio inconscio di trovare delle vittime da perseguitare. La morale che si trova dentro un selvaggio o un filo-nazista è molto diversa da quella che può trovare dentro una persona con elevato spirito umanitario.
Ci sono quindi delle eccezioni. La moderna psicologia sperimentale ha dimostrato che alcuni individui provano forti impulsi di compassione nei confronti dei loro simili e degli animali. Queste persone hanno la capacità di mettersi nei panni di chi soffre o di chi subisce un'ingiustizia. Anche se sono sconosciuti, appartengono alla categoria dei grandi profeti e dei grandi legislatori che hanno fatto mascere nei secoli passati la "morale" e la "giustizia". E' la loro personalità di uomini saggi che convince il popolo a credere nelle nuove morali e nelle nuove leggi. Questo processo di rinnovamento delle leggi e della morale è ancora in corso e lo sarà anche in futuro. Pertanto tutto nasce dalla cultura umanitaria di alcune persone, non da una morale insita in tutti gli uomini.


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articolo del 02 aprile 2010

L'UGUAGLIANZA: UNA UTOPIA DA INSEGUIRE
di Franco Vicentini

Quando dieci anni fa il filosofo politico Norberto Bobbio pubblicò un libro in cui scrisse che la più importante distinzione fra destra e sinistra è l'uguaglianza, molti lo negarono ricordando che nei paesi del socialismo reale l'uguaglianza è durata l'espace d'un matin rivoluzionario e poi è diventata sudditanza dei molti al feroce dominio della nomenklatura burocratica.
Dopo aver letto attentamente "Destra e Sinistra" - Donzelli editore (ancora in commercio) posso affermare che Bobbio non ha scritto il saggio per dimostrare che l'uguaglianza è stata realizzata dalla sinistra, ma soltanto per chiarire che essa è un punto di riferimento ideale di tutti i movimenti di sinistra. Se poi questo ideale è sempre stato tradito o travisato la colpa non è dell' ideale ma degli uomini e delle loro ambizioni.
"Il vero egualitario di sinistra - scrive il filosofo torinese - ritiene che la disuguaglianza sia sociale e quindi desidera abbattere l'ordinamento gerarchico; l'inegualitario di destra è a favore della gerarchia e contro ogni livellamento".
E' tuttavia necessario chiarire che l'eguaglianza di cui parla la sinistra è sempre un'eguaglianza secondo il lavoro o secondo il bisogno e la proprietà, non è mai una eguaglianza assoluta. Infatti molti di destra sembrano non aver capito che se l'uguaglianza non è mai stata realizzata, ciò non significa che non sarà mai realizzabile in una forma relativa nella società futura.
Ad esempio, per migliaia di anni l'uomo ha sognato di volare. Icaro, Leonardo e moltissimi altri fino ai tempi nostri fallirono. Ma il sogno si realizzò quando due fratelli americani nei primi anni del Novecento riuscirono nell'impresa. Forse ci vorranno altri mille anni di tentativi e di fallimenti, ma il sogno di limitare molto le enormi ricchezze individuali e i grandi privilegi creando una eguale partenza anche educativa, troverà prima o poi una società meno egoista che lo realizzerà. Come il desiderio di volare anche l'uguaglianza è da millenni nei sogni degli uomini. Ricordiamoci che i primi apostoli mettevano tutti i loro beni in comune. Quindi erano "comunisti" (Vangelo, Atti degli Apostoli). Anche le società utopistiche di Platone, Tommaso Campanella e Tommaso Moro erano comuniste. Pertanto, per ora, accontentiamoci di possedere i concreti punti di riferimento sull'uguaglianza che Norberto Bobbio e altri filosofi ci hanno indicato.
E poi non è giusto vivere senza un ideale, sia esso pur utopistico. Il mito e l'utopia sono elementi imprescindibili dalla vita umana. E non vogliamo rinunciarci.


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articolo inserito il 25 aprile 2008


BERTRAND RUSSELL (1872 – 1970)


“Con la morte del 3° conte Russell (o Bertrand Russell come preferiva chiamarsi) all’età di 98 anni, il legame con un lontano passato viene ad interrompersi. Suo nonno Lord John Russell, primo ministro vittoriano, aveva fatto visita a Napoleone all’Elba; sua nonna materna era amica della vedova del Giovane Pretendente*”.
Queste sono parole proprie di B. Russell in una prematura autobiografia post mortem scritta come per gioco nel 1936. In realtà egli non morì che nel 1970 all’età di 98 anni.
Uno dei maggiori intelletti del suo tempo, Russell era forse l’ultimo rimarchevole esponente della tradizione umanistico liberale inglese degli anni 1920, cui per esempio appartengono: romanzi di E.M. Forster. Educato privatamente e al Trinity College di Cambridge, si distinse nelle matematiche e nel 1913, con il Dr. A.N. Whiteahead, pubblicò Principia Matematica, un classico della logica matematica e un ulteriore contributo alla filosofia.
Durante la prima guerra mondiale tenne una posizione pacifista; fu mandato in prigione e privato della sua fellowship* a Cambridge. Questa non fu l’ultima difesa di Russell di una causa non popolare, né fu l’ultima difficoltà con l’autorità costituita. Abbandonando praticamente la filosofia accademica, egli si dedicò a scrivere innumerevoli testi di morale, di politica, di problemi sociali, come “Sull’Educazione”, “Matrimonio e morale”, “Vie alla libertà” e “Perché non sono cristiano”. Russell scrisse inoltre numerose introduzioni popolari per argomenti difficili.
Tra questi ci sono “La filosofia di Leibnitz, “L’ABC della relatività” e la la monumentale “Storia della filosofia occidentale” (1946). Questo libro è notevole nella sua organizzazione di un vasto materiale, scritto con uno stile di incomparabile lucidità e eleganza, e reso vivo da tocchi di maliziosa ironia. Lo storico G.M. Trevelyan lo descrisse come “proprio il genere di pensiero che occorre avere per capire il passato… E’ uno dei libri più preziosi del nostro tempo”.
All’età di 89 anni, Russell tranquillamente adottò una causa scottante quanto era stato il pacifismo durante la prima guerra mondiale: il disarmo nucleare. “Ha l’uomo un futuro ?” (1961) domandò a se stesso e ai suoi lettori se c’era una qualche speranza di sopravvivenza per la razza umana. La sola speranza, concludeva, stava nella totale abolizione della guerra, cominciando con la perfettamente possibile abolizione di tutte le armi nucleari. La Campagna per il disarmo nucleare (o CND) con le annuali marce a Londra dal Centro ricerche di Aldermaston, fu una campagna di disobbedienza civile; e Russell fu arrestato in Piazza Trafalgar per essersi rifiutato a spostarsi, richiesto così da un poliziotto. Indimenticabile fu lo spettacolo di questo vecchio gentleman, dignitoso, educato, molto umano, circondato da una polizia seccata ma non ostile. Forse la stessa descrizione di se stesso da parte di Russell in quell’auto-annuncio mortuario del 1936 era dopo tutto esatta: “l’ultimo sopravvissuto di un’epoca defunta”.
Traduzione di Francesco Scattolin

· Nipote di Giacomo II pretendente al trono inglese.
· Diritto di associazione e di appartenenza.



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articolo del 12-11-2009

RISPOSTA ALL'ARTICOLO DI OSHO

Ho ricevuto da Franco Vicentini uno scritto del maestro indiano Osho. Sono d’accordissimo là dove Osho scrive: "I creativi sono sempre ritenuti folli. Il mondo li riconosce ma molto in ritardo". Non sono invece d’accordo dove il maestro indiano dice: "L’emisfero sinistro (del nostro cervello) non è creativo. … E’ l’emisfero della logica, della matematica, del ragionamento". Poi aggiunge: "Il bambino impara la via della disciplina, del linguaggio, della logica, della prosa. Inizia a competere nella scuola, diventa egoista, acquisisce tutte le nevrosi della società. L’emisfero destro è l’opposto. E’ l’emisfero del caos non dell’ordine: della poesia non della prosa; dell’amore non della logica".
E’ chiaro che il maestro Osho è quello che potremmo definire un mistico-anarchico. I mistici-anarchici forse saranno più creativi nelle discipline artistiche, ma sono anche quelli che sposano facilmente e fanaticamente le religioni, le ideologie pazzoidi, l’astrologia, la reincarnazione, l’immortalità dell’anima, il creazionismo, il razzismo e tutte le assurdità che hanno portato gli uomini alle crociate e allo sterminio delle cosiddette razze inferiori. Ricordiamoci che sono stati i razionalisti liberi pensatori ad abolire la schiavitù, la tortura e l’Inquisizione. In India, patria dei grandi mistici-anarchici, c’è ancora la divisione della società in caste e agli ultimi, gli intoccabili, e proibito persino l’acceso in molti luoghi sacri. Le caste sono una sorta di razzismo. E dove c’è il fanatismo razzista e irrazionale troviamo sempre l’odio, non l’amore.
Inoltre non sempre i grandi artisti e gli amanti dell’arte sono brave persone, e nemmeno i vagabondi lo sono. Ho conosciuto poeti e pittori molto egoisti e avidi di denaro. Penso che quello di buono che abbiamo nella civiltà lo dobbiamo ai razionalisti e ai liberi pensatori, non ai mistici. I grandi mistici spesso amano i dogmi e credono di essere i depositari delle verità assolute. L’inquisizione è stata creata da uomini di fede incrollabile non da liberi pensatori.
Inoltre è sicuramente una sciocchezza affermare che i logici, i matematici e i pensatori razionalisti non sono creativi. Aristotele, Cartesio, Voltaire, Bertrand Russell (per citarne solo alcuni) erano sicuramente creativi: hanno portato innovazioni notevoli nella filosofia, nella logica, nella morale, nella tolleranza e in molte altre discipline. Russell attraverso il suo razionalismo ha scoperto gli imbrogli e le ipocrisie delle religioni, della politica, del potere e delle morali ottuse, e ha aperto la mente di migliaia di persone. Tutti i suoi libri, anche quelli divulgativi, sono contro tutti i dogmi accettati sempre dalle menti non razionali.
Mario Ferro




articolo del 01-07-2009

IL CORAGGIO DI ESSER UNICI …
di Osho
"I creativi sono sempre ritenuti folli. Il mondo li riconosce ma molto in ritardo; si pensa sempre che manchi loro qualche rotella. I creativi sono gente eccentrica. Tutti i bambini nascono con la capacità di essere creativi. Senza alcuna eccezione, tutti i bambini tentano di essere creativi ma noi non glielo permettiamo. Cominciamo subito a insegnar loro il modo giusto di fare le cose e una volta che lo hanno imparato diventano dei robot: in seguito ripeteranno sempre la cosa giusta. Più lo fanno, più diventano efficienti e più diventano efficienti più sono rispettabili. A un certo punto tra i 7 e i 14 anni nel bambino si verifica un grande cambiamento. Gli psicologi stanno facendo degli studi... cosa accade e perché? Tu possiedi due menti, due emisferi. L'emisfero sinistro non è creativo. Dal punto di vista tecnico è molto efficiente ma per ciò che riguarda la creatività è assolutamente impotente. Può fare solo qualcosa che ha già imparato e la può fare nel modo migliore alla perfezione: è meccanico. Questo emisfero sinistro è l'emisfero della logica, della matematica, del ragionamento. E' l'emisfero dell'ordine, del calcolo, della disciplina, dell'astuzia. L'emisfero destro è semplicemente l'opposto. E' l'emisfero del caos, non dell'ordine; della poesia, non della prosa; dell'amore, non della logica. Il creativo ha una spiccata propensione per la bellezza e una notevole capacità di essere originale ma non è efficiente, deve continuamente fare esperimenti: non può fermarsi da nessuna parte; è un vagabondo, si porta la tenda sulle spalle. Certo si può fermare per una notte ma al mattino sarà ripartito... Fermarsi per lui equivale a morire. E' sempre pronto a rischiare, il rischio è il suo innamoramento. Questo è l'emisfero destro.
Quando un bambino nasce il lato destro è attivo, quello sinistro no. Poi cominciamo a impartirgli i primi insegnamenti, in modo ignorante e non scientifico. Nel corso dei secoli abbiamo imparato come spostare l'energia dall'emisfero destro al sinistro, come bloccare l'uno e fare funzionare l'altro. La scuola fa solo questo: dall'asilo all'università la cosiddetta istruzione non è altro che uno sforzo per distruggere l'emisfero destro e sostenere il sinistro. Da qualche parte tra i 7 e i 14 anni ci riusciamo e il bambino viene ucciso, distrutto. A questo punto non è più selvaggio, diventa un cittadino. Impara la via della disciplina, del linguaggio, della logica, della prosa. Inizia a competere nella scuola, diventa un egoista, acquisisce tutte le nevrosi della società. Si interessa ai soldi e al potere. Comincia a pensare a come diventare più educato per essere più ricco e potente, avere una casa più grande e qualsiasi altro agio. Il centro della sua attenzione si sposta. L'emisfero destro comincia allora a funzionare sempre meno oppure funziona solo nei sogni, nell'inconscio profondo. O talvolta quando si assume una droga. La grande attrazione che esiste in Occidente verso le droghe è dovuta semplicemente al fatto che lì l'emisfero destro è stato completamente distrutto, grazie a un'educazione coatta. L'Occidente è diventato troppo civilizzato; cioè è arrivato a un estremo. Adesso sembrano non esserci altre possibilità; se nelle università e nei college non si iniziano a usare mezzi che aiutino l'emisfero destro a rivivere, le droghe non scompariranno. E' impossibile vietarne l'uso con la forza, se non viene ripristinato l'equilibrio interiore. Il fascino delle droghe è dovuto al fatto che ti fanno cambiare immediatamente marcia: dall'emisfero sinistro l'energia passa a quello destro. Ecco ciò che le droghe possono fare. L'alcol ha svolto questa funzione per secoli, ma oggi esistono droghe "migliori": l'Lsd, la marijuana, la psilocibina e altre droghe ancora più potenti.
Il criminale non è chi assume le droghe, ma il politico, l'educatore. Sono loro i colpevoli: hanno costretto la mente umana a un tale estremo da creare il bisogno di ribellarsi. Ed è un bisogno spasmodico! La poesia è completamente scomparsa dalla vita della gente e così la bellezza... I soldi, il potere, il prestigio sono diventati gli unici idoli... Se al bambino venisse insegnato che entrambe le menti gli appartengono e imparasse a usarle tutte e due e gli venisse spiegato quando usare l'una o l'altra... Esistono situazioni in cui è necessario solo l'emisfero sinistro, in cui hai bisogno di ragionare: al mercato, nelle faccende della vita di tutti i giorni. E ci sono occasioni in cui hai bisogno dell'emisfero destro... Distruggi allora tutto ciò che la società ti ha fatto, tutto ciò che genitori ed educatori ti hanno fatto. Distruggi tutto ciò che il poliziotto, il politico, il prete ti hanno fatto: e sarai di nuovo creativo, proverai di nuovo quel brivido che avevi all'inizio. E' ancora lì in attesa, represso e si può sprigionare... Naturalmente avrai bisogno di molto coraggio, perché quando cominci a disfare ciò che la società ti ha fatto, perderai ogni rispettabilità. Non sarai più considerato una persona degna di stima. Comincerai a sembrare un eccentrico; agli occhi della gente sarai uno stravagante. la gente penserà: quel poveraccio, ha perso qualche rotella... Ecco il coraggio più grande: affrontare una vita in cui la gente penserà che sei stravagante...."
(Osho, maestro indiano morto nel 1990 e considerato sia dal pensiero occidentale che orientale una delle più grandi guide di libertà di tutti i tempi in “La via del cuore”, pp 90-93)



articolo del 18-07-2009

Storia della Filosofia Occidentale
e dei suoi rapporti con le vicende politiche e sociali
dall' antichità ad oggi
di Betrand Russell

Prefazione
Poche parole di introduzione e di spiegazione sono necessarie, se questo libro vuole sfuggire almeno alle più severe critiche che senza dubbio merita.
Una spiegazione è dovuta agli specialisti delle varie scuole e ai vari filosofi. Forse con la sola eccezione di Leibniz, ciascun filosofo di cui io tratto è più noto ad altri che a me. Se però si devono scrivere libri di ampio respiro, è inevitabile, dal momento che non siamo immortali, che l'autore dedichi meno tempo a ciascuna parte di quanto ne dedica chi si specializza su un singolo autore o su un breve periodo. Qualcuno, di rigida impostazione accademica, concluderà che non si devono scrivere libri di ampio respiro, o che, caso mai, essi dovrebbero consistere in monografie scritte da vari autori. Qualcosa, però, si perde quando si è in molti a collaborare. Se è vero che il corso della storia presenta una certa unità, se esiste qualche intima relazione tra ciò che è accaduto prima e ciò che accade dopo, è necessario, se si vuole esprimere questa unità, che i diversi periodi storici vengano sintetizzati da un'unica mente. Chi studia Rousseau può trovare delle difficoltà nel giustificare il suo rifarsi alla Sparta di Platone e di Plutarco. Lo storico di Sparta non può essere profeticamente conscio di Hobbes, Fichte e Lenin. Individuare tali relazioni è uno degli scopi di questo libro, ed è uno scopo che soltanto con un ampio esame può essere raggiunto. Vi sono molte storie della filosofia, ma nessuna, che io sappia, ha lo stesso scopo che io mi son posto. I filosofi sono insieme effetti e cause: effetti delle condizioni sociali, politiche e istituzionali del loro tempo; cause (se sono fortunati) delle dottrine che modellano la politica e le istituzioni delle età successive. Nella maggior parte delle storie della filosofia, ciascun filosofo risulta isolato; le sue opinioni sono esposte senza nessun riferimento a ciò che le precede fuorché, al massimo, alle opinioni di altri filosofi. Ho tentato, al contrario, di mostrare ciascun filosofo, fin dove la verità lo consente, come un risultato del suo milieu, un uomo che riassume in sé i pensieri ed i sentimenti che in una forma vaga e diffusa sono comuni alla società di cui fa parte. Ciò ha richiesto l'introduzione di alcuni capitoli di pura storia della società. È impossibile capire gli stoici e gli epicurei senza possedere una conoscenza sia pure approssimativa dell'epoca ellenistica, o gli scolastici senza una sia pur scarsa comprensione del fiorire della Chiesa dal V al XIII secolo. Ho quindi esposto brevemente quelle parti del cammino fondamentale della storia che, a mio parere, hanno avuto maggiore influenza sul pensiero filosofico, e l'ho fatto più ampiamente nei casi in cui è probabile che la storia sia poco familiare ai lettori, per esempio nel caso dell'alto Medioevo. Ma in questi capitoli d'orientamento storico ho rigidamente escluso tutto ciò che ha poca o nessuna influenza sulla filosofia del tempo e su quella posteriore. Il problema della scelta, in un libro come questo, è difficilissimo. Se privo di dettagli, un libro diviene scipito e noioso; con troppi dettagli, corre il rischio di diventare intollerabilmente prolisso. Ho cercato un compromesso, trattando soltanto quei filosofi che mi sembra abbiano avuto una importanza considerevole, e menzionando in relazione ad essi dei particolari che, anche se non di fonçlamentale importanza, hanno valore di esempio o di chiarificazione. La filosofia, fin dai tempi più antichi, non è stata soltanto un affare di scuola o di discussione tra un'elite di uomini istruiti. Ha fatto parte integrante della vita della comunità, e come tale ho cercato di considerarla. Se vi è qualche merito nel presente volume, deriva da qui. Questo libro deve la sua esistenza al dottor Albert C. Bames, perché era originariamente destinato ed in parte ha visto la luce sotto . forma di conferenze presso la Fondazione Bames in Pennsylvania. Come nella maggior parte dei miei lavori dal 1932, sono stato notevolmente aiutato, nelle ricerche e in mille altri modi, da mia moglie, Patricia Russell.

Introduzione
Le concezioni del mondo e della vita che chiamiamo ``filosofiche'' sono il prodotto di due fattori: uno inerente alle condizioni religiose ed etiche; l'altro a quel genere di ricerche che si può chiamare ``scientifico'', usando questa parola nel senso più largo. I filosofi differiscono largamente l'uno dall'altro per il grado di maggiore o minore influenza che questi due fattori hanno nel loro sistema, ma è la presenza di entrambi in un grado qualsiasi che caratterizza la filosofia. ``Filosofia'' è una parola che è stata usata in molti sensi, alcuni più ampi, altri più ristretti. Io propongo di usarla in un senso molto largo, che ora cercherò di spiegare. La filosofia, nel senso in cui io intenderò la parola, è qualcosa di mezzo tra la teologia e la scienza. Come la teologia, si fonda su speculazioni che non hanno finora portato a conoscenza definite; come la scienza, si appella alla ragione umana piuttosto che alla autorità, sia quella della tradizione che quella della rivelazione; tutte le nozioni definite, direi, appartengono alla scienza; tutto il dogma, cioè quanto supera le nozioni definite, appartiene alla teologia. Ma tra la teologia e la scienza esiste una Terra di Nessuno, esposta agli attacchi di entrambe le parti; questa Terra di Nessuno è la filosofia. Quasi tutte le questioni di maggior interesse per le menti speculative sono tali che la scienza non può rispondervi, e le fiduciose risposte dei teologi non sembrano più tanto convincenti come nei secoli precedenti. Il mondo è diviso in spirito e materia, e, se lo è, che cos'è lo spirito e che cos'è la materia? Lo spirito è soggetto alla materia o è investito di poteri indipendenti? L'universo ha un'unità di scopi? Sta evolvendo verso qualche mèta? Vi sono realmente leggi di natura, o noi crediamo in esse soltanto per il nostro innato amore dell'ordine? L'uomo è ciò che appare all'astronomo, una minuscola massa di carbone impuro e di acqua, che striscia impotente su un piccolo ed insignificante pianeta? Oppure è ciò che appare ad Amleto? Forse entrambe le cose insieme? Esiste un modo di vivere nobile ed un altro abbietto, o tutti i modi di vivere sono semplicemente futili? Se esiste un modo di vivere nobile, in che cosa consiste e come possiamo raggiungerIo? Il bene deve essere eterno per meritare che gli si dia un valore o vaI la pena di cercarlo anche se l'universo cammina inesorabilmente verso la morte? Esiste qualcosa come la saggezza, o quella che sembra tale è soltanto lo stadio perfetto della follia? A tali domande non si può trovare nessuna risposta in laboratorio. Le teologie hanno preteso di dare delle risposte, tutte troppo definitive, e la loro stessa definitezza fa sí che le menti moderne guardino ad esse con sospetto. Lo studio di questi problemi, se non la loro soluzione, è compito della filosofia. Perché, si chiederà allora, perder tempo su tali insolubili problemi? A questo si può rispondere o come storici o come individui posti di fronte al terrore della solitudine cosmica. La risposta dello storico, nei limiti della mia capacità, apparirà nel corso di quest'opera. Da quando gli uomini divennero capaci di libero pensiero, le loro azioni, sotto innumerevoli aspetti, sono dipese dalle loro teorie sul mondo e sulla vita umana, su ciò che è bene e ciò che è male. Questo è vero tanto al giorno d'oggi quanto ai tempi antichi. Per capire un'epoca o una nazione dobbiamo noi stessi essere in un certo senso filosofi. Qui c'è una reciproca causalità: le condizioni di vita degli uomini inflùiscono molto sulla loro filosofia, ma d'altra parte la loro filosofia influisce molto sulle loro condizioni. Questa interazione, attraverso i secoli, sarà argomento delle seguenti pagine. C'è anche però una risposta più personale. La scienza ci dice ciò che possiamo sapere, ma ciò che possiamo sapere è poco, e se dimentichiamo quanto non possiamo sapere diventiamo insensibili a molte cose di grandissima importanza. La teologia, d'altra parte, porta alla fede dogmatica, alla convinzione che si sappia ciò che in realtà si ignora, generando cosi una sorta di insolenza nei riguardi dell'universo. L'incertezza tra la speranza ed il timore è penosa, ma deve essere sopportata se desideriamo vivere senza ricorrere a favole belle e confortanti. Non è bene né dimenticare le domande che la filosofia pone né persuaderci di aver trovato incontrovertibili risposte. Insegnare a vivere senza la certezza e tuttavia senza essere paralizzati dall'esitazione è forse la funzione principale cui la filosofia può ancora assolvere, nel nostro tempo, per chi la studia. La filosofia, in quanto distinta dalla teologia, sorse in Grecia nel VI secolo a.C. Dopo la sua fase di fioritura nell'antichità, fu di nuovo sommersa dalla teologia quando il Cristianesimo sorse e Roma decadde. Il suo secondo grande periodo, dall'XI al XIV secolo, fu dominato dalla chiesa cattolica, a parte pochi grandi ribelli come l'imperatore Federico II (1194-1250). Questo periodo ebbe termine coi sovvertimenti che culminarono nella Riforma. Il terzo periodo, dal XVII secolo ad oggi, è dominato più di ogni altro dalla scienza; le tradizionali convinzioni religiose conservano la loro importanza, ma è diffusa la percezione che hanno bisogno di giustificazione e vengono modificate ogniqualvolta la scienza lo renda indispensabile. Pochi filosofi di questo periodo sono ortodossi da un punto di vista cattolico, e lo Stato secolare ha maggior peso nelle loro speculazioni che non la Chiesa. La coesione sociale e la libertà individuale, come la religione e la scienza, sono in uno stato di conflitto e di arduo compromesso per l'intero periodo. In Grecia la coesione sociale era assicurata dalla fedeltà alla città-stato; perfino Aristotele, benché al suo tempo Alessandro avesse fatto declinare la città-stato, non poteva scorgere pregio alcuno in qualsiasi altro tipo di costituzione. Il grado in cui la libertà dell'individuo era limitata dal suo dovere verso la città variava abbondantemente. A Sparta in quel tempo si aveva la libertà che si ha oggi in URSS2; ad Atene, malgrado occasionali persecuzioni, i cittadini godevano nel periodo migliore di una straordinaria libertà dalle restrizioni imposte dallo Stato. Il pensiero greco, fino ad Aristotele, è dominato dalla devozione religiosa e patriottica alla città; i suoi sistemi etici sono adatti alla vita dei cittadini ed hanno un gran peso politico. Quando i greci furono assoggettati prima ai macedoni e poi ai romani, tali concezioni, adatte ai giorni della loro indipendenza, non furono più applicabi1i. Ciò produsse da una parte un indebolimento a causa della frattura nella tradizione, e dall'altra parte un'etica più individuale e meno sociale. Gli stoici pensavano alla vita virtuosa come ad una relazione dell'animo con Dio piuttosto che a una relazione del cittadino con lo Stato. Essi così preparavano la via al Cristianesimo che, come lo Stoicismo, era originariamente apolitico, dato che durante i primi tre secoli i suoi adepti erano tenuti lontani dalla partecipazione al governo. La coesione sociale, durante i sei secoli e mezzo da Alessandro a Costantino, era assicurata non dalla filosofia e non dalla originaria fedeltà, ma dalla forza, prima quella delle armi e poi quella dell'amministrazione civile. Gli eserciti romani, le strade romane, la legge romana, i funzionari romani prima crearono e poi conservarono un potente Stato centralizzato. Niente di tutto ciò poteva attribuirsi alla "filosofia romana, dato che non esisteva. Durante questo lungo periodo, le idee greche ereditate dall'epoca della libertà subirono un graduale processo di trasformazione. Alcune delle vecchie idee, principalmente quelle che potremmo considerare come specificamente. religiose, crebbero relativamente d'importanza; le altre, più razionalistiche, furono scartate perché non corrispondevano allo spirito del tempo. In questa maniera gli ultimi pagani adattarono la tradizione greca, finché divenne possibile incorporarla nella dottrina cristiana. Il Cristianesimo diffuse un'importante teoria, già implicita nell'insegnamento degli stoici, ma estranea in genere allo spirito dell'antichità: voglio dire la teoria che il dovere di un uomo verso Dio sia più categorico del suo dovere verso lo Stato. Questa teoria (che ``noi dobbiamo obbedire a Dio prima che all'uomo'', come dicevano Socrate e gli Apostoli3) sopravvisse alla conversione di Costantino, perché ì primi imperatori cristiani erano ariani o inclini all'arianesimo. Nell'Impero bizantino rimase latente, come nel successivo Impero russo che derivò il suo cristianesimo da Costantinopoli4. Ma nell'Occidente, dove gli imperatori cattolici furono quasi immediatamente sopraffatti (eccetto che in parte della Gallia) da eretici conquistatori barbari, la superiorità dell'obbedienza religiosa su quella politica sopravvisse ed entro certi limiti sopravvive ancora. L'invasione barbarica pose fine per sei secoli alla civiltà dell'Europa occidentale. Questa durò ancora in Irlanda, finché i danesi la distrussero nel IX secolo; prima della sua estinzione fiorì però una ragguardevole figura, Scoto Eriugena. Nell'Impero d'Oriente, la civiltà greca, in una forma mummificata, sopravvisse, come in un museo, fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453, ma nulla di importante per il mondo venne da Costantinopoli, eccetto una tradizione artistica e i codici giustinianei della legge romana. Durante il periodo di oscurità che va dalla fine del V secolo alla metà dell'XI, il mondo romano occidentale subì alcuni interessantissimi cambiamenti. Il conflitto tra il dovere verso Dio ed il dovere verso lo Stato, che il Cristianesimo aveva introdotto, prese la forma di un conflitto tra la Chiesa ed il re. La giurisdizione ecclesiastica del Papa si estese sopra l'Italia, la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna e l'Irlanda, la Germania, la Scandinavia e la Polonia. Al principio, eccetto l'Italia e la Francia meridionale, il suo controllo sui vescovi e sugli abati era molto tenue, ma dal tempo di Gregorio VII (fine dell'XI secolo) divenne reale ed effettivo. Da allora in poi il clero, in tutta l'Europa occidentale, formò un'unica organizzazione diretta da Roma che aspirava al potere con intelligenza e decisione e di solito anche con successo, fino a dopo il 1300, nei suoi conflitti con i regimi secolari. Il conflitto tra Chiesa e Stato non era soltanto un conflitto tra clero e laicità. Era anche un rinnovarsi del conflitto tra il mondo mediterraneo e la barbarie nordica. L'unità della Chiesa riproduceva l'unità dell'Impero romano; la sua liturgia era latina ed i suoi capi erano per la maggior parte italiani, spagnoli o francesi del sud. La loro educazione, quando l'educazione rinacque, era classica, le loro concezioni intorno alla legge sarebbero state più comprensibili a Marco Aurelio che non ai monarchi del tempo. La Chiesa rappresentava allo stesso tempo la continuità col passato e ciò che esisteva di più civile nel presente. Viceversa il potere secolare era nelle mani di re e di baroni di discendenza teutonica, che. si sforzavano di conservare quanto potevano delle istituzioni che avevano portato con sé dalle foreste della Germania. Era estraneo a quelle istituzioni il potere assoluto, non meno di quella che, ai rudi conquistatori, appariva come una legalità grigia e senza vita. Il re doveva dividere il suo potere con l'aristocrazia feudale e tutti si credevano autorizzati ad occasionali scoppi di passione sotto forma di guerre, assassini, saccheggi e rapine. Ai monarchi era lecito pentirsi, perché essi erano sinceramente pii e, dopo tutto, il pentimento stesso era una forma di passione. Ma la Chiesa non poteva mai ottenere da loro quella regolarità di buon comportamento che un moderno padrone richiede, e di solito ottiene, dai suoi impiegati. Che significato avrebbe avuto l'abitudine di conquistare il mondo, se poi non potevano bere, uccidere ed amare secondo che l'animo li muovesse? E perché, con i loro eserciti e con i loro gloriosi cavalieri, avrebbero dovuto sottomettersi agli ordini di uomini eruditi, votati al celibato e privi di forza armata? A dispetto della disapprovazione ecclesiastica, mantennero il duello ed il giudizio delle armi e svilupparono i tornei e gli amori di corte. All'occasione, in un impeto di rabbia, non avrebbero esitato ad uccidere persino degli eminenti ecclesiastici. Tutta la forza delle armi era dalla parte dei re, e tuttavia la Chiesa. vinse. La Chiesa vinse in parte perché deteneva il monopolio della istruzione, in parte perché i re erano continuamente in guerra l'uno con l'altro, ma principalmente perché, con pochissime eccezioni, governanti e popolo credevano altrettanto profondamente che la Chiesa ``possedesse il potere delle chiavi''. La Chiesa poteva decidere se uno dovesse trascorrere l'eternità in paradiso o all'inferno; la Chiesa poteva sciogliere i suoi soggetti dall'obbligo dell'obbedienza e spingerli cosi alla ribellione. La Chiesa inoltre rappresentava l'ordine in luogo dell'anarchia, e conseguentemente guadagnò l'appoggio della nascente classe mercantile. In Italia, specialmente, quest'ultima considerazione fu decisiva. L'aspirazione teutonica a conservare almeno una parziale indipendenza dalla Chiesa si manifestò non soltanto nella politica, ma anche nell'arte, nella letteratura, nella cavalleria e nella guerra. Si manifestò molto poco nel mondo intellettuale perché l'educazione era quasi completamente ristretta al clero. La filosofia del Medioevo non è un esatto specchio dei tempi, ma soltanto di ciò che pensava un partito. Tra gli ecclesiastici però, e particolarmente tra. i frati francescani, un certo numero, per varie ragioni, era in disaccordo con il Papa. In Italia, inoltre, la cultura si estese alla laicità alcuni secoli prima che a settentrione delle Alpi. Federico II, che cercò di fondare una nuova religione, rappresenta la punta estrema della cultura antipapale; Tommaso d'Aquino, che nacque nel regno di Napoli dove imperava Federico II, rimane fino ad oggi il classico esponente della filosofia papale. Dante, una cinquantina di anni dopo, raggiunse una sintesi e dette l'unica esposizione organica di tutto il mondo delle idee medioevali. Dopo Dante, per ragioni sia politiche che intellettuali, la sintesi medioevale si spezzò. Essa aveva, finché durò, qualità di accuratezza e di rifinitura miniaturistica; tutto ciò di cui il sistema prendeva conoscenza trovava il suo posto con precisione ed era messo in relazione con gli altri componenti di questo cosmo così ben delimitato. Ma il Grande Scisma, il movimento dei Concili ed il Papato del Rinascimento portarono alla Riforma, che distrusse l'unità del Cristianesimo e la teoria scolastica del governo che si accentra nel Papa. Nel periodo del Rinascimento, le nuove conoscenze, sia intorno all'antichità che intorno alla superficie terrestre, fecero sì che gli uomini si stancassero dei sistemi, che apparivano come prigioni mentali. L'astronomia copernicana assegnava alla terra e all'uomo una posizione più umile di quella che aveva goduto nella teoria tolemaica. L'amore per i fatti nuovi prese il posto, tra gli uomini intelligenti, dell'amore per il ragionamento, l'analisi e la sistematizzazione. Benché in arte il Rinascimento sia ancora ordinato, nel pensiero preferisce un grande e fruttuoso disordine. Sotto questo aspetto, Montaigne è il più tipico esponente dell'epoca. Nella teoria della politica (come in tutto fuorché nell'arte) si ebbe un collasso dell'ordine. Il Medioevo, per quanto turbolento, fu dominato in pratica, nel campo del pensiero, dalla passione per la legalità e da una teoria molto esatta del potere politico. Tutto il potere viene in ultima analisi da Dio; egli ha delegato il potere al Papa per le cose sacre e all'Imperatore per le questioni secolari. Ma il Papa e l'Imperatore persero entrambi la loro importanza durante il XV secolo. Il Papa divenne semplicemente uno dei prìncipi italiani, impegnato in un gioco politico incredibilmente complicato e senza scrupoli, mirante al dominio della penisola. Le nuove monarchie nazionali in Francia, Spagna ed Inghilterra godevano nei loro territori di un potere in cui né il Papa, né l'Imperatore potevano interferire. Lo Stato nazionale, largamente dovuto alla polvere da sparo, acquistò un'influenza sui pensieri e sui sentimenti degli uomini, che non aveva avuto prima e che progressivamente distrusse ciò che restava della fede romana nell'unità della civiltà. Questo disordine politico trovò la sua espressione nel Principe di Machiavelli. In mancanza di qualsiasi principio-guida, la politica diviene una lotta aperta per il potere. Il Principe dà degli astuti suggerimenti su come condurre con successo questo gioco. Ciò che era accaduto nella grande epoca della Grecia accadde di nuovo nell'Italia del Rinascimento. I freni morali tradizionali scomparvero, perché venivano associati alla superstizione; la liberazione dalle catene rese gli individui energici e creativi, producendo una rara fioritura di geni; ma l'anarchia e la slealtà, che inevitabilmente risultarono dalla decadenza della morale, tesero gli italiani collettivamente impotenti, ed essi caddero, come i greci, sotto il dominio di nazioni meno civili, ma non cosí prive di coesione sociale. Il risultato però fu meno disastroso che nel caso della Grecia, perché le nazioni divenute ora potenti, ad eccezione della Spagna, si mostrarono altrettanto capaci degli italiani di insigni conquiste. Dal XVI secolo in poi, la storia del pensiero europeo è dominata dalla Riforma. La Riforma fu un moto complesso e multiforme, e dovette il suo successo ad una grande varietà di cause. Innanzi tutto fu una rivolta delle nazioni nordiche contro il rinnovato dominio di Roma. La religione era la forza che aveva sottomesso il Nord, ma la religione in Italia era decaduta: il Papato restava come istituzione e riscuoteva un enorme tributo dalla Germania e dall'Inghilterra; ma queste nazioni, pur essendo ancora pie, non potevano sentire rispetto per i Borgia o per i Medici, che affermavano di salvare le anime del Purgatorio in cambio di moneta contante, che poi scialacquavano nel lusso e nell'immoralità. Motivi nazionali, motivi economici e motivi morali, tutto cooperava a rafforzare la rivolta contro Roma. Inoltre i prìncipi si accorsero presto che, se la Chiesa nei loro territori fosse divenuta veramente nazionale, essi sarebbero stati in grado di dominarla, e sarebbero divenuti molto più potenti in casa loro di quanto non fossero stati quando dividevano il dominio con il Papa. Per tutte queste ragioni, le innovazioni teologiche di Lutero furono ugualmente bene accette ai governanti e ai popoli, in gran parte dell'Europa settentrionale. La Chiesa cattolica aveva tre sorgenti: la sua storia sacra era ebrea, la sua teologia greca, il suo governo e la sua legge canonica, almeno indirettamente, romani. La Riforma respingeva gli elementi romani, attutiva gli elementi greci, e insisteva fortemente sugli elementi giudaici. In tal modo cooperò con le forze nazionali, che stavano disfacendo il lavoro di coesione sociale che era stato compiuto prima dell'Impero romano e poi dalla Chiesa romana. Nella dottrina cattolica la rivelazione non terminava con le Scritture, ma continuava di età in età per tramite della Chiesa, alla quale l'individuo aveva il dovere di sottomettere le sue opinioni personali. I protestanti, al contrario, negavano che la Chiesa fosse il veicolo della rivelazione: la verità andava cercata soltanto nella Bibbia che ciascuno poteva interpretare per proprio conto. Se gli uomini differivano nelle loro interpretazioni, non c'era alcuna autorità divinamente investita che potesse decidere nella disputa. In pratica, lo Stato reclamava il diritto che prima era appartenuto alla Chiesa, ma questa era solo un'usurpazione; secondo la teoria protestante, non avrebbero dovuto esserci intermediari terreni tra l'anima e Dio. Gli effetti di questo passaggio furono importanti; la verità non si raggiungeva più consultando un'autorità, ma andava raggiunta attraverso la meditazione introspettiva. Ci fu una tendenza rapidamente sviluppantesi verso l'anarchia in politica e verso il misticismo in religione, che fino allora si era sempre insinuato con difficoltà nell'ossatura dell'ortodossia cattolica. Non ci fu un solo protestantesimo, ma una moltitudine di sètte, non una sola filosofia opposta alla scolastica, ma tante quanti erano i filosofi, non, come nel XIII secolo, un Imperatore opposto al Papa, ma un gran numero di re eretici. Il risultato, nel campo del pensiero come nella letteratura, fu un sempre più profondo soggettivismo, operante al principio come una totale liberazione dalla schiavitù spirituale, ma che certamente portava verso un isolamento individuale, nemico della sanità sociale. La filosofia moderna comincia con Cartesio, la cui certezza fondamentale è l'esistenza di se stesso e dei suoi pensieri, da cui si deduce il mondo esterno. Questo fu soltanto il primo stadio di una linea di sviluppo, che attraverso Berkeley e Kant arriva a Fichte, per cui la realtà è soltanto un'emanazione dell'io. Si era giunti alla follia, e da questo estremo la filosofia sta tentando ancora di rifugiarsi nel mondo del senso comune. Con il soggettivismo in filosofia va sotto braccio l'anarchia in politica. Già durante la vita di Lutero, importuni e sconfessati discepoli avevano sviluppato la dottrina dell'anabattismo, che per un certo tempo dominò nella città di Münster. Gli anabattisti ripudiano tutta la legge, perché ritengono che l'uomo giusto venga guidato in ogni momento dallo Spirito Santo, che non può essere legato da norme. Da questa premessa si arriva al comunismo e alla promiscuità dei sessi; perciò furono sterminati dopo un'eroica resistenza. Ma la loro dottrina, in forme più attenuate, si diffuse in Olanda, in Inghilterra e in America; storicamente, qui è l'origine del quaccherismo. Una più violenta forma di anarchia, non più connessa con la religione, si manifesta nel XIX secolo. In Russia, in Spagna, ed in grado minore in Italia, ebbe un considerevole successo e fino ad oggi resta uno spauracchio delle autorità americane di immigrazione. Questa forma moderna, benché antireligiosa, conserva ancora molto dello spirito dei primi protestanti; ne differisce soprattutto nel dirigere contro i governi secolari l'ostilità che Lutero dirigeva contro i Papi. Il soggettivismo, una volta avuta via libera, non poteva essere racchiuso entro dei limiti, finché non avesse seguito il suo corso. Nel campo morale, l'enfasi protestante intorno alla coscienza individuale era essenzialmente anarchica. Gli usi e le consuetudini erano così forti che, eccettuate occasionali esplosioni come quella di Münster, i discepoli dell'individualismo in etica continuarono ad agire in maniera convenzionalmente virtuosa. Ma si trattava di un equilibrio precario. Nel XVIII secolo il culto della ``sensibilità'' cominciò a romperlo: un' azione era ammirata non per le sue buone conseguenze o per il suo conformarsi a un codice morale, ma per le emozioni che ispirava. Da questa attitudine si sviluppò il culto dell'eroe, quale fu espresso da Car1yle e da Nietzsche, e il culto byroniano della passione violenta, non importa di quale natura. Il movimento romantico in arte, in letteratura e in politica è strettamente legato a questa maniera soggettivistica di giudicare gli uomini, non come membri di una comunità, ma come oggetti esteticamente gradevoli da contemplare. Le tigri sono più belle delle pecore, però noi le preferiamo dietro le sbarre. Il romantico tipico toglie le sbarre, e si gode i magnifici balzi con cui la tigre annienta le pecore. Egli esorta gli uomini ad immaginarsi come tigri, e quando ci riesce i risultati non sono del tutto piacevoli. Contro le forme più insane del soggettivismo, nei tempi moderni si sono avute varie reazioni. Prima una filosofia di compromesso: la dottrina del liberalismo, che tentò di determinare le rispettive sfere del governo e dell'individuo. Nella sua forma moderna questo comincia con Locke, che si oppone all' ``entusiasmo'' (l'individualismo degli anabattisti) come anche alla autorità assoluta e alla cieca sottomissione alla tradizione. Una più completa rivolta fa capo alla' dottrina della statolatria, che attribuisce allo Stato la posizione che il Cattolicesimo attribuiva alla Chiesa o anche, talvolta, a Dio. Hobbes, Rousseau ed Hegel rappresentano differenti fasi di questa teoria e le dottrine si impersonano praticamente in Cromwell, in Napoleone e nella Germania moderna. Il comunismo, in teoria, è molto lontano da tali filosofie, ma tende in pratica ad un tipo di comunità molto simile a quella risultante dalla statolatria. Durante questo lungo periodo di sviluppo, dal 600 a.C. ai giorni nostri, i filosofi si sono divisi in quelli che volevano stringere i legami sociali e quelli che volevano allentarli. A questa differenza se ne sono aggiunte altre. I propugnatori della disciplina hanno sostenuto un sistema dogmatico, vecchio o nuovo che fosse, e sono stati quindi spinti ad essere in maggiore o minore misura ostili alla scienza, dato che i loro dogmi non potevano essere dimostrati empiricamente. Essi hanno invariabilmente insegnato che la felicità non è il bene, ma che bisogna preferire ``la nobiltà'' o ``l'eroismo''. Hanno avuto in simpatia ciò che vi è di irrazionale nella natura umana, dato che si sono sentiti in dovere di essere nemici della coesione sociale. I libertari, d'altra parte, ad eccezione degli estremisti anarchici, hanno finito con l'essere scientifici, utilitari, razionalisti, ostili alle violente passioni, nemici di tutte le forme più profonde di religione. Questo conflitto esisteva in Grecia prima che sorgesse ciò che noi indichiamo col nome di filosofia, ed è già del tutto esplicito nel primitivo pensiero greco. Sotto mutevoli forme, è continuato fino al giorno d'oggi e non v'è dubbio che durerà per molte epoche a venire. è chiaro che in questa disputa ciascun partito (come in tutto ciò che dura per lunghi periodi di tempo) ha in parte ragione, in parte torto. La coesione sociale è una necessità e l'umanità non è riuscita a realizzare la coesione con argomenti puramente razionali. Ogni comunità è esposta a due opposti pericoli: da una parte la mummificazione, attraverso l'eccessiva disciplina e l'eccessivo rispetto per la tradizione; dall'altra parte la dissoluzione e l'assoggettamento alla conquista straniera, attraverso l'accrescersi di un individualismo e di una indipendenza personale che rendono impossibile la collaborazione. In generale le civiltà importanti cominciano con un sistema rigido e superstizioso, che gradualmente si rilassa e che ad un certo punto conduce ad un periodo di brillanti geni, mentre il buono della vecchia tradizione permane ed il male inerente al suo dissolversi non si è ancora sviluppato. Ma allorché il male si manifesta, esso porta all'anarchia e poi inevitabilmente ad una nuova tirannide, che produce una nuova sintesi rafforzata da un nuovo sistema dogmatico. La dottrina del liberalismo è un tentativo di sfuggire a questo ricorso senza fine. L'essenza del liberalismo è un tentativo di assicurare un ordine sociale non basato su dogmi irrazionali, tale da instaurare la stabilità senza per altro implicare maggiori limitazioni di quante non siano necessarie per la conservazione della comunità stessa. Se questo tentativo possa riuscire, solo il futuro è in grado di dirlo.


Footnotes
... Russell1
Traduzione di Luca Pavolini
... URSS2
Nel 1946, nota del curatore
... Apostoli3
Tale teoria non era sconosciuta nei tempi antichi. È asserita, per esempio, nell'Antigone di Sofocle. Ma prima degli stoici erano pochi quelli che la professavano.
... Costantinopoli4
Ecco perché il cittadino sovietico moderno non pensa che si debba obbedire al materialismo dialettico piuttosto che al partito.

Flavio Sartoretto

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