GIUSEPPE PIAZZOLLA

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Il garo, una leccornia di Annamaria Piazzolla, di 2000 anni fà
Marziale ed Orazio ne decantano la indiscussa bontà definendolo una vera ricercatezza; Plinio ci tramanda che il suo costo (500 sesterzi il congio, una quantità pari a circa 3 litri) era simile a quello necessario per l'acquisto di un profumo pregiato; il golosissimo Apitio Nepote ne faceva un uso smodato, intingendovi le triglie vive; a Pozzuoli quello prodotto nelle vasche costiere era una pietanza fissa nei convivi dei ricchi Patrizi.

Parliamo del garo (garum in latino) il condimento più utilizzato e ricercato nella antica cucina romana. Consisteva in una salsa di pesce macerato al sole e gli itticoltori puteolani la producevano ed esportavano in gran quantità. Commercialmente il garum scombri flos Putheolam, questa era la denominazione della salsa di origine flegrea, viaggiava generalmente via mare sigillato in anfore di terracotta. Sulle stesse veniva apposta quella che oggi definiremmo il marchio di garanzia del prodotto: Gari Flos (in sigla G.F.) meglio noto come il fiore di garum, o Gari Flos Floris (G.F.F.), il fior fiore del garum.

Veniva utilizzato sia come condimento che ingrediente di cottura: con il garum si insaporivano i funghi e le uova al tegame, mescolato all'aceto o ad altre erbe aromatiche, costituiva una salsa di condimento delle braci.
Le sue qualità medicamentali erano altrettanto famose: efficace disintossicante e sicuro antidolorifico, veniva usato per guarire da cataratte, da otiti e perfino dalle emorroidi.

La sua origine può essere ricondotta ai Greci, i quali esportarono il prodotto, il garòn, nelle colonie occidentali, laddove la tradizione della lavorazione del pesce ed in particolare quella della sua conservazione naturale, attecchì facilmente, tramandandosi sino ai nostri giorni.

Ma quale era la sua composizione e quali le tecniche di produzione?
Inizialmente si raccoglievano pesci azzurri di piccola taglia non sviscerati, sarde ed alici, ai quali si aggiungevano parti di pesci più grossi e pregiati, quali ricciole e sgombri. L'amalgama veniva messo a decantare. Successivamente avveniva la fase di marinatura, che durava circa tre mesi, con l'aggiunta di sale e spezie aromatiche in pari quantità (in alcuni casi le vasche venivano surriscaldate per accelerare la macerazione). A questo punto, atteso il raffreddamento dell'impasto, lo si estraeva a mezzo cesti filtranti dai quali era fatto colare nelle anfore. Le stesse venivano sigillate e marchiate con il nome del produttore e del tipo di garum.

Quale fosse il suo decantato sapore lo possiamo intuire ancora oggi, recandoci in un ristorante greco ed assaporando una porzione di tsiros, o assaggiando la pissalat, la saporita salsa francese prodotta a Nizza.
Suo lontano parente, ma più facilmente rinvenibile sulle coste dell'Italia meridionale, è invece, la sardata calabrese, un impasto a base di larve di sardine e peperoncino.
La tradizione della lavorazione del garum è conservato da me gelosamente (lo faccio gustare solo a pochi . . . buoni amici !!!), mentre a Voi oggi non resta che consolarVi degustando il pesce marinato accompagnato da un buon vino delle terre Vesuviane

. . . a cura dell'Erborista: Annamaria Piazzolla
PASTI . . . SPECIALI ! ! !